Irrompe il Vangelo

A Ninive era dilagato il male, tanto da ricevere una sentenza che non è una condanna, ma una profezia: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta” (I lettura). Se Ninive avesse continuato così, l’esito della sua convivenza come città sarebbe stata l’autodistruzione.

Purtroppo questa descrizione è più attuale di quanto pensiamo:

quante sono le città degli uomini o in generale le realtà umane così tanto devastate da prospettare un esito di autodistruzione? Per questo motivo, innanzitutto, dobbiamo prendere seriamente il nostro convivere civile e sociale e impegnarci per il bene, la rettitudine e l’amicizia.

Ci incoraggia la testimonianza di San Paolo: “Passa la scena di questo mondo” (II lettura). Non è, infatti, un invito alla rassegnazione. L’apostolo ha sperimentato che c’è qualcosa di nuovo e potentissimo all’opera nel tempo che ci è dato, tale da convincere il re di una città a vestirsi di sacco e cenere, e da mettere nel cuore di poveri pescatori il desiderio di cambiarlo, questo mondo.

Irrompe il Vangelo.

Stupisce che nel periodo di Natale abbiamo celebrato i misteri tra i più alti della fede, ma la liturgia ci dice che il Vangelo irrompe nelle parole di un uomo adulto, consapevole di sé, nella ferialità delle giornate di pescatori e di ciascuno di noi.

Irrompe il Vangelo, quando i ragazzi vanno a scuola.

Irrompe il Vangelo nel traffico cittadino, mentre si raggiunge il lavoro.

Irrompe il Vangelo nel tempo di una casa, di una parrocchia, di un’associazione di volontariato o sportiva.

Irrompe il Vangelo nelle ferie dei nostri giorni e nell’ordinarietà della nostra vita.

Voglio proporre chiasmo dell’annuncio di Gesù: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino” e trasformarla così:

“Il tempo è vicino e il Regno di Dio è compiuto”.

Ogni attimo è l’istante per scegliere ancora il Vangelo, come se fosse la prima volta.

Ogni attimo e il momento per riconoscere l’amore di Dio che ci trasforma.

Don Davide




Abitare e ospitare

“Maestro dove abiti?” (Gv 1,38)

Riprendiamo l’anno pastorale con il tempo ordinario e tutto il cammino che faremo frequentando il vangelo di Gesù secondo Marco è un tentativo continuo di trovare dimora presso di lui, cioè di abitare stabilmente con lui. Come succede a chi abita insieme, si tratta di salutarlo al mattino, di ritrovarlo quando torniamo a casa, di sapere che abbiamo un punto di riferimento durante la giornata, di “avvisarlo” quando facciamo qualcosa e di contattarlo quando succedono cose belle.

Significa cercare questo rapporto con Gesù che ci dà una casa.

L’inizio di questo tempo liturgico è caratterizzato dall’impegno di stabilire un legame al quale possiamo sempre ritornare e nel quale trovare rifugio e riposo (cf. Mt 11,25-30).

È un’esperienza emozionante, perché sappiamo di poter riprendere a muovere i nostri passi con lui:

se siamo neofiti c’è tutta la scoperta del dell’incontro con Gesù, se siamo cristiani da tanto tempo possiamo sentire la gioia di sentirci nuovamente messi in gioco, di conoscerlo più profondamente, di sperimentare con più sorpresa la sua grazia e la sua provvidenza. E poi si tratta anche di fare sentire questa vicinanza di Gesù a tutti coloro che ancora non la conoscono e non l’hanno sperimentata.

Questa esperienza spirituale ci spinga a ricambiare l’ospitalità

e, come accadde ai discepoli di Emmaus, a fare spazio a Gesù nella nostra casa: nella nostra casa interiore, cioè il nostro spirito, e nella nostra casa esteriore, cioè nelle nostre vite.

Così possiamo rendere tutta la parrocchia una casa in cui Gesù è nostro gradito ospite,

sia per i nostri fratelli e sorelle che sono invitati nello stesso amorevole clima domestico, sia riconoscendo Gesù in loro stessi come presenza del Maestro che chiama ciascuno di noi.

Don Davide




Preghiera a Maria – Omelia di Capodanno

Maria,

oggi ti veneriamo con un titolo altisonante:

non solo quello di Beata Vergine della Grada,

che ti riconosce vigilante su di noi

– come hanno voluto i nostri avi –

dipinta sulle mura

in questo varco d’accesso,

e protettrice dei moribondi

che qui venivano a spegnersi,

ma con il titolo di Santissima Madre di Dio,

così ci ricordi – anche se nell’immagine

è il tuo bambino che ti invita a benedirci –

che lui è Dio e che possiamo affidarci a lui,

perché è Dio, sta in mezzo a noi

e conosce e capisce tutte le sfumature della nostra umanità.

 

In questo giorno ti preghiamo innanzitutto per la pace,

ma non come la dà il mondo,

che “dicono pace pace: ma pace non c’è!” (cit. Isaia).

Ti chiediamo la pace che bacia la giustizia,

e che trasforma gli strumenti di guerra

in “armi” per arare i campi,

in tecnologie per curare e insegnare,

in utensili per costruire la pace

montandola pezzo per pezzo,

anche con il nostro contributo.

 

Ti chiediamo, cioè, la pace di Gesù,

quella di cui noi ci assumiamo in pieno la responsabilità

in tutti i nostri gesti:

quella che non dissemina il peccato personale nel mondo,

quella che cerca la riconciliazione e perdona,

quella che prega per i nemici,

benedice coloro che maledicono,

aiuta la persona incappata nei violenti

e ama quotidianamente i propri amici.

 

All’inizio di questo anno, Maria,

ti affidiamo i bimbi che nasceranno:

perché siano amati sapientemente,

e possano crescere come artefici di un futuro

che cuce la volontà di Dio

“come in cielo così in terra” (cit. Matteo).

Ti preghiamo per tutti coloro che moriranno:

perché abbiano qualcuno vicino a tenergli la mano,

e ogni dolore, di chi parte e di chi rimane,

venga alleviato.

Però ti supplichiamo, Madre di tutti, che nessuno muoia più

in mare, nel deserto o tra le montagne della nostra Europa.

 

La prima volta che Gesù si è rivelato come Dio,

tu eri a Cana; ti preghiamo quindi anche per chi si sposerà:

fa che non manchi mai

il vino della gioia e dell’amore nelle loro case

e che possano trasformare le eventuali crisi

in grazie tanto abbondanti quanto 6 giare da 120 litri.

 

Maria, tu ci hai mostrato

– e noi avremmo dovuto apprenderlo fin dall’inizio –

che la donna è uguale in diritti,

dignità e responsabilità all’uomo:

fa’ che non dobbiamo aspettare un altro anno

perché ogni donna sia rispettata

e nessuna sia picchiata, violentata o uccisa.

Fa’ che non dobbiamo aspettare un altro anno

perché ogni donna che lavora e vuole anche essere madre

non sia discriminata in alcun modo,

perché le donne siano pagate come gli uomini

e perché, nelle nostre comunità cristiane,

rispettiamo anche tutte le donne

che scelgono di non diventare madri

e di realizzare il dono della propria vita

in modo a loro più consono.

 

Ti preghiamo, infine, per le giovani e i giovani,

che sono il nostro presente futuro,

o meglio, il loro stesso futuro presente.

Ti preghiamo per quelli che abbiamo incontrato in parrocchia,

all’Estate Ragazzi, nei gruppi,

nel gruppo giovani, nell’Azione Cattolica e nei movimenti,

e nei nostri lavori:

aiutaci a non dimenticarci di nessuna e nessuno di loro;

che siano sempre presenti,

davanti al Padre e al tuo Figlio risorto,

attraverso la tua intercessione e la nostra preghiera.

 

Qualche giovane c’è nelle nostre assemblee

e nella nostra comunità,

molti mancano, troppi ci mancano,

e noi cerchiamo di volere bene a tutti,

di stimarli e di continuare a incoraggiarli.

Quella tua mano benedicente si stenda su di loro, Maria,

la tua benedizione li raggiunga ovunque si trovino:

sentano un fremito di fiducia e un presagio d’amore,

anche se non immaginano da dove venga,

e la tua protezione e la nostra preghiera

possano accompagnarle e accompagnarli

a conoscere Gesù

e a vivere appieno la loro vocazione.

 

Amen.




Credo il Natale

Credo che il Natale è la nascita di Gesù, il Figlio di Dio, il salvatore del mondo.

Credo che il Natale vada celebrato con la Chiesa e nella propria comunità. Credo che in questi rapporti, ci sia uno spazio speciale per le famiglie.

Credo il Dio di Gesù Cristo, che abbiamo conosciuto dentro la storia del popolo di Israele, come testimoniano le bellissime profezie di Isaia e di Michea che ascoltiamo in questi giorni. Soprattutto quella di Isaia 2, che vede il giorno in cui si smonteranno i missili e si costruiranno scuole.

Credo che il presepe è un dono che soltanto l’intuizione di uno come Francesco d’Assisi poteva lasciarci. È ancora più bello non solo quando puoi ammirarlo da fuori, o guardarci dentro, ma quando puoi guardare “da dentro” come in quello della nostra parrocchia.

Credo sia bello pure l’albero di Natale, soprattutto quando è fatto con i bambini. E – a proposito – credo ci rendano più lieti anche le lucine e gli addobbi, e tutti i segni di festa che ci sono, perché noi che lo viviamo spiritualmente sappiamo che alla fine il Natale coinvolge tutti. Mi colpisce quando si sentono nei locali le canzoni che parlano di Gesù bambino. E non possono essere ridotte solo a una favoletta, quando senti i cantanti più famosi del mondo che interpretano Silent Night e gridano: “Christ the Saviour is born!”.

Nessuno potrà farci dimenticare il Natale sacro, a meno che non lo lasciamo andare noi stessi.

Tuttavia è necessario che a Natale i negozi e le attività commerciali chiudano, e gli sport si fermino. Magari già dal pomeriggio della Vigilia.

Comunque una gara c’è e ci dev’essere: è quella della solidarietà e sì – certo – credo che siano meglio i panettoni e i pandori solidali, e anche le Stelle di Natale. Credo, però, che la vera solidarietà sia rivolta ad ogni sofferenza del mondo.

Credo che sia vero che a Natale possiamo essere tutti più buoni. Non è automatico, ma la liturgia dice:

“È apparsa la grazia di Dio, che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani” (Tt 2,11-12).

Credo che solo curando la vita spirituale si possa avere una luce, vedere il cielo aperto e ascoltare gli angeli, ossia Dio che ti guida.

Vedo, infine, in questa notte santa, una donna, un uomo, un bambino e una platea di persone di tutti i generi attorno. Credo che gli uomini non “devono” fare la guerra e che, fin da quella scena, dovesse essere fuori di dubbio e messa in pratica in ogni aspetto la perfetta uguaglianza in dignità e diritti delle donne, nelle loro differenze. Credo che i bambini debbano essere coperti da un magico scudo di paglia, talmente leggero da non sentirlo ma inscalfibile come l’armatura di un mandaloriano, e che chi vorrebbe violarli si scontri con le corna di un toro e il calcio di un asino.

Credo che tutti, proprio ogni persona sia invitata a celebrare Gesù, il Cristo, e che non ci sia anima sulla Terra che non sia sorella di Gesù e Figlia di Dio. È un legame di sangue che si può rifiutare, ma da quella notte la Luce splende e chi vuole l’accoglie.

Don Davide




Fare spazio a tutto

Carissime, carissimi,

sono sempre molto contento di festeggiare con voi il mio ingresso in parrocchia in coincidenza con la Prima domenica di Avvento. Questo passaggio mi ricorda un momento magico di un romanzo che adoro, La storia infinita:
“Questa è la fine, Fiordiluna?
Tutto il contrario, Bàstian. È l’inizio.”

C’è qualcosa di potentissimo in questo interstizio in cui un tempo si chiude, ma non per finire, e un altro si apre, per rivelare una vita nuova.

Accogliamo Gesù.

Tale è il senso del ministero pastorale e della responsabilità di tutti per la propria vocazione battesimale: nove anni spesi bene per aiutarci ad accogliere Gesù.

Io trovo qui tutti i motivi per festeggiare e vi ringrazio perché in questi anni mi sono sentito molto aiutato.

Tra l’altro, con il traguardo dei nove anni, stabilisco il mio record di permanenza in una comunità: ho passato più tempo con voi che con chiunque altro… (se si eccettua la parrocchia di Rastignano, ma quella non conta!).

È stato un tempo variegato e bello, anche nei momenti più difficili, perché li abbiamo affrontati insieme.

Sono colmo di gratitudine per la condivisione con questa comunità cristiana, e con ciascuno e ciascuna di voi.

Mentre festeggio questo anniversario, mi porto tutto l’intenso vissuto di questo ultimo anno: quando sono stato male, la malattia e la morte di mio padre, la malattia e la morte di don Valeriano, la malattia e la morte di mia madre, e insieme a queste cose – che necessitavano di tutta la priorità del caso – il dispiacere per averne trascurate tante altre di cui mi sarei dovuto occupare.

Tuttavia, voglio fare spazio a tutto.

Non ho rimpianti e la cosa più bella che celebro è che ho ricevuto tantissima solidarietà, vicinanza e collaborazione da parte di tutta la comunità.

Rimane che sono velocemente diventato orfano dei genitori e di una figura di riferimento che “mi guardava le spalle” come don Valeriano.

Improvvisamente è subentrato un nuovo senso di responsabilità, quello di occupare pian piano il posto lasciato vuoto da chi ci ha consegnato la vita.

Nove anni non sono tantissimi (anche se sono il triplo di quelli bastati a Gesù per trasformare il mondo) e nonostante i miei quarantacinque, tutto sommato, qualche dritto lungolinea “quasi alla Sinner” lo riesco ancora a tirare, ma percepisco proprio il richiamo a “consegnare” vita: a dare la mia vita, ma anche a trasmettere vita, e ad affidare i giovani e una comunità intera al futuro.

So che in questa missione ho tantissime lacune, ma sono rasserenato dal fatto che ci aiutiamo in questa avventura.

Ammiro le tante qualità operose, come un ronzio d’api in una giornata estiva. Poi mi trovo, per strada a pensare a tutte le disponibilità che sorgono, spesso quando meno te l’aspetti, e mi viene il sorriso sornione di chi ha fatto un colpaccio.

Con amicizia, vi auguro di vivere con grande tenerezza questo tempo di Avvento.

Don Davide




L’editto del Re

Perché Gesù, il Signore, è Re dell’Universo?

Perché passa in rassegna il suo regno. E cosa vi trova?

Vi trova guerre, attentati, carestie, inondazioni, pestilenze, violenza. Roba da fare venire i brividi. Sono “giorni nuvolosi e di caligine” (I lettura: Ez 34,14) per il suo regno.

Ma vi trova anche delicatezza, gesti di cura impareggiabili, mani che asciugano lacrime e terreni, mense condivise, costruttori di giustizia e di pace.

Per ogni vita violata, il Signore sa che ce ne sono dieci particolarmente accudite.

L’opposto della perversa logica della vendetta.

In questi casi, cosa fa un re corretto e responsabile, un re buono? L’apostolo Paolo, nella seconda lettura, risponde: “È necessario che egli regni, finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi” (II lettura: 1Cor 15,25).

Perciò il re proclama un editto per sostenere e difendere tutto il bene che c’è e avversare il male con tutti i suoi eserciti, che non sono armati, ma assomigliano più a coloro che fanno le missioni di pace, alla protezione civile, ai volontari che vanno sui luoghi dei disastri ad aiutare a mani nude e cuori pieni.

Questo editto suona così:

  • A chi ha fame, offriamo da mangiare
  • A chi ha sete, diamo da bere
  • Chi è forestiero sia accolto
  • Se ha bisogno di vestiti, diamogli quello che serve (anche dei nostri, che ne abbiamo sempre troppi)
  • Chi ha bisogno di vestiti riceva quelli che necessita (anche dei nostri, che ne abbiamo sempre troppi) 
  • A chi è in carcere, diamo l’opportunità di riscattarsi 

Non appare un decreto impraticabile.

Sicuramente non è difficile da capire, non ci sono ambiguità. Inoltre, mentre il re emana questo editto, ci dà lui stesso un esempio, perché come fa lui, facciamo anche noi: pasce il suo gregge, la pecora affaticata e quella forte, non lascia indietro nessuna.

In questo modo Gesù, mentre scende in mezzo al suo regno, sale sul suo vero trono, per concedere a tutti la grazia della vita.

Don Davide




I sentieri della vita

Se potessimo osare tradurre la prima lettura (Es 22,20-26) di questa domenica in un linguaggio attuale, potremmo e dovremmo scrivere:

“Sono esseri umani, quindi non puoi trattarli male. Sono persone, non è difficile da capire. Il grido di tutti i sofferenti del mondo sale fino a me e io lo ascolto. Io me ne accorgo.”

Questo elenco che nel libro dell’Esodo segue il Decalogo (cf. Es 20,1-17) e lo specifica è davvero impressionante:

1) Non opprimerai lo straniero

2) Non maltratterai le categorie sociali più in difficoltà

3) Condividerai il tuo denaro

4) Non sfrutterai il povero

Ci sarebbe da farne un programma politico, ma i cristiani prima di puntare il dito contro gli altri, devono assumere come propria responsabilità personale una tale radicalità. Dovremmo poter dire:

“Almeno per quanto riguarda me, mi sforzo di seguire questa parola che Dio mi rivolge”.

Gesù dà un’interpretazione rabbinica perfetta della Legge di Mosé, sintetizzandola nel famoso: “Amerai Dio e amerai il prossimo” (Mt 22,37-38). Dio e gli esseri umani. Non si può amare l’uno senza l’altro. E dunque, se si “uccide” l’uno, si “uccide” anche l’altro.

“Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti.” (Mt 22,40)

Per Legge, nella cultura religiosa ebraica, si intende i sentieri per vivere. La Profezia è la costruzione di un mondo inedito di vertiginosa bontà, a partire da oggi.

Ora chiudiamo gli occhi un momento.

Facciamo tacere i tumulti della fretta e degli affanni.

Ricordiamo quello che abbiamo visto nei telegiornali o letto sui quotidiani.

Pensiamo ai nostri giovani e alle nostre giovani, a cui vogliamo bene, e chiediamoci: non abbiamo forse bisogno di ritrovare i Sentieri della Vita? Non abbiamo forse bisogno di rendere vere le visioni dei profeti, dove i missili diventano scuole, le armi nucleari ospedali, gli inquinanti boschi e foreste, a tutti i bimbi e le bimbe è concesso di giocare e di studiare, e nessuno – mai e poi mai – pronuncia il nome di Dio accanto a qualsiasi atto di violenza – anche il più piccolo – su un altro essere umano.

Don Davide




Cuori ardenti, piedi in cammino

Celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale per partecipare della missione universale della Chiesa.

Come educare le nostre comunità a questa apertura missionaria universale?

I vescovi ci ricordano che la sensibilità missionaria va educata “fin dalla più tenera età” (Decreto per l’Attività missionaria Ad Gentes del Concilio Vaticano II, n. 38) per creare tra tutti i cristiani del mondo uno spirito di fraternità universale nella preghiera e nella solidarietà, specialmente verso le Chiese più giovani e bisognose di sostegno.

Il mese missionario di ottobre trova dunque il suo apice nella celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale che ricorre in questa domenica 22 ottobre.

In questa domenica iniziamo la messa con le famiglie del catechismo in una chiesa che ci ospita, così sperimentiamo il senso di essere in cammino e in comunione con altre comunità e alleniamo anche i più piccoli alla consapevolezza che esiste una Chiesa più grande, che va ben oltre i confini della nostra parrocchia e si unisce spiritualmente a tutti i missionari inviati nel mondo ad annunciare il Vangelo. Ogni comunità che celebra l’Eucarestia contribuisce al sostegno di tutti i missionari sparsi nel mondo e di tutte le comunità più povere di mezzi, quelle che vivono in situazioni di assoluta minoranza e quelle che soffrono controversie e persecuzioni.

Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno Papa Francesco ha scelto un tema suggestivo che prende spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35):

«Cuori ardenti, piedi in cammino».

Attraverso l’esperienza di questi due discepoli che, nell’incontro con Cristo risorto, si trasformano in attivi missionari, Papa Francesco ci esorta ad essere discepoli-missionari. Infine il Papa ci ricorda l’importanza del mantenere viva la missione con l’impegno di ciascuno e con la preghiera per le vocazioni missionarie: «L’immagine dei “piedi in cammino” ci ricorda ancora una volta la perenne validità della missio ad gentes, la missione data alla Chiesa dal Signore risorto di evangelizzare ogni persona e ogni popolo sino ai confini della terra».

A cura di Don Davide

[Dalla riflessione di don Giuseppe Pizzoli, Direttore generale Fondazione Missio]

 

Fondazione Missio Ottobre Missionario 2023 (missioitalia.it)

Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2023 | Francesco (vatican.va)




L’abito nuziale

Se tutti desideriamo il bene, perché non l’accogliamo?

La domanda mi sorge così, ma poi mi accorgo che non è posta bene. In tanti l’accolgono, e sono grati di ogni segnale di bene sulla strada. Ma molti, invece, no.

C’è un’inclinazione ingannevole nell’uomo a desiderare il bene che si vorrebbe e a fare ciò che ce ne allontana.

Perché?

Rimane uno dei misteri più difficili dell’esistenza.

Io credo che sia la questione dell’abito nuziale.

Nella parabola di Gesù, la reazione del padrone è del tutto spropositata. Prima chiama la gente dai crocicchi, poi va in escandescenze per un uomo che non ha il vestito adatto.

È evidente che qui Gesù vuole attirare la nostra attenzione.

Che cos’è questo abito nuziale? È qualcosa che si prepara.

Quando dobbiamo andare a un matrimonio controlliamo se abbiamo qualcosa da metterci. Anche chi sceglie un registro informale, è sicuro di avere qualcosa da indossare di conveniente. Altrimenti lo prepariamo, o lo andiamo a comprare.

L’essenza del bene sfugge a tutti, perciò è una conquista che va preparata. Più precisamente, è un dono che bisogna essere disposti da lungo tempo ad accogliere, come la partita o la gara della vita, che finalmente affronti nella tua condizione atletica migliore.

Nessuno giunge a un appuntamento importante come il matrimonio, improvvisato.

Ogni atleta che stupisce il mondo con un gesto atletico memorabile lo ha lungamente preparato nel nascondimento.

Ogni studioso che raggiunge un traguardo ha speso ore per avvicinarsi a quella conquista.

Questo, purtroppo, vale anche al contrario: quando, ad esempio, si accende una polveriera nel mondo e poi si rimane sgomenti di fronte alla violenza che deflagra.

È per questo motivo che in parrocchia crediamo ancora nel catechismo anche se sembra obsoleto. E per la stessa ragione prepariamo per i bimbi che lo chiedono il doposcuola. Ugualmente curiamo i gruppi degli adolescenti e dedichiamo attenzione ai giovani, e poi a tante famiglie e a tanti amici e amiche della Caritas S. Vincenzo.

Qualcuno potrebbe dire: e gli anziani?

Mi pare che in questo caso gli anziani abbiano più il compito di fungere da saggi, da mentori, da coloro che possono raccontare che un albero buono produce buoni frutti.

Crescere un albero buono non è un gesto unico o un’impresa solitaria. Bisogna avere cura del terreno, ci vuole lo spazio giusto, una collocazione favorevole, il rapporto biologico con le altre piante e il resto della natura circostante, la competenza di potarlo quando necessario, infine, più di ogni altra cosa, ci vuole tempo.

L’abito nuziale è una metafora del tempo.

Può capitare di essere chiamati all’improvviso alla festa del bene: può darsi che sia un invito subitaneo, inedito, del tutto aspettato o immeritato come quello di Matteo, di Zaccheo, la donna samaritana, ma quello che conta è avere preparato il cuore, in recessi magari profondissimi, che solo il Signore conosce.

Penso al ladro sulla croce: una vita di malefatte sfociate in una violenza terribile, probabilmente un omicidio che gli valse la pena di morte, ma forse con quel desiderio di bene e di riscatto che per tutta la sua esistenza non aveva più trovato la strada, fino a quell’ultimo incantevole: “Ricordati di me”. Il ladro – divenuto buono – era sulla croce con l’abito nuziale.

Don Davide




Custodire e coltivare

C’è una vigna da custodire e da coltivare.

È da custodire, perché Dio ce l’ha affidata e non va rovinata.

È da coltivare perché va fatta crescere.

Abbiamo quindi due doveri nei confronti della comunità cristiana, da prendere tanto più sul serio in quanto siamo proprio all’inizio dell’anno pastorale. È un dovere nei confronti dei bimbi del catechismo, dei ragazzi, delle famiglie e delle persone che hanno più bisogno. È un dovere reciproco verso tutti coloro che sentono la nostra parrocchia come casa.

Il primo è di non sciupare il dono che ci è stato fatto.

Cioè non fare cose brutte, sciatte, noiose, che non rendono giustizia alla bellezza del vangelo. Spesso le persone si allontanano dalla fede perché noi le abbiamo “sprecate”.

Il secondo è di arricchire questa comunità di partecipazione, presenze, ma soprattutto di fede, di carità, di speranza e di affetto.

Sentiamo una particolare responsabilità verso i ragazzi delle medie, i gruppi ACR che iniziano un nuovo percorso, con l’incontro tra le educatrici di 1 media e i loro genitori; verso i bimbi del catechismo che incomincia la prossima settimana, perché possano fare un’esperienza viva di Gesù; e, ultimo ma non ultimo, per il numeroso gruppo giovani dell’AC e degli studenti fuori sede, che con tanto entusiasmo ha arricchito la nostra parrocchia e la diocesi con la sua presenza.

San Paolo ci dice però di vivere tutto questo senza angustie, con piena fiducia, affidati al bene, con quella lieta serenità di chi vive un’avventura comune e che sa che, come un manto sopra tutto il nostro impegno, vi è la grazia e la benedizione del Signore.

Don Davide