Tra il popolo e il ladro

Tra “il popolo che sta a vedere” (cf Lc 23,35) e il ladro pentito ci stiamo tutti noi, tutta la chiesa.

Concludiamo un anno (liturgico) che è stato dedicato in gran parte al tema del rinnovamento della chiesa, con l’inizio della riforma delle parrocchie verso le zone pastorali.

In questo processo c’è stata una parte di noi che sono stati o stanno a guardare, qualcuno invece che ha colto l’occasione per un incontro con Gesù, per una conversione.

La Solennità di Cristo Re ci ricorda che noi troviamo salvezza solo in questo ricentrare sempre l’esperienza della nostra vita cristiana su Gesù. Quali che siano gli incarichi, i compiti, l’organizzazione, dobbiamo far sì che queste scelte ci aiutino a focalizzarci meglio su Gesù, a sentirlo vicino e a sentirci amati da lui.

La conclusione dell’anno liturgico è anche la soglia dell’Avvento. Dalla prossima domenica entreremo nel tempo intimo e suggestivo della preparazione al Natale.

Anche nella nostra vita spirituale vale l’esempio del ladro “buono”. Quante volte stiamo a guardare, siamo come spettatori della vita interiore? Non ci impegniamo in essa, non la coltiviamo… non crediamo che sia essenziale! Se guardiamo così… persino la croce di Gesù e anche il messaggio della sua resurrezione ci appariranno sempre poco più di uno spettacolo.

Se invece cogliamo l’occasione di rivolgerci a lui, allora potremo anche fare un bilancio di come abbiamo vissuto questo anno e il nostro tempo. Forse potremo scoprire qualcosa che non ci è piaciuto tanto e vergognarci, magari, di qualche scelta, ma sempre incontreremo la parola di Gesù che ci rinnova e ci salva e che orienta la nostra vita su orizzonti che nemmeno osavamo sperare.

Don Davide




La Festa dell’Incontro e la Giornata del Creato

Ci sono due temi nella liturgia di oggi, che ci aiutano a vivere gli appuntamenti di questa domenica. 

Nel vangelo, Gesù ci mette in guardia dalle false sicurezze, chiamando in causa addirittura il Tempio: neppure dell’edificio più sacro, luogo fisico della presenza di Dio, rimarrà pietra su pietra. Gesù sembra dire che non dobbiamo confidare su niente di sottoposto alla consumazione del tempo.  

Tornano in mente le parole che lui stesso disse a proposito del buon uso delle ricchezze: fatevi depositi che non invecchiano e un tesoro nei cieli. Per Gesù, il modo di applicare questa strategia è non tenersi le ricchezze per se, ma condividerle, farsi vicino a chi ha bisogno, diventare amici, aiutare, sostenersi a vicenda. 

Questo è esattamente il senso della II Festa dell’Incontro che celebriamo nella nostra parrocchia, e che si celebra in tutta la diocesi e in tutto il mondo, su richiesta precisa di Papa Francesco.  

Oggi, si celebra anche la Giornata diocesana per la Custodia del Creato, dal tema: La nostra Amazzonia. Il grido dei poveri, il grido della Terra. 

Il giudizio contro i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia, nella prima lettura del profeta Malachia, viene rappresentato dall’immagine di un giorno rovente come un forno, che brucia la Terra e dall’annuncio di carestie, pestilenze e guerre tra i popoli, nel vangelo. 

È istruttivo che il giudizio sulla storia e il monito per la vita degli uomini vengano rappresentati da una catastrofe ambientale che genera conflitto. Nella tragedia che colpisce l’ambiente, chi è onesto con se stesso trova uno specchio di tutte le proprie responsabilità. 

La Parola di Dio, dunque,  ci educa e ci ammonisce. Ci educa all’amicizia e alla fraternità con chi è più bisognoso di noi; ci ammonisce, simultaneamente, ad ascoltare il grido della Terra e il grido dei poveri, affinché possiamo vedere sorgere il Signore, non come un sole rovente come un forno, ma con raggi benefici di giustizia e di pace. 

Don Davide 




Riflessione sul messaggio di Papa Francesco

RIFLESSIONE SUL MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO IN OCCASIONE DELLA III GIORNATA MONDIALE DEI POVERI
17 novembre 2019

 

INTRODUZIONE. Tema della SPERANZA: darla o toglierla?

Ci sono due livelli a cui ai poveri viene tolta la speranza.

  1. La condizione negativa: disparità (fine n. 1) e schiavitù (n. 2).
  2. Trattati come nemici: come se avessero ancora, come in certe interpretazioni del mondo antico, già contrarie al Dio di Israele. «Diventati loro stessi parte di una discarica umana sono trattati da rifiuti, senza che alcun senso di colpa investa quanti sono complici di questo scandalo. Giudicati spesso parassiti della società, ai poveri non si perdona neppure la loro povertà. Il giudizio è sempre all’erta. Non possono permettersi di essere timidi o scoraggiati, sono percepiti come minacciosi o incapaci, solo perché poveri. Dramma nel dramma, non è consentito loro di vedere la fine del tunnel della miseria.» (n. 2)

1. È in gioco la fede in Dio

Di fronte alle sofferenze dei poveri, verrebbe da interpellare Dio (piuttosto che noi stessi):

«Come può Dio tollerare questa disparità? Come può permettere che il povero venga umiliato, senza intervenire in suo aiuto? Perché consente che chi opprime abbia vita felice mentre il suo comportamento andrebbe condannato proprio dinanzi alla sofferenza del povero?» (n. 1)

Invece i poveri sono coloro che hanno un particolare rapporto con Dio:

«Egli – il povero – conosce il suo Signore: nel linguaggio biblico questo “conoscere” indica un rapporto personale di affetto e di amore. […] Il povero sa che Dio non lo può abbandonare; perciò vive sempre alla presenza di quel Dio che si ricorda di lui.» (n. 3)

Notare bene che non è una condizione morale del povero, quella di vivere alla presenza di Dio, ma è Dio che sta sempre accanto e di fronte alla vita del povero.

Che il Signore prenda le parti dei poveri è espresso nel passaggio più severo di tutto il discorso:

«Si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori. Non sarà così per sempre. Il “giorno del Signore”, come descritto dai profeti (cfr Am 5,18; Is 2-5; Gl 1-3), distruggerà le barriere create tra Paesi e sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti. La condizione di emarginazione in cui sono vessati milioni di persone non potrà durare ancora a lungo. Il loro grido aumenta e abbraccia la terra intera.» (n. 4)

2. Gesù

È lui che ha inaugurato la speranza per i poveri, essendo veramente fedele al Dio d’Israele.

«Gesù che ha inaugurato il suo Regno ponendo i poveri al centro, vuole dirci proprio questo: Lui ha inaugurato, ma ha affidato a noi, suoi discepoli, il compito di portarlo avanti, con la responsabilità di dare speranza ai poveri.» (n. 5)

3. Da Gesù a noi

  • Realismo della fede: «La promozione anche sociale dei poveri non è un impegno esterno all’’annuncio del Vangelo, al contrario, manifesta il realismo della fede cristiana e la sua validità storica.» (n. 6)
  • Credibilità del Vangelo: «L’opzione per gli ultimi per quelli che la società scarta e getta via è una scelta prioritaria che i discepoli di Cristo sono chiamati a perseguire per non tradire la credibilità della Chiesa e donare speranza fattiva a tanti indifesi. La carità cristiana trova in essi la sua verifica.» (n. 7)

CONCLUSIONE. Cosa possiamo e dobbiamo fare noi?

  1. Un’attenzione d’amore: «Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per i poveri nella ricerca del loro vero bene.» (n. 7)
  2. Una conversione: lo scopo della celebrazione della Giornata/Festa dell’Incontro (n. 10).
  3. Un incoraggiamento: «A tanti volontari, ai quali va spesso il merito di aver intuito per primi l’importanza di questa attenzione ai poveri, chiedo di crescere nella loro dedizione. Cari fratelli e sorelle, vi esorto a cercare in ogni povero che incontrate ciò di cui ha veramente bisogno; a non fermarvi alla prima necessità materiale, ma a scoprire la bontà che si nasconde nel loro cuore, facendovi attenti alla loro cultura e ai loro modi di esprimersi, per poter iniziare un vero dialogo fraterno. Mettiamo da parte le divisioni che provengono da visioni ideologiche o politiche, fissiamo lo sguardo sull’essenziale che non ha bisogno di tante parole, ma di uno sguardo di amore e di una mano tesa. Non dimenticate mai che «la peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale.» (n. 8)

 

MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA III GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

 




L’amicizia che ci lega nel Vangelo

Abbiamo da poco celebrato la Solennità di tutti i Santi che ci ha aiutato a ricordare che i santi sono coloro che, con la loro vita, hanno voluto dissetare la sete di Dio.

Dio aveva sete di uomini e donne che, nei primi decenni dopo la resurrezione di Gesù, testimoniassero questo evento che ha cambiato la storia del mondo. Dio aveva sete di studiosi colti che traducessero nella grande cultura dei primi secoli il messaggio cristiano. Dio aveva sete di sognatori che immaginassero e mettessero in pratica la vita evangelica nella maniera più fedele possibile. Dio ha avuto sete di profeti che nei cambiamenti del mondo avessero lo zelo per continuare ad annunciare il nome di Cristo. Dio ha avuto sete di persone che si prendessero cura dei poveri, e ha suscitato i grandi santi della carità. Ancora oggi, e sempre, Dio ha sete di uomini e donne che portino la speranza nel mondo e siano un segno dell’Amore, che abbraccia tutti.

Con questa meravigliosa schiera di santi noi viviamo in amicizia. La solennità è un modo di ricordare la comunione che ci lega.

Ora, noi vogliamo che questa celebrazione ci aiuti a vivere ancora più intensamente i legami spirituali che legano noi, chiesa in cammino nel mondo, e tutti quelli che vorremmo vicini.

È per questo che ci prepariamo a vivere la II Festa dell’Incontro, domenica 17 novembre, un momento di fraternità insieme alle tante persone a cui come parrocchia siamo vicini per sostenerle e per vivere l’amicizia.

Ci prepareremo, prendendo spunto dalla memoria di uno dei grandi santi della carità: San Martino. Il giorno di San Martino, cioè l’11 novembre, durante la messa delle 19, al posto dell’omelia, commenteremo il messaggio del papa per la Festa dell’Incontro, il quale messaggio sarà distribuito a tutti, la domenica precedente.

Chiediamo la grazia di vivere la santità non soltanto come impegno morale, ma come esperienza piacevole di comunione, che ci avvicina gli uni gli altri e ci aiuta a camminare verso il vangelo.

Don Davide




Commemorazione dei fedeli defunti

Celebrare l’Eucaristia per ricordare i risorti.

La Commemorazione dei fedeli defunti ci aiuta a ricordare la comunione che si stabilisce nella celebrazione dell’Eucaristia. È un legame spirituale più grande di quello che si crea fra chi celebra: il memoriale dell’Ultima Cena, infatti, ci porta al sacrificio di Gesù, all’offerta della sua vita per vincere la morte in favore della vita di tutti. 

È un legame, quindi, che si stende come un manto benevolo su tutta la linea del tempo, che va ad abbracciare tutti i defunti con cui entriamo in comunione, perché sono convocati alla stessa tavola, vivi anch’essi, perché già partecipi pienamente del trionfo di Cristo sulla morte. 

Per questo, da sempre, la Chiesa celebra l’Eucaristia in memoria dei defunti. Nelle catacombe romane ci sono rimasti dei simboli commoventi di questa fede: il pane e il vino disegnati sulle tombe dei cristiani dei primi secoli, insieme alla figura di un giovane, effigie del Risorto. 

Per ricordare i propri defunti, quindi, il modo migliore per significato e più corrispondente all’autenticità della fede cristiana è quello di dedicare l’intenzione di una messa alla memoria dei propri cari. È molto più di una tradizione ereditata dai nostri nonni, che i giovani guardano con certo sospetto e distacco. 

Questa pratica esprimere la nostra fede in Gesù e nel mistero pasquale che celebriamo nell’Eucaristia. 

La messa NON si paga, e la richiesta di intenzione in una messa è GRATIS. Grazie a un’antica e devota tradizione, tuttavia, i fedeli colgono normalmente questa occasione per fare un’offerta per la manutenzione della chiesa e per la vita della parrocchia. Essa non è un compenso per la celebrazione della messa, ma si configura come un’occasione per assumersi la responsabilità della nostra chiesa che vogliamo integra e bella e della nostra comunità che vogliamo attiva e viva. 




Celebrare i funerali, onorare i morti

Nella celebre tragedia di Sofocle, Antigone va incontro alla morte perché decide di dare sepoltura al fratello Polinice, contro il parere del re Creonte. In uno dei passaggi Antigone afferma che questa cosa è così buona e giusta che sarà valsa la pena farla e morirne.

La vicenda di Antigone ha un omologo anche nella storia di Tobia, uno dei libri della Bibbia, dove tutta la vicenda narrativa ha inizio proprio dalla decisione di Tobi (il padre di Tobia) di andare a seppellire i morti contro l’editto del re.

In entrambi i casi, i re volevano impedire la sepoltura in spregio all’umanità dei loro nemici, al contrario Antigone e Tobi risultano i grandi difensori della dignità di ogni individuo.

Fin dalle radici della nostra cultura, dunque, è iscritta nell’animo umano la consapevolezza della necessità di dare dignitosa sepoltura ai morti. È un obbligo morale che non dipende nemmeno dalle leggi esteriori; direbbe il grande filosofo Kant che è un imperativo categorico, qualcosa che decide se un atto è umano oppure no.

La scorsa estate sono andato a visitare il sacrario militare dei tedeschi al Passo della Futa. Concettualmente, è una cosa sbalorditiva. Agli inizi degli anni ’60 (quindi ad appena quindici anni dalla guerra) il governo tedesco e quello italiano trovarono un accordo, affinché la Germania potesse dare dignitosa sepoltura a tutti i propri morti in queste terre, e l’Italia, così facendo, esprimesse uno dei più grandi gesti di pace immaginabile, affermando la dignità anche del nemico, con le ferite aperte che la situazione degli ultimi anni di guerra avevano e hanno ancora lasciato.

Io vedo uno dei segnali più evidenti e gravi di declino della nostra cultura (almeno qui in Italia nell’orizzonte che riesco a prendere in considerazione) proprio nella trascuratezza con cui si affronta il tema del saluto a una persona cara defunta, della celebrazione del funerale e della sepoltura dei morti.

Ultimamente, in occasione della celebrazione dei funerali, mi è capitato più volte che qualcuno tirasse dritto sotto il portico passando tra me e il carro funebre, mentre io dicevo le preghiere di accoglienza o di congedo del defunto, disinteressandosi di quello che si stava facendo e in spregio al rispetto per il defunto stesso (e i suoi famigliari).

Il rispetto della morte, evidentemente, vale meno che deviare il proprio tragitto e allungarlo di dieci metri.

Dopo avere pazientato in un paio di occasioni, una volta mi sono permesso di chiedere a una signora di passare dall’altra parte. Questa donna mi ha risposto: “Con calma, eh! Basta dirlo!”. Ma proprio in questa risposta io ravviso il segno della rovina: non ci dovrebbe nemmeno essere il bisogno di dirlo!

Inoltre, sempre più frequentemente, in parrocchia dobbiamo registrare con grande tristezza che i parenti dei defunti non organizzano loro il funerale. Le frasi ricorrenti sono: “Facciamo una cosa veloce…” o “Diamo solo una benedizione in camera mortuaria…”

Accade anche che la parrocchia non sia avvisata nella circostanza della morte di qualche persona che è stata molto vicina alla comunità e che ha amato la chiesa.

In occasione della Commemorazione dei fedeli defunti spero che ci aiutiamo a recuperare il senso della dignità della morte e del rispetto dei defunti, e che possiamo essere un piccolo segno per invertire queste tendenze abominevoli e barbariche. Ci vuole l’impegno di tutti e una luminosa testimonianza della fede nel Signore Risorto!

Don Davide




Il Generale, la Parola e il Messia

Riflessioni in vista del Mandato ai catechisti, educatori e responsabili

Naaman il Siro è il modello di un uomo distante dal culto del Dio d’Israele. Si trova in una situazione di emergenza e decide di affidarsi a Eliseo, che gode della fama di essere grande profeta. Tuttavia, quando Eliseo lo invita a fare il bagno nel Giordano, inizialmente il generale Naaman, abituato a comandare e non a obbedire, è scettico. La sua condizione di estremo bisogno, però, lo costringe ad aprirsi e a fare esperienza delle prodigiose opere di Dio.

L’apostolo Paolo riafferma che “la parola di Dio non è incatenata”. Che essa è testimone della fedeltà con cui Dio ci manifesta il suo amore, libero dagli schemi e da altri contenimenti.

Infine, i lebbrosi samaritani compiono un atto di fede e, mentre vanno dal sacerdote per certificare la loro guarigione fidandosi solo della parola di Gesù che li ha mandati, si ritrovano guariti. Solo uno di loro, però, riconosce in questo l’irrompere del tempo nuovo del Messia, il tempo in cui i lebbrosi sono purificati e guariti e ai poveri è annunciata la buona novella. Nel gesto del lebbroso che torna a ringraziare, non c’è solo una questione di buona educazione, ma la consapevolezza di avere superato uno spartiacque, di vivere un tempo diverso, segnato dalla grazia inequivocabile del Dio che salva.

Potremmo riassumere queste tre letture con tre immagini: il generale divenuto discepolo, la Parola libera ed efficace, il Messia che ci rende grati.

Oggi conferiamo il Mandato da parte della comunità parrocchiale ai catechisti, agli educatori e ai responsabili della nostra parrocchia. È un segno di riconoscimento del servizio che alcune persone hanno accettato e di gratitudine per questa disponibilità.

A loro auguro di potere riconoscere ciò che la liturgia di questa domenica ci propone: il Dio testimoniato nella nostra fede è in grado di piegare la fierezza anche dei generali più lontani e renderli suoi discepoli e testimoni. La Parola di Dio è il nostro tesoro, la nostra risorsa sempre più grande e decisiva, ed è libera: è libera di raggiungere chi vuole, non è bloccata da alcun ostacolo, è in uscita. Noi dobbiamo confidare sempre nella potenza di questa parola: amarla, conoscerla, viverla e testimoniarla. Infine, siamo consapevoli di vivere un tempo speciale: è il tempo del Messia, non è in mano nostra. Come ci chiede il tema dell’anno pastorale di quest’anno, dobbiamo forse abituarci a vedere dov’è che il Messia sta agendo nella nostra pastorale, e dove sta cambiando il nostro tempo e la nostra storia, ma soprattutto i nostri cuori.

Don Davide




Il profumo del pane

Il profumo del pane è profumo di vita: che siano vite vissute nella convivialità, o corpi bruciati dal sole e dalla sofferenza, o vite scavate e offerte, sempre il pane ci rimanda al significato di una vita che viene impastata, lievita e cresce, e – come insegnavano bene i nostri nonni, per i quali buttare il pane era un sacrilegio – non deve essere sprecata.

La mostra delle opere di Matteo Lucca, Daniela Novello ed Ettore Frani (che si apre oggi e della quale vi invito calorosamente all’inaugurazione) mentre ci fa sostare sulla bellezza e l’intensità delle loro creazioni, al contempo è come una solenne apertura alla vita pastorale della nostra comunità.

Vorrei, infatti, che chi visita la mostra si senta spinto a vivere la vita più intensamente sui temi che gli sono consoni: chi l’attenzione alle questioni dell’alimentazione e dei poveri, con l’anelito alla giustizia e alla perequazione delle risorse; la fraternità e l’amicizia; l’apertura ai misteri della fede.

La nostra parrocchia, con il mese di ottobre, riprende a pieno regime tutte le attività, a partire dal catechismo, i gruppi ACR, giovanissimi e giovani, fino a tutto l’articolato tessuto della vita della comunità.

Auspico che l’apertura della mostra sia come un simbolo dello stile che ci proponiamo di vivere: una partecipazione e collaborazione sempre più larga, l’entusiasmo nelle cose e lo stile della condivisione, la volontà di raggiungere tutti in una tensione missionaria che arricchisce anche i credenti e, infine, il desiderio di vivere le cose animati dalla bellezza e con una qualità alta nelle proposte che offriamo.

Don Davide




Amministrare i beni di Dio

La domenica di oggi ci propone la controversa parabola del cosiddetto “amministratore infedele”. A ben vedere, quest’ennesima storia magistrale inventata da Gesù non è complicata come sembra e il suo protagonista è tutt’altro che infedele.

Egli, infatti, viene colto nell’accusa di essere uno che sperpera i beni del suo padrone, molto ricco. A questa sentenza senza appello, segue il suo cambiamento, una vera e propria conversione. Egli si mette (finalmente) a fare davvero l’amministratore, facilitando, rimettendo i debiti, esercitando la benevolenza. Ci si aspetterebbe una dura reazione del ricco datore di lavoro, una causa intentata ai danni del suo ex collaboratore, invece quell’uomo loda il suo amministratore. È come se gli dicesse: “Oh, finalmente ti sei messo a fare l’amministratore come si deve!”.

Noi pensiamo subito a questioni economiche, al profitto e alle regole della giustizia umana, ma a Gesù non interessa nulla di queste cose. Lui vuole dire che per tutti noi, amministrare i suoi beni e non sperperarli significa riflettere la sua benevolenza, rimettere i peccati, perdonare, riconciliare, amare, aiutare, custodire, alleggerire i pesi.

All’inizio di questo anno pastorale, dunque, siamo ammoniti di non sciupare i beni del ricco Signore che è Dio. Essi sono la vita delle persone, le storie di ogni uomo e ogni donna che a lui sono cari, le lotte per il bene, i cammini di conversione, gli sforzi di amare nonostante tutto. Dio non tollera la nostra superficialità pastorale, lo sperpero delle risorse umane e spirituali, la banalizzazione del nostro impegno e la sprovvedutezza delle scelte.

Ma quando accettiamo che il suo richiamo giunga ai nostri orecchi e invece di impermalosirci o ritenere di avere fatto tutto bene lasciamo che ci converta, allora siamo spinti verso le persone che lui ci ha affidate. C’è un popolo numeroso che ha bisogno di cure e di interventi per alleggerire i pesi, sentire l’amore gratuito del Padre e fare esperienza di riconciliazione.

Questo significa essere buoni amministratori della multiforme grazia di Dio: essere al servizio dei beni di Dio, dei suoi tesori, che sono – in fondo – i cuori e le vite delle persone.

Don Davide




Il Centro di Ascolto

L’anno pastorale inizia con una realtà tanto preparata e attesa. Questa settimana, infatti, incomincia il Centro d’ascolto della Caritas parrocchiale.

Si apre così uno spazio per accogliere le persone in maggiore situazione di bisogno, mettendo le condizioni per non rifiutarle e non farle sentire come “qualcuno che dà fastidio”, ma anzi permettendo la conoscenza, poi l’amicizia e, di seguito, di costruire qualche percorso di aiuto significativo.

Il Centro d’ascolto non ha tutte le soluzioni e non eroga soldi – se non dopo un lungo e attento vaglio delle situazioni e dell’opportunità, e comunque solo in maniera finalizzata a una concreta autonomia – tuttavia è il luogo migliore per fare fronte alle tantissime richieste di aiuto che arrivano quotidianamente in parrocchia, ed è un segno squisitamente evangelico della comunità cristiana.

L’ascolto, in moltissime forme, è la più grande urgenza del mondo di oggi, che si consuma nella fretta e nell’autoreferenzialità e non lascia alcuno spazio a un ascolto cordiale, disinteressato e gratuito.

Non a caso, il Centro d’ascolto è la prima cosa richiesta alle parrocchie da parte della Caritas diocesana.

A dispetto delle apparenze, fare partire un Centro d’ascolto è un’impresa titanica. A questo proposito, dobbiamo ringraziare calorosamente i responsabili della Caritas parrocchiale, Antonella Munari e suo marito Paolo Nipoti, insieme a tutti coloro che si sono impegnati per questo obiettivo, con una menzione di merito alla segreteria parrocchiale, che ha svolto tantissimo lavoro.

Un ringraziamento specialissimo unito a un attestato di stima che si consolida sempre di più, va alla San Vincenzo parrocchiale, in modo particolare a Gabriella Falavigna, Nino Salici e sua moglie Fiorella, e tutti i membri collaboratori, che per decenni hanno portato avanti l’ascolto, l’assistenza e l’aiuto a tante persone e famiglie della nostra parrocchia, con lo stile inconfondibile di impegno e responsabilità personale proprio della San Vincenzo.

La San Vincenzo continuerà la sua opera, con il suo carisma specifico, in collaborazione, sostegno e reciproca partecipazione con la Caritas, che sempre di più svolgerà un ruolo di coordinamento delle varie anime caritative della parrocchia, cercando di aumentare la sensibilità di tutti.

A questo proposito, si ricorda che c’è bisogno di tanta collaborazione a vari livelli. Chi voglia dedicare un po’ di tempo, dalle cose più pratiche a quelle meno, può certamente contattare i responsabili.

Siamo orgogliosi – di un orgoglio bello, non vanitoso! – di iniziare l’anno pastorale con questo segno concreto. La nostra parrocchia, si chiama “della Carità” ed è bello pensare che, così, cerchiamo di essere sempre più fedeli alla nostra vocazione comunitaria.

Don Davide