Gettare le reti

Il racconto struggente dei primi giorni dopo la resurrezione, narra la fatica dei discepoli di riprendere il loro impegno. Pietro dice: “Io vado a pescare” demotivato e quasi sconsolato. L’esito è disastroso: “In quella notte non presero nulla”.

Eppure, sulla riva si presenta uno sconosciuto, che invita a “gettare le reti” in un modo particolare: in realtà non conta il modo, ma che venga fatto sulla sua parola. La pesca è abbondante. Improvvisamente quelle parole risultano come un codice che fa scattare una serratura e permette ai loro occhi, ma soprattutto al cuore, di riconoscerlo.

Gettare le reti. Di nuovo.

La storia con i discepoli è iniziata con Gesù che li invita a “gettare le reti” e ad essere “pescatori di uomini” (cf. Lc 5,1-11) e l’evangelista Giovanni fa una solenne re-interpretazione di questo inizio e ci dice che il messaggio della resurrezione si condensa sostanzialmente in questo: nell’ascoltare di nuovo, ancora e con coraggio quell’invito: “gettate le reti” e scoprire che una nuova energia di vita si è impadronita di noi e delle nostre azioni, e la sua grazia si manifesta.

Siamo quasi alla conclusione dell’anno pastorale. Il cammino è stato lungo. Alcune volte si è tentati di pensare che non ne valga la pena, che si raccoglie poco, che l’evangelizzazione tentenni.

In realtà, veniamo dai giorni belli di Pasqua e della Domenica in Albis con il Battesimo di alcuni nostri amici e amiche grandicelli; domenica prossima avremo le Prime Comunioni di un gruppo di bimbi entusiasti e divertenti; quella successive la Cresime del gruppo più numeroso, in un contesto di grande famigliarità, presiedute da don Valeriano.

Questi sono i segni di una chiesa viva, della grazia del Signore che agisce misteriosamente e che ci motiva nell’ascoltare ancora la sua chiamata: “gettate le reti”.

Gettate le reti, non la spugna.

Il Signore ha un popolo numeroso in questa città.

Anche se siete quasi alla fine, e pensate al riposo… gettate le reti! È un’azione da fare senza stancarsi, perché da questo incontro con il Signore risorto, nascono nuovi cristiani e la Chiesa.

Don Davide




La domenica dei battezzati

Siamo felici, in questa domenica, di celebrare il Battesimo di due bimbe del catechismo, insieme a un’amichetta più piccolina.

Il Battesimo, infatti, ha sempre due sfumature, ed è bene che siano entrambe presenti nella comunità cristiana.

La prima è quella del dono incondizionato, tanto incondizionato da non richiedere nemmeno la consapevolezza: è il caso dei bimbi che vengono battezzati appena nati, o ancora infanti… come la nostra piccola amica Caterina oggi. Il Battesimo, in questo caso, mette in luce l’amore di Dio totalmente gratis che ci precede, non ci chiede nulla e ci avvolge di un affetto e di una premura molto più grandi di quelle che ci potremmo mai immaginare: quelle di una famiglia e di una comunità cristiana.

La seconda sfumatura, invece, è quella di una scelta accolta dopo essere maturata. È il caso di Eva e Victoria, che hanno fatto un po’ di percorso del catechismo e insieme alle loro famiglie hanno deciso di ricevere anche loro il sacramento del Battesimo.

Entrambi questi aspetti ci aiutano a ricordare e scoprire il vero significato del sacramento più importante di tutti: esso è un dono e anche una scelta; una grazia e un impegno; la cosa che sta all’inizio della nostra vita cristiana, che segna l’inizio del nostro apprendimento, ma anche il valore più grande, che dice che nella Chiesa noi siamo già sufficientemente autorevoli per annunciare il Vangelo e prenderci cura dei nostri fratelli e sorelle.

Lo dico sempre: il Battesimo è l’unica vera e la più grande dignità di ogni cristiano. E il nostro vero orgoglio. Per questo, in realtà, ciascuna delle due sfumature di cui ho parlato sopra, prevede anche l’altra. Non c’è dono che non vada custodito, fatto crescere e reso sempre più consapevole. Non c’è scelta che non sia preceduta dall’amore di Dio che si dona gratuitamente a noi e che, proprio grazie a questa scoperta sorprendente, ci sostiene nel nostro cammino.

Ringraziamo Eva e Victoria, così come anche Daniel Steven nella notte di Pasqua, e anche le famiglie dei bimbi più piccoli, perché il Battesimo è anche il segno di una comunità materna e fraterna, che sa ancora generare alla fede, e questo ci dà speranza.

 Don Davide




Pasqua

Il divino che squarcia la storia

Pasqua è l’irruzione della luce nel buio, il divino che squarcia il mistero ed entra nella storia disillusa, affaticata, spesso incredula. È una sorpresa impossibile da prevedere, del tutto inattesa, ancorché sperata.

Nelle pagine buie della nostra vita, nella routine opaca e sopra a tutti i nostri tentennamenti si posa la visita di Dio, come il volo di una farfalla colorata su un fiore.

Ma

la luce che sfolgora è così intensa da illuminare anche la gioia più grande, come in uno stadio coi fari accesi sopra cui sorgesse la luce del Sole.

Che cos’è dunque, questo tocco di Dio capace di fare risplendere il buio e di superare la luce?

Non si può definire: è una stella cadente nelle sere d’estate. Bisogna stare appostati e attenti. Esso lascia una traccia tutte le volte che la vita si manifesta con il suo profumo di vittoria sulla morte e svela i suoi mille sapori, come un calice del vino rosso migliore e bene accompagnato.

Il nostro gusto si attiva di fronte a un gesto di amore autentico, alla gratitudine espressa senza finzioni, agli atti di eroismo di chi si prende delle responsabilità per il bene, spesso senza suonare la tromba davanti a sé.

Quando qualcuno consola, quando si reagisce alla grettezza con gesti di umanità, quando la convinzione del nostro valore e della preziosità della nostra esistenza si fa largo, quasi per intuizione, nella nostra coscienza…

È allora che Gesù ci chiama per nome, come Maria nel giardino, e si svela Risorto.




Il Cero

Nella Veglia Pasquale, cuore di tutto l’anno liturgico, alimento della fede e sorgente della nostra spiritualità, viene incensato il Cero, segno per eccellenza di Gesù risorto con la sua luce, che rischiara l’oscurità. Dalla Veglia in poi, il Cero domina il presbiterio, fino a Pentecoste, in posizione di particolare rilievo accanto all’altare.

Tutto l’anno pastorale, accanto ai ragazzi del catechismo e dell’ACR, è stato incentrato sulla metafora del gusto, come chiave di interpretazione dell’esperienza della fede. Una fede bella e significativa per la vita, positiva e appassionata: una fede “gustosa”, appunto. Sapida e sapiente, profumata e invitante anche per chi ci osserva e si avvicina.

Cero Pasuqlae

Il Cero pasquale di quest’anno è di cera d’api: lo abbiamo voluto così, particolarmente profumato e originale anche alla vista.

Il Cero, in questo modo, non è solo un “segno” di Cristo risorto; né è il racconto e un invito, per noi, a fare parte della storia che narra.

La luce del Signore illumina le tenebre, rischiara la notte, permette di orientare i propri passi, suscita emozione e speranza, profuma, invita alla preghiera. Ugualmente, l’incontro con il Risorto – l’intima esperienza spirituale della sua verità e vicinanza – si realizza ogni volta che questi processi accadono nella testimonianza dei cristiani. Quando qualcuno illumina una situazione buia e faticosa; quando siamo aiutati nel nostro cammino; quando si risvegliano le emozioni come l’amore, la gioia, la compassione; ogni volta che la vita di un uomo o una donna sono esemplari e quando ci sentiamo attratti alla preghiera e alla lode… allora Gesù risorto si rende presente e si fa incontrare da coloro che sono sensibili e hanno l’umiltà di riconoscerlo.

Questo è il compito dei cristiani, che dopo i giorni della Quaresima, si prendono un altro impegno per il tempo in cui bisogna testimoniare la resurrezione di Gesù: quello di sapere mostrare il gusto della vita cristiana e la bellezza della fede, senza presunzione o giudizi, ma con un grande senso di fraternità dilatata e di amicizia condivisa.

Mi ha sempre colpito che l’elemento che conferma la resurrezione di Gesù, dopo il sepolcro aperto e vuoto e la testimonianza delle apparizioni del Risorto, sia proprio la presenza di una comunità nuovamente radunata, viva nella vivacità dello Spirito Santo, amorevole e dedita all’evangelizzazione e al servizio dei poveri.

Sono i segni del buon profumo di Cristo.

Sono i segni dei cristiani che tengono accesa la fiamma profumata della fede. E noi chiediamo la grazia di essere tra questi.

Don Davide




La Croce

La liturgia del Venerdì Santo è una celebrazione intima e di grande raccoglimento. Si inizia in silenzio, prostrandosi davanti all’altare e al presbiterio completamente spoglio. Anche la sede viene spostata davanti alle panche, nell’assemblea, perché tutti – chi presiede la celebrazione, i ministri e il resto del popolo di Dio – siano di fronte al mistero della Passione, in ascolto della Parola.

Segue, infatti, la liturgia della Parola e la proclamazione della Passione dal Vangelo secondo Giovanni. Ci sarà poi la grande preghiera universale, che si eleva in risposta alla parola di Dio e che viene come depositata davanti alla Croce. Il senso di questa lunga preghiera (sono ben dieci!) è proprio quello di essere una ricapitolazione di tutte le suppliche più indispensabili elevate al cielo davanti al grande mistero della redenzione.

Mi piacerebbe, in quest’occasione, fare un piccolo segno. Dieci persone diverse avranno una candela ciascuno. Ad ogni invocazione una candela verrà accesa, rimanendo sul posto. Poi, durante la processione per il bacio della Croce, che seguirà poco dopo, chi ha la candela la deporrà ai piedi della Croce a nome di tutti, come segno di collegamento tra la preghiera e l’adorazione della Croce.

È un gesto molto semplice, per cui chiedo il vostro aiuto. Se qualcuno è disponibile ad accendere e portare la candela, prego di farmelo sapere con anticipo, in modo da organizzarci. La partecipazione attiva di più persone alla liturgia è uno dei grandi auspici della riforma liturgica del Concilio Vaticano II.

Il momento culminante di questa celebrazione è l’adorazione della Croce. Avendo il grande Crocifisso che viene venerato quotidianamente, vogliamo valorizzarlo in questo giorno santo. La Croce che si leverà davanti ai nostri occhi e sulla nostra assemblea sarà proprio il grande crocifisso devozionale. Ovviamente non è possibile portarlo in processione, quindi faremo il rito sul posto.

La Croce verrà svelata per tre volte, dopo ciascuna ci sarà l’incensazione e l’invocazione: “Ecco il legno della croce, a cui fu appeso il Cristo, salvatore del mondo!”, a cui l’assemblea risponderà: “Venite adoriamo” e la luce che illumina la Croce aumenterà di intensità. Nel passaggio tra uno svelamento (e la corrispettiva invocazione) e l’altro, simmetricamente verrà velato un pezzo del trittico In memoria di me. Così si evidenzia il passaggio dalla adorazione dell’Eucaristia, a quella della Croce, che si ergerà in chiesa, fino alla Veglia di Pasqua.

Ancora una volta, l’incensazione riservata a questo momento ci richiamerà al significato forte della seconda manifestazione del sacrificio di Gesù: la sua morte in Croce per riscattare il peccato e per amore degli uomini.

La celebrazione termina con la preghiera del Padre nostro, ripetendo l’estremo atto di affidamento al Padre di Gesù crocifisso, e l’orazione finale. Ricordiamo che – per scelta della comunità parrocchiale e con lo scopo di concentrarsi sui momenti diversi del Triduo – non verrà distribuita la Comunione. La partecipazione al sacrificio di Gesù, infatti, nel Venerdì Santo viene espressa dall’adorazione e dal bacio della Croce.

 Don Davide




La mensa

La liturgia del Giovedì Santo si apre con la presentazione degli Olii, consacrati dal vescovo nella celebrazione mattutina della Messa Crismale.

La processione introitale avanza con l’incenso, dopo il saluto iniziale vengono portati gli olii sacri: l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il Crisma. Quando tutti gli olii si trovano sul tavolo davanti all’altare e solo allora, viene incensato l’altare insieme agli olii sacri. È il segno che dalla Pasqua scaturiscono tutti i sacramenti, di cui il culmine e la sintesi è proprio l’Eucaristia. Nella celebrazione del Giovedì Santo, infatti, si ricorda e si celebra il dono dell’Eucaristia da parte di Gesù. Il suo significato è talmente grande che viene approfondito anche attraverso il segno della lavanda dei piedi: la chiesa che viene edificata dai sacramenti è la chiesa del servizio, la chiesa che si china ai piedi di ogni discepolo e di ogni uomo o donna e li accoglie. È la “chiesa del grembiule”, per dirla con le parole di don Tonino Bello.

L’incensazione iniziale non vuole certamente essere un gesto di solennità fine a se stesso – che sarebbe solo il segno di una chiesa che non c’è più – ma aiutarci a riconoscere quale sia, davvero, la cosa più sacra che abbiamo nella nostra vita cristiana: i sacramenti che ci insegnano il servizio.

Questa incensazione viene ripresa al termine della messa, quando l’Eucaristia sarà portata all’altare della reposizione per essere venerata fino alla Celebrazione della Passione del Venerdì Santo. È la preghiera con Gesù nel Getsemani; è la sosta davanti alla prima manifestazione del sacrificio di Gesù: il dono del suo corpo e del suo sangue nell’Ultima Cena.

Quest’anno l’altare della reposizione sarà allestito nella cappellina della Beata Vergine della Salute, uno spazio sacro molto caro, riservato e intimo che, come indica la liturgia del Triduo Pasquale, si trova fuori dall’aula liturgica. Dopo la Messa nella Cena del Signore la chiesa deve rimanere completamente spoglia, come segno che ci troviamo nei giorni della Passione. Ci tengo a focalizzare questo segno: il presbiterio e la chiesa completamente spogli, perché siano totalmente rinnovati nella grande Veglia di Pasqua. Anche le candele, in quei giorni, non si accendono ai santi, ma solo davanti alla cappellina dove si custodisce l’Eucaristia.

Sono giorni diversi, unici e tutto nella chiesa lo deve sottolineare.

Il nostro trittico di Ettore Frani, In memoria di me, si erge così accanto alla custodia del Santissimo Sacramento quasi come un indicatore. Nella sua frontalità ci rimanderà al mistero che veneriamo lì accanto e, lo vedremo, sarà anche un segno del passaggio dalla liturgia del Giovedì a quella del Venerdì Santo.

Don Davide




Il Triduo e l’incenso

A partire da questa domenica ci prepariamo alle celebrazioni pasquali nella nostra parrocchia. Lo facciamo prendendo spunto dal fatto che nelle letture di questa domenica si comincia a parlare direttamente della Pasqua, prima attraverso il ricordo della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, poi in due immagini di riconciliazione, di cui la storia del figlio prodigo e del Padre misericordioso è una vera e propria resurrezione di quel figlio che era morto ed è tornato in vita.

Non si tratta soltanto di fare una catechesi sui giorni di Pasqua, ma di disporci a vivere le celebrazioni dei giorni santi come sorgente di una spiritualità personale e comunitaria. La liturgia, infatti, è il modello e l’alimento di ogni vita spirituale autenticamente cristiana. È importante riconoscere che tutta la nostra vita cristiana si arricchisce dalla liturgia del Triduo Pasquale e che non è indifferente celebrarla in una chiesa qualunque: la Pasqua, secondo la tradizione ebraica, si celebra in famiglia, perché i grandi possano aiutare i piccoli a comprenderne il vero significato. Lo stesso si può dire della parrocchia: nei limiti del possibile la Pasqua si celebra in parrocchia, con la propria comunità, con cui si condividono ideali, una storia e una ricerca di significato.

Che cosa significa questo rito? Questa è la domanda che dovrebbe sorgere dalla bocca del più giovane, e pronta dovrebbe essere la risposta dei più anziani: eravamo stranieri nel paese di Egitto… Ossia: la Pasqua ci riguarda, non parla della vita degli israeliti in Egitto, o dei primi cristiani al tempo di Gesù, la Pasqua parla di noi, di me e di te e della Chiesa.

È fondamentale, perciò, sapere che il Triduo Pasquale non è la ripetizione di un rito sempre uguale: ma ci sono delle scelte che facciamo come parrocchia, delle sottolineature che devono permetterci di cogliere la ricchezza dei segni che si celebrano, per essere poi trasportata nella vita.

Da domenica prossima vorrei dunque parlare dei tre segni per eccellenza della presenza di Gesù nel Triduo Pasquale:

1. Gli olii, l’altare e l‘eucaristia (giovedì santo)
2. la Croce (venerdì’ santo)
3. Il Cero Pasquale (sabato santo)

Questi tre segni scandiscono il ritmo delle celebrazioni dei tre giorni e ci richiamano al senso di quello che stiamo celebrando e al modo – se possiamo dire così – della presenza di Gesù in mezzo a noi. Questi tre segni sono anche gli unici che verranno incensati durante le celebrazioni, in modo che la solennità dell’incenso riservata a questi momenti, tra tutti quelli che la liturgia pasquale potrebbe prevedere, ci aiuti a focalizzarne subito l’importanza. Quando vedremo l’incenso, invece di pensare al pretesto di un’inutile sontuosità, la sobria solennità dell’incensazione dovrà risvegliarci l’attenzione e farci ricordare che quel segno è il simbolo riassuntivo e denso di significato delle celebrazioni che stiamo facendo. Così, a Dio non salirà solo la nostra preghiera, ma anche la nostra attenzione e da lui scenderà una forza che risanerà il nostro cuore e ci farà compiere tutti i passaggi necessari per vivere.

(continua domenica prossima)

Don Davide




La Festa dell’Incontro

Se c’è una possibilità buona per il nostro mondo è quella di incontrarci amichevolmente, almeno tra quelle persone che – pur essendo diverse per qualsiasi motivo – hanno i presupposti della fiducia per avvicinarsi, condividere e diventare persone che si appartengono.

Ci saranno tante altre frontiere di vicinanza da attraversare, forse persino più importanti, come ad esempio quando la fiducia e il rispetto sono da costruire quasi da zero, ma sarà impossibile farlo se non incominciamo dal primo passo possibile: quello, cioè, di avvicinarci a coloro con cui c’è già un piccolo rapporto.

Nel suo piccolo, sono le premesse di un mondo nuovo. Il mondo che non erige muri, ma ponti e che dalla divisione di Babele costruisce la comunione della Gerusalemme celeste.

È questo l’intento che si prefigge papa Francesco, invitando tutte le parrocchie a organizzare una giornata di festa con le persone che si aiutano e con cui si entra in relazione nel territorio.

Festa dell'incontro

Noi l’abbiamo chiamata “La Festa dell’Incontro”, una giornata da trascorrere insieme a tutte le persone e le famiglie con cui entriamo in contatto e che aiutiamo come parrocchia, attraverso la San Vincenzo e la Caritas, o che incontriamo nelle nostre strade, davanti ai supermercati, o per rapporti di amicizia personali.

Vogliamo diventare amici, conoscerci meglio, condividere le nostre povertà e scambiarci le nostre ricchezze.

Per questo abbiamo fatto una veglia per meditare sulle povertà che ci caratterizzano tutti: povertà di cultura, povertà di relazioni e povertà di affetti. Per lo stesso motivo invitiamo a una messa particolarmente curata, in questa domenica, le famiglie cristiane e poi trascorriamo qualche ora conviviale insieme.

Oltre la messa e il pranzo offerto agli ospiti, l’appuntamento per tutti è domenica 24 marzo, alle ore 14.30 nel cortile della parrocchia, per mangiare un dolce e prendere il caffè insieme, e poi per intrattenerci con un gioco molto divertente fin verso le 16.00.

Con questa giornata si conclude l’itinerario della nostra comunità pensato per iniziare la Quaresima con il piede giusto, fatto degli Esercizi Spirituali, dell’Assemblea di Zona e di questo giorno di festa.
Come segno esteso di questa amicizia dilatata, essendo oggi anche la Giornata di solidarietà diocesana con la Chiesa di Iringa, tutte le raccolte delle messe saranno devolute per la costruzione della chiesa di Mapanda, in Tanzania, dove c’è la missione fidei donum della Chiesa di Bologna.

Da domenica prossima vorrei invece proporre qualche riflessione e indicazione per orientarci nelle celebrazioni del Triduo Pasquale, per leggere le scelte celebrative che vorremmo fare e così vivere consapevolmente e con grande intensità spirituale il momento più importante della nostra esistenza cristiana.

Don Davide




L’Assemblea di Zona

Zona PastoraleGesù sa che a lui e ai discepoli spetta un lungo cammino per poter sperimentare la Pasqua, perciò – attratto dall’amore del Padre – sale sul monte, per essere il più possibile in sintonia con lui. La trasfigurazione è un regalo di Dio, un anticipo della resurrezione offerto ai discepoli, perché siano istruiti su quale sia il traguardo e si sentano incoraggiati nella fede.

Mi piacerebbe che potessimo pensare alla prima Assemblea di Zona, che si terrà questa Domenica pomeriggio (17 marzo, ore 16, presso la Parrocchia S. Caterina di Saragozza) come a una piccola esperienza di trasfigurazione “pastorale”.

È l’amore del Padre che ci chiama a metterci in ascolto della voce dello Spirito Santo e gli uni gli altri, perché vuole che la Chiesa viva del contributo di tutti. In questo momento di partecipazione condivisa, preparato fra le varie parrocchie con semplicità, ma soprattutto con tanta amicizia ed entusiasmo, abbiamo un piccolo anticipo di cosa sarà – e dovrà essere – la Chiesa del futuro. Siamo certamente anche istruiti su quale sia la meta del nostro cammino: quella comunione che permetta di trovare un modo adeguato di vivere la fede anche per gli anni a venire e così di essere più autentici testimoni del Risorto.

Nell’invitare alla partecipazione, quindi, mi rivolgo soprattutto ai giovani. Ciò che è in gioco, a partire dall’Assemblea di Zona, non è qualcosa che riguardi solo i prossimi cinque anni, tale da fare pensare che interessi quella popolazione anziana che ormai costituisce quasi esclusivamente la presenza ecclesiale. In realtà, qui si iniziano a porre le basi e le premesse della Chiesa del futuro, dell’assetto delle parrocchie, del territorio ecclesiale e della pastorale per i prossimi venti/trent’anni, forse anche di più. Qui c’è in gioco la Chiesa che voi ragazzi e giovani di oggi, abiterete da adulti protagonisti, forse da genitori; in ogni caso sarà la vostra Chiesa.

Bisogna essere consapevoli di questo: se ci sarete voi, giovani, nella Chiesa del futuro, la Chiesa esisterà. Altrimenti potrebbe anche scomparire.

Dall’Assemblea di Zona di questa domenica, idealmente tracciamo un ponte verso l’appuntamento della Festa dell’Incontro di domenica prossima: l’occasione di stare insieme in amicizia e condivisione con le persone e le famiglie che come parrocchia aiutiamo stabilmente, attraverso la preziosissima opera della San Vincenzo e della Caritas.

Anche in questo capiamo il significato della trasfigurazione: un momento di rivelazione in cui la Chiesa appare per quello che è: il corpo di Cristo, al quale partecipano tutti, senza esclusi.

In questo itinerario quaresimale, che condividiamo con la nostra comunità parrocchiale e con le altre parrocchie, il Signore ci guida, ci purifica e ci istruisce perché ogni nostro passo sia un avvicinarci ad aprire il cuore alla resurrezione di Gesù e ad esserne autentici testimoni con il nostro Battesimo.

Don Davide




A colpi di fioretto

Nella riflessione di domenica scorsa ho indicato come via privilegiata per vivere spiritualmente l’itinerario quaresimale il fatto di dare rilievo e partecipare ai tre importanti appuntamenti comunitari che ci aspettano: gli Esercizi spirituali parrocchiali (1); l’Assemblea di Zona pastorale (2); la Festa dell’Incontro (3).

So bene, però, che la nostra educazione religiosa non ci fa sentire “bene” se non facciamo almeno un “fioretto”.

Vorrei provare, allora, a indicare quali caratteristiche deve avere un “buon” fioretto, per essere proficuo per la nostra vita cristiana e per sfuggire alla presunzione di essere giusti davanti a Dio (cfr Lc 18,9).

Mani che porgono una candelaPer prima cosa, dunque, un fioretto non deve essere una cosa che ci mette nell’atteggiamento di conquistare la giustizia o di meritare il premio. Bisogna sempre guardarsi dagli atti di superbia davanti a Dio, che sono la cosa più pericolosa per un cammino spirituale. Al contrario, un “buon” fioretto dovrebbe essere un impegno che ci aiuta a fare spazio all’azione e alla grazia di Dio. Un’operazione di sgombero e non di riempimento. In quest’ottica, il silenzio, la rinuncia a qualcosa che ci distrae, il sacrificio del tempo per una cosa più importante possono essere attenzioni ben calibrate.

Il fioretto, poi, è indubbiamente una mortificazione e non dobbiamo edulcorare questa parola, come se fosse un principio dei secoli bui. La mortificazione – come trattare il proprio corpo duramente in allenamento – è un metodo indispensabile per allenare la nostra volontà. Perciò rinunciare alla cioccolata, alla Coca-Cola, al caffè, al vino, alla Play-station può essere certamente un piccolo esercizio di mortificazione. Ci possono essere anche attenzioni più importanti e significative: mortificare un interesse o una curiosità, evitare una spesa; rinunciare a qualcosa per fare qualcosa di migliore… Il punto è non vivere queste cose come un atto eroico, ma come un esercizio per essere più pronti a vivere con attenzione la dimensioni spirituali della Quaresima.

Infine, un buon fioretto deve essere orientato alla conversione. In realtà non è molto utile se io sono goloso, fare il fioretto di non mangiare dolci, se prevedo che alla fine della Quaresima mi ingozzerò di pasticcini. Molto più utile è pensare qualcosa che educa piano piano i nostri atteggiamenti. L’insegnamento dei grandi maestri della vita spirituale ci dicono che la correzione dei propri vizi è un lavoro faticosissimo, che va preso con tutta la serietà del caso. Spesso è impossibile senza la grazia, nonostante ciò è prezioso per l’obiettivo che si pone: la lotta spirituale, il fuggire il male con orrore (cfr Rm 12,9), il non lasciare andare se stessi.

Il vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che si scontra con le tentazioni di Satana. Anche lui si misura nella lotta spirituale, ci dà l’esempio di come si fronteggia il male ed è il nostro modello di umanità. Forse, Gesù non aveva bisogno di allenarsi con i fioretti, però sappiamo che digiunò quaranta giorni… Altro che fioretto! Teniamo fisso lo sguardo su di lui per vivere con la stessa intensità e lo stesso impegno il nostro cammino di apertura alla grazia.

 Don Davide