Avvento

Candele dell'Avvento 2018Tra i tempi liturgici che celebriamo lungo l’anno, l’Avvento è quello che ha iniziato ad esistere per ultimo.

I cristiani, all’inizio, cominciarono a riunirsi alla domenica per celebrare e condividere la fede in Gesù morto e risorto attraverso l’Eucaristia. Poi, iniziarono a celebrare una volta all’anno l’anniversario della morte e risurrezione con la festa della Pasqua.

Organizzarono, successivamente, la Settimana Santa e un tempo per celebrare con maggior ampiezza, la vita nuova di Cristo risorto: il tempo pasquale e un tempo di preparazione: la Quaresima.

Nell’anno 354 appare indicata per la prima volta come festa il 25 dicembre, che coincideva con la festa romana del “giorno del Sole” (la festa dei giorni che iniziano ad allungarsi), una festa che commemorava la nascita di Gesù e da qui nacque l’Avvento per il desiderio di prepararne la celebrazione.

L’Avvento è quindi il tempo liturgico di preparazione al Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi.

Il tempo di Avvento comprende quattro domeniche: nella prima si contempla la gloriosa manifestazione del Salvatore alla fine dei tempi; nella seconda la persona e la predicazione di Giovanni Battista; nella terza, chiamata anche “domenica della gioia”, l’attenzione è ancora sul ministero del Battista. La quarta domenica di Avvento, ripropone gli eventi che precedettero immediatamente la Nascita di Cristo: contempliamo Maria, la Madre di Dio che porta al mondo il figlio suo, come anche Giuseppe, suo sposo.

La comunità parrocchiale è invitata a scandire queste quattro settimane meditando una parola ispirata all’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco, mentre i ragazzi del catechismo faranno un percorso su altrettante parole, analoghe, che evocano l’ambientazione giocosa della cucina e lo slogan di prenderci gusto, secondo questo schema:

  ADULTI CATECHISMO
1 sett. SOLIDARIETA’ EUFORIA
2 sett. URGENZA MANI IN PASTA
3 sett. UGUAGLIANZA ATTESA
4 sett. PROFUMO SOBRIETA’

L’euforia del clima natalizio riverbera o dovrebbe riverberare la solidarietà di cui parla papa Francesco come via di fraternità e di nuova amicizia, che dovrebbe essere vissuta più facilmente proprio nel tempo di Natale.

L’urgenza ci richiama al bisogno di mettere le mani in pasta, di fare la nostra parte, di impegnarci nella storia di questo mondo, di non tirarci fuori.

L’attesa, tipica dell’avvicinamento alla festa di Natale, si esprime soprattutto come desiderio di uguaglianza. Attendiamo che tutti gli uomini siano uguali, che ci sia giustizia, diritti e pace per tutti e che tutti possano avere le stesse condizioni di bene per vivere la festa con le persone amate.

Infine, la nuova sobrietà che auspica papa Francesco ha esattamente il profumo di ciò che è buono, ed esprime la vita del mondo e di ogni uomo, come dovrebbe essere: qualcosa che non puzza, ma anzi, che profuma di buono!

Luciano e Isabella Bocchi

I catechisti e don Davide




Avvento 2018

Avvento 2018

Tempo gioioso per l’attesa di un incontro

La parola “Avvento” significa “venuta”, “arrivo”, e nell’antichità, anche prima del cristianesimo, era utilizzata per indicare il grande evento costituito dall’arrivo in città di un sovrano o di una grande personalità, che richiedeva imponenti preparativi.

Aspettare è un’occasione per riflettere su di noi, su quello che stiamo facendo, su cosa è importante per compiere le scelte con calma, per apprendere dalle esperienze della vita, per trovare le giuste priorità.

Nell’epoca del tutto e subito la possibilità di predisporci all’incontro col Dio che viene, col Dio che viene a salvarci, può apparire non più significativa. L’Avvento rischia di non essere più compreso.

Nell’Avvento prepariamo la celebrazione della venuta in mezzo a noi di Gesù, il Messia di Dio. Non come se non lo conoscessimo, come se fingessimo che ancora non è nato: sappiamo che è nato duemila anni fa, che ha vissuto la nostra stessa vita, che ci ha amato fino alla morte di croce, che è risorto. Preparare la festa della sua nascita diventa un’occasione per rivivere un atteggiamento di fede e di attesa della salvezza che lui viene a portarci.

È un’occasione per preparare la nostra vita così che Lui possa continuare a venire in noi: attraverso l’Eucaristia, la sua Parola, i sacramenti. Attraverso i nostri cari, i conoscenti, gli emarginati, i malati, i poveri, gli avvenimenti della nostra vita.

Arrivati al 25 dicembre potremo dire “adesso è Natale”, non perché mangiamo un panettone come diceva una pubblicità di qualche tempo fa, ma perché abbiamo incontrato il Signore della vita, colui che solo può dare sapore e significato alla nostra vita.

Don Davide




Nella casa di Betania

Nella casa di BetaniaIo e don Valeriano siamo certamente Marta e Maria (Lc 10,38-42), con l’unica eccezione che io non rimprovero don Valeriano affinché mi aiuti (in verità lui fa tantissimo, per tutti noi) e lui non se ne sta solo a contemplare il Signore (privilegia la preghiera, ma non solo).

Io sono lieto e rassicurato che lui si goda “la parte migliore” e che nessuno si sogni di togliergliela. Ne sono lieto, perché dopo le fatiche del ministero, dovrebbe essere lo sbocco per tutti i preti di potere rimanere nella propria “famiglia”, regalando quel tocco di sapienza che la vita ha insegnato; ne sono rassicurato, perché anche se io talvolta mi trovo a trascurare “l’unica cosa necessaria”, so che la preghiera di don Valeriano non manca mai e sostiene la crescita nella fede e nel servizio di tutta la nostra comunità.

Così, nel quarto anniversario dell’inizio del mio servizio, mi gongolo di questa somiglianza della nostra parrocchia con la casa di Betania. Un luogo dove in modi diversi si cerca di essere attenti all’accoglienza di Gesù, accettando da lui anche le correzioni su come ciò possa essere fatto meglio.

In effetti sento il bisogno di un rapporto più intimo con lui, più raccolto nella preghiera, nell’ascolto della sua parola e nella contemplazione. Mi chiedo se in mezzo a piani pastorali, sinodi e prospettive missionarie, la parte migliore e l’unica necessaria non sia ritrovare un’amicizia affettuosa e personale con Gesù, che tutti ci mettiamo con gli strumenti della nostra personalità e creatività a costruire questo legame a tu per tu.

E poi, nella casa di Betania c’è un fratello – Lazzaro – che non compare nella famosa scena del Vangelo di Luca, ma che conosciamo bene dall’episodio del suo risuscitamento da parte di Gesù (Gv cap. 11).

Lì veniamo istruiti su un affetto fortissimo che lega i tre fratelli e su un’amicizia tra loro e Gesù unica in tutto il Vangelo (come abbiamo scritto nel bigliettino di Natale). Mi piace pensare, allora, che in questa casa di Betania c’è anche un “fratello” impegnato là fuori, nella vita di ogni giorno: un fratello che è simbolo di ciascuno di voi, un fratello per il quale si prova un affetto smodato e con il quale si condivide un amore unico per Gesù.

Nella casa di Betania e nei suoi dintorni, Gesù ripetutamente ha voluto che i suoi più cari amici aprissero gli occhi sul mistero di un amore e di una vita più forti della morte e noi, insieme, non potremmo desiderare nulla che corrisponda di più e meglio alla sua volontà.

Don Davide




Dedizione

A ridosso della conclusione dell’anno liturgico, quando le cose si ricapitolano e si fanno dei bilanci “spirituali” le letture della messa ci propongono la scena dell’obolo della vedova. È un momento in cui anche Gesù fa una sorta di “bilancio”: sa che sta per andare incontro alla sua passione, vede una scena commovente che ai suoi occhi si carica di un significato gigante e dice: “Ecco! Questa immagine ricapitola tutto il Vangelo! È una sintesi perfetta di tutto ciò che volevo dire e insegnare!”.
Sono, dunque, parole importanti quelle di Gesù. Sono parole pesanti che appaiono rassicuranti, ma non lo sono affatto: sono piuttosto taglienti e severe. Hanno il tenore di un monito. Sono molto vicine a una requisitoria.
Esse sono strutturate su due termini: “Guardatevi!” e “superfluo”.

Il monito a guardarsi dagli scribi e da quello fanno, cioè a stare ben lontani dal loro modo di fare (rileggersi come e cosa fanno gli scribi e meditarlo!) è un atto d’accusa senza sfumature. La vedova al tempo di Gesù non è solo una figura che suscita commozione; è il gradino più basso della scala sociale, insieme agli esclusi come i lebbrosi. Sia nei profeti dell’Antico Testamento che negli Atti degli Apostoli il rispetto e la cura delle vedove è il punto su cui sta o cade la qualità religiosa della vita di un credente e della sua comunità.
Degli scribi, Gesù dice che divorano le case delle vedove, e pregano davanti a tutti per farsi ammirare! Divorano i poveri e pregano per ostentare! Divorano e pregano: non si potrebbe immaginare un connubio più abietto!
Gli scribi siamo tutti noi quando ci interessa farci vedere, ma non siamo realmente interessati al bene delle persone. Gli scribi sono tutti quelli che fanno così.

E poi ci sono i “superflui”. Sì, avete capito bene. “Superfluo” è una parola durissima di Gesù: mettono quello che non serve a niente. Potrebbero averlo sprecato al gioco, messo in un investimento perso, oppure persino bruciato: a loro non cambierebbe niente. Non cambierebbe il loro tenore di vita, le loro preoccupazioni, perciò non cambia niente nemmeno a riguardo della loro solidarietà, del loro impegno. Mettono quello che è superfluo, quello che non serve a niente. Pensano che almeno, nel tesoro del tempio, servirà a qualcosa, ma Gesù dice di no. A nessuno servirà se per una volta qualche vedova mangerà un panino con quei loro soldi: non cambierà la storia del mondo, né la condizione di quella vedova. A Dio serve solo che cambi il loro cuore… e il mio, il nostro. La cosa terribile è che questo atteggiamento di non cambiare il proprio cuore, e quindi di non cambiare il mondo, rende superflui noi stessi. Se non ci convertiamo… siamo superflui. Non serviamo all’unica cosa che Dio vuole per la sua creazione: che ci vogliamo bene, che allarghiamo gli spazi della giustizia e della pace.

Il Vangelo, dice Gesù, è tutto ciò che si distanzia da questi due modi di vivere l’esperienza religiosa, e tutto ciò che invece, raccoglie la propria vita in un clamoroso, ancorché piccolissimo, gesto di dedizione.

Don Davide




Amare Dio e amare il prossimo

Nella Chiesa di oggi abbiamo un problema serio, che è quello del coinvolgimento, inutile nasconderselo. Non ci consola, nemmeno in parte, sapere che è un problema diffuso: la partecipazione e il senso di appartenenza sono calanti in quasi tutte le associazioni ed aggregazioni sociali.

Coinvolgimento dei giovani

È difficilissimo coinvolgere le famiglie, gli adulti, i genitori del catechismo nella vita ecclesiale. I pensionati, che una volta erano una risorsa sicura, oggi per lo più sono impegnati con i nipotini o a sostenere la parte della famiglia più giovane. Il volontariato è sempre più faticoso, perché sempre meno è il tempo disponibile. I giovani sono semplicemente imprendibili: si sa che da qualche parte ci sono, anche numerosi, ma nessuno saprebbe dire esattamente dove.

Avevo questi pensieri quando abbiamo preparato e vissuto la raccolta per i libri e il materiale scolastico per le persone in difficoltà. Sono stati raccolti 2403 €, il quadruplo della ordinaria raccolta domenicale.

Sono veramente edificato da questa generosità, che in questa occasione ha visto coinvolti tutti: anche le persone che per qualche motivo non potevano venire a messa, hanno voluto portare un’offerta in parrocchia lo stesso.

Questo bel risultato è l’evidenza che ci sono tante persone sensibili e generose e che spesso viene più immediato fissare lo sguardo solo sui problemi. Invece voglio riconoscere questo gesto di partecipazione collettiva, come segno di adesione a un progetto e a uno stile della comunità cristiana che dà speranza. Mi pare di potere interpretare questa esperienza come l’indicatore che c’è una solidarietà con la missione della parrocchia, e che anche se personalmente tante volte non si riesce a contribuire, non manca però l’amicizia, la stima e il sostegno.

Desidero ringraziarvi, anche a nome della Caritas, della San Vincenzo e di tutte le famiglie, i bimbi e i ragazzi che beneficeranno della vostra generosità.

A questo proposito ricordo che la Caritas e la San Vincenzo parrocchiale si sono impegnate anche in un’altra attività di raccolta fondi a sostegno delle situazioni di bisogno, con un’iniziativa e uno stand alla Fiera del Mondo Creativo il 23-24-25 novembre. Chi vuole aiutare, o con il proprio tempo o facendo una visita, lo può fare. Anche alla determinazione indefessa dei nostri volontari, che tengono davanti agli occhi e al cuore, sempre a nome di tutti noi, la vita dei poveri, va il nostro ringraziamento, sentito e commosso.

Don Davide




Nella fede del Signore risorto

La Commemorazione dei fedeli defunti,
per riscoprire il significato della migliore tradizione cristiana.

La Festa di tutti i Santi e la Commemorazione dei fedeli defunti ci offre l’opportunità di una riflessione sulla morte, non ottenebrata dalla paura. Ci sono due considerazioni da fare, sul modo in cui si affronta la morte oggi, al fine di rendere il congedo dai defunti sempre dignitoso.

Ultimamente si sta registrando una tendenza a evitare la celebrazione del funerale e a velocizzare la sepoltura, quasi come se la morte fosse una pratica fastidiosa (e scandalosa) da rimuovere nel più breve tempo possibile. Molti (anche con la complicità di alcune onoranze funebri poco professionali) scelgono di fare una veloce benedizione nella cappella dell’ospedale e poi portare i defunti al cimitero o per la cremazione. In tali circostanze pochissimi, anche nel caso che la persona defunta sia stata un’assidua parrocchiana, avvisano il parroco del decesso.
Invece non bisognerebbe mai trascurare di celebrare l’ultimo saluto come si deve. È, appunto, un saluto. Chi mai andrebbe via senza salutare un amico? E chi partirebbe per un lungo e importante viaggio senza un momento di congedo? Celebrare il funerale come si deve significa congedarsi in maniera dignitosa da una persona cara: è una forma indispensabile di attenzione per il defunto, ma serve soprattutto a chi rimane, per cominciare a risolvere un’assenza. Una dipartita non elaborata e risolta lascia strascichi emozionali devastanti, che troppi sottovalutano e di cui pochissimi sono avveduti.
Spesso c’è in gioco anche il rispetto della volontà dei defunti, che dovrebbe essere considerata una cosa sacra e inviolabile. È capitato di persone religiosissime in vita, a cui i familiari hanno negato una celebrazione consona e degna. Invece, per chi ha vissuto una vita di fede, il funerale religioso è il momento in cui si affida il defunto al Signore Risorto, è il compimento del lungo itinerario iniziato con il Battesimo, in cui siamo stati legati indissolubilmente alla potenza di vita della resurrezione di Gesù. Privare i defunti di questo passaggio è come creare un inciampo al termine di un percorso, è nel vero senso della parola uno “scandalo” (secondo il significato etimologico di: inciampo, sgambetto). Significa impedire una meta, un traguardo. Significa disonorare coloro che, in quel momento, dovremmo amare e rispettare di più.

Commemorazione dei fedeli defuntiLa seconda tendenza che si sta verificando è l’abitudine di disperdere le ceneri dopo la cremazione o di conservarle in casa. La cremazione è ammessa dalla Chiesa come la sepoltura tradizionale, perché nell’uno e nell’altro caso il Signore Risorto darà vita ai nostri corpi dalla polvere. La Chiesa, però, non riconosce come cristiana la pratica di disperdere le ceneri, e il fatto di tenere l’urna cineraria in casa è proibito dalla Legge italiana.
Al di là delle regole, comunque, il punto decisivo è di avere un luogo per la memoria del corpo. La tradizione ebraico-cristiana, ininterrottamente da Abramo fino ad oggi e senza soluzione di continuità, riconosce il valore di avere il luogo della sepoltura. Abramo comincia a entrare in possesso della Terra Promessa acquistando il sepolcro per la moglie Sara.
Non è bene trascurare le esigenze della nostra umanità: noi abbiamo bisogno di luoghi, di gesti e di segni concreti per dare significato all’esistenza. Chi di noi non conserva la foto di una persona amata defunta? Come si potrebbe vivere senza avere un posto dove portare un fiore, o senza potere baciare un memoriale? Certo, non è tutto: molti ricordano i defunti con la celebrazione della messa o dando rilievo ai giorni importanti della loro vita passata, ma potere avere un luogo fisico, simbolo di un appuntamento dove “incontrare” quelle persone, ha sempre fatto parte della fede cristiana.

Di fronte alla morte la fede cristiana esprime la sua qualità più vera. Che la memoria dei defunti sia allora un’occasione per riscoprire questi gesti, traduzione concreta della fede nella resurrezione. Come diciamo tutte le domeniche nel Credo, noi crediamo la resurrezione dei morti e lo esprimiamo attraverso segni coerenti.




La speranza della vita

La Commemorazione dei fedeli defunti è un giorno pieno di affetto e di nostalgia. Il ricordo delle persone care in alcuni casi è un pensiero sereno e grato, per una vita lunga e compiuta che ci ha lasciato tanto bene; in altri casi può essere una ferita aperta, un sentimento molto doloroso, per un addio precoce, per una sofferenza che ci ha scavato e per un lutto che non si riesce a superare.

La Chiesa celebra questa giornata subito dopo la Festa di tutti i Santi, proprio per inondare di speranza questo periodo commosso e mesto nella luce della resurrezione. Non celebriamo i morti, ma coloro che abbiamo amato con la fiducia che siano vivi insieme a Gesù e al Padre di tutti.

Qualcuno storce il naso sentendo parlare di commemorazione dei fedeli defunti: come – sembra dire – solo i fedeli, i credenti? Non ricordiamo tutti i defunti? E quelle povere persone che piangono la morte di qualcuno non credente? Per loro non ci sarebbe consolazione?! Ovviamente non è così. La dicitura “fedeli defunti” sta a indicare, come già accennato, che questo ricordo è nel contesto di una speranza e che la Chiesa vorrebbe sostenere tutti, amichevolmente e senza alcun atteggiamento di sfida, di giudizio o di rivalsa. La Chiesa universalizza il suo messaggio, condivide questo sguardo verso la vita eterna come un patrimonio comune, in modo che tutti possano celebrare una memoria consolata e che non faccia più male.

In quel giorno tutti commemorano i propri cari, tutti vanno al cimitero a portare un fiore, o dicono una preghiera o fanno un ricordo affettuoso, sia chi crede che chi non crede. In questa processione di tutti gli esseri umani sensibili, la Chiesa tiene accesa una luce, anche per chi fa più fatica a vederla.

Don Davide




Poltrone e mandato

Ricchezza e potere: un binomio micidiale per il Vangelo. Domenica scorsa Gesù aveva parlato della ricchezza, in questa tratta del potere: in entrambi i casi per esprimere un giudizio molto severo.

C’è un’esperienza “mondana” che Gesù addita senza mezze misure: chi è chiamato al governo e i capi finiscono nelle spire del potere, diventano dominatori e oppressori. Se si pensa alla situazione di alcuni paesi del mondo e alla tentazione costante di qualunque ruolo “di potere” si riconosce quanto queste parole di Gesù siano attuali e senza sfumature.

Ma questo pericolo può avvelenare anche la Chiesa, che rischia di diventare “mondana” ogni volta che il potere si afferma di più della disponibilità a dare se stessi «in sacrificio di riparazione» (Is 53,10).

Mi viene in mente questa scena, per spiegarmi. Un gruppo di ragazzini in cortile organizza le squadre per giocare a calcetto. Il più bravo dice a quello più brocco: “Tu vai in porta!”, ma si sa che nessuno vuole mai stare in porta. Così il brocco rifiuta e cominciano a litigare. “Vacci tu, chi ti credi di essere?!” dice il brocco dopo alcuni scambi poco garbati. A questo punto, quello della squadra che è bravo, ma non il più bravo, dice: “Vabbé dai, ci vado io…”. Sa di rinunciare a divertirsi e a fare goal… ma ci vuole qualcuno che sistemi la situazione. Questo significa “sacrificio di riparazione”.

Fin da piccoli, quindi, ci accorgiamo quanto ci costi rinunciare al potere. Invece, tutta la vita spirituale cristiana potrebbe essere descritta come un itinerario di liberazione da ogni volontà di potenza. Che non c’entra niente con l’ambizione o il sognare in grande. Il potere è qualcosa che, nei posti che occupiamo, anche i più piccoli, usurpa qualcosa agli altri. “Io voglio essere alla destra di Gesù – pensano Giacomo e Giovanni – e peggio per gli altri!”.

Se io vinco una partita, quello non è potere, perché l’ho conquistata, me la sono meritata; ma se rubo, inganno o non sono corretto, questo è potere. Se io vinco un concorso per avere un posto di lavoro importante, quello non è potere; ma se io cerco una raccomandazione o una via preferenziale, questo è potere. Se in chiesa io curo i fiori dell’altare, pensando di farlo con grande spirito di servizio, ma una volta che qualcuno mi vuole dare una mano o un suggerimento lo mando via in malo modo, questo è potere.

Da questo ci dobbiamo spogliare.

Oggi la nostra comunità parrocchiale conferisce il “Mandato” a tutti i catechisti, gli educatori e i responsabili delle attività. È un riconoscimento ufficiale del servizio che, come parrocchia, chiediamo loro a nome di tutti, e che orienta la vocazione di ciascuno alla santità.

Questa chiamata al servizio scaturisce direttamente dal Battesimo: è un potere che non ci deve conferire nessuno, se non Gesù stesso che ci chiama ad essere attivi costruttori della sua casa. La comunità – la Chiesa – opera un discernimento di questa disponibilità e la riconosce, con gratitudine.

Proprio per questo motivo, ogni incarico assunto nella Chiesa dev’essere completamente libero da ogni gusto del potere. Gesù lo dice con una semplicità così disarmante che siamo sempre portati a travisarla: «Chi vuole essere il primo, serva, non per modo di dire, ma come gli schiavi» (Mc 10,44).

A chi riceve il “Mandato”, quindi, facciamo gli auguri con le parole della seconda lettura: che sappiate prendere parte alle debolezze soprattutto dei più fragili, dei meno coinvolti e dei meno simpatici, e che possiate avere il cuore benevolo come Dio Padre, ed essere graziosi e gentili verso tutti (cf. Eb 4,15.16). E così dicendo, vi ringraziamo anche del vostro servizio.

Don Davide




Aghi e cammelli

La prima lettura e il vangelo ci permettono di fare una riflessione schietta sull’utilizzo del denaro e su alcuni appuntamenti che riguardano la nostra parrocchia in questo mese di ottobre.

Oggi riprendiamo la raccolta della 2° domenica del mese, interamente destinata al finanziamento dei lavori di ristrutturazione della parrocchia. È inutile mascherarsi dietro a un dito: c’è bisogno di soldi e di un contributo ancora più generoso da parte di tutti, perché le spese di manutenzione delle strutture che abbiamo, anche per renderle funzionali e sicure per le attività, sono sempre altissime. Abbiamo avuto tanti lavori che sono quasi finiti: ora è il tempo di pagare le fatture, quindi il momento più delicato.

Allo stesso tempo, però, non vogliamo farci abbagliare dal miraggio delle ricchezze e dagli inganni del denaro. Perciò, in occasione della Giornata nazionale delle persone down, oggi accogliamo volentieri anche l’Associazione Futura onlus – alla quale siamo particolarmente legati per la presenza di alcuni membri della nostra comunità – per una presenza di sensibilizzazione e di autofinanziamento. L’Associazione Futura venderà delle violette fuori dalla chiesa per raccogliere fondi per sostenere le attività volte alla crescente indipendenza delle persone down.

Lo abbiamo segnalato domenica scorsa e lo ricordiamo di nuovo oggi stesso, in modo che ciascuno sia libero di gestirsi, di scegliere come destinare le proprie offerte, senza gravare eccessivamente sulle finanze personali e famigliari e con il massimo rispetto delle scelte di ciascuno.

Le esigenze sono sempre tante e si accumulano, ma questo ci porta a ricordare un’altra frase di Gesù sul buon uso del denaro: “Fatevi amici con la disonesta ricchezza… perché essi vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9). Bisogna essere realisti: che siano i muri o esigenze di inclusione e uguaglianza, in ogni caso siamo purtroppo legati al bisogno di soldi. Però c’è un modo di uscire da questa morsa malsana, facendoci degli “amici” che – dice Gesù – “ci aprano le porte del Paradiso”. È ormai sotto gli occhi di tutti, infatti, che le ricchezze non mancano, solo che sono distribuite male. Se invece fossero condivise meglio e messe in circolo per cose più buone, forse – a dispetto di aghi e cammelli – persino il denaro potrebbe essere redento!

Per questo stesso motivo, sollecitati dall’amore per la sapienza nella prima lettura, abbiamo deciso di ripetere la raccolta per l’acquisto dei libri scolastici e per sostenere gli studi dei bambini che altrimenti avrebbero difficoltà. Sabato 27 sera e domenica 28 ottobre tutta la raccolta delle messe verrà devoluta alla Caritas e alla San Vincenzo per questo scopo.

Rinunciare a tutte le offerte di una domenica – normalmente utilizzate per far fronte alle spese ordinarie (bollette, attività e pagamenti) – è un sacrificio enorme per il bilancio di una parrocchia. Lo studio, però, è una cosa troppo importante e vogliamo porre un segno forte di questo “riscatto del mondo” che passa – come diceva la ragazzina pakistana di nome Malala – attraverso un libro, un quaderno e un’insegnante.

Che sia anche un segno del nostro pensiero per tutti quei bimbi del mondo che non hanno questa possibilità, perché sfruttati, maltrattati o in altre condizioni sfortunate. Che il nostro impegno possa raggiungere idealmente tutti e aiutarci a considerare la scuola, lo studio e l’educazione tra i beni più preziosi che possiamo custodire.

Anche in questo caso, abbiamo scelto di comunicarlo con largo anticipo, in modo che ciascuno possa “farsi i conti in tasca”, non sentirsi oberato, ma aiutato ad allargare il cuore, con saggezza e prudenza e serenamente, perché chi dona possa farlo con gioia.

Don Davide




I bimbi e i giovani

«Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò» (Mc 10,10). Questa breve citazione del Vangelo ci ricorda che al di là del politicamente corretto, accogliere i bambini non è facile. Tanto meno lo era al tempo di Gesù. La formula è fortissima: Gesù si indignò dell’atteggiamento dei discepoli. 

Questa settimana ricominciamo il catechismo: speriamo non solo che Gesù non si indigni, ma che anzi sia orgoglioso di noi. I bimbi sono allegri e adorabili per tanti aspetti, ma al catechismo sono anche tanti, chiassosi, a volte stanchi. Noi ci proponiamo di fare in modo che il tocco di Gesù raggiunga comunque tutti, che nessuno sia impedito di andare da lui. 

Chiedo, in questo, l’alleanza di tutta la comunità, la complicità delle famiglie, la stima, l’amicizia e la vicinanza per tutti i catechisti, la preghiera di tutti. Sappiate che c’è molto bisogno, perché da noi si verifica questo strano fenomeno: i bimbi aumentano e i catechisti diminuiscono! 

 Domenica scorsa è iniziato anche il cosiddetto Sinodo dei Giovani a Roma, in Vaticano. Anche il nostro vescovo Matteo è stato chiamato dal papa a partecipare. 

Le letture di oggi ci propongono un modello di uomo e di donna che, paradossalmente non è ancora stato raggiunto. Prima ancora di pensare alla dimensione coniugale, infatti, questi testi ci parlano di uomo e donna come costitutivi dell’essere umano. Pienamente uguali nello statuto esistenziale e nei diritti, diversi nella ricchezza della varietà, talvolta complementari. 

Vorrei augurare a tutte le giovani e i giovani, perciò, di diventare donne complete e uomini integri. Se penso a un sogno per ciascun giovane è che oggi si goda la sua giovinezza, in tutte le cose positive che esprime e con tutti i valori che rappresenta, ma che poi sappia essere pienamente donna o uomo adulto. 

E che abbia qualcuno che faccia strada senza sbarrarla, qualcuno che possa essere di esempio senza invidia o volontà di potenza. 

 

Signore Gesù, 

che hai voluto i piccoli con te, 

hai amato i giovani fissando su di loro il tuo sguardo 

e hai riconosciuto le donne; 

per questa preghiera, 

effondi lo Spirito Santo 

sui bimbi, sui giovani e le giovani, 

perché possano fare splendere il mondo 

del tuo amore, 

con la loro umanità. 

Concedi ad ogni adulto 

di stimare i giovani, 

di seguirli, accompagnarli, stare loro affianco 

senza ingombrare lo spazio, 

e di essere così testimoni trasparenti 

della libertà che Dio Padre 

ha voluto per loro. 

Amen. 

 

Don Davide