La vera Luce

Colmare, ridurre, raddrizzare le strade

L’Avvento è un tempo STRAordinario, nell’ordinarietà dei nostri giorni, in cui decidiamo di metterci in cammino verso il Natale.

Nelle letture di questa seconda domenica di Avvento, Isaia ci invita alla preparazione della strada per il ritorno verso Gerusalemme, dopo il periodo d’esilio in Babilonia.

Marco, all’inizio del suo vangelo (il più antico tra i quattro) riporta la predicazione di Giovanni il battista che gridava nel deserto: “preparate la via del Signore“. L’invito è quello di andare da Gerusalemme verso il Giordano, il luogo in cui immergersi nel battesimo con acqua, segno del futuro battesimo nello Spirito.

Nei due brani c’è l’idea di una strada da sistemare: essa ci potrà condurre verso un ‘nuovo vertice’ della vita, ovvero verso una vera e propria con-versione.

Colmare, ridurre, raddrizzare, sono alcune delle operazioni necessarie per lasciare le nostre ‘Babilonie’ e rigenerarsi nello Spirito. Ad esempio, potremmo utilizzare le numerose luci e lucine che troviamo per strada o quelle che utilizziamo per l’addobbo casalingo, come luci evocatrici di una pista di atterraggio o di un faro per orientarsi alla Luce.

 

Aprire spazi, creare luoghi perché il vero Natale trovi posto nelle nostre vite

L’Avvento è per noi la strada spirituale verso un Natale diverso, come un grido nel deserto di una pandemia, di una distrazione di massa verso consumi più o meno sobri, di un deserto interiore magari con una via stanca piena di buche o di grandi sassi, una strada fatta di una fede convenzionale di abitudini e/o di sole regole senza un’anima.

In questo Avvento ecco per noi una strada nuova: colma, riduci, raddrizza le tue giornate, vivi il tuo ‘deserto’ come una risorsa per preparare un Natale nuovo. Rifare i nostri spazi con presepe ad albero e creare luoghi interiori come una culla, una mangiatoia, per accogliere vita nuova, come accade in ogni grembo materno che si espande e in alcune parti si ritrae, per far posto alla nuova vita che verrà.

 

Un invito per ciascuno di noi

Puoi far coincidere la nascita di Gesù con la tua rinascita, con-vertendo il tuo battesimo sulla strada della riscoperta della sorgente di vita, bontà, verità e bellezza.

Il Signore viene e traccia la strada con i suoi profeti, ha segnato con i suoi testimoni il percorso da seguire e, noi, siamo invitati e inviati tra di essi perché il mondo possa intravedere la vera Luce che viene ogni giorno, tra le tante piccole stelle di Natale.

Anna Maria e Francesco Paolo




Un Re speciale

Il nostro Re è speciale.
E’ proprio “dell’altro mondo”, quello migliore.
Sì, perché un altro mondo è possibile e possiamo dirlo dopo questi ultimi tre passi che la comunità dell’evangelista Matteo ci ha fatto fare in queste ultime domeniche che concludono l’anno liturgico.
Alle vergini è data la possibilità di agire con amore verso se stesse, lo Sposo, il mondo.
L’amore è dato dal Signore gratis; è dato in modo smisurato nella metafora dei talenti da investire. E’ dato senza timori e ci invita a non dichiararci inabili, come spesso facciamo addirittura prima ancora di iniziare ad agire.

Il nostro Re è davvero speciale.
Viene come un pastore per le sue pecore, compie il suo lavoro (ed è un grande lavoratore)
E’ un grande re che si prende le sue responsabilità, con cura e fino in fondo. Se non lo avessimo ancora capito, ce lo ripete ancora, fino alla fine. Vuole dirti: “Se non agisci con amore e per la giustizia ti perdi. Il tuo orizzonte, la tua finalità è il prendere parte con lui, il re pastore, del regno nuovo già qui, ora, in questa vita. Se non prendi l’olio, se sotterri il talento, se non ti ami e non investi nell’amore verso chi è più in difficoltà, te per primo, ti perdi qualcosa, ti escludi da questo regno, ti sei già separato dal resto”.

Il nostro Re è più di una parte, è universale.
Vuol dire che è per tutti e che non esclude nessuno. Chi si tira fuori, lo fa per sua scelta o forse solo per triste, drammatica inconsapevolezza di quanto Amore e non Giudizio, ci sia nello sguardo del Padre. Solo nelle relazioni sane ci si salva. Il Re universale vuole portare tutti alla vita vera e, fino alla fine, è con te, per non farti essere il ‘solito caprone’, potremmo dire con il sorriso sulle labbra. Con William Blake comprendiamo meglio il senso di questa ultima parabola: “Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e lì ho trovato tutti e tre”.

Chi vuole prendere parte al regno universale di questo Re più che speciale, lo segue nella via che egli stesso ha segnato e si riconosce come essere umano in relazione. Ciò dice-bene (bene-dice) la propria vita. Chi si chiude in se stesso, si sotterra, dice-male (male-dice), bruciando rovinosamente i propri giorni.

Il mio Re è un pastore amorevole.
Mi custodisce insieme ai fratelli più invisibili al mondo.
Dio mi ama, prezioso ai suoi occhi come prezioso per il Pastore è tutto il gregge e che tutto offre per l’unicità di ciascuno. E proprio quando divento stracolmo, debordante di gratitudine e meraviglia, vedo che non c’è più separazione tra me e gli altri, non c’è nulla di più naturale che sostenere gli altri, perché ciò che dono, migliora gli altri e me all’istante.
Quella che ci fa soffrire di più la pandemia, per esempio nel distanziamento tra noi, ci fa desiderare di più il suo contrario, perché così si propagherà l’amore di Dio, anche nelle forme che possiamo trovare comunque possibili oggi.

Non potremmo essere più sollecitati di così: ciò che ci viene tolto, ci faccia sentire il fuoco della mancanza così forte da renderci inquieti e arditi, per ritornare lì dove il Re vive già per costruire il Regno di Amore e di Pace, oggi.

Anna Maria e Francesco Paolo




L’olio non finirà

“Il regno dei cieli è simile a dieci vergini…” è l’apertura del Vangelo di domenica (Mt 25 1-13). Cinque di esse sono stolte e cinque sapienti. Sembra la rappresentazione del mondo di oggi sotto gli occhi di tutti: abbiamo persone di tutti i tipi, pregi e difetti scorrono tra le righe quotidiane e sono esperienza di tutti. Queste vergini hanno tutte delle lampade ossia, partono tutte con la stessa dotazione per andare incontro allo sposo della parabola. Però, non tutte prendono l’olio, che è sempre a disposizione di tutte loro. Appare dunque evidente che la differenza tra le stolte e le sapienti non è su ciò che sono o ciò che hanno, ma su ciò che scelgono di fare, sulla propria volitività, sulla determinazioni delle azioni possibili. Possono essere del regno nuovo se agiscono e se lo fanno con sapienza. Non manca nulla a nessuno. La buona notizia è per tutti: recepire l’invito alle nozze significa essere pronti ad agire. Il vangelo non è un salotto, buono o cattivo che sia, è invece prendersi cura di sé per vivere pienamente le nozze con il Risorto.

L’evangelista Matteo in questo brano, ci dice non è sufficiente essere invitati e rispondere positivamente all’invito. A tutti è concesso sempre di essere vergini, riscrivere sempre la propria vita e in ogni momento, a tutti è concessa la lampada per le vie buie e sappiamo bene come la vita presenta sempre strade difficili. Ma ciò che rende il credente diverso, è l’essere recipiente della sapienza che agisce, che non si trascura, che non rimanda, che ama l’incontro con lo sposo.
La sapienza si fa trovare se la cerchi. Ti anticipa, se la desideri. Se ti svegli presto, la trovi alla porta. Essa stessa vuole inondarti con ogni benevolenza (Cfr Sap 6, 12-16), ma devi scomodarti, rompere gli schemi di convinzioni e credenze, renderti nuovo. In altre parole, lanciarti con fiducia verso le tue capacità nelle braccia amanti di Cristo.
Il regno dei cieli può essere qui, ora, in questo momento, puoi essere la sposa più felice e non autoescluderti senza rimanere fuori dalla porta, se provvedi tu a ciò che ti serve davvero per questo incontro. A che serve lamentarsi delle cose che non vanno bene se non mettiamo olio in abbondanza nelle nostre lampade.
La luce della Parola, dall’olio di un fare sapiente, illumina e riscalda il tuo cammino, anche in questo tempo di pandemia.

Anna Maria e Francesco Paolo




Sono qui accanto a te

La pratica dell’Amore

In questa domenica le letture rinnovano le prime declinazioni pratiche dell’amore. Nascono banalmente da una provocazione a cui ci hanno abituato i farisei in queste ultime domeniche: «Qual è il comandamento massimo?» gli chiede un dottore della legge. Gesù non si sottrae alla domanda e richiama lo Shemà’, la preghiera più ripetuta in Israele: il Signore è uno, lui solo ama con tutto te stesso. Poi integra questo comandamento dicendo anche il come, perché non rimanga solo uno slogan, cui tanto siamo ormai abituati. Similmente, ama te stesso e così gli altri. Ama Dio, allo stesso modo, ama te stesso e, così, anche gli altri.

Sono qui accanto a te

Dice Dio, parafrasando la prima lettura: io ti amo quando ti senti forestiero nel mondo e nelle tue giornate, quando ti senti orfano, quando ti senti maltrattato dagli eventi. Ti amo in modo gratuito, senza interessi e così sei ricco abbastanza. Usa la stessa misura verso chi ti è accanto: questo è il massimo per te e per chi ti è vicino. Amati senza giudizio e con generosità. Sii grato per ciò che ricevi e allo stesso modo relazionati con chi incontri. Questo è il massimo che è difficile inserirlo nella categoria dei comandi poiché trabocca di solo amore. L’esercizio è teoricamente semplice: ricevo da Dio che mi colma di grazia eccedente che straripa al mondo.

Nessuno si salva da solo

Il mondo ha bisogno di cristiani così. Ad esempio, l’ultimo rapporto Caritas del 17 ottobre u.s., ‘Gli anticorpi della solidarietà’, ci parla, tra l’altro, di “nuovi poveri” con un’incidenza che passa dal 31 al 45% tra quelli che si rivolgono alla Caritas. Ci sono anche circa 62mila volontari che cercano di amare se stessi amando queste persone, in cui amano Dio.

Non siamo poi così lontani se guardiamo alle carezze che offriamo in casa, agli sguardi sorridenti che regaliamo per strada, dietro le nostre mascherine, ai pensieri/preghiere che pronunciamo per gli altri. Se Dio è così per noi, possiamo esserlo anche noi per gli altri.

Essere coerenti ci rende certi della testimonianza

Nella seconda lettura san Paolo ci dice proprio questo: abbiamo seguito l’esempio del Signore e noi possiamo diventare modelli per la nostra comunità di questo nuovo modo; la nostra comunità stessa diventa modello di accoglienza dello straniero nei prossimi giorni. Si diffonde con l’esempio oltre le parole.

Fatti amare da Dio e ama i tuoi fratelli, come sei e come puoi.

Francesco Paolo e Anna Maria




La Veglia di Pentecoste: un appuntamento per tutti

1)Il cammino di questo anno pastorale che si sta concludendo è guidato dalla pagina del libro degli Atti degli Apostoli che racconta la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste, inizio della Chiesa. È lo Spirito che permette a ciascuno di udire gli apostoli nella propria lingua (Atti 2,6), frutto di una comunità che piena dello Spirito trova se stessa andando incontro agli altri. La Pentecoste trasforma degli uomini deboli e paurosi in testimoni gioiosi, rigenerati nella fede.

2) Vorrei che la celebrazione liturgica della Veglia di Pentecoste, nella serata di sabato 8 giugno, sia occasione per vivere oggi e nella nostra storia una rinnovata effusione dello Spirito. Questo anno per la nostra Chiesa di Bologna è contraddistinto dalle prime Assemblee di Zona che sono state un momento di confronto e di consapevolezza delle sfide e della realtà delle nostre comunità. Desidero che la Veglia sia un’altra Assemblea di Zona, questa volta interamente liturgica, per chiedere e sperimentare il dono dello Spirito di amore che “ci insegnerà ogni cosa”.

3)La Veglia si svolge in tutta la Diocesi simultaneamente, per indicare che siamo parte tutti della stessa Chiesa e che vogliamo avere un cuore solo ed un’anima sola. Ci raccoglieremo per Zona pastorale o per zone vicine che si accordano tra loro. Siano presenti tutti i soggetti (Parrocchie, Religiosi, Comunità, Associazioni, Movimenti e Aggregazioni laicali) per vivere un momento di grande comunione e di forza nello Spirito, che ci renda consapevoli dei suoi doni e ci trasformi in 5 testimoni gioiosi del suo amore. I carismi di ognuno e di tutte le nostre comunità, piccole e grandi, sono importanti per una Chiesa piena dello Spirito di Dio. Vorrei che tutti i presbiteri e i diaconi operanti nella zona pastorale siano presenti e concelebrino la Veglia, presieduta possibilmente dal Moderatore. Il presidente dell’Assemblea della Zona pastorale abbia una funzione specifica nella regia della preparazione e nello svolgimento della celebrazione (monizione iniziale e conclusiva). […]

6)La veglia sarà proprio come il Cenacolo, la stanza dove si celebra l’Eucaristia, il luogo proprio della preghiera e dell’effusione dello Spirito. Ci aiuterà a riscoprire il valore dei nostri luoghi di preghiera, della liturgia e dei sacramenti, luoghi dello Spirito e presenza di Cristo, sorgente di grazia per la nostra vita. […]

13)La veglia prevede la celebrazione della Messa vigiliare della Pentecoste, come stabilito dal Messale e secondo le indicazioni che verranno date dall’Ufficio Liturgico. A motivo del carattere diocesano di questa celebrazione, desidero che in ogni Zona pastorale (o gruppo di Zone riunite) vi sia in quella vigilia una sola celebrazione.

[…] Nella Veglia chiediamo il dono della fraternità, perché impariamo ad amarci gli uni gli altri come Gesù insegna.

 

+ Matteo Maria Zuppi, Vescovo – Notificazione per la Veglia di Pentecoste 2019




Lettera agli studenti

La vostra scuola per diventare gli uomini e le donne che sarete

Settembre 2018 

Cari bambine e bambini, ragazze e ragazzi, 

inizia un nuovo anno scolastico, una nuova tappa fondamentale della vostra vita e degli uomini e donne che sarete. 

Sì, perché a questo serve la scuola: attraverso lo studio e la conoscenza diventerete buoni cittadini e anno dopo anno scoprirete con l’aiuto dei vostri insegnanti quale sia la strada per la vostra vita, ciò che vi appassiona ed esalta i talenti che il Signore vi ha donato. 

Ritroverete i vostri amici o ne conoscerete di nuovi, il cui ricordo vi accompagnerà per sempre.  

Scoprirete che il progresso è fatto di tanti piccoli passi che altri uomini e donne, prima di voi, hanno conquistato attraverso applicazione, sacrifici e impegno. 

Con lo studio della Storia, conoscerete le conquiste dell’umanità, ma anche gli orrori commessi nel passato, per tenere sempre gli occhi bene aperti sul presente. 

Ho sempre ammirato le maestre e i maestri della scuola primaria. Il primo anno accolgono bambini completamente diversi: c’è chi sa già leggere e scrivere, chi sa solo disegnare e chi non parla neppure l’Italiano. Ma arrivati a Natale, quelle bambine e bambini così diversi sono diventati una classe e tutti sanno leggere e scrivere! Dunque amateli i vostri insegnanti, anche se ogni tanto vi fanno penare… sono lì per tirare fuori il meglio che c’è in ciascuno di voi! 

Nelle gioie e nelle fatiche sappiate che questa Comunità parrocchiale è al vostro fianco con il sostegno prezioso di Don Davide, dei catechisti e degli educatori, e che siete nelle preghiere di tutti noi. 

Buon anno scolastico a tutte e tutti! 

 Francesca Puglisi 

a nome di tutta la Comunità parrocchiale 

Inizio anno scolastico




Omelia 16 settembre 2018 di Padre Maurizio

Vorrei con voi, oggi, e con le amiche e gli amici che sono venuti a rallegrare la nostra liturgia con il dono del canto, spendere due parole e dare voce a quella gioia che ci muove dentro. E che ci fa percepire, con una evidenza indiscutibile, il legame tra musica e liturgia, tra canto e sacramento.
Ciò che percepiamo, con questo misterioso legame, è qualcosa che ha a che fare con l’energia creatrice, quell’energia dello spirito che crea mondo. Il motore del mondo. Non è solo un abbellimento, il coro che canta in chiesa. Quando celebriamo il sacramento senza cantare, sentiamo che ci manca qualcosa, ma è come se non disponessimo delle parole adeguate per dire questa mancanza. E allora diciamo: <<Certo, col coro è più bello…>>. Ma non è solo più bello, è, soprattutto, più vivo. Ecco, vorrei trovare con voi le parole per dire questo, per dire questa vita del canto nel sacramento, questa vita del sacramento nel canto.
Il nostro punto di partenza è la nostra cultura, centrata sull’efficienza, sul calcolo quantitativo; una cultura totalmente anaffettiva perché ci consegna a una solitudine molto vicina alla solitudine dei numeri primi… Anzi, siamo più soli dei numeri primi, perché poi nella musica i numeri si esaltano tutti in questa loro parentela privilegiata con le note e con il ritmo. I numeri si esaltano quando sono assunti dallo spirito della musica. Noi ci esaltiamo un po’ meno, perché abbiamo affinato il linguaggio di una ragione priva, però, delle parole degli affetti. Ecco, il primo punto è questo: la musica, il canto, nella sua gratuità, è il luogo di una vitale mediazione tra le parole della ragione e le parole degli affetti e dei legami, che sono la sostanza del nostro vivere. Una mediazione non di quantità, ma di qualità: il coro non aggiunge nulla al sacramento, ma lo fa risuonare e vibrare all’interno dei nostri corpi, che sono corpi vibranti, sempre, anche sotto anestesia.
Poi noi cristiani occidentali, ogni volta che cantiamo in chiesa, portiamo qui quasi duemila anni di storia e di civiltà. Perché dalla grande tradizione monastica cristiana – che ha molti secoli di storia e di memoria – perché da lì, dall’esigenza di cantare Dio, è nata la grande musica occidentale. Non si è trattato solo di cercare le risonanze più pure ed eleganti dello Spirito creatore: il genio cristiano ha stabilito un legame indissolubile tra civiltà musicale e vita secondo lo Spirito. Quindi, ogni volta che portiamo la musica dentro la liturgia, portiamo con noi quindici secoli di storia. Non solo: portiamo nel sacramento un’intera civiltà musicale, senza la quale la nostra stessa civiltà va in depressione. Perché il canto e la musica liturgica occidentale sono un albero vivo, le cui radici penetrano profondamente nella tradizione classica e nella tradizione biblica. Da una parte la sensibilità tutta greca e latina per la parola poetica, ritmata e cantata, quale espressione viva dell’umano. Dall’altra la forza del sentire biblico, che nella preghiera fatta canto (pensiamo alla meravigliosa ricchezza del Libro dei Salmi) celebra la quotidiana attesa, il quotidiano incontro con Dio.
Se c’è qualcosa in grado di dirci che il mondo, le cose, i corpi, hanno un’anima, questo è la musica. Perché la musica fa suonare il legno, il metallo, la pelle del tamburo. Ci innalza verso l’incanto dell’essere-al-mondo, alleggerendo ogni ingombro di massa inerte; ma allo stesso tempo restituisce alla materia un’anima di vita. L’universo intero, stelle comprese, vibra. La voce del canto porta, nello spazio limitato di una stanza o di una chiesa, la vibrazione dell’universo. E il sacramento dice alla musica: <<Sorella, non ti spaventare per questa immensa responsabilità, perché tu stai dando respiro a una parola che ti precede, una parola buona, carica di promessa, una parola che vuole bene, la parola del Verbo che si è fatta carne, per ciascuno di noi, per la nostra felicità e per la nostra salvezza. Non avere paura, canta!>>. E la musica, il canto, accoglie l’invito. Il canto entra nel sacramento, e sente che lì è casa sua. Lì, nel sacramento, il canto incontra e trova se stesso come voce che può dar voce e corpo all’Indicibile che lo precede, incontra e trova se stesso come voce dell’inesprimibile che è dentro ciascuno di noi.
Non avere paura, canta! Perché senza il prodigio del canto il mondo non solo è più triste, ma si decompone.

p. Maurizio




Il raccolto e la semina

Un ciclo di gioia, per portare molto frutto

La ripresa delle attività in parrocchia è sempre fonte di trepidazione e di gioia. Le preoccupazioni per gli impegni e i dubbi se si riuscirà a fare bene, si mischiano con l’entusiasmo dell’incontro con le persone e lo scoprire ancora una volta una realtà viva e vivace.

Viene in mente il passo di Isaia 9,2: “Gioiscono come si gioisce quando si miete”, perché la consapevolezza di un ciclo che porta frutto è incoraggiante.

In realtà, come nell’agricoltura anche nella pastorale la stagione dell’autunno è piuttosto il tempo della semina, del lavoro instancabile e della preparazione. Tuttavia, questo lavoro si fa guardando sempre alla gioia della mietitura appena passata: la fede è stata ancora trasmessa, i giovani sono cresciuti, nuove famiglie sono nate, traguardi sono stati raggiunti e altri obiettivi, così, si possono coltivare.

La nostra comunità parrocchiale di S. Maria della Carità e di S. Valentino della Grada, si trova quest’anno di fronte a tre sfide che la metteranno in gioco.

La prima è l’avvio dell’esperienza delle zone pastorali, con l’assemblea di zona che ci attende e il tentativo di avviare almeno la collaborazione per i gruppi giovanili.

La seconda è il desiderio di allargare notevolmente il coinvolgimento e la sensibilità della Caritas a tutta la parrocchia e ai parrocchiani, in modo che la Caritas non rimanga faccenda di pochi cuori generosi, ma tutti si sentano chiamati in causa. Un segno concreto per corrispondere a questa sfida sarà il tentativo di celebrare una giornata di amicizia con le persone più bisognose, alla cui organizzazione la Caritas e tutti i parrocchiani disponibili, lavoreranno nei prossimi mesi.

La terza sfida è una riforma radicale dell’esperienza delle cosiddette benedizioni pasquali, che verranno sostituite in fase sperimentale da una visita del parroco alle famiglie, non più circoscritta alla Quaresima, ma che potrà avvenire in ogni momento dell’anno.

Oltre a queste novità, continua la proposta formativa della Scuola di Formazione Teologica nella nostra parrocchia: appuntamento da non perdere per tutti quelli che desiderano curare più seriamente la propria formazione pastorale e catechetica.

Naturalmente, continueremo ad accompagnare la formazione dei bimbi e dei ragazzi, lasciandoci coinvolgere dal loro entusiasmo e seguendo tutti quanti il motto dell’Azione Cattolica che anima il loro cammino di quest’anno: “Ci prendo gusto!”. È il grido di una partecipazione attiva, contenta: il corrispettivo aggiornato dell’ I CARE di don Lorenzo Milani. Da alcuni anni, nella formazione dei bimbi e dei ragazzi, lo spirito che ci anima è “Chi viene ci guadagna!”, senza obblighi o costrizioni, ma solo con la gioia di sentirsi a casa in parrocchia, di scoprire tanti amici e di avere gli adulti come alleati per il bene. Ci auguriamo perciò che tutti i bimbi e i ragazzi dell’ACR possano davvero giungere a dire: “Ci prendo gusto!” e con loro anche tutta la comunità educante, tutti coloro cioè maggiormente impegnati nell’educazione e nella formazione.

Che il Signore, in questo tempo di semina con davanti agli occhi la gioia del raccolto, ci doni di dissodare prima di tutto il nostro cuore, perché il seme buono della disponibilità e della fiducia vi trovi casa, per produrre molto frutto.

Il raccolto e la semina




Tempo ordinario

Per elevare lo spirito

“Ordinario” sembra essere un termine dispregiativo nel linguaggio comune: è ordinario ciò che non ha particolari qualità. Ma non è così nel tempo liturgico della Chiesa: il Tempo Ordinario è il periodo che non è caratterizzato dalle grandi solennità e, proprio per questo motivo, ha tanto più valore perché celebra il fatto che la resurrezione agisce la sua potenza non solo nelle grandi occasioni, ma anche nella ferialità delle nostre vite.

C’è un’energia straordinaria che opera nella vita ordinaria.

L’amore di Gesù ci accompagna in ogni passo e, come credenti, noi sappiamo che le nostre case, le nostre scuole, i nostri uffici, le strade che percorriamo in mezzo al traffico, i rumori della città sono per noi il luogo della nostra santità. Come scriveva Madeleine Delbrél in un’intuizione folgorante: “Noi crediamo che per la nostra santità nessuna cosa ci manchi, perché se ci mancasse Dio ce l’avrebbe già data.”

Così questo tempo che ci è dato di vivere con la Chiesa e nella Chiesa è come l’alzarsi in volo delle mongolfiere. Non un’accelerazione fantasmagorica come quella degli aerei o dei razzi, né un frastuono assordante come quello degli elicotteri, ma un lento elevarsi verso il cielo, scaldati e riempiti dal fuoco dello Spirito. Non tutto quello che c’è è necessario e utile, perciò per vivere la santità nel quotidiano sarà indispensabile liberarsi di qualche zavorra, essere più leggeri per lasciarci condurre senza resistenze dal vento dello Spirito Santo. Questo processo, però, avviene con gradualità.

La liturgia domenicale e la nostra preghiera quotidiana agiscono così: ci fanno piano piano cambiare l’orizzonte, ci aiutano a guardare le cose dall’alto e a cogliere il mistero di Dio che attira ed eleva i nostri cuori, e che agisce non solo nei nostri, ma anche in quelli di amici e conoscenti, come quando si vedono tante mongolfiere nel cielo.

E là, più in alto, il sole di Dio. Guardiamo a lui con una nostalgia non meglio definita nel cuore, lo desideriamo come meta della nostra pace. Mentre ci pare di avvicinarci, chiediamo che sia lui stesso a colmare la distanza e ad entrare nel nostro luogo sacro interiore, affinché nel desiderio di elevarci, non dimentichiamo la base di tutte le nostre partenze.

Tempo ordinario




L’Ascensione

L’ASCENSIONE

Di: Don Tonino Lasconi

 Gesù, lasciando la terra, ha consegnato a noi il compito non soltanto di vivere il suo Vangelo, ma di predicarlo e farlo conoscere con i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni.

“Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto”.

È la chiusura del vangelo di Marco che ci viene proclamata nella Solennità dell’Ascensione. Gesù, prima di lasciare la terra, saluta gli Undici (non c’è Giuda e non c’è ancora il suo sostituto: Mattia), che ci rappresentano tutti e nei quali tutti dobbiamo ritrovarci. Bellissima questa immagine! Gesù chiude la sua esperienza terrena salendo al cielo, cioè rientrando nella sua dimensione divina, e i suoi discepoli partono a portare il vangelo dappertutto. Accadde proprio così e in pochissimo tempo – cosa che gli storici non riescono a spiegare – l’annuncio del Vangelo giunse oltre i confini dell’impero romano.

Quello che accadde “in quel tempo” è ciò che dovrebbe accadere “nel nostro tempo”.

«Ma come può accadere? Noi non stiamo sul monte dell’Ascensione!».
Ogni volta che lasciamo l’incontro con il Signore Gesù, prima di tutto nella Messa dove l’incontro è “reale e fisico”, ma anche negli altri sacramenti, nella preghiera, nonché nelle opere di carità, dovremmo partire e predicare dappertutto, cioè dovunque ci troviamo a vivere e a operare: la famiglia, il lavoro, gli amici… Partire significa passare dall’incontro con il Signore all’incontro con i fratelli. Predicare non vuol dire andare in giro a fare prediche, ma far conoscere attraverso i nostri pensieri, le parole, le azioni il messaggio e la logica del vangelo.

Accade questo?

Certamente! Non mancano mai persone di ogni età e condizione che, mosse dallo Spirito, vivono la fede in modo “missionario”. Però succede troppo poco, perché la fede non viene vissuta come un “mandato missionario”, come una consegna per far conoscere Gesù, ma come un dovere personale da assolvere, offrendo al Signore la Messa, la preghiera, l’opera di carità. In questo modo, la fede viene concepita e vissuta come “spazio ricavato”, spesso frettolosamente e senza gioia, tra attività per le quali il vangelo non è luce ed energia per i pensieri, le parole, le azioni. È praticamente un debito da saldare, non un compito da svolgere. Così dall’incontro con il Signore torniamo a fare quello che abbiamo fatto sempre, e come lo abbiamo sempre fatto.

È necessario tornare al monte dell’Ascensione.

Questa è la grande conversione riscoperta e rilanciata dal Concilio Vaticano II e da numerosi documenti dei Vescovi di tutto il mondo, in primis italiani, che però fa una grande fatica a realizzarsi e ad affermarsi. La Chiesa Italiana, le Diocesi, le Parrocchie devono trasformarsi da luoghi in cui si va a “regolare i propri debiti” con il Signore a “luoghi di incontro” con il Signore, che possano rifornire di nuova energia i doni che lo Spirito ha dato a ciascuno, come ci ricorda San Paolo: «… egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo».

«Ma in quel tempo il Signore “agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”, nel nostro tempo invece…»
Oggi agisce allo stesso modo anche con noi se andiamo predicare, come conferma la testimonianza di tanti cristiani che, vivendo la fede così, realizzano cose che a noi sembrano impossibili. Gesù, infatti, “seduto alla destra di Dio”, asceso al cielo e tornato nella sua dimensione divina, può essere accanto a noi dovunque e sempre, mantenendo fede alla sua promessa: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).