A metà dell’Avvento

Dilatare il cuore

Tutti gioiamo e ognuno gioisce per cose anche molto diverse.

Bisognerebbe imparare a gioire con chi gioisce, e ad accogliere il pianto di chi piange.

Quando riusciamo ad attivare questa circolarità virtuosa, dilatiamo il nostro cuore, ci apriamo anche a cose che prima non ci interessavano e non conoscevamo,

la nostra esistenza si espande, siamo più capaci di accogliere e comprendere la vita.

Rallegratevi

Di motivi di rallegrarci, questo Avvento, ne ha regalati parecchi alla nostra comunità.

Abbiamo celebrato una bella festa per l’anniversario del mio ingresso in parrocchia (ricordo che data la vicinanza del compleanno di don Valeriano, festeggiamo sempre in quell’occasione anche la sua permanenza tra noi da ormai molti anni); vediamo tanti bimbi contenti e tante famiglie del catechismo che partecipano con entusiasmo alla messa delle 10 loro riservata, nonostante i numeri ci travolgano rispetto alle nostre possibilità e ai nostri spazi; inoltre, la Provvidenza – che ha molti nomi concreti – ha permesso di attivarci per rilanciare alcuni gruppi dell’ACR e dei giovanissimi che per vari motivi avevano avuto una battuta d’arresto; i giovani della Zona Pastorale stanno realizzando un bel percorso e l’impegno caritativo della nostra comunità, grazie a persone speciali, è encomiabile.

Infine, io personalmente ho avuto alcuni incontri preziosi, che arricchiscono senz’altro anche la vita di tutta la Parrocchia.

Non angustiatevi

San Paolo, nella seconda lettura, dice anche di “non angustiarsi per nulla” (cf. Fil 4,5).

In realtà, non mancano le angustie. Sono preoccupato per le persone ammalate, che ci mancano e vorremmo che fossero di nuovo presto non solo insieme con noi spiritualmente, ma anche fisicamente. Vogliamo che non si sentano sole e che siano confortate e curate.

Sono inquieto anche perché nella frenesia delle incombenze, non riusciamo a realizzare nemmeno le più necessarie,

come ad esempio rieleggere il Consiglio Pastorale Parrocchiale.

Da ultimo, non nascondo qualche motivo di apprensione per la gestione economico-amministrativa della Parrocchia, che nonostante la competenza e l’aiuto totale del Consiglio Pastorale per gli Affari Economici, rappresenta un pensiero sempre costante.

Regali di Natale

Ho scritto queste cose in condivisione,

perché la Parrocchia è di tutti, è davvero la nostra casa comune.

Tuttavia, mi rendo perfettamente conto che gli stessi motivi per rallegrarsi e le medesime preoccupazioni le ha anche ciascuno e ciascuna di voi, e che tutti potremmo pensare che già è faticoso stare dietro alle nostre cose, non riusciamo a caricarci i pesi gli uni degli altri.

Invece

è proprio a questa reciprocità che penso.

Voglio condividere le vostre gioie e farmi carico delle vostre angustie, e pregare al Signore per ciascuna di esse e per ogni vostra necessità. Desidero che la comunità parrocchiale viva questo in maniera circolare.

In questo modo espanderemo il bene e ce ne sarà in abbondanza per tutti, come se quei famosi cinque pani e due pesci fossero i nostri regali di Natale.

Don Davide




Corpus Domini: il Corpo del Signore

Il Mistero

Cogliamo l’occasione di questa festa per fare amicizia con un aspetto della nostra fede che, per molti versi, rimane un mistero. Possiamo fare delle considerazioni in maniera umile riguardo alla complessa presenza di Dio nel mondo: fra l’essere umano e la divinità si conserva uno spazio impenetrabile. Proviamo così a leggere il mistero del ‘Corpo del Signore’ analogamente al fenomeno fisico della diffrazione della luce, sapendo che rimane una differenza davanti alla quale non c’è che da rimanere in silenzio.

La relazione con Lui

Il principio della relazione con Lui è un incontro, così come continuamente indicato nei vangeli, dove viene manifestato che la relazione con il Risorto è personalevera, nel senso che non è solo frutto di una percezione del soggetto, ma ha una componente oggettiva nel fatto che Gesù si mostra ai suoi discepoli. L’incontro con Lui si verifica per ciascuno di noi nel tempo presente, in questo nostro corpo e, mediante lo Spirito (infatti ‘il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo, 1Cor 6, 19), veniamo condotti e invitati a pienezza fino a dire con Paolo ‘non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’ (Gal 2,20).

La Comunità come corpo

Tutti i battezzati sono poi uniti nel corpo ecclesiale, come dice Gesù: ‘dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro’ (Mt 18,20).
La presenza di Cristo diviene così reale nella comunità, mediante i segni del pane e del vino, il ‘corpo del Signore’ che ci permette di alimentarci del suo Amore. Noi lo crediamo vivo e vero nelle specie più povere e anche più alla nostra portata (come appunto il pane e il vino) per divenire noi stessi pane d’amore per il mondo, allo stesso modo di Cristo.

Nel corpo dei fratelli, dissetandoli, accogliendoli, trovate me

Vi è poi infatti, un ‘corpo del Signore’ più diffuso: ‘tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’. È sempre Gesù che parla in prima persona nel vangelo di Matteo (25,40) invitandoci ad avere cura dei più piccoli della terra, come se fossero lui stesso.

Per lui apriamo il nostro cuore e le nostre vite a chi è in difficoltà e lì ritroviamo anche noi stessi nel meraviglioso mistero del Corpo di Cristo. Siamo esseri personali e comunitari e, nel Risorto, lo saremo in pienezza.

La prospettiva che ci attende è quella di riconoscere ‘Dio tutto in tutti’ (1Cor 15,28). Non tutto si può comprendere, ma si può già pienamente gioire.
Godiamoci, dunque, ciò che ci è stato rivelato: impariamo ad amare noi stessi, a vivere come fratelli nelle nostre comunità, a nutrirci dei sacramenti facendo ‘eucarestia’ e servendo i più piccoli.
Questo significa celebrare  il Corpus Domini.

Anna Maria e Francesco




Connessioni

“Apparvero lingue come di fuoco, che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo” (At 2,3-4).

Perdonate la precisazione, che sembra sottile, ma il testo non ci riferisce di un fuoco (unico) che si divideva in lingue, ma di lingue (molte) che a loro volta si dividevano e si posavano su ciascuno di loro.

Se rappresentiamo visivamente questa immagine, ne viene come una mappa neuronale e questo mi fa pensare che il dono dello Spirito Santo sia come la rete di connessioni del nostro cervello, un prodigio ineguagliabile di perfezione e complessità divina.

Dunque, che cosa significa essere colmati di Spirito Santo?

Non significa essere ripieni come i tortelloni, o con la pancia gonfia perché facciamo una gran mangiata come a Pasqua e a Natale, le altre due solennità più importanti del Cristianesimo.

Significa che siamo connessi con Dio, con gli altri, con la Sorgente dell’Esistenza e il Mistero della Vita che si svela. Siamo connessi come se tutto fosse un grande organismo che respira, prova emozioni, si accende, pensa, compie cose semplici e complessissime all’unisono e con la stessa rapidità con cui noi muoviamo un braccio prima di pensare di farlo.

Il dono dello Spirito Santo è la pienezza delle facoltà di ogni persona nella ricchezza dell’esistenza, per questo chi vive nello Spirito ama, è intimamente felice, è in armonia con il Creato e lo custodisce, e vive legami significativi con le persone.

Il punto di partenza è certamente un regalo, che peraltro non è lasciato all’arbitrio divino, ma ci viene garantito dalla bontà amorevole di Dio: questo dono è precisamente ciò che celebriamo nel giorno di Pentecoste.

Dopo è nostro compito allenarlo, come si allena anche il nostro cervello, imparando l’intelligenza della fede, attivando continuamente gli impulsi dell’amore e costruendo le migliori abitudini per la nostra vita.

Con la celebrazione della Pentecoste nessuna energia spirituale necessaria più ci manca: ora sta a noi procedere speditamente nel nostro cammino.

Don Davide




Desiderio

Alla presenza di Maria Maddalena fuori dal sepolcro il mattino di Pasqua sono associate spesso, nella tradizione cristiana, le parole del Cantico dei Cantici: Il mio amato! L’ho cercato e non l’ho trovato! Dov’è l’amato mio? (cf. Ct 3,1-2)

È un desiderio struggente, che Maria Maddalena – inizialmente – esprime semplicemente come bisogno di rivedere Gesù nella morte, di onorare almeno la sua sepoltura. Sarà poi la voce del Maestro a invitarla a sperimentare qualcosa di più grande, un traguardo inimmaginabile del suo desiderio: riabbracciarlo, saperlo vivo, continuare a vivere l’esistenza con lui.

La Pasqua è caratterizzata da questo desiderio; così, anche il traguardo della resurrezione per ciascuno di noi.

San Paolo, nell’Epistola che si legge durante la Veglia Pasquale, afferma che noi siamo realmente risorti non perché abbiamo già attraversato la morte biologica (“l’ultimo nemico che sarà sconfitto” cf. 1Cor 15,26), ma perché viviamo una vita nuova (cf. Rm 6,4).

Noi possiamo realmente vivere da risorti, e questa possibilità è resa concreta dal desiderio che ci sta davanti.

Il desiderio è una “distanza” non del tutto colmata, ma che ci fa sentire che possiamo vivere qualcosa di buono. Se un desiderio è bello rinforza l’amore, come due innamorati che si corteggiano e si cercano.

La Pasqua si celebra dopo la prima luna piena di Primavera. È legata alla rinascita del tempo e delle stagioni (ricordiamoci che per gli ebrei era il primo mese dell’anno!), al desiderio di uscire dall’Inverno, ma non ancora in un sole pieno di mezzogiorno d’estate. In quel desiderio e primo germoglio di rinascita c’è già tutta la forza della resurrezione.

Associamo a questo desiderio di rinascita, ad esempio, la speranza che la pandemia sia definitivamente superata. Pensiamo: “Chissà se sarà la volta buona?!”. Non è sbagliato. Sappiamo che la Pasqua ha a che fare con questo rinnovamento di tutto il creato, (come si canta nei salmi della Veglia: “Mandi il tuo Spirito Signore e rinnovi la faccia della terra”), e il desiderio che ciò avvenga è esso stesso scritto nei nostri cuori con l’inchiostro della resurrezione.

Ogni anno ci prepariamo alla Pasqua impegnandoci per un incontro più vivo con Gesù, con la speranza che il Vangelo plasmi più significativamente la nostra vita. Ogni anno, se siamo un minimo accoglienti, questa trasformazione accade realmente, per la grazia che scaturisce da questi giorni. La nostra vita si rinnova; il nostro desiderio ci sta ancora davanti, ma celebriamo la Pasqua.

Preghiamo nei giorni santi per tante situazioni che ci stanno a cuore, quelle difficili o speranze belle. È la fiducia nella resurrezione che ci spinge: che qualcosa si sistemi, che una condizione cambi e migliori. Non sono velleità e non siamo smentiti. In questo desiderio, che non è mai completamente realizzato, c’è l’alba della resurrezione.

Il Signore Gesù ci chiamerà oltre. Ci farà vivere, ci farà sentire il suo abbraccio. Con enorme sorpresa ci farà superare soglie che pensavamo mortali.

Lo sentiremo vicino. Anche quando (di nuovo) si sottrarrà ai nostri occhi, non ci sentiremo soli. Seguirà i nostri passi, permettendoci di onorare il dono della vita, fino a che l’ultimo nemico ad essere sconfitto sia la morte.

Don Davide




Nella Passione

Nella Passione secondo Marco, proclamata in questa Domenica delle Palme, si trovano dei versetti inusuali (Mc 14,13-16), in risposta alla domanda dei discepoli che dà inizio agli eventi: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?» (Mc 14,12).

“Pasqua” – che in ebraico significa “passaggio” – diventa anche il termine tecnico dell’agnello che si mangia nella cena pasquale. La Pasqua si “prepara” e si “mangia” con le persone care, quelle che si possono chiamare famiglia, in un senso più esteso di quello dei legami di sangue.

Tuttavia, Gesù dà delle indicazioni enigmatiche. I discepoli, bramosi di compiacere il Maestro, sono invitati a seguire una specie di Caccia al Tesoro o di Gioco dell’Oca, per scoprire che non devono fare proprio niente. C’è inoltre un elemento contradditorio: Gesù dice che sarà loro mostrata «al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta» (Mc 14,15) e che lì dovranno “preparare”. Loro «trovarono come aveva detto e prepararono la Pasqua» (Mc 14,16). Ma cosa prepararono, esattamente, se era tutto già predisposto?!

Sappiamo che i discepoli non faranno bella figura: Giuda ha già deciso di tradirlo, gli altri useranno violenza laddove Gesù si consegnerà con un’arrendevolezza sorprendente e, alla fine, anche il più tenace fuggirà via nudo; Pietro lo rinnegherà; sotto la croce, a usare compassione per il suo cadavere ci saranno altre e altri, ma non loro.

Cosa vuole dirci, allora, l’evangelista, riportando queste direttive così misteriose di Gesù? Esse si rifanno a un gesto profetico delle storie dell’Antico Testamento, che Gesù conosceva bene; sono, cioè, non tanto un’indicazione che Gesù dà ai suoi discepoli, ma un’istruzione spirituale che l’evangelista offre ai suoi lettori, a noi, per capire il presente e sapere come vivere quello che sta per accadere.

Nessuno può presumere di entrare nella Passione.

Dentro la Pasqua puoi solo lasciarti condurre.

Il mistero di quello che accade in questi giorni è talmente grande che puoi accoglierlo solo facendoti guidare, seguendo le tracce di una Presenza che si mostra in maniera evidente, ma ti precede e ti sfugge sempre.

In questi giorni, e in queste celebrazioni, possiamo vedere tutto di quello che viviamo: dagli slanci più belli, ai dolori più grandi, passando per le emozioni più intense. Se siamo sensibili, questa densità ci sovrasta.

La Pasqua, in realtà, non dipende da noi.

La “sala” è a un piano superiore – bisogna salire di livello spirituale – è immensa ed è già pronta.

A ciascuno di noi questi giorni regaleranno una scintilla, quella giusta per la nostra vita di oggi. Ci saranno vari incontri che ci condurranno: qualcuno “previsto”, come i riti; qualcuno sorprendente, come un evento inatteso, una coincidenza, una telefonata, una sorpresa.

L’importante è lasciarsi condurre.

Lì, anche se tutto è già pronto, potremo preparar-ci e cenare con lui, il nostro Maestro e Signore: prima della sua morte e dopo la sua resurrezione.

Don Davide




Il ridicolo sasso e la tenda leggera

Abbiamo talmente impressa nella mente l’immagine del sepolcro aperto, che ci immaginiamo sempre le donne sorprese di fronte a questo segno, all’alba del mattino di Pasqua.

La nostra logica, quindi, funziona spontaneamente pensando a questa sequenza: Gesù risorge e apre il sepolcro per uscire.

Ma non è così.

Matteo, a differenza degli altri tre evangelisti, racconta che quando le donne arrivarono, il sepolcro era ancora chiuso. Solo quando loro si trovano lì davanti un angelo disceso dal cielo rotola via la pietra e vi siede sopra, in segno di trionfo su quel misero ostacolo e quasi di scherno.

FiestraGesù, evidentemente, è già risorto e non poteva essere certo un ridicolo sasso a trattenerlo nel sepolcro, lui che aveva già superato il limite più grande di tutti. La morte, per lui, è poco più di una tenda leggera, che si scosta con un lieve movimento del braccio, e non c’è parete di roccia o altro muro o rifiuto che possa contenere la sua resurrezione, la possibilità che lui ci incontri, dove vuole e quando vuole.

L’unica certezza è che Gesù non è nella morte, tantomeno – figuriamoci – nel sepolcro! Così dice l’angelo: c’è da incontrarlo; noi lo desideriamo e lui salta gli ostacoli e colma le distanze (Mt 28,6-7). Il suo potere non è incatenato.

Davvero, come abbiamo testimoniato più volte, in questi giorni, nulla resiste / a questo vincitore: / egli passa / a porte chiuse / dall’altra parte del muro.

Così, anche se il nostro cuore fosse di pietra, egli salta la dura crosta per toccare la parte morbida: è l’unico capace di farlo. Anche se ci sentiamo peccatori, e abbiamo imparato fin da piccoli che il nostro peccato è un freno all’appuntamento con Dio, scopriamo oggi che questo è vero per noi, ma non per lui. Il giorno di Pasqua ci fa una sorpresa e, con i suoi angeli, ride delle separazioni che dovrebbero impedirgli di farci sentire il suo amore.

Anche se siamo dispiaciuti per tutto quello che ci è mancato in questi giorni, o pieni di paure, Gesù ci viene incontro e ci dice: “Ciao!” (Mt 28,9) come nulla fosse.

Non svilisce le nostre fatiche, ma le rassicura con un saluto.

Dev’essere stata questa l’esperienza di Pietro sulle sponde del Lago di Tiberiade o di Saulo sulla via di Damasco, quando il Risorto li ha incontrati, perdonati e chiamati. Il tradimento, il rifiuto, la distanza… ostacoli che apparivano invalicabili si sono polverizzati di fronte alla forza della sua presenza, sciolti come neve al sole del suo interesse per i discepoli.

Forse è stato pensando a questa esperienza del Risorto, che Paolo – divenuto apostolo – ha potuto scrivere quelle parole magnifiche della lettera ai Romani: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35). Vi consiglio di andare a leggere come prosegue…

Così, siamo rincuorati e consolati. Sappiamo che non sarà nemmeno una pandemia a impedire la nostra esperienza di fede e l’incontro con il Risorto. Lui ci è accanto, in tutti i nostri sforzi a favore della vita.

Sappiamo che si varcherà anche questo ostacolo. E che, nonostante le ferite e attraverso i lutti, torneremo a impegnarci nella nostra responsabilità verso la storia, peccatori perdonati, cuori inteneriti, paurosi divenuti intrepidi, sconsolati entusiasti e discepoli mesti resi felici.

Don Davide




Noi e Gesù

Il nostro vescovo Matteo ha spiegato che le palme e i rami d’ulivo erano le cose più a portata di mano che le folle avevano da sventolare per fare festa e dare onore a Gesù. Non avevano un significato religioso di per sé, anche se poi è rimasta fino ad oggi l’efficacia e la potenza di quei simboli.

Quest’anno non possiamo ripetere la gioiosa processione delle Palme e, per ragioni connesse alle limitazioni di tutte le attività, non abbiamo nemmeno i rami d’ulivo da distribuire.

Pensando che Gesù entra nelle nostre case, come entra a Gerusalemme nell’imminenza delle celebrazioni pasquali, per invitarci a fare Pasqua con lui, voglio figurarmi come lo accoglieremmo noi, oggi, non potendo preparare niente di meglio che quello che abbiamo immediatamente a disposizione.

Immagino che Gesù passi attraversando le nostre case, come se percorresse ad esempio una delle nostre strade, e noi tutti alla finestra per fargli festa. Penso che i bimbi terrebbero in mano un loro pupazzo, e le bimbe una bambola di pezza, quella inseparabile. I più grandini forse si presenterebbero con il pallone da basket in mano o con il nastro della ginnastica ritmica che viene fatto volteggiare, o con la maglietta della propria squadra di calcio preferita. Qualcuno suonerebbe con la chitarra sul balcone della finestra, qualcun altro scatterebbe foto, mi figuro qualche anziana signora che getterebbe fiori al passaggio.

Sono gli oggetti della nostra vita. Su consiglio del Vescovo, usiamo quelli per accogliere una benedizione nella nostra casa e per ricordarci che dobbiamo a tutti i costi celebrare la speranza pasquale.

In questa domenica, nella liturgia, si pone l’accento sulla morte di Gesù e si legge il racconto della sua Passione. In questa narrazione l’evangelista Matteo sembra dirci che si sprofonda in un’esperienza terribile, senza alcuna attenuazione.

Dal momento in cui Gesù è consapevole che un traditore siede alla sua mensa, ne svela la presenza e pare che tutti siano incapaci di reagire, ogni passaggio è segnato da una durezza sempre maggiore. I migliori amici si addormentano nel momento più drammatico di Gesù. Il traditore, lasciato libero di agire, lo consegna con un bacio. Tutti i discepoli scappano, lasciando Gesù solo. I sacerdoti e gli anziani del popolo mentono, sapendo di mentire, e in un crescendo terribile, prima loro, poi Pilato, infine i soldati sfogano su di lui una violenza gratuita.

C’è un passaggio micidiale, in cui persino gli astanti, pii Israeliti, citano un salmo che hanno sicuramente pregato migliaia di volte, sovvertendone completamente il significato. Il salmo è il 22; nella preghiera, il pio israelita ricorda che nel momento del bisogno i malvagi – i nemici – si fanno beffe di lui dicendo: “Si è affidato al Signore, lo liberi se gli vuole bene!”. Quanti abitanti di Gerusalemme avranno trovato conforto, nelle fatiche e nelle delusioni dei loro giorni, in quel salmo! Eppure, vedendo Gesù lo citano come uno sfottò. “E’ proprio come dice il salmo: Si è affidato a Dio, lo liberi lui se gli vuole bene!”. Così, quelli che avevano usato quella preghiera per consolarsi e per affermare la vicinanza del Dio di Israele, lo citano come se legittimasse l’oppressione dell’umile, la presa in giro, e negando l’esistenza del loro Dio! E senza rendersene conto!

Infine, Gesù crocifisso rifiuta la bevanda drogante, per non essere stordito e affrontare tutto il dolore lucidamente. Nel racconto di Matteo (come in quello di Marco) non c’è nessun ladro convertito ad addolcire la scena. Il secondo grido di Gesù, quello che per pudore l’evangelista non ci fa risentire, esprime il dramma dell’abbandono.

Eppure, in tutta questa durezza, leggendo, non si ha l’impressione che il cuore si irrigidisca, ma che si apra. Paradossalmente, sentiamo crescere la tenerezza. Alle domande che sorgono: “Chi è costui che spezza il pane con chi lo tradisce?”; “Chi è costui che accetta che nessuno slancio resista?”; “Chi è costui che è solo, offeso e picchiato e rimane pieno di dignità?” le risposte sfuggono, ma il nostro sguardo si focalizza sul protagonista, su Gesù.

Sentiamo che è lo Spirito che ci parla dell’amore di Dio per lui; è qualcosa di molto più misterioso e vero di quello che noi possiamo semplicemente percepire o afferrare. Veniamo persuasi, senza sapere come, che il salmo si avvererà, che Dio lo libererà, perché gli vuole bene e che libererà anche noi, da tutte le nostre schiavitù, meschinità e durezze, se gli vogliamo bene.

Don Davide




Le sentinelle e il Bambino

C’è qualcosa di più bello della Corona dell’Avvento?

Non penso che, nella sua semplicità, ci sia effettivamente qualcosa di più suggestivo, capace di decorare e allo stesso tempo di richiamare al significato profondo della grande festa del Natale.

Della Corona ne esistono tantissime versioni; quella come la nostra in chiesa, con le quattro candele colorate: viola, rossa, rosa e verde; oppure quella con tutte le candele viola, o tutte rosse, o anche quella con la quinta candela – bianca – al centro. Attorno sempreverdi, o il vischio, o decorazioni a piacere. In chiesa accanto all’altare, come centro tavola, nelle camerette dei bimbi o addirittura nelle vetrine dei negozi… la Corona dell’Avvento è l’ospite attesa e gradita che non manca mai, appena ci si prepara al Natale.

Quando lo sguardo si posa si di essa, subito i significati si svelano.

Quattro candele incoronate: quattro candele regine, perché con la loro umile fiamma cominciano a rischiarare il buio. Esse sono timido, ma tenace presagio del Bambinello, che – improvvisa – farà sfolgorare una luce fortissima. Quel bagliore, però, non ci accecherà come quando qualcuno accende la luce di sorpresa al risveglio, perché i nostri occhi – soprattutto quelli dello spirito – si saranno già abituati a fissare la luce delle quattro sentinelle.

Cosa ci dicono, silenziosamente, queste sentinelle regine? Oggi, nella terza domenica d’Avvento lo possiamo capire, perché risuona nitidamente: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi!” (Is 35,4).

Ogni candela che si accende è un piccolo incoraggiamento, come quando un papà in montagna dice alla sua piccola bimba: “Siamo quasi arrivati…”, anche quando si è appena partiti. Non importa. Quello che conta è l’incoraggiamento per fare tutta la strada, e quando dopo l’ultimo tornante si intravede il rifugio, ancora risuona la voce: “Coraggio, vedi, siamo quasi arrivati!”.

Non a caso la seconda lettura ci invita ad avere costanza… nella speranza, come l’agricoltore che aspetta che la terra produca il frutto. Il versetto più bello di tutto l’Avvento, infatti, dice proprio così: “Stillate cieli dall’alto e le nubi facciano piovere il Giusto. Si apra la terra e germogli il Salvatore” (cf Is 45,8).

Così la nostra Corona d’Avvento è come un fiore luminoso e quando tutte le quattro candele saranno accese, germoglierà presto il Salvatore.

Non c’è dubbio che attendiamo lui, e non c’è possibilità di confondersi. Nessun usurpatore si sognerebbe mai di venire nei panni di un bimbo e di invitarci a disporci… attraverso la piccolezza. Qualunque re importuno vorrebbe magnificenza e gloria, fasto e onori, ma non questo bambino re. Lui trova che siano ottime messaggere le sue sentinelle regine: un po’ di luce, colori che ci ravvivano, il verde della speranza. Tutto facendoci piccoli piccoli, umili, semplificati, senza pretese e senza preoccupazioni, perché in questo regno sorprendente, il più piccolo è considerato grande.

 

Don Davide




Avvento: adorare Dio in spirito e verità

Nel dialogo tra Gesù e la donna samaritana, che ispira l’anno pastorale della Chiesa bolognese, c’è lo scambio famoso in cui Gesù invita ad adorare Dio in spirito e verità.

Questo insegnamento cruciale, può ispirare anche il cammino dell’Avvento.

Adorare Dio

Ci prepariamo alla fesa dell’Incarnazione, caratterizzata da una dimensione umana intensissima: la nascita di un bambino, un’affettuosa scena familiare, la tenerezza, gli affetti più cari, la vicinanza. Nelle dimensioni più umane e proprio attraverso di esse, siamo spinti a riscoprire l’adorazione di Dio. L’Avvento è un tempo umano che ci fa adorare Dio.

Forse, addirittura di più che in Quaresima (in cui l’impegno alla conversione alcune volte ci spinge erroneamente a essere troppo concentrati su noi stessi), in Avvento possiamo esercitarci a orientare l’attenzione su Dio. Lo facciamo fissando un bambino e degli uomini, una stella… e… più in “alto”… Dio. Anche se “il più alto dei cieli” in realtà è proprio sceso qui sulla Terra, nella nostra umanità.

In spirito

Lo spirito richiama la dimensione di un’interiorità bella. In questo tempo di Avvento adoriamo Dio, attraverso lo splendore di cose umanissime, e lo facciamo riscoprendo l’importanza di una sorgente interiore, che significa sosta, raccoglimento e riflessione.

L’invito a prepararci al Natale “in spirito” può essere un argine alla nostra dissipazione e bulimia di cose da fare, che si riflette anche nella pastorale. Nonostante sembri impossibile, per il pensare comune, proprio in questi giorni possiamo vivere più quieti e sereni, più in contatto con noi stessi, assaporando la grazia di Dio che scintilla ovunque.

E in verità

La verità è un argine al nostro eccessivo protagonismo e individualismo. Adorare Dio in spirito e in verità, significa riconoscere che c’è un cammino che non riguarda solo noi, ma che è condiviso e ha dei tratti oggettivi. I più sensibili si preoccupano di prepararsi dignitosamente alla grande festa, ma la Chiesa, nella sua saggezza, offre percorso valido ed efficace per tutti.

La liturgia dell’Avvento, probabilmente meglio che tutti gli altri tempi forti dell’anno, ci aiuta ad avvicinarci al Natale disponendo il cuore e aprendo i pensieri, ci prende per mano e ci fa compiere un itinerario verso la luce.

Don Davide




Tra il popolo e il ladro

Tra “il popolo che sta a vedere” (cf Lc 23,35) e il ladro pentito ci stiamo tutti noi, tutta la chiesa.

Concludiamo un anno (liturgico) che è stato dedicato in gran parte al tema del rinnovamento della chiesa, con l’inizio della riforma delle parrocchie verso le zone pastorali.

In questo processo c’è stata una parte di noi che sono stati o stanno a guardare, qualcuno invece che ha colto l’occasione per un incontro con Gesù, per una conversione.

La Solennità di Cristo Re ci ricorda che noi troviamo salvezza solo in questo ricentrare sempre l’esperienza della nostra vita cristiana su Gesù. Quali che siano gli incarichi, i compiti, l’organizzazione, dobbiamo far sì che queste scelte ci aiutino a focalizzarci meglio su Gesù, a sentirlo vicino e a sentirci amati da lui.

La conclusione dell’anno liturgico è anche la soglia dell’Avvento. Dalla prossima domenica entreremo nel tempo intimo e suggestivo della preparazione al Natale.

Anche nella nostra vita spirituale vale l’esempio del ladro “buono”. Quante volte stiamo a guardare, siamo come spettatori della vita interiore? Non ci impegniamo in essa, non la coltiviamo… non crediamo che sia essenziale! Se guardiamo così… persino la croce di Gesù e anche il messaggio della sua resurrezione ci appariranno sempre poco più di uno spettacolo.

Se invece cogliamo l’occasione di rivolgerci a lui, allora potremo anche fare un bilancio di come abbiamo vissuto questo anno e il nostro tempo. Forse potremo scoprire qualcosa che non ci è piaciuto tanto e vergognarci, magari, di qualche scelta, ma sempre incontreremo la parola di Gesù che ci rinnova e ci salva e che orienta la nostra vita su orizzonti che nemmeno osavamo sperare.

Don Davide