L’Avvento e le tre parole

Papa Francesco, al termine della messa allo stadio di Bologna, ci ha lasciato tre consegne: il Pane, la Parola e i Poveri. Tutti e tre scritti con l’iniziale maiuscola, perché sono i modi in cui il Cristo si rende presente tra noi.

Il cammino della chiesa di Bologna, dopo avere dedicato l’anno del Congresso alla riflessione sul Pane condiviso, si concentra ora sull’ascolto della Parola di Gesù. È una continuazione del percorso precedente, non solo per la successione che ci ha proposto papa Francesco, ma soprattutto perché la parola che continua a suscitare echi, nel nostro cuore, è quella che abbiamo fatto risuonare tante volte nell’anno passato: “Date loro voi stessi, da mangiare!” (Mt 6,37). Dai te stesso! Non fare mancare il tuo contributo. Sei tu, chiamato a essere discepolo. Scopri che nel consumarti c’è la bellezza della risposta alla chiamata all’amore.

I poveri, fortunatamente, sono sempre al centro dell’attenzione e dell’opera del papa e del vescovo, che così danno una testimonianza luminosa alla chiesa e al mondo, e incoraggiano ogni comunità cristiana a fare altrettanto.

Sarebbe bello se fossimo capaci di fare di questo ascolto che ci è chiesto, una vora occasione di rinnovamento, a partire dalla condivisione di quello che la parola di Dio ci ispira. Se fossimo attenti nel sentire cosa Gesù ci dice, avremmo sempre una spinta rivoluzionaria, anche se fossero piccolissime cose, perché avrebbero la potenza di quella trasformazione evangelica che ha scatenato lo Spirito dopo la Pentecoste.

Alla fine di questo anno liturgico, poi, si celebrerà il Sinodo dei Giovani. O meglio: sinodo dei vescovi (che giovani non sono) per pensare ai giovani e dire loro qualcosa di vicino. Ma il papa, nel meraviglioso discorso che ha fatto per indire il Sinodo [cercatelo digitando su Google “Papa sinodo giovani”, ne vale la pena!], dice che invece vuole che si ascoltino i giovani, e tutti i giovani, anche quelli non cattolici e atei… perché sia veramente un Sinodo dei giovani.

Dovendo fare un discernimento del percorso che il papa e il nostro vescovo ci hanno fatto fare fin qui, direi che sono quattro le domande a cui dobbiamo rispondere:

  1. Come dobbiamo trasformare la nostra pastorale per essere chiesa in uscita, e noi stessi discepolimissionari?
  2. Quali scelte dobbiamo fare per essere in aiuto dei poveri operativamente e più di prima?
  3. Come dobbiamo cambiare l’assetto delle nostre parrocchie nel Centro storico?
  4. Quali rivoluzioni dobbiamo accettare perché i giovani tornino a sentire la chiesa vicina e ad esserne parte?

Il tempo di Avvento inizia con un grido: “Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,17). È un grido pieno di nostalgia e di bisogno: un bisogno di speranza quasi disperato per la situazione compromessa del popolo del Signore.

Non ce lo vogliamo nascondere: alcune volte abbiamo la sensazione che anche la nostra esistenza di chiesa sia gravemente compromessa. Contro la tentazione di pensare così, il vescovo ci esorta a credere nella trasformazione del cuore che l’ascolto della parola di Dio può operare, e noi raccogliamo questo invito, con atteggiamento umile e spirito rinnovato, a partire dal dono della parola che il Signore ci fa ogni anno, ogni domenica e ogni giorno, nella liturgia.

Don Davide




Pentecoste

Pentecoste: si compie la rivelazione della Pasqua e si compie, nel vero senso della parola, un lungo e denso cammino che ha riguardato la nostra comunità.

Vale la pena di ripercorrerlo, perché ha coinvolto quasi tutto il tempo liturgico di Pasqua: le Cresime dei nostri ragazzi, la festa della B. V. della Salute con la processione delle “due” Madonne, i due turni delle Prime Comunioni che ci hanno fatto intenerire e la festa di don Valeriano. Senza contare tutto il “prima”: dall’inizio della Quaresima, in stato di nomadismo, per la messa in sicurezza della nostra chiesa principale, è stato davvero un anno pieno.

E anche oggi abbiamo due cammini che si compiono, segnando un traguardo e un nuovo inizio.

Padre Alberto ci saluta, dopo 17 anni di servizio encomiabile nella nostra comunità. La sua disponibilità parla da sola. Ma soprattutto vorrei sottolineare la dedizione alla Confessione, che per molti era diventata un punto di riferimento sicuro nel proprio cammino spirituale. Padre Alberto ha fatto amare e toccare con mano l’esperienza della riconciliazione a tantissimi di noi, e questo è il regalo più grande che ci ha fatto, di cui non lo ringrazieremo mai abbastanza. Il suo percorso con noi finisce, ma inizia un nuovo ministero, ancora più immerso in presa diretta nella vita pastorale, e noi siamo sicuri che lo Spirito continuerà a ravvivare i tanti suoi carismi a servizio della comunità in cui viene mandato.

Oggi si compie anche il percorso di catecumenato di Ylenia Abigàil, che riceve e celebra i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana. Siamo contenti di avere l’onore di accoglierla noi nella Chiesa, attraverso la nostra parrocchia. La gioia di vedere che lo Spirito continua a fare nascere nuovi cristiani è incomparabile. Garantiamo anche a Ylenia la nostra preghiera, e che qui in parrocchia si potrà sentire sempre a casa propria.

L’effusione dello Spirito sulla Chiesa, in questo giorno di Pentecoste, compie spiritualmente anche il cammino del Congresso Eucaristico. Lo Spirito Santo spinse gli apostoli ad uscire dal Cenacolo e a testimoniare Gesù con coraggio e con forza di persuasione. Gli incontri erano diventati un’occasione per la presenza del Regno.

Lo stesso fa lo Spirito con la Chiesa di Bologna oggi e, segnatamente, vogliamo pensare che lo faccia con la nostra parrocchia.

Accogliamo volentieri il dono della pace, con una certa serenità non presuntuosa di avere fatto il nostro lavoro. Ringraziamo il Risorto per la responsabilità di essere una comunità che cerca di riconciliare e di vivere la comunione. Con gratitudine guardiamo indietro e con coraggio avanti, chiedendo ancora la forza e l’entusiasmo per uscire, incontrare e testimoniare.

Don Davide




Le Palme, i mantelli, i tappeti

Mentre Gesù entrava a Gerusalemme, osannato come un re, lo coprivano con rami di palma e lo festeggiavano scuotendo rami di ulivo e stendendo mantelli e tappeti al suo passaggio.

Il vangelo non lo dice mai, ma in quel giorno a ridosso della festa di Pasqua, Gesù deve avere pensato, da buon ebreo osservante, anche ad un’altra festa: quelle delle Capanne, che si celebra molto più avanti, in autunno.

Gli ebrei costruivano capanne con rami di palma e frasche, per ricordare di avere dimorato in capanne, durante il cammino nel deserto, e per celebrare i frutti del raccolto.

Osservando quella folla esultante, Gesù deve avere meditato ancora sulla sua vita itinerante – “il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc) – un cammino di uscita da se stesso per amare ogni uomo e ogni donna. Deve avere ammirato, con una certa tenerezza, gli effetti di un primo raccolto, che aveva conquistato tante persone, anche se lo deve avere guardato con quella benevolenza che si ha con i bimbi, quando ti raccontano un traguardo precario e solo iniziale.

Forse, in quel momento, gli è balenata l’intuizione di un altro itinerario, dentro e fuori Gerusalemme: dalla sera dell’ultima cena, attraverso la veglia nel giardino degli ulivi e la notte dell’arresto, poi di nuovo dentro al pretorio, di fronte a Pilato, e ancora fuori, nel luogo della crocifissione.

Una folla di tutt’altro segno.

Questa è la settimana dei paradossi.

L’uomo che fa il suo esodo non più nel deserto, ma nella città, e il Dio che viene espulso dal Santuario; l’ “Osanna” e il “Crocifiggilo!”; il Figlio di Dio rifiutato e il “figlio del Padre” (= Bar-abba) redento; l’offerta di sé e la paura; la flagellazione e l’Ecce Homo; la morte e la vita; la notte delle tenebre che risplende come luce.

Entrando a Gerusalemme, Gesù, in realtà, inaugurava la festa di Pasqua, la festa che ricordava l’immolazione dell’agnello e il passaggio del Mar Rosso. Gesù vi entra come Re, per finirvi come Agnello.

In questo abissale e mesto gioco di paradossi, la grande festa cristiana ci ricorda che in un mondo pieno di contraddizioni, dove ancora si fanno le guerre e si uccidono i bambini, nonostante tutto e sempre, con una tenacia irreversibile, noi desideriamo allargare gli spazi dell’amore e servire la vita con gioia pacificata.

 

Don Davide




Corpus Domini. Pane e vino

La liturgia in cui tradizionalmente si celebra in modo particolare la grazia dell’Eucaristia, ricorda l’episodio di Melchisedek, che compare fugacemente nel racconto biblico, come simbolo di Cristo. La caratteristica di questa figura è che la sua offerta è semplice: pane e vino, come segni di ciò che è essenziale per vivere (pane) e per rendere gioiosa la vita (vino).

La solennità del Corpus Domini, che una volta esprimeva la fede della chiesa con una certa sfarzosità, oggi ci richiama piuttosto a questo essenziale-per-vivere. Di che cosa abbiamo bisogno realmente? Di nutrirci, perché il nostro organismo cresca; di curarci quando si ammala e di tenerlo un po’ allenato perché il corpo si irrobustisca. Poi abbiamo bisogno di amore, di sentirci protetti e di poter essere istruiti, per dare ricchezza anche al nostro animo. Infine abbiamo bisogno di sentirci utili, di sapere che la nostra vita ha un senso e che la nostra presenza è preziosa.

Lo stesso vale certamente anche per la vita dello Spirito in noi. Se non ci nutriamo degli insegnamenti di Gesù non possiamo crescere e affrontare con sapienza le responsabilità della vita. Se non ci curiamo con la misericordia, le malattie rischiano di infettare il nostro organismo. Se non ci alleniamo con la preghiera, il nostro spirito rimane flaccido, come un corpo senza muscoli. La comunità cristiana è il luogo dove concretamente sperimentiamo l’amore di Dio che ci protegge, e dove possiamo essere istruiti per conoscere meglio Gesù. Infine abbiamo il compito di capire qual è la nostra vocazione, quale sia il nostro compito nel mondo, perché non manchi alla costruzione del regno di Dio il nostro prezioso contributo.

Gesù invita i suoi discepoli, di fronte al bisogno di nutrimento delle folle, di essere loro stessi a provvedere da mangiare. Suona come un grande incoraggiamento, a ciascuno di noi, affinché celebrando la solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, noi possiamo essere richiamati a ciò che conta veramente, e allo stesso tempo fare di tutto perché a nessuno manchi ciò che è essenziale, non solo materialmente, ma anche spiritualmente.

Devo dire che in questo giorni ho visto questo impegno, sia in occasione dei sacramenti dei nostri ragazzi, sia in occasione dell’organizzazione della festa della parrocchia: ho visto tante persone, catechisti, ragazzi e volontari dare il proprio servizio e il proprio tempo, perché questo Corpo di Cristo che è la Chiesa possa essere un luogo pieno di vita per tutti, e noi dobbiamo esserne riconsocenti.

Don Davide