Come in una foto di montagna

Nell’atto supremo di Dio di superare l’indifferenziazione e di mettere l’essere umano in relazione, lui – il Creatore – stabilisce un movimento. La relazione viene creata dal lato (la famosa “costola”), ma è pensata e voluta da Dio per essere frontale (quello che viene tradotto correttamente “un aiuto che gli corrispondesse” ho una dimensione di frontalità: “un aiuto che gli stia di fronte”).

Quando le cose vanno bene, insieme, si inizia che ci si sente accanto ed è una bella sensazione. Ci si sente vicini nel cammino, si va nella stessa direzione. Sembra tutto perfetto: cosa volere di più?

La sapienza biblica suggerisce che, da quella posizione, dobbiamo raggiungere una postura frontale.

Guardarsi negli occhi, infatti, è più difficile: può essere più intimo, ma anche più imbarazzante. Può farci sentire ancora più vicini, ma anche smascherare tutte le nostre vulnerabilità.

Poi l’immagine di camminare uno di fronte all’altro è contro-intuitiva. Ci vorrebbe un atto di fiducia, di uno che si lascia guidare senza vedere dove mette i piedi, e sarebbe necessario darsi il cambio, ogni tanto, o alla guida o nella direzione.

Infine, una persona che mi sta di fronte io la posso vedere meglio. Posso accorgermi se piange, anche quando cerca di trattenere le lacrime; leggo le sue emozioni sul volto e sperimento che è un essere altro da me, a cui non posso passare sopra, che non posso assimilare.

Tutte queste cose, stando solo di fianco, non le sperimento, anche se inizialmente sembra una posizione bellissima.

Così mi sento di invitare le coppie di tutte le età ad esercitarsi a stare di fronte e a capire cosa significa creare quello spazio tra noi che ci separa e allo stesso tempo ci unisce, permettendoci di vivere come soggetti e di stare in una dimensione di vera comunione.

Allo stesso modo, esorto tutti noi (me compreso) a camminare a fianco delle persone, come Gesù con i discepoli di Emmaus, ma poi anche di fare il movimento di giungere in posizione frontale, di guardarci negli occhi, di riconoscerci, ringraziarci, accettarci, fidarci e valorizzarci, magari anche di sedere a tavola in uno di quei piccoli tavoli da osteria, in cui si sta di fronte e si parla fitti fitti, come immagino abbia fatto Gesù, ad Emmaus, entrato in casa con i suoi amici.

Mi auguro che nella nostra comunità sappiamo camminare di fianco per arrivare di fronte,

riconoscere i nostri volti e capire che è bello guardare l’orizzonte aperto, ma in questo caso, è più bello se in quest’orizzonte ci sei anche tu, come in una foto ricordo in montagna.

Don Davide




Scrivo a voi

Dopo la “Letterina pastorale” di domenica scorsa, scrivo a voi, catechiste, educatrici e educatori dei gruppi, coordinatrici e coordinatori del gruppo giovani.

Oggi la comunità vi affida il “Mandato”: non ne avreste bisogno, perché lo avete già in virtù del vostro Battesimo. Avete risposto a una chiamata personale non di don Davide, non della parrocchia, ma di Gesù stesso che gradisce avervi in questo servizio.

Tuttavia, celebrando questo “Mandato”, la comunità esprime in realtà un gesto di gratitudine: riconosce il vostro impegno, rende grazie per il vostro servizio, prega affinché possiate farlo con letizia e semplicità di cuore, e si impegna a starvi accanto perché possiate farlo con dignità e bene.

Il “Mandato” quindi, non serve tanto a voi, quanto piuttosto a noi

– a tutta la comunità – per valorizzare quello che fate.

Spesso, in questo ultimo periodo, mi sono fermato a considerare la preziosità del vostro gesto collettivo, o – come direbbero preferibilmente Chiara e Ilaria – “di squadra”. L’essenza di questo gesto è la testimonianza di Gesù risorto, la trasmissione della fede.

In ogni pensiero, azione e sorriso rivolti ai bimbi; in ogni ascolto dei ragazzi e dei giovani,

in ogni battuta con loro, in ogni complicità, siamo portati a quell’istante in cui Maria Maddalena si è sentita chiamata per nome e ha capito che chi le stava parlando al cuore non era uno straniero, ma Gesù, Gesù risorto, ed è andata a dirlo ai discepoli, che a loro volta l’hanno detto agli amici, che l’hanno detto al popolo.

Così la fede, in mille modi misteriosi, è arrivata fino a noi.

Questa trasmissione ci educa a una gratuità e a una larghezza di cuore stupenda. Spesso non sappiamo neanche noi quale traccia lasciamo nella vita delle persone, ma non conta: sappiamo che questo tesoro è conservato in cielo.

Perciò mi permetto di affidare a ciascuna e ciascuno di voi due consigli, ispirati alle parole di Paolo ai Colossesi (3,23-24): “Qualunque cosa facciate, fatela di cuore, come per il Signore e non per gli uomini. Servite a Cristo Signore”.

Fatela di cuore: cioè, metteteci la vostra autenticità e la vostra sensibilità, non ripetete formule o metodi, ma abbiate slancio e passione, entusiasmo e creatività. E se sentite che non riuscite più a farlo “di cuore”, parliamone: può darsi che ci sia qualche problema da risolvere o qualche cosa da correggere insieme, oppure che siete semplicemente stanche/i e basta un po’ di riposo.

Poi fatela per il Signore, non per gli uomini: pensate di mettere il meglio di voi stessi per lui. Con le persone, anche con le migliori intenzioni, ci può essere qualche malinteso, qualche incomprensione e qualche fatica. Gesù non delude, è garbato, ci incoraggia, sa l’impegno che ci mettete ed è pronto a darvi sempre la carica.

Servire a lui, a Gesù, è lo zelo che non ci fa stancare, è l’amore che non ci rende servili, è l’energia che ci ricarica, è la cosa più importante e soddisfacente di quello che facciamo.

A questo punto, non avreste nemmeno bisogno del nostro grazie, perché siete concentrati su Gesù… ma noi ve lo diciamo lo stesso:

Grazie per quello che fate, soprattutto perché mettete le vostre energie per la trasmissione della fede tra le nuove generazioni.

Don Davide




Essere casa

Ospite la speranza

“Anche voi venite edificati come pietre vive, per un edificio spirituale” (1Pt 2,5)

Oggi voglio scrivervi una lettera pastorale, un messaggio personale, cioè, in cui espongo quali sono i riferimenti per il cammino di questo anno. Siccome prevedo di essere preso in giro da chi dirà che “studio da vescovo”, allora dichiaro che questa, in realtà, è una cosa più umile, è una “letterina”: una letterina pastorale, ecco.

Sapete che da più di un anno la nostra chiesa di S. Maria della Carità è in restauro. Era partito come una ristrutturazione esclusivamente strutturale dei danni causati dal terremoto del 2012, ma in corso d’opera ci si è resi conto che non poteva essere così, quindi si è trasformato in un intervento molto importante, non totale, ma quasi.

Sento, perciò, che questo processo non può rimanere una cosa limitata all’intervento dei tecnici, dell’impresa, del parroco, della segreteria e di chi ci aiuta per la gestione concreta.

Sono convinto che il restauro della chiesa, e la sua restituzione alla parrocchia, al quartiere e alla città deve essere un’impresa di tutta la comunità,

un traguardo verso cui ci sentiamo partecipi senza nessuna esclusione.

Voglio dare a questo anno pastorale il tema di “Essere casa”,

perché tutti dobbiamo sentirci partecipi di questa casa, come dice la citazione che ho messo all’inizio, infatti, ognuno di noi è una pietra viva, che viene costruita per un edificio spirituale.

All’edificio di mattoni, deve corrispondere la ri-costruzione del nostro edificio spirituale,

anch’esso in restauro dopo gli anni del Covid, dopo altri due anni in cui non abbiamo avuto gli spazi della chiesa principale, per ritornare a essere una comunità ospitale per tutti.

La speranza deve essere ospitata in questa casa o, meglio, deve essere ospitata, ma anche padrona di casa, perché il prossimo anno siamo invitati, attraverso il Giubileo, a essere “Pellegrini di speranza”. Il pellegrinaggio è un cammino pieno di fede che ha una meta, e questa meta, per noi, è proprio la bellezza di poter tornare a celebrare nella nostra chiesa principale come una comunità ricostituita.

Il nostro Vescovo, infine, ci invita a concentrare l’impegno pastorale sulla formazione alla vita e alla fede degli adulti e credo che il nostro modo di concretizzare questo mandato sia proprio quello di essere pietre vive.

Dobbiamo aiutarci ad esserlo e sentirne la responsabilità: pietre vive e partecipi, pietre che hanno un cuore di carne e non un cuore di pietra.

E tu che pietra sei in questa comunità?

Ci mettiamo quindi in cammino col desiderio di accogliere questi suggerimenti e di essere una comunità partecipe e attiva in questo anno pastorale.

Don Davide




Appuntamento all’alba

«…e dopo tre giorni, risorgere». Gesù faceva questo discorso apertamente. (Gv 8,31-32)

Nel vangelo esigente di questa domenica, ci si concentra spesso sull’annuncio della Passione di Gesù e su quell’invito difficilissimo a «rinnegare se stessi» (Mc 8,34). Ma ci sono alcune sfumature, che ci aiutano ad avere un altro sguardo, luminoso. Gesù insegna che «Il Figlio dell’Uomo doveva soffrire» (Mc 8,31). «Doveva»: vuole dire che la passione di Gesù, insieme a tutte le nostre croci, fanno purtroppo parte della storia ferita dell’umanità. Non è volontà di Dio, ma Dio sa che gli uomini sono inclini a farsi del male e a fare del male, basta guardare la storia delle guerre, che da sempre insanguinano il mondo.

Ogni passione è raccolta nella Passione di Gesù. Quindi, ogni passione è destinata alla resurrezione.

Non dobbiamo mai dimenticarci di questa nota di Gesù: «e dopo tre giorni risorgere». Lui fa questo discorso apertamente, perché siamo sempre testimoni del passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà, dal peccato alla grazia, dalla sofferenza al riscatto.

La Creazione è impressa nello stampo della Pasqua

Per dare speranza alle notti, Gesù ci fa guardare le albe delle resurrezioni.

Penso, ad esempio, alla scuola e all’università che ripartono. Quante cose belle si preparano?! Quali passaggi compiranno gli e le studenti? Quali traguardi raggiungeranno?

Penso alle sofferenze che andranno affrontate, per essere trasfigurate e continuare ad affermare il dono e la gratitudine per la vita. Quante pasque ci attendono?

«Rinnegare se stessi» non significa mortificare l’esistenza.

Al contrario, è il dono abilitante di Gesù, che ci dà la forza di opporci alle inclinazioni mortifere e di essere portatori di vita.

In questo anno pastorale, chiediamo la grazia di vivere così: uomini e donne che si danno appuntamento per guardare l’alba insieme e svegliare l’aurora (cf. Sal 108,3), un’aurora del colore della speranza.

Don Davide




Nascita

Maria della Carità, Maria della Grada…

La nostra comunità ha necessariamente a che fare con Maria, e in una maniera tenera e sorprendente. Come si dice in gergo tecnico, infatti, la “titolare” della chiesa della Carità è l’Immacolata, ossia S. Maria della Carità si celebra l’8 dicembre. Invece la “titolare” della chiesa della Grada è la Natività di Maria, ossia la Beata Vergine della Grada si celebra l’8 settembre.

Dal concepimento di Maria alla sua nascita, questo periodo speciale per le coppie che diventano genitori e unico per ogni mamma abbraccia la nostra comunità, nel simbolo delle sue chiese.

Penso a quando in una famiglia si comunica l’attesa di un figlio:

all’inizio si dice alle persone più vicine, quelle davvero intime. Poi si divulga la notizia e una comunità allargata viene coinvolta in questo tempo sospeso, pieno di trepidazione, che addolcisce tutti.

In questa domenica, quindi, celebriamo la Nascita di Maria e la festa della chiesina della Grada.

Quando nasce una bimba, tutto viene adattato ai ritmi di questa nuova vita.

Cresce infinitamente il senso della responsabilità, la dedizione, il sacrificio. Quando ci si vuole bene, la cerchia famigliare aiuta, si rende presente, non manca occasione di offrire la propria presenza con la piccola. Allo stesso modo,

la nascita di Maria ci invita ad adattare i nostri ritmi alla compagnia di questa sorellina,

che è anche una ragazza, una donna, un’amica e una madre per tutti noi. Adattare i ritmi alla sua presenza in mezzo a noi, pregarla, sentire la responsabilità che ci chiede, la dedizione alla carità che scaturisce dal rapporto con lei, lo spirito di sacrificio in favore della comunità. Oppure, semplicemente, stare un po’ con lei, come si fa quando c’è una piccolina che cattura l’attenzione e si gode beati della sua presenza.

Anche per questo, abbiamo la possibilità di pregare un po’ di più davanti a lei.

In questo anno pastorale, a partire dalla fine di settembre, sposteremo la messa del lunedì alla sera, alle 19, preceduta come anche il giovedì, dal rosario e dai vespri. Per il martedì e il mercoledì stiamo pensando ad alcuni momenti, per tenere aperta la chiesa. Il primo venerdì del mese c’è l’adorazione.

Invito tutti, ma proprio tutti e tutte, a organizzarsi per cogliere ogni tanto l’occasione di pregare in uno di questi momenti.

Per ciascuno il più adatto, ognuno secondo le sue disponibilità di tempo. Anche ai giovani dico: educatevi a pregare, date spazio a questa dimensione dello spirito!

Quest’estate ho passato qualche giorno in compagnia di una famiglia dove c’era una bimba piccola. Le ragazze più giovani, appena sveglie, andavano a cercarla e ogni momento era buono per coccolarla e giocare un po’ con lei.

“Una sorella piccola noi abbiamo” (Ct 8,8):

festeggiamo il compleanno di Maria sentendo la forza di attrazione che esercita su di noi, la sua dolcezza che ci modella, ci plasma e ci trasforma rendendo più lieve l’impegno e più gioioso il tempo passato insieme.

Don Davide




La Trinità col grembiule

La Trinità è una questione di intimità.

Noi tutti abbiamo un grandissimo desiderio di intimità. In fondo, l’amore stesso è questo: desiderio di intimità.

Dio che si svela vuole esaudire e soddisfare questo bisogno di intimità e di appartenenza. Ci ama, è lieto di stare con noi, si intrattiene alla nostra presenza.

Ci apre la porta della sua stanza segreta e ci rende partecipi del suo amore, della sua storia.

È vertiginoso parlare di Trinità e storia.

Eppure, invitandoci nella sua stanza, ci mostra le foto di quando ha costruito la casa in cui abitiamo, di quando ha visitato Abramo nel deserto e ha poi fermato il suo braccio su Isacco, di quando ha parlato a Mosè nel roveto, lo ha accompagnato nella colonna di fuoco e di fumo, ha inciso il cammino sulle tavole di pietra. C’è una foto stupenda di lui, grande e onnipotente, mascherato da angelo, con una piccola, ma tenace ragazza di Nazareth. Ci parla poi del battesimo del Figlio, delle sue nozze con l’umanità e dello Spirito Santo che faceva da testimone e che dopo, conquistava tutti i suoi amici. Ci racconta la sofferenza di quando suo Figlio è stato incompreso, offeso, bullizzato e ferito, e lo sgomento di quando era stato perduto nella morte, e della gioia incontenibile di quando poi è stato ritrovato nella potenza dello Spirito della vita.

In un’altra parete, vediamo le immagini dei suoi viaggi, non solo nel mondo, ma attraverso il tempo. Lo vediamo sempre con abiti diversi, alla moda, insieme a tanti amici famosi e a tante persone sconosciute. Ecco una foto con Agostino di Ippona, mentre gli sussurra “Tolle et lege!”, e quella con Francesco d’Assisi, quando gli spiega chi vale la pena servire. Eccolo che guida la penna di Caterina da Siena e mentre fa due chiacchiere con Teresa d’Avila. Mi piace quella in cui è chino su Martin Luther King mentre dorme e gli ispira un sogno, che è anche il suo. Per non parlare di quando suggerisce a Papa Giovanni XXIII in persona: “Indici un Concilio e parla di pace”. Ci sarebbe stato ancora il mondo, se non gli avesse dato questo suggerimento?

Ma quelle che mi piacciono di più, a dire il vero, sono le foto in cui è accanto al soldato semplice prima della battaglia, o alla nutrice che accudisce un bimbo non suo. E quella bellissima immagine con la ragazza che lavava i pavimenti nella sala del re, e anche quella mentre spinge il carrello della spesa di fianco a quella donna con due gemelli in braccio.

E che dire, ancora, di quella in cui è vestito da infermiere, e di quella in cui fa l’insegnante in una scuola del Pakistan? E quella in cui muove di nascosto la mano dell’artista o aggiunge un pizzico di lievito all’impasto del fornaio?!

Forse, tra tutte, scelgo proprio questa: quella di Dio col grembiule del panettiere, un po’ infarinato, mentre modella la pasta del mondo.

L’ingrediente segreto è la sua determinazione di portare avanti il mondo e la storia attraverso l’amore e tutte le sue fioriture.

Capisco che, riguardo alla Trinità, non c’è tantissimo da capire, o meglio c’è troppo, davvero “troppissimo”. Meglio abbandonare l’impresa e godersi la contemplazione.

Ogni tanto, spero, tornerò a visitare questa stanza.

Nel resto del tempo saprò che questo amico, Dio, ha anche lui – come tutti noi – un suo spazio sacro, un luogo dell’intimità, una sorgente dell’amore, in cui ogni tanto è bene ritornare e sostare.

Don Davide




Timore del Signore

C’è un moto ellittico che si chiude con l’ultimo dei doni dello Spirito Santo, che ruotano attorno al Sole di Dio come i pianeti.

Il primo è la Sapienza, l’ultimo il Timore del Signore. Abbiamo ricordato all’inizio il principio cardine di tutta la meditazione biblica sapienziale: “Principio della sapienza è il timore del Signore” ed ecco che, una volta giunti alla fine di queste meditazioni, tutto riparte con nuovo slancio dal Timore del Signore, che genera la Sapienza e apre ancora lo spazio nella nostra vita per accogliere lo Spirito Santo, che vuole prendere sempre più dimora in noi.

In quanto dono dello Spirito Santo, il Timore del Signore non è una facoltà solamente umana, ma letteralmente un dono di Dio, una cosa che l’uomo non può darsi da solo e senza la quale non potrebbe mai vivere la stessa qualità dell’incontro con Dio.

Già solo parlare di “incontro con Dio” dovrebbe farci venire le vertigini. Nella Bibbia siamo frequentemente ammoniti sul mantenere consapevolmente la distanza qualitativa fra Dio e noi: chi vede o tocca Dio, muore, ci dice l’Antico Testamento. Chi potrebbe trattare con Dio, senza venire meno?

Al catechismo veniamo istruiti con attenzione sul fatto che il “timore” non è la paura di Dio, il che è giusto quando semplifichiamo le cose per i fanciulli. Ma in un certo senso, il Timor di Dio è proprio anche la paura di Dio, la consapevolezza che Dio è altro da noi, e terribile, e veramente onnipotente. O meglio,

il Timore di Dio è quel dono che ci fa tenere insieme la paura che dovremmo avere, e la meraviglia che effettivamente abbiamo,

nello scoprire l’indicibile condiscendenza di Dio con la quale lui si spoglia della divinità che potrebbe e dovrebbe consumarci e avvicina se stesso e noi.

Infatti Mosè e i profeti sono stati graziati dopo l’incontro con lui. I pastori e i Re Magi hanno contemplato Dio nelle spoglie di un infante piccolo e innocuo. Le donne lo hanno visto morire come noi. L’apostolo Giovanni scrive di avere visto, udito e toccato il Verbo della Vita.

Il Timore di Dio è una facoltà spirituale anti vertigine.

È quel dono speciale, che l’uomo da solo non potrebbe darsi, di tenere insieme la consapevolezza della grandezza di Dio e della piccolezza con cui si avvicina a noi, di concepire in uno sguardo la distanza e la vicinanza, la sua autorità di giudice e il suo amore di padre misericordioso, la durezza che lo legittimerebbe e la tenerezza con cui si legittima realmente.

Come lo stupore è considerato l’inizio della filosofia, così il Timore di Dio può essere considerato il principio della vita spirituale, quando noi attoniti e grati gli domandiamo: “Che cos’è l’uomo, perché te ne curi?!”.

Don Davide




Pietà

La Pietà è il sentimento religioso autentico, l’amore per Dio infuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo. È l’amore di Dio in noi, che rende possibile per noi amare Dio.

In questo senso, la Pietà è davvero il dono per eccellenza. Una cosa che non ci possiamo dare, senza la quale non potremmo mai essere capaci di fare una cosa indispensabile. Stiamo vedendo, infatti, che i doni dello Spirito Santo sono energie che ci abilitano, quando riceviamo l’effusione dello Spirito.

Queste sono anche le parole di Gesù: “Riceverete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi…” (At 1,8).

Il cammino di questo tempo pasquale ci prepara alla Pentecoste, facendo crescere nella nostra interiorità il desiderio di Dio.

Ci sono tre caratteristiche che rivelano il dono della Pietà, e lo distinguono da una falsa religiosità, che frequentemente si insinua e contamina la nostra vita di credenti.

La prima è la comunione. Non c’è vera dimensione religiosa che non abbia a cuore la custodia e la crescita della comunione. Il Diavolo divide, mentre lo Spirito crea la sintonia degli spiriti.

Ognuno e ognuna di noi ha una grazia specifica per aiutare, con i propri carismi, la comunione ecclesiale.

Quando generiamo divisione, puntiamo il dito e siamo autoreferenziali invece che pensare all’edificazione, allora in noi non opera il dono della Pietà, ma una vaga religiosità che non potrà mai esprimere l’amore per Dio ispirato dall’amore di lui in noi.

La seconda è la compassione. La vera Pietà si riconosce quando c’è compassione umana. Il dono della Pietà, infatti, slancia i sentimenti del cuore verso il cielo, ma i sensi del corpo verso la terra. Non si può stare solo lì “a guardare il cielo” (At 1,11). C’è un’umanità quanto mai bisognosa.

Come scriveva meravigliosamente Etty Hillesum: “Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite”.

“Nessuno – infatti – può amare Dio che non vede, se non ama il proprio fratello che vede” (1Gv 4,20).

La terza, infine, è l’affidamento. La Pietà esprime una vita veramente affidata, oseremmo dire consegnata al Padre, come nella bellissima preghiera di fr. Charles de Foucauld: “Padre mio, mi abbandono a te”. È questo il senso delle parole forti di Gesù: “Scacciare demòni, parlare lingue nuove, incantare i serpenti, neutralizzare i veleni e operare guarigioni”.

Significa vivere in un affidamento a Dio talmente consegnato e umile, da accedere alla sua potenza.

La Pietà, in definitiva, è il dono che forse più di ogni altro esprime la vita divina in noi.

Don Davide




Scienza

Le leggi spirituali di tutto ciò che esiste

Comprendiamo il dono della Scienza attraverso un’analogia proprio con la mentalità scientifica.

Il dono della scienza non è quello di Einstein, di Edison, di Cury o di Montalcini. Non è che dopo la Cresima diventiamo tutti scienziati (anche se a qualche studente farebbe bene, per fare meglio i compiti di matematica, di fisica o di biologia) e non basta dire la preghiera allo Spirito Santo per inventare la formula risolutiva della Teoria del Tutto.

Tuttavia, il dono della Scienza, analogamente a quanto accade nel metodo scientifico, ci rende “empirici” nella vita spirituale, cioè capaci di sperimentare. Ossia, ci permette di riconoscere il Signore risorto quando noi, come i discepoli, inizialmente non ci accorgiamo di lui, anche se è davanti al nostro naso. Oppure ci fa vedere l’amore dove è presente e il bene quando accade, e ci aiuta ad avere la giusta misura quando ci lamentiamo ma, se mettessimo sul piatto della bilancia le cose positive e quelle negative, vedremmo che il piatto penderebbe comunque dalla parte del bene.

In termini ancora più precisi, il dono della Scienza è quello che ci aiuta a fare una vera «esperienza» spirituale.

Seguendo le letture di questa domenica, possiamo vedere perfettamente il dono della Scienza dove si manifesta: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone…” (At 10,34). Sto rendendomi conto: se fosse espresso in termini scientifici di oggi, Pietro avrebbe detto: “In base a ripetute osservazioni, ho registrato (o «isolato») questo fenomeno…”

E ancora: “I fedeli si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo” (At 10,45). Ma guarda un po’! Le nostre teorie erano diverse, invece al dato sperimentale, lo Spirito Santo fa poi quel che vuole!

E infine: “Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua, questi che hanno ricevuto come nei lo Spirito Santo?” (At 10,47). In altri termini: se la medicina funziona e non ha effetti collaterali, usiamola!

Rimaniamo ancora più stupiti quando procediamo nell’ascolto della parola di Dio: “Chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio” (1Gv 4,7). Qui l’autore della Prima lettera di Giovanni trae non un sillogismo teorico, ma una conseguenza pratica basata sul principio di causa effetto: Dio è amore, se uno ama, è stato generato da Dio e lo conosce (anche se non dovesse conoscerlo ancora «esplicitamente»). Anche questo principio è più incisivo delle teorie e corrisponde più concretamente alla realtà. Come afferma papa Francesco: la realtà è più grande dell’idea (cf. EG).

Infine, come i veri scienziati, che traggono dai loro esperimenti e dalle loro osservazioni una descrizione della realtà: “Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

Il dono della Scienza ci permette di dire qual è la realtà che conta più di ogni altra: l’amore.

Ancora una volta, come gli scienziati contemporanei riconoscono nella fisica quantistica la trama più profonda della realtà che riesce ad essere osservata (fino ad oggi), una trama per di più “relazionale”, così il dono della Scienza ci aiuta a riconoscere l’amore come la particella elementare, il tessuto di relazioni e la struttura più profonda di tutto ciò che esiste.

Don Davide




Messa 25 aprile

INTRODUZIONE ALLA MESSA 

Celebriamo questa messa per ringraziare del dono del Vangelo, per la fine della guerra e la Liberazione del nostro paese e per la pace. 

Lo facciamo in pieno spirito di partecipazione alla Festa del nostro Paese, e anche alla festa molto sentita che si svolge qui nel nostro quartiere. 

Lo facciamo, soprattutto, in comunione con la Chiesa di Bologna e con la Chiesa italiana attraverso il Cardinale Arcivescovo Matteo Zuppi, che in questo giorno è presso la diocesi di Alba a celebrare nella messa il ricordo di padre Giuseppe Girotti, domenicano, inserito tra i martiri del nostro tempo nell’elenco della Comunità di Sant’Egidio. 

Il 25 aprile 2020 il nostro vescovo ha dichiarato nel suo discorso: 

“Il 25 aprile è una ricorrenza che ha corso il rischio di essere vissuta come una festa di parte, a volte retorica; al contrario, non dobbiamo dimenticare che è la festa di tutti e celebra i valori fondanti del nostro Paese. Dobbiamo essere grati, infatti, a quella generazione che ha vissuto la guerra e combattuto per la Liberazione, perché ci ha regalato la Costituzione e 75 anni di pace. (…) 

Lo spirito della Costituzione è un regalo sofferto e dolorosissimo, ma che ci consegna una visione dello Stato e della politica in grado di unire persone e pensieri anche molto diversi tra loro. Questa è un’eredità preziosissima che è per tutti, questo comune sentire, capace di unire idealità diverse per il bene del nostro Paese e di superare le parti è ciò che ci unisce e rappresenta un’enorme ricchezza perché in grado di dire e dare ancora moltissimo. 

Gli appuntamenti della città degli uomini sono quelli che uniscono tutti. (…) Ricorrenze come la fine della guerra e la Liberazione dell’Italia e dell’Europa dal nazifascismo sono davvero importanti, perché tutti vi si possono riconoscere. (…) 

Credo che il mondo cattolico debba fare uno sforzo perché, dal Vangelo e dalla sua pratica, scaturisca una cultura che spieghi la realtà in cui viviamo e sappia accrescere una conoscenza e una comprensione più profonde e umane del reale. L’odio e il razzismo, che altro non sono che forme di paganesimo emergono quando il cattolicesimo è più debole.”. 

In questo contesto, ricordiamo anche l’Azione Cattolica nazionale che nella giornata di oggi è stata a Roma a incontrare il papa, e soprattutto gli aderenti della nostra parrocchia, un bel gruppo numeroso di giovani che sono andati, e che nei prossimi giorni faranno qualche giorno di ritiro a Spello. 

Preghiamo insieme a loro e anche per loro, perché come abbiamo ascoltato dalle parole del Cardinale, l’impegno cristiano e cattolico plasmi una cultura davvero buona ed evangelica. 

Con queste considerazioni iniziali, chiediamo perdono per tutte le volte che non abbiamo assunto o rispettato la nostra responsabilità di cristiani nel mondo. 

 

OMELIA

C’è un forte invito alla vigilanza in queste letture, come se non si potesse celebrare la festa di un evangelista senza essere attenti, sobri. Non c’è vangelo dove non si resiste, saldi nella fede, al leone ruggente che vuole divorare le vite. Non c’è possibilità di annunciare il vangelo della vita e del bene se non si sorveglia sulla possibilità che il male prenda piede e dilaghi e divori tutto.

Come sappiamo bene, a Bologna c’è un luogo simbolo del martirio di preti, dei religiosi e delle religiose e delle comunità che erano con loro, a Marzabotto – Montesole. Da molti decenni, ormai, quel luogo è stato riconquistato alla pace, alla preghiera e alla riconciliazione, in una parola al Vangelo, per opera dei monaci e delle monache di don Giuseppe Dossetti e per volontà della Chiesa di Bologna.

La festa liturgica di un evangelista, la festa civile della Liberazione e l’esempio della nostra storia locale ci insegnano che, perché non si ripetano più simili orrori, bisogna vigilare da lontano, perché il leone ruggente, il nemico, il Diavolo, sempre va in giro cercando chi divorare, ed è un attimo che si ceda sul discernimento evangelico.

Penso alla fatica della vigilanza, quando sorgevano il messianismo nazista e le promesse fasciste. La difficoltà di fare discernimento, la fatica di capire dove stava il giusto e lo sbagliato, i gangli del potere, il sacrificio di prendere posizione.

Oggi ricordiamo tante persone divorate dalla furia di quel leone, ma possiamo ricordare ad esempio i giovani della Rosa Bianca, che avevano la lucidità di chiamare Hitler “il Diavolo” e “Satana” nei loro volantini, quando tutti lo acclamavano come condottiero, o alla cosiddetta Chiesa Confessante, che rifiutò gli accomodamenti col potere e nel suo memorabile manifesto dichiarò che di Messia e Salvatore c’era solo Gesù Cristo, il Crocifisso Risorto.

Pensando alla vigilanza, oggi che l’Azione Cattolica italiana è stata in udienza da Papa Francesco, voglio ricordare Tina Anselmi: convinta iscritta all’Azione Cattolica, antifascista per scelta, membra della Resistenza in seguito ad essere stata costretta ad assistere a un rastrellamento, staffetta partigiana, impegnata attivamente perché dopo la Liberazione non ci fossero regolamenti di conti, fiera credente, prima donna Ministra della Repubblica. Nel suo secondo incarico come Ministra, quando era Ministra della Sanità, fu approvata la Legge Istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. La vigilanza su questo tesoro nazionale che tutto il mondo ci invidia è un modo per evitare che il leone ruggente si insinui, ad esempio nella discriminazione tra la salute dei poveri e quella dei ricchi.

Dunque, si festeggia la Liberazione per vigilare affinché gli orrori delle dittature del passato non si ripetano. E i cristiani sanno che non possono annunciare il Vangelo se non impegnandosi molto perché anche gli orrori delle molte dittature di oggi cessino immediatamente.

Agiamo sapendo che Dio resiste ai superbi (1Pt 5,6), come recita la prima lettura, facendo eco alle parole di Maria nel Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,51-52).

Oggi, in Italia, ricordiamo il rovesciamento del potere nazista e fascista, e la vittoria di chi ha creduto nella possibilità di superare quella situazione: la guerra, l’usurpazione e l’orrore. Sembrava una lotta troppo umile, fatta di sacrifici militari, di nascondigli e staffette in bicicletta ma alla fine ha avuto la meglio.

Purtroppo sappiamo che non è stato tutto condotto nel bene. Ci sono stati altri crimini, vendette, regolamenti di conti. C’è stato chi si è approfittato dei vuoti di potere e della mancanza di controllo per dare sfogo a una violenza altrettanto crudele e ingiusta. Per questo bisogna vigilare sempre, ed evitare che si ripetano le condizioni per simili disastri strutturali, che poi sono faticosissimi da ricucire nel bene, nell’ordine e nella giustizia.

La Repubblica che ne è uscita e la nostra Costituzione repubblicana sono antifasciste e fondate sull’antifascismo.

Dossetti, che ho ricordato prima, ammoniva che “fascismo è ogni forma di potere che usurpa, discrimina e priva della libertà”. Esiste un fascismo di destra e lo abbiamo tristemente conosciuto. Ma esistono anche un fascismo di sinistra, un fascismo delle idee, un fascismo ecclesiastico, religioso e valoriale. E ancora, un fascismo delle parole, un fascismo degli atteggiamenti e un fascismo nello stile della convivenza.

Purtroppo ci sono ancora tantissimi di questi fascismi qui e in giro per il mondo e tutti questi fascismi generano violenza e rovina.

Per tutti questi fratelli sparsi nel mondo, Gesù ci invita ad annunciare il Vangelo. “Proclamare il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15) non significa principalmente fare catechesi o proselitismo. Significa offrire soprattutto con l’esempio un messaggio e uno stile che è un’incudine contro tutte le logiche mondane: la privazione della libertà, il potere, la ricchezza, la violenza, la discriminazione, l’egoismo, la mancanza di rispetto e la negazione della convivenza. “Proclamare il vangelo” significa agire attivamente perché trionfi la pace e perché tutte le passioni e le croci del mondo, cioè le torture e le morti procurate, siano definitivamente sconfitte.

Gesù parla di segni chiari, che distinguono chi agisce nel suo nome dai falsi profeti: scacciare i demone del potere e i suoi inganni, che potrebbero sedurre tutti, anche ciascuno di noi, perché non ne siamo immuni; parlare una lingua non violenta (pensate quanto fascismo c’è nelle nostre parole); anticipare i morsi del Serpente con la vigilanza, come si diceva prima e, infine, permette ai cristiani e alla Chiesa, quando sono stati contaminati da qualcuno di questi veleni, di avere l’antidoto nella conversione.

Più di ogni altra cosa, quindi, rimane vero che noi annunziamo Cristo crocifisso, vera sapienza di Dio. Quando guardiamo al Crocifisso, capiamo che – se lo amiamo – possiamo solo metterci accanto a tutti i crocifissi della storia, che sono suoi fratelli e sorelle, per annunciare a loro la resurrezione e a tutti (gli altri e noi stessi) la possibilità di conversione e di redenzione.

 

PREGHIERE DEI FEDELI

Lettore: Preghiamo insieme dicendo: ASCOLTACI, SIGNORE GESÙ. 

  1. Per la Chiesa, perché sia testimone autentica della resurrezione di Gesù, soprattutto operando concretamente per il riscatto delle vite oppresse e proponendo la conversione e la riconciliazione dei cuori. Preghiamo.
  2. Perché noi siamo artefici di pace, con gesti coraggiosi e costruttivi, nelle scelte e nelle parole, nell’impegno sociale, civile e politico e nella solidarietà. Preghiamo. 
  3. Perché apprezziamo il dono della libertà, sappiamo custodirlo, condividerlo e consegnarlo alle nuove generazioni, senza tradirlo con le superficialità e le ideologie. Preghiamo. 
  4. Per tutti coloro che portiamo nella preghiera, per la Diocesi di Venezia che celebra il suo patrono, per chi si è affidato alla nostra preghiera, per chi soffre e chi vogliamo ricordare con affetto: perché tutti possano sentire il conforto dello Spirito e la speranza che viene dal Vangelo. Preghiamo. 

Don Davide: Ricordiamo ora alcuni sacerdoti, a nome di tutti, martiri della violenza nazifascista, con una breve nota biografica: 

Lettore: 

Don Giovanni Minzoni 

Coraggioso, dialogante, diede vita a progetti per i poveri, anziani, giovani e favorì il cooperativismo. Invece di trasformare i bambini della parrocchia in balilla scelse di farne gruppo scout, quando questi insieme a tutte le associazioni venivano chiuse dalle leggi fasciste. Per questi e altri motivi venne in odio ai fascisti e fu ucciso a bastonate il 23 agosto 1923 dagli squadristi agli ordini della milizia di Italo Balbo. 

Don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo 

Furono tra le vittime della prima strage nazifascista in Italia, a Boves. Si adoperarono per la salvezza del paese. Negoziarono con successo la restituzione di due soldati tedeschi catturati da partigiani, ma ciò non servì a salvare il paese che venne incendiato. Anche loro vennero entrambi trucidati e bruciati. Morirono il 19 settembre 1943. 

 Don Giuseppe Beotti 

Aiutò ebrei, partigiani, soldati e feriti a mettersi in salvo e pagò col sangue la decisione di non abbandonare i suoi parrocchiani ai rastrellamenti nazifascisti. Morì il 20 luglio 1944 fucilato facendosi il segno della croce e stringendo il breviario in mano. 

 Padre Giuseppe Girotti 

Padre Giuseppe Girotti venne arrestato da un repubblichino che fingendosi un partigiano gli chiese aiuto. Da tempo aveva iniziato a nascondere e medicare i partigiani e ad aiutare gli ebrei a fuggire. Caduto nella trappola, venne poi consegnato ai nazisti inviato a Dachau. Consumato dal freddo, sporcizia e tifo, fu portato in infermeria e ucciso da un’iniezione di benzina il primo aprile 1945. 

 Padre Placido Cortese 

Padre Placido Cortese fu torturato per giorni interi. Nonostante le atroci torture non rivelò mai i nomi di ex soldati, partigiani, ebrei che aveva aiutato. Morì il 15 novembre 1944 per l’esasperazione dei suoi aguzzini che decisero infine di ucciderlo sparandogli. 

 Don Giuseppe Borea 

Partigiano della Divisione “Val d’Arda” fu catturato dai fascisti e condannato a morte. Davanti al plotone di esecuzione rifiutò sedia e benda e gridò “Offro la mia vita per la pace e la grandezza della Patria”, poi, toltosi il mantello, gridò: “Viva Gesù, Viva Maria, Viva l’Italia.” Colpito da otto pallottole, don Borea fu finito con un colpo alla nuca. 

Tra i tanti, ricordiamo ancora 

  • Don Francesco Delnevo 
  • Don Natale Monticello 
  • Don Pasquino Borghi 
  • Don Giuseppe Morosini 
  • Don Mario Pappagallo 
  • Don Giuseppe Rossi 
  • Don Ernesto Camurati.  

Sono quasi 400 i sacerdoti diocesani e religiosi torturati e uccisi di cui ricordiamo oggi il sacrificio e il martirio. 

Ricordiamo anche i presbiteri che, scampati alla fucilazione, hanno potuto raccontare la loro esperienza partigiana nella Resistenza, testimoniando i valori che campeggiano nella Costituzione repubblicana: 

  • Don Primo Mazzolari 
  • Don Angelo Cocconelli 
  • Don Giulio Malaguti 

Per tutti loro preghiamo. Ascoltaci, Signore Gesù! 

Don Davide