Avrete forza dallo Spirito Santo

“Finalmente, Signore! È questo il tempo in cui rimetti a posto le cose? In cui si torna a messa senza mascherina, il catechismo riprende con migliaia di bambini, facciamo l’ER e i campi… ci abbracciamo e ci baciamo!”

“Ma, veramente… – obietta il Signore – io non ho detto questo!

Delusione dei discepoli. “Cavoli, ci avevamo sperato!” esclamano schioccando le dita.

“Quello che vi posso dire – dice il Risorto – è che vi sarà data la forza: sì avrete forza dallo Spirito Santo che vi sosterrà e vi aiuterà ad essere miei discepoli e testimoni anche in questa situazione che continua ad essere complicata.”

Ho riadattato questo dialogo tra i discepoli e Gesù, prima della sua ascensione, immaginandolo contemporaneo.

È un giorno di festa, questo, e strano, perché torniamo a celebrare insieme la Pasqua della settimana dopo quasi tre mesi. Non ci rendiamo mai abbastanza conto di cosa questo abbia significato e di cosa comporterà per il futuro. Basti pensare che dal tempo delle persecuzioni in poi, non era mai accaduto che non si potesse celebrate l’Eucaristia insieme.

È inutile fare finta di niente. Le nostre comunità ne escono e ne usciranno ferite. Al di là della retorica di una certa resilienza, questo fatto avrà conseguenze sulla vita della chiesa nei prossimi anni.

Il grande impianto della chiesa in occidente, che già scricchiolava in molti modi, è parso crollare da un giorno all’altro insieme a quello del mondo.

Tutto chiuso.

E anche adesso che qualcosa sta riaprendo… Come faremo? Le assemblee, le feste, gli incontri, gli abbracci, la vita insieme… Che ne sarà?

Spirito“Tranquilli! – siamo tentati di dire noi, come i discepoli – Ecco è passato! È questo il tempo in cui il Signore ricostituirà il suo regno!”. Il suo regno, che in realtà è il nostro regno, il nostro modo di pensare, sono le sicurezze dei discepoli.

Ma Gesù ci dice: “Tranquilli sì, non perché sarete confermati nelle vostre certezze rassicuranti, ma perché se scegliete di aprirvi allo Spirito, allora scoprirete orizzonti più ampi. Io intanto vin garantisco di esservi vicino, di stare con voi, anche di consolarvi, quando ne avrete bisogno. Per il resto, forse, bisogna accettare che appaiano altre urgenze, altri bisogni su cui riedificare la chiesa e ricostruire la nostra pastorale.”

Oggi abbiamo ripreso o riprenderemo a celebrare la Domenica insieme. Considerato questo sconquassamento, ho sentito l’esigenza di intervenire in modo vistoso sulla liturgia, soprattutto perché i testi possano esprimere il vissuto. Questo non è stato un tradimento della sublimità liturgica, ma lo sforzo di prendere sul serio la presenza concreta del popolo nella celebrazione. Come dirò anche a messa, per adesso vorrei esservi vicino e dirvi una parola affettuosa e di incoraggiamento, come fanno un papà o una mamma, semplicemente, dopo che i figli hanno passato un brutto spavento.

Il peggio magari è alle spalle, ma c’è come un’ombra lunga di quell’inquietudine, e quindi il bisogno di sentirsi garantiti in uno spazio dove si possa tornare sereni.

Don Davide




La fede e la vita

Concludiamo, con questa domenica, l’itinerario pasquale prima delle due grandi feste che chiudono questo tempo di grazia: l’Ascensione (domenica 24 maggio) e Pentecoste (domenica 31 maggio).

I testi della liturgia si aprono con il diacono Filippo che predica la parola di Dio e le folle che ci vengono descritte come unanimi nell’ascolto, perché vedono i segni che accompagnano l’annuncio di Filippo.

Sostiamo su questi due particolari: la coerenza persuasiva di Filippo e le folle unanimi.

Filippo era un uomo noto e stimato, per questo era stato scelto come diacono per il servizio alle mense. Tuttavia, il racconto degli Atti ce lo mostra tutto dedito all’annuncio del vangelo. Proprio per la “coerenza” che lo caratterizza, non abbiamo alcun motivo per pensare che non si sia dedicato al servizio di carità. Anzi, dobbiamo credere che proprio quel servizio fa parte dei “segni” che tutti vedono e ammirano e da esso viene – quasi come forza intrinseca – la necessità di annunciare Gesù.

Questo discorso di Filippo, il suo stile, mette tutti d’accordo. È la migliore concretizzazione dell’invito nella seconda lettura ad essere pronti a rendere ragione della speranza cristiana, con uno stile inoppugnabile.

Domani riprenderanno le messe. Abbiamo vissuto tutta la Quaresima e quasi tutto il tempo di Pasqua senza la celebrazione dell’Eucaristia, ma non senza vivere e testimoniare la nostra fede in molti modi. Ritornare a messa domani (lunedì 18) non può certo essere un “riprendere da dove ci eravamo lasciati”, come se nulla fosse successo.

A me sembra che proprio questa lezione che impariamo dall’esempio di Filippo ci possa aiutare. Tornare a messa è la conseguenza delle nostre azioni, coerenti con la nostra fede. In questo tempo ci abbiamo messo tutta la carità possibile, non da soli e insieme a tanti altri fratelli e sorelle. Ma questo avere partecipato alla crisi del mondo ci fa sentire ancora più l’urgenza di ascoltare la Parola di Dio insieme, di esprimere il frutto della terra, della vite e del nostro lavoro, di annunciare la Pasqua del Signore finché egli venga. La fede che ha sempre i piedi ben piantati nella vita e la vita che sbocca spontaneamente nell’espressione della fede sono per noi due poli inscindibili. Fede e vita, vita e fede. Sempre insieme o accanto a tutti gli uomini e le donne che desiderano considerarsi fratelli e sorelle, o amici. Il collante di tutto è l’amore.

L’amore che per noi cristiani ha la forma concreta dei sentieri che Gesù ci indica. In essi noi riconosciamo di non essere orfani di indicazioni, al contrario, riscopriamo di avere un Padre amorevole e buono, un papà con cui abbiamo un ottimo rapporto, che ci indica le vie della vita.

Don Davide

fede e vita




Molti posti

Nella “casa del Padre” – dice Gesù – c’è un sacco di posto, che bello! Lì non ci sarà distanziamento fisico che tenga: ci staremo tutti, senza problemi! Ma… poi… ci sarà il “fisico” in cielo? A quanto pare sì, un fisico trasfigurato, ma reale: quello di Gesù che, risorto, mangiava con i suoi discepoli sulle sponde del lago.

StadioLo hanno chiamato (lo abbiamo tutti chiamato) “distanziamento sociale” e anche solo questa piccola nota dovrebbe renderci avveduti della crisi in cui siamo sprofondati! Macché distanziamento sociale! Il distanziamento è stato solo fisico e guai a chi vorrebbe latentemente proporre – quasi come un messaggio subliminale – la frammentazione della società. Il nome più antico del Diavolo, ci insegna Gesù, è Divisore e Menzognero.

Nella “casa del Padre” niente distanza, di nessun tipo! Anzi, dove è Gesù, lì saremo anche noi, come se ci tenesse in braccio, come sue pecorelle.

In questi giorni, questa consapevolezza è la base su cui risuona l’invito di Gesù a “non essere turbati”. Ce ne sarebbero parecchie di ragioni per essere turbati, almeno per me: in primis l’idea di tornare a celebrare la messa, che è fatta di carne e di sangue, in una distanza fisica forzata.

Ma voglio dare credito alla parola di Gesù, non voglio che il mio cuore sia turbato. Desidero avere fede in Dio e fiducia in Gesù, che “nella casa del Padre” c’è posto e la possibilità di essere vicini per tutti. E so che la “casa del Padre” non sarà solo il Cielo, il Paradiso, ma è già oggi quell’edificio spirituale costruito dai legami d’affetto, dalla comunione di intenti, dalla stessa partecipazione alle fatiche di tanti fratelli e sorelle nella fede e non solo, di tanti uomini e donne di buona volontà.

Non sappiamo davvero quale sia la strada: non lo sappiamo per la nostra pastorale, non lo sappiamo riguardo al convivere sociale, non lo sappiamo ancora negli aspetti sanitari.

Il Vangelo ancora una volta ci conferma che non è un problema drammatico essere disorientati e non individuare la meta lontana. Possiamo pensare a Gesù, guardare il suo volto, fare riferimento a lui. Possiamo chiederci: cosa farebbe Gesù qui al mio posto? Quale passo muoverebbe lui, in questo cammino così urgente che devo percorrere? Che scelta percorrerebbe lui, con la sua mitezza, il suo amore, la sua saggezza?

Dobbiamo ancorarci con una certa dose di umiltà e di immediatezza alla sua parola, proprio alla parola di Gesù viva che risuona in quella scritta del Vangelo ed è per questo che vorrei, nei prossimi mesi, suscitare dei piccoli gruppi informali che si trovino a leggere il vangelo per qualche minuto, nei cortili della parrocchia o delle case, per lasciarci guidare da lui. Torneremo su questa possibilità.

Ora, desidero consegnarvi queste righe bellissime, scritte da San Giovanni Crisostomo, che mettendo insieme la certezza di essere chiesa anche “in pochi”, l’unione spirituale che varca i numeri esigui a cui siamo costretti, il tesoro della Parola di Dio e –

– la presenza accanto a noi del Risorto, compendia tutti i motivi per cui non dobbiamo davvero lasciarci turbare:

“Non senti il Signore che dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? (Mt 18, 20). E non sarà presente là dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità? Mi appoggio forse sulle mie forze? No, perché ho il suo pegno, ho con me la sua parola: questa è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo è sconvolto, ho tra le mani la sua Scrittura, leggo la sua parola. Essa è la mia sicurezza e la mia difesa. Egli dice: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20)”.

Don Davide




Rinascere dell’alto

“Ripartire” o “essere rigenerati”?

Si parla ovunque di “ripartenza” dopo i mesi di chiusura totale a causa della fase acuta della pandemia. All’inizio dell’emergenza sanitaria, nel silenzio surreale delle città e con ritmi improvvisamente lentissimi (eccetto che per il personale sanitario e tutti coloro che tenevano aperte le attività emergenziali), si vagheggiava un “ritorno” diverso, più umano, più rispettoso degli affetti, di uno stile di vita sano e della natura. Si facevano propositi e proclami e si esprimeva il desiderio che questa esperienza, nonostante il dramma e attraverso esso, ci cambiasse.

Ora, vicino al traguardo, prevale solo la frenesia della ripartenza. Comprensibilmente, per la grave situazione lavorativa ed economica che il fermo ha comportato. Nonostante siano apparsi lunghissimi, tre mesi sono troppo pochi per permettere un reale ripensamento e una riorganizzazione dei nostri stili di vita. Pare che il mondo “economico” difficilmente possa fare diverso.

Questo linguaggio della “ripartenza” circola anche a livello ecclesiale: si riparte con le messe e ci si organizza per ripartire come si può con qualche attività pastorale. Una tale assunzione acritica manifesta il rischio dell’appiattimento della Chiesa sulla dimensione secolarizzata dell’esistenza. Sembra che il nostro problema sia quello di un certo attivismo, la preoccupazione di fare, spesso ammantata dalle migliori intenzioni, ma come un soggetto tra gli altri nel palcoscenico del mondo.

Ma come è possibile immaginare di “ripartire” dopo tre mesi che non celebriamo la messa con il popolo, e che abbiamo saltato le celebrazioni di Pasqua, come se potessimo riprendere semplicemente dal punto in cui eravamo rimasti?

La liturgia del tempo di Pasqua insiste su un altro tipo di linguaggio: quello di “rinascere dall’alto” nel famoso dialogo di Nicodemo, autorevole membro del sinedrio, e Gesù (Gv 3,1-21). Il colloquio avviene “di notte” (Gv 3,2), che è un simbolo eloquente della pandemia. Durante questa notte, Gesù dice senza mezzi termini che bisogna “rinascere dall’alto” (Gv 3,3), essere rigenerati dalla riscoperta di un’esistenza cristiana autentica. Quest’esperienza spirituale è l’unica che può dare una chiave di lettura non secolarizzata, non appiattita sulle dinamiche mondane e non preoccupata di scimmiottare la frenesia del fare.

Gesù afferma che chi vive nella disponibilità a farsi rigenerare spiritualmente viene verso la luce, come se ritornasse in superficie dopo essere sprofondato nelle acque della notte, e in questo modo le sue opere saranno luminose, piene di senso ed efficaci.

Certo, dobbiamo ripartire, ma soprattutto con la docilità di farci rigenerare dallo Spirito. Perché l’esperienza che tutti abbiamo vissuto è stata troppo assurda e dolorosa per non capire che non basta la buona volontà umana, ma che abbiamo bisogno di rinascere dall’alto. Senza questo, la nostra ripartenza sarebbe troppo ferita e claudicante. Se invece accogliamo il dono di Dio, allora potremo vivere da risorti, trasfigurati come Gesù le cui ferite restano, ma non fanno più male.

Don Davide




Natale è vicino…

Natale è vicinissimo.

Raccogliamo qualche breve indicazione per vivere bene e spiritualmente la festa.

UNA BUONA CONFESSIONE

Fate una buona Confessione. Raccoglietevi qualche minuto in preghiera silenziosa e pensate all’arco di tempo che volete considerare, poi rispondetevi a queste domande:

  • Per quali cose/motivi voglio ringraziare il Signore in questo tempo? (Attenzione, valgono le piccole cose, come le grandi!).
  • Tenendo in mente queste cose belle, a che cosa il Signore mi chiama? (Forse a migliorare in un atteggiamento? Forse a radicarmi in qualche virtù? Forse a vivere la carità?)
  • Dov’è che non ho risposto con amore a queste chiamate? Quello che individuo, può essere oggetto della mia confessione.

SPERIMENTATE L’AMORE DI GESÙ

Sentitevi amati dalla Parola di Dio. In che senso “amati dalla Parola di Dio”, non si dovrebbe dire piuttosto “amate la Parola di Dio”? No no, vuole dire proprio così: amati dalla Parola di Dio! Prendetevi cioè, un piccolo momento di sosta prima della grande festa e… (lo so, lo so… bisogna preparare i tortellini, e l’arrosto… e il centro tavola….), dicevo: prendetevi un momento di sosta (stabilite con precisione quanto: 5 minuti, 10 o quello che volete. L’importante è che siate precisi nelle intenzioni!) e pregate su una pagina del vangelo che vi è cara. Il racconto della nascita di Gesù è perfetto per l’occasione, se volete. Non sforzatevi di capire di più, di studiare il testo, di fare una particolare meditazione. Cercate solo di soffermarvi su qualche punto in cui la parola risuona con la vostra vita, attraverso cui molto semplicemente vi sentite confortati, amati e incoraggiati ai sentimenti migliori. Lasciate che questa consolazione spirituale vi penetri e riempia tutto il vostro essere. Quando concluderete questa preghiera, scoprirete che tutto sembra avere una nuova armonia.

UN GESTO DI CARITÀ

Scegliete un gesto di carità. Quando andate a fare la spesa per le feste, potreste scegliere di fare un po’ di spesa anche per chi è povero; oppure fermarvi da una persona che chiede l’elemosina e chiedergli come si chiama, scambiare due parole e magari offrirgli la colazione condividendola con lui, oppure un buon toast caldo. Oppure potreste andare a trovare quella persona sola del vostro condominio, o fare un gesto generoso e inatteso per qualcuno. È un modo per rendere di più il nostro cuore di carne e per fare risuonare quel bellissimo consiglio che, fin dalla prima riunione degli apostoli, è rimasto come un criterio assoluto e imprescindibile: “Solo li pregammo di non dimenticarsi dei poveri.”

Buon Natale!

Don Davide




L’amicizia che ci lega nel Vangelo

Abbiamo da poco celebrato la Solennità di tutti i Santi che ci ha aiutato a ricordare che i santi sono coloro che, con la loro vita, hanno voluto dissetare la sete di Dio.

Dio aveva sete di uomini e donne che, nei primi decenni dopo la resurrezione di Gesù, testimoniassero questo evento che ha cambiato la storia del mondo. Dio aveva sete di studiosi colti che traducessero nella grande cultura dei primi secoli il messaggio cristiano. Dio aveva sete di sognatori che immaginassero e mettessero in pratica la vita evangelica nella maniera più fedele possibile. Dio ha avuto sete di profeti che nei cambiamenti del mondo avessero lo zelo per continuare ad annunciare il nome di Cristo. Dio ha avuto sete di persone che si prendessero cura dei poveri, e ha suscitato i grandi santi della carità. Ancora oggi, e sempre, Dio ha sete di uomini e donne che portino la speranza nel mondo e siano un segno dell’Amore, che abbraccia tutti.

Con questa meravigliosa schiera di santi noi viviamo in amicizia. La solennità è un modo di ricordare la comunione che ci lega.

Ora, noi vogliamo che questa celebrazione ci aiuti a vivere ancora più intensamente i legami spirituali che legano noi, chiesa in cammino nel mondo, e tutti quelli che vorremmo vicini.

È per questo che ci prepariamo a vivere la II Festa dell’Incontro, domenica 17 novembre, un momento di fraternità insieme alle tante persone a cui come parrocchia siamo vicini per sostenerle e per vivere l’amicizia.

Ci prepareremo, prendendo spunto dalla memoria di uno dei grandi santi della carità: San Martino. Il giorno di San Martino, cioè l’11 novembre, durante la messa delle 19, al posto dell’omelia, commenteremo il messaggio del papa per la Festa dell’Incontro, il quale messaggio sarà distribuito a tutti, la domenica precedente.

Chiediamo la grazia di vivere la santità non soltanto come impegno morale, ma come esperienza piacevole di comunione, che ci avvicina gli uni gli altri e ci aiuta a camminare verso il vangelo.

Don Davide




Celebrare i funerali, onorare i morti

Nella celebre tragedia di Sofocle, Antigone va incontro alla morte perché decide di dare sepoltura al fratello Polinice, contro il parere del re Creonte. In uno dei passaggi Antigone afferma che questa cosa è così buona e giusta che sarà valsa la pena farla e morirne.

La vicenda di Antigone ha un omologo anche nella storia di Tobia, uno dei libri della Bibbia, dove tutta la vicenda narrativa ha inizio proprio dalla decisione di Tobi (il padre di Tobia) di andare a seppellire i morti contro l’editto del re.

In entrambi i casi, i re volevano impedire la sepoltura in spregio all’umanità dei loro nemici, al contrario Antigone e Tobi risultano i grandi difensori della dignità di ogni individuo.

Fin dalle radici della nostra cultura, dunque, è iscritta nell’animo umano la consapevolezza della necessità di dare dignitosa sepoltura ai morti. È un obbligo morale che non dipende nemmeno dalle leggi esteriori; direbbe il grande filosofo Kant che è un imperativo categorico, qualcosa che decide se un atto è umano oppure no.

La scorsa estate sono andato a visitare il sacrario militare dei tedeschi al Passo della Futa. Concettualmente, è una cosa sbalorditiva. Agli inizi degli anni ’60 (quindi ad appena quindici anni dalla guerra) il governo tedesco e quello italiano trovarono un accordo, affinché la Germania potesse dare dignitosa sepoltura a tutti i propri morti in queste terre, e l’Italia, così facendo, esprimesse uno dei più grandi gesti di pace immaginabile, affermando la dignità anche del nemico, con le ferite aperte che la situazione degli ultimi anni di guerra avevano e hanno ancora lasciato.

Io vedo uno dei segnali più evidenti e gravi di declino della nostra cultura (almeno qui in Italia nell’orizzonte che riesco a prendere in considerazione) proprio nella trascuratezza con cui si affronta il tema del saluto a una persona cara defunta, della celebrazione del funerale e della sepoltura dei morti.

Ultimamente, in occasione della celebrazione dei funerali, mi è capitato più volte che qualcuno tirasse dritto sotto il portico passando tra me e il carro funebre, mentre io dicevo le preghiere di accoglienza o di congedo del defunto, disinteressandosi di quello che si stava facendo e in spregio al rispetto per il defunto stesso (e i suoi famigliari).

Il rispetto della morte, evidentemente, vale meno che deviare il proprio tragitto e allungarlo di dieci metri.

Dopo avere pazientato in un paio di occasioni, una volta mi sono permesso di chiedere a una signora di passare dall’altra parte. Questa donna mi ha risposto: “Con calma, eh! Basta dirlo!”. Ma proprio in questa risposta io ravviso il segno della rovina: non ci dovrebbe nemmeno essere il bisogno di dirlo!

Inoltre, sempre più frequentemente, in parrocchia dobbiamo registrare con grande tristezza che i parenti dei defunti non organizzano loro il funerale. Le frasi ricorrenti sono: “Facciamo una cosa veloce…” o “Diamo solo una benedizione in camera mortuaria…”

Accade anche che la parrocchia non sia avvisata nella circostanza della morte di qualche persona che è stata molto vicina alla comunità e che ha amato la chiesa.

In occasione della Commemorazione dei fedeli defunti spero che ci aiutiamo a recuperare il senso della dignità della morte e del rispetto dei defunti, e che possiamo essere un piccolo segno per invertire queste tendenze abominevoli e barbariche. Ci vuole l’impegno di tutti e una luminosa testimonianza della fede nel Signore Risorto!

Don Davide




Amministrare i beni di Dio

La domenica di oggi ci propone la controversa parabola del cosiddetto “amministratore infedele”. A ben vedere, quest’ennesima storia magistrale inventata da Gesù non è complicata come sembra e il suo protagonista è tutt’altro che infedele.

Egli, infatti, viene colto nell’accusa di essere uno che sperpera i beni del suo padrone, molto ricco. A questa sentenza senza appello, segue il suo cambiamento, una vera e propria conversione. Egli si mette (finalmente) a fare davvero l’amministratore, facilitando, rimettendo i debiti, esercitando la benevolenza. Ci si aspetterebbe una dura reazione del ricco datore di lavoro, una causa intentata ai danni del suo ex collaboratore, invece quell’uomo loda il suo amministratore. È come se gli dicesse: “Oh, finalmente ti sei messo a fare l’amministratore come si deve!”.

Noi pensiamo subito a questioni economiche, al profitto e alle regole della giustizia umana, ma a Gesù non interessa nulla di queste cose. Lui vuole dire che per tutti noi, amministrare i suoi beni e non sperperarli significa riflettere la sua benevolenza, rimettere i peccati, perdonare, riconciliare, amare, aiutare, custodire, alleggerire i pesi.

All’inizio di questo anno pastorale, dunque, siamo ammoniti di non sciupare i beni del ricco Signore che è Dio. Essi sono la vita delle persone, le storie di ogni uomo e ogni donna che a lui sono cari, le lotte per il bene, i cammini di conversione, gli sforzi di amare nonostante tutto. Dio non tollera la nostra superficialità pastorale, lo sperpero delle risorse umane e spirituali, la banalizzazione del nostro impegno e la sprovvedutezza delle scelte.

Ma quando accettiamo che il suo richiamo giunga ai nostri orecchi e invece di impermalosirci o ritenere di avere fatto tutto bene lasciamo che ci converta, allora siamo spinti verso le persone che lui ci ha affidate. C’è un popolo numeroso che ha bisogno di cure e di interventi per alleggerire i pesi, sentire l’amore gratuito del Padre e fare esperienza di riconciliazione.

Questo significa essere buoni amministratori della multiforme grazia di Dio: essere al servizio dei beni di Dio, dei suoi tesori, che sono – in fondo – i cuori e le vite delle persone.

Don Davide




“Discepolimissionari” dello Spirito

La solennità di Pentecoste porta a compimento quest’anno intensissimo per la Chiesa di Bologna, che è stato proprio guidato dal desiderio di lasciarci ispirare e condurre dallo Spirito Santo per rendere la nostra Chiesa sempre più conforme alla volontà di Dio. 

Il vescovo ci aveva affidato l’icona della Pentecoste per rispondere alla vocazione di essere chiesa in uscita, chiesa missionaria e anzi, noi tutti discepolimissionari. Per sentire, cioè, di nuovo la responsabilità urgentissima di essere una comunità cristiana vitale e che porti il primo annuncio del Vangelo a tutti.

Accanto ai bimbi della nostra comunità, abbiamo cercato di tradurre questa indicazione nello slogan: “Ci provo gusto!” esprimendo così il desiderio di vivere la nostra fede con passione e in modo piacevole. I momenti belli sono stati tanti e ci proponiamo di continuare ad arricchirci vicendevolmente con l’entusiasmo di tracciare una rotta per i più piccoli. 

Abbiamo vissuto l’inizio delle Zone Pastorali, che compiranno un anno il 1 luglio 2019: compleanno assolutamente da festeggiare! Nella Zona è sorto il desiderio di convocare nuovamente i giovani in un cammino di formazione e di esperienza cristiana a maglie allargate, dopo che quest’anno è stato un anno di transizione, perché i loro educatori “storici” hanno iniziato percorsi di vita nuovi e c’è stato bisogno di pensare e di discernere cosa potesse essere opportuno fare. 

Sono state tante le famiglie giovani che si sono avvicinate alla nostra parrocchia per chiedere il Battesimo e va fatto un vero e proprio monumento al gruppo incaricato per la catechesi battesimale, che hanno saputo interpretare a nome di tutti quello stile di accoglienza e di famigliarità che spesso è la prima interfaccia per chi incontra una comunità cristiana. 

Su questo saremo chiamati a lavorare ancora di più l’anno prossimo, perché il cammino della Chiesa di Bologna si concentrerà sull’Iniziazione Cristiana e su come la Chiesa, attraverso l’annuncio, genera alla fede. 

È un’esperienza che continua: incontriamo tanti adulti che chiedono la Cresima, giovani fidanzati che si appassionano durante gli incontri in preparazione al loro Matrimonio e altre persone che, nonostante tutto, riprendono un cammino di fede. 

È la conferma che siamo chiamati ancora ad ascoltare lo Spirito profondamente, perché l’ispirazione del Signore soffia dove vuole ed è potente, e noi – come discepolimissionari – abbiamo l’onere e l’onore di rendere l’amore del Signore riconoscibile e vicino a tutti. 

Don Davide 




La Veglia di Pentecoste: un appuntamento per tutti

1)Il cammino di questo anno pastorale che si sta concludendo è guidato dalla pagina del libro degli Atti degli Apostoli che racconta la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste, inizio della Chiesa. È lo Spirito che permette a ciascuno di udire gli apostoli nella propria lingua (Atti 2,6), frutto di una comunità che piena dello Spirito trova se stessa andando incontro agli altri. La Pentecoste trasforma degli uomini deboli e paurosi in testimoni gioiosi, rigenerati nella fede.

2) Vorrei che la celebrazione liturgica della Veglia di Pentecoste, nella serata di sabato 8 giugno, sia occasione per vivere oggi e nella nostra storia una rinnovata effusione dello Spirito. Questo anno per la nostra Chiesa di Bologna è contraddistinto dalle prime Assemblee di Zona che sono state un momento di confronto e di consapevolezza delle sfide e della realtà delle nostre comunità. Desidero che la Veglia sia un’altra Assemblea di Zona, questa volta interamente liturgica, per chiedere e sperimentare il dono dello Spirito di amore che “ci insegnerà ogni cosa”.

3)La Veglia si svolge in tutta la Diocesi simultaneamente, per indicare che siamo parte tutti della stessa Chiesa e che vogliamo avere un cuore solo ed un’anima sola. Ci raccoglieremo per Zona pastorale o per zone vicine che si accordano tra loro. Siano presenti tutti i soggetti (Parrocchie, Religiosi, Comunità, Associazioni, Movimenti e Aggregazioni laicali) per vivere un momento di grande comunione e di forza nello Spirito, che ci renda consapevoli dei suoi doni e ci trasformi in 5 testimoni gioiosi del suo amore. I carismi di ognuno e di tutte le nostre comunità, piccole e grandi, sono importanti per una Chiesa piena dello Spirito di Dio. Vorrei che tutti i presbiteri e i diaconi operanti nella zona pastorale siano presenti e concelebrino la Veglia, presieduta possibilmente dal Moderatore. Il presidente dell’Assemblea della Zona pastorale abbia una funzione specifica nella regia della preparazione e nello svolgimento della celebrazione (monizione iniziale e conclusiva). […]

6)La veglia sarà proprio come il Cenacolo, la stanza dove si celebra l’Eucaristia, il luogo proprio della preghiera e dell’effusione dello Spirito. Ci aiuterà a riscoprire il valore dei nostri luoghi di preghiera, della liturgia e dei sacramenti, luoghi dello Spirito e presenza di Cristo, sorgente di grazia per la nostra vita. […]

13)La veglia prevede la celebrazione della Messa vigiliare della Pentecoste, come stabilito dal Messale e secondo le indicazioni che verranno date dall’Ufficio Liturgico. A motivo del carattere diocesano di questa celebrazione, desidero che in ogni Zona pastorale (o gruppo di Zone riunite) vi sia in quella vigilia una sola celebrazione.

[…] Nella Veglia chiediamo il dono della fraternità, perché impariamo ad amarci gli uni gli altri come Gesù insegna.

 

+ Matteo Maria Zuppi, Vescovo – Notificazione per la Veglia di Pentecoste 2019