La Veglia di Pentecoste: un appuntamento per tutti

1)Il cammino di questo anno pastorale che si sta concludendo è guidato dalla pagina del libro degli Atti degli Apostoli che racconta la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste, inizio della Chiesa. È lo Spirito che permette a ciascuno di udire gli apostoli nella propria lingua (Atti 2,6), frutto di una comunità che piena dello Spirito trova se stessa andando incontro agli altri. La Pentecoste trasforma degli uomini deboli e paurosi in testimoni gioiosi, rigenerati nella fede.

2) Vorrei che la celebrazione liturgica della Veglia di Pentecoste, nella serata di sabato 8 giugno, sia occasione per vivere oggi e nella nostra storia una rinnovata effusione dello Spirito. Questo anno per la nostra Chiesa di Bologna è contraddistinto dalle prime Assemblee di Zona che sono state un momento di confronto e di consapevolezza delle sfide e della realtà delle nostre comunità. Desidero che la Veglia sia un’altra Assemblea di Zona, questa volta interamente liturgica, per chiedere e sperimentare il dono dello Spirito di amore che “ci insegnerà ogni cosa”.

3)La Veglia si svolge in tutta la Diocesi simultaneamente, per indicare che siamo parte tutti della stessa Chiesa e che vogliamo avere un cuore solo ed un’anima sola. Ci raccoglieremo per Zona pastorale o per zone vicine che si accordano tra loro. Siano presenti tutti i soggetti (Parrocchie, Religiosi, Comunità, Associazioni, Movimenti e Aggregazioni laicali) per vivere un momento di grande comunione e di forza nello Spirito, che ci renda consapevoli dei suoi doni e ci trasformi in 5 testimoni gioiosi del suo amore. I carismi di ognuno e di tutte le nostre comunità, piccole e grandi, sono importanti per una Chiesa piena dello Spirito di Dio. Vorrei che tutti i presbiteri e i diaconi operanti nella zona pastorale siano presenti e concelebrino la Veglia, presieduta possibilmente dal Moderatore. Il presidente dell’Assemblea della Zona pastorale abbia una funzione specifica nella regia della preparazione e nello svolgimento della celebrazione (monizione iniziale e conclusiva). […]

6)La veglia sarà proprio come il Cenacolo, la stanza dove si celebra l’Eucaristia, il luogo proprio della preghiera e dell’effusione dello Spirito. Ci aiuterà a riscoprire il valore dei nostri luoghi di preghiera, della liturgia e dei sacramenti, luoghi dello Spirito e presenza di Cristo, sorgente di grazia per la nostra vita. […]

13)La veglia prevede la celebrazione della Messa vigiliare della Pentecoste, come stabilito dal Messale e secondo le indicazioni che verranno date dall’Ufficio Liturgico. A motivo del carattere diocesano di questa celebrazione, desidero che in ogni Zona pastorale (o gruppo di Zone riunite) vi sia in quella vigilia una sola celebrazione.

[…] Nella Veglia chiediamo il dono della fraternità, perché impariamo ad amarci gli uni gli altri come Gesù insegna.

 

+ Matteo Maria Zuppi, Vescovo – Notificazione per la Veglia di Pentecoste 2019




Solo ragazzi?

Quarantotto ragazze e ragazzi della nostra parrocchia ricevono la Cresima e questo comporta un duplice passaggio, se lo vorranno accettare: prima di tutto scegliere la propria fede in modo consapevole e libero, come un percorso che vorranno portare avanti non perché glielo dice qualcun altro, la società, le convenzioni, ma perché ne hanno fatto e ne faranno esperienza sempre più diretta.

In secondo luogo, essere cristiani testimoni del Signore risorto e dello Spirito Santo che anima la vita della Chiesa e del mondo. I cresimati hanno il dovere di portare il sigillo: in genere, nelle avventure fantasy o nei film di avventura, il marchio indelebile lo portano i loschi figuri, i personaggi negativi delle storie; in questo caso il marchio indelebile è portato dai testimoni dello Spirito Santo e si dovrebbe vedere sulla loro fronte per il brillare del Sacro Crisma (l’olio misto a balsamo consacrato) e per la chiarezza della loro testimonianza.

Troppo presto a dieci o undici anni per assumersi questo impegno?

In questi giorni ho visto con piacere lo spot dell’Unicef sull’importanza del protagonismo dei ragazzi. Recita così: “Loro dicono: capirai quando sarai più grande, ora sei solo un bambino. Ma un bambino ha nuotato in mare aperto per tre ore per salvare diciotto vite… un bambino ha superato le barriere di protezione per tenere insieme la sua famiglia di migranti… Un ragazzo era stato costretto a fare il soldato in una brutale guerra civile e ora è diventato un paladino dei diritti umani e della pace liberando altri bambini dalla violenza… Una ragazza ha combattuto per il diritto delle bambine all’educazione… ed ha vinto il premio nobel per la pace… E una ragazza ha detto la verità ai potenti ispirando un movimento storico contro il cambiamento climatico… […] I ragazzi stanno prendendo la parola; i ragazzi stanno reclamando i loro diritti; i ragazzi stanno agendo ora per un domani migliore.” (Unicef, Just a Kid)

Nella foto della manifestazione contro il cambiamento climatico, una delle protagoniste porta un cartello che dice: “Abbastanza grande per salvare il pianeta.”

Sì, ragazze e ragazzi: siete abbastanza grandi per fare cose belle e importanti. Non importa che siano piccole o grandi, conta che sia la vostra azione. Lo Spirito della Cresima vi abilita a farlo.

La cosa che mi pare più sorprendente e clamorosa, in questo giorno della Cresima, è che i ragazzi ispirano la nostra responsabilità e risvegliano le nostre coscienze, ecclesiali e civili.

Sono proprio loro a farlo. Prendo ad esempio le parole che ritengo meravigliose di Greta Thunberg, che nel suo libro – per inciso – risponde puntualmente a tutte le becere obiezioni che le sono state fatte. E non cambia niente che l’abbia scritto lei o che sia stata aiutata a farlo. La potenza di queste parole rimane intatta e diventa l’augurio più bello e forte che possiamo fare a voi, ragazzi e ragazze della Cresima, e per noi adulti.

“Noi, ragazzini, non dovremmo fare questo. Mi auguro invece che siano gli adulti a prendersi le loro responsabilità e a fare questo, ma finché nessuno farà qualcosa, lo dobbiamo fare noi.” (Greta Thunberg)

Giovani amiche e amici, noi non vogliamo sottrarci al nostro compito e cercheremo di esserci, di pensare al futuro, di farvi spazio e non di lasciarvi solo macerie, ma una chiesa e un mondo migliori. Ma anche se noi non fossimo sempre capaci, non abbiate paura: lo Spirito Santo vi dà tutto ciò di cui avete bisogno.

Ora siete voi i protagonisti.

Don Davide




“Nessuno li strapperà dalla mia mano” (GV 10,28)

Le letture di questa domenica sono stupende per accompagnare la Prima Comunione di 25 bimbi della nostra parrocchia.

Nella prima entra in scena Paolo, il grande apostolo, a cui il Signore dice: “Io ti ho posto come luce per i popoli, perché tu porti la salvezza fino agli estremi confini della Terra”. La immagino come una benedizione e una promessa per questi bimbi di oggi, che saranno gli uomini e le donne del futuro. Un futuro in cui ci sarà bisogno di gente che faccia luce, di tedofori, in un mondo dove i confini della Terra saranno tutti più vicini (lo sono già) e porosi. E anzi in un mondo dove forse non ci saranno confini…

Nella seconda, c’è la grande visione del libro della Rivelazione, degli uomini e delle donne che stanno con piena dignità di cuore e di sguardo davanti al trono di Dio e dell’Agnello. Dunque, a questi giovanissimi uomini e donne di oggi, li immaginiamo come uomini e donne adulti che avranno costruito la loro persona e le loro vite in modo da non avere paure, e di potere stare di fronte a Dio, che li chiama figli e fratelli.

Luce per tutti e messaggeri di una salvezza attesa e desiderata, con tutta la bellezza della loro personalità.

Ci potrebbe quasi spaventare una prospettiva così luminosa; potrebbe sembrarci addirittura accecante.

Ma il Vangelo ci aiuta a guardare a questo augurio che facciamo ai bimbi nella giusta prospettiva: non un eccesso di responsabilità e un carico troppo pesante da portare, come se fossero solo delle aspettative scaricate sulle loro spalle. Bensì la garanzia che li accompagna in questo cammino d’amore gratuito e operoso di Dio Padre: cioè una custodia tenace di Dio, attraverso Gesù, nei loro confronti.

Gesù li conosce tutti questi 25 bimbi, uno per uno, come e se possibile anche meglio dei loro genitori. Con loro stabilisce una confidenza unica e di loro dice che nessuno li strapperà dalla sua custodia premurosa, anzi: guai a chi ci volesse provare!

Per loro Gesù promette addirittura la protezione invincibile di Dio Padre.

Non potremmo immaginare sentimenti e benedizioni migliori per dire a questi bimbi quanto affetto sentiamo per loro e che, come comunità cristiana, ci auguriamo di potere essere sempre un grembo di vita buona e felice.

Don Davide




Gettare le reti

Il racconto struggente dei primi giorni dopo la resurrezione, narra la fatica dei discepoli di riprendere il loro impegno. Pietro dice: “Io vado a pescare” demotivato e quasi sconsolato. L’esito è disastroso: “In quella notte non presero nulla”.

Eppure, sulla riva si presenta uno sconosciuto, che invita a “gettare le reti” in un modo particolare: in realtà non conta il modo, ma che venga fatto sulla sua parola. La pesca è abbondante. Improvvisamente quelle parole risultano come un codice che fa scattare una serratura e permette ai loro occhi, ma soprattutto al cuore, di riconoscerlo.

Gettare le reti. Di nuovo.

La storia con i discepoli è iniziata con Gesù che li invita a “gettare le reti” e ad essere “pescatori di uomini” (cf. Lc 5,1-11) e l’evangelista Giovanni fa una solenne re-interpretazione di questo inizio e ci dice che il messaggio della resurrezione si condensa sostanzialmente in questo: nell’ascoltare di nuovo, ancora e con coraggio quell’invito: “gettate le reti” e scoprire che una nuova energia di vita si è impadronita di noi e delle nostre azioni, e la sua grazia si manifesta.

Siamo quasi alla conclusione dell’anno pastorale. Il cammino è stato lungo. Alcune volte si è tentati di pensare che non ne valga la pena, che si raccoglie poco, che l’evangelizzazione tentenni.

In realtà, veniamo dai giorni belli di Pasqua e della Domenica in Albis con il Battesimo di alcuni nostri amici e amiche grandicelli; domenica prossima avremo le Prime Comunioni di un gruppo di bimbi entusiasti e divertenti; quella successive la Cresime del gruppo più numeroso, in un contesto di grande famigliarità, presiedute da don Valeriano.

Questi sono i segni di una chiesa viva, della grazia del Signore che agisce misteriosamente e che ci motiva nell’ascoltare ancora la sua chiamata: “gettate le reti”.

Gettate le reti, non la spugna.

Il Signore ha un popolo numeroso in questa città.

Anche se siete quasi alla fine, e pensate al riposo… gettate le reti! È un’azione da fare senza stancarsi, perché da questo incontro con il Signore risorto, nascono nuovi cristiani e la Chiesa.

Don Davide




Il Triduo e l’incenso

A partire da questa domenica ci prepariamo alle celebrazioni pasquali nella nostra parrocchia. Lo facciamo prendendo spunto dal fatto che nelle letture di questa domenica si comincia a parlare direttamente della Pasqua, prima attraverso il ricordo della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, poi in due immagini di riconciliazione, di cui la storia del figlio prodigo e del Padre misericordioso è una vera e propria resurrezione di quel figlio che era morto ed è tornato in vita.

Non si tratta soltanto di fare una catechesi sui giorni di Pasqua, ma di disporci a vivere le celebrazioni dei giorni santi come sorgente di una spiritualità personale e comunitaria. La liturgia, infatti, è il modello e l’alimento di ogni vita spirituale autenticamente cristiana. È importante riconoscere che tutta la nostra vita cristiana si arricchisce dalla liturgia del Triduo Pasquale e che non è indifferente celebrarla in una chiesa qualunque: la Pasqua, secondo la tradizione ebraica, si celebra in famiglia, perché i grandi possano aiutare i piccoli a comprenderne il vero significato. Lo stesso si può dire della parrocchia: nei limiti del possibile la Pasqua si celebra in parrocchia, con la propria comunità, con cui si condividono ideali, una storia e una ricerca di significato.

Che cosa significa questo rito? Questa è la domanda che dovrebbe sorgere dalla bocca del più giovane, e pronta dovrebbe essere la risposta dei più anziani: eravamo stranieri nel paese di Egitto… Ossia: la Pasqua ci riguarda, non parla della vita degli israeliti in Egitto, o dei primi cristiani al tempo di Gesù, la Pasqua parla di noi, di me e di te e della Chiesa.

È fondamentale, perciò, sapere che il Triduo Pasquale non è la ripetizione di un rito sempre uguale: ma ci sono delle scelte che facciamo come parrocchia, delle sottolineature che devono permetterci di cogliere la ricchezza dei segni che si celebrano, per essere poi trasportata nella vita.

Da domenica prossima vorrei dunque parlare dei tre segni per eccellenza della presenza di Gesù nel Triduo Pasquale:

1. Gli olii, l’altare e l‘eucaristia (giovedì santo)
2. la Croce (venerdì’ santo)
3. Il Cero Pasquale (sabato santo)

Questi tre segni scandiscono il ritmo delle celebrazioni dei tre giorni e ci richiamano al senso di quello che stiamo celebrando e al modo – se possiamo dire così – della presenza di Gesù in mezzo a noi. Questi tre segni sono anche gli unici che verranno incensati durante le celebrazioni, in modo che la solennità dell’incenso riservata a questi momenti, tra tutti quelli che la liturgia pasquale potrebbe prevedere, ci aiuti a focalizzarne subito l’importanza. Quando vedremo l’incenso, invece di pensare al pretesto di un’inutile sontuosità, la sobria solennità dell’incensazione dovrà risvegliarci l’attenzione e farci ricordare che quel segno è il simbolo riassuntivo e denso di significato delle celebrazioni che stiamo facendo. Così, a Dio non salirà solo la nostra preghiera, ma anche la nostra attenzione e da lui scenderà una forza che risanerà il nostro cuore e ci farà compiere tutti i passaggi necessari per vivere.

(continua domenica prossima)

Don Davide




L’Assemblea di Zona

Zona PastoraleGesù sa che a lui e ai discepoli spetta un lungo cammino per poter sperimentare la Pasqua, perciò – attratto dall’amore del Padre – sale sul monte, per essere il più possibile in sintonia con lui. La trasfigurazione è un regalo di Dio, un anticipo della resurrezione offerto ai discepoli, perché siano istruiti su quale sia il traguardo e si sentano incoraggiati nella fede.

Mi piacerebbe che potessimo pensare alla prima Assemblea di Zona, che si terrà questa Domenica pomeriggio (17 marzo, ore 16, presso la Parrocchia S. Caterina di Saragozza) come a una piccola esperienza di trasfigurazione “pastorale”.

È l’amore del Padre che ci chiama a metterci in ascolto della voce dello Spirito Santo e gli uni gli altri, perché vuole che la Chiesa viva del contributo di tutti. In questo momento di partecipazione condivisa, preparato fra le varie parrocchie con semplicità, ma soprattutto con tanta amicizia ed entusiasmo, abbiamo un piccolo anticipo di cosa sarà – e dovrà essere – la Chiesa del futuro. Siamo certamente anche istruiti su quale sia la meta del nostro cammino: quella comunione che permetta di trovare un modo adeguato di vivere la fede anche per gli anni a venire e così di essere più autentici testimoni del Risorto.

Nell’invitare alla partecipazione, quindi, mi rivolgo soprattutto ai giovani. Ciò che è in gioco, a partire dall’Assemblea di Zona, non è qualcosa che riguardi solo i prossimi cinque anni, tale da fare pensare che interessi quella popolazione anziana che ormai costituisce quasi esclusivamente la presenza ecclesiale. In realtà, qui si iniziano a porre le basi e le premesse della Chiesa del futuro, dell’assetto delle parrocchie, del territorio ecclesiale e della pastorale per i prossimi venti/trent’anni, forse anche di più. Qui c’è in gioco la Chiesa che voi ragazzi e giovani di oggi, abiterete da adulti protagonisti, forse da genitori; in ogni caso sarà la vostra Chiesa.

Bisogna essere consapevoli di questo: se ci sarete voi, giovani, nella Chiesa del futuro, la Chiesa esisterà. Altrimenti potrebbe anche scomparire.

Dall’Assemblea di Zona di questa domenica, idealmente tracciamo un ponte verso l’appuntamento della Festa dell’Incontro di domenica prossima: l’occasione di stare insieme in amicizia e condivisione con le persone e le famiglie che come parrocchia aiutiamo stabilmente, attraverso la preziosissima opera della San Vincenzo e della Caritas.

Anche in questo capiamo il significato della trasfigurazione: un momento di rivelazione in cui la Chiesa appare per quello che è: il corpo di Cristo, al quale partecipano tutti, senza esclusi.

In questo itinerario quaresimale, che condividiamo con la nostra comunità parrocchiale e con le altre parrocchie, il Signore ci guida, ci purifica e ci istruisce perché ogni nostro passo sia un avvicinarci ad aprire il cuore alla resurrezione di Gesù e ad esserne autentici testimoni con il nostro Battesimo.

Don Davide




A colpi di fioretto

Nella riflessione di domenica scorsa ho indicato come via privilegiata per vivere spiritualmente l’itinerario quaresimale il fatto di dare rilievo e partecipare ai tre importanti appuntamenti comunitari che ci aspettano: gli Esercizi spirituali parrocchiali (1); l’Assemblea di Zona pastorale (2); la Festa dell’Incontro (3).

So bene, però, che la nostra educazione religiosa non ci fa sentire “bene” se non facciamo almeno un “fioretto”.

Vorrei provare, allora, a indicare quali caratteristiche deve avere un “buon” fioretto, per essere proficuo per la nostra vita cristiana e per sfuggire alla presunzione di essere giusti davanti a Dio (cfr Lc 18,9).

Mani che porgono una candelaPer prima cosa, dunque, un fioretto non deve essere una cosa che ci mette nell’atteggiamento di conquistare la giustizia o di meritare il premio. Bisogna sempre guardarsi dagli atti di superbia davanti a Dio, che sono la cosa più pericolosa per un cammino spirituale. Al contrario, un “buon” fioretto dovrebbe essere un impegno che ci aiuta a fare spazio all’azione e alla grazia di Dio. Un’operazione di sgombero e non di riempimento. In quest’ottica, il silenzio, la rinuncia a qualcosa che ci distrae, il sacrificio del tempo per una cosa più importante possono essere attenzioni ben calibrate.

Il fioretto, poi, è indubbiamente una mortificazione e non dobbiamo edulcorare questa parola, come se fosse un principio dei secoli bui. La mortificazione – come trattare il proprio corpo duramente in allenamento – è un metodo indispensabile per allenare la nostra volontà. Perciò rinunciare alla cioccolata, alla Coca-Cola, al caffè, al vino, alla Play-station può essere certamente un piccolo esercizio di mortificazione. Ci possono essere anche attenzioni più importanti e significative: mortificare un interesse o una curiosità, evitare una spesa; rinunciare a qualcosa per fare qualcosa di migliore… Il punto è non vivere queste cose come un atto eroico, ma come un esercizio per essere più pronti a vivere con attenzione la dimensioni spirituali della Quaresima.

Infine, un buon fioretto deve essere orientato alla conversione. In realtà non è molto utile se io sono goloso, fare il fioretto di non mangiare dolci, se prevedo che alla fine della Quaresima mi ingozzerò di pasticcini. Molto più utile è pensare qualcosa che educa piano piano i nostri atteggiamenti. L’insegnamento dei grandi maestri della vita spirituale ci dicono che la correzione dei propri vizi è un lavoro faticosissimo, che va preso con tutta la serietà del caso. Spesso è impossibile senza la grazia, nonostante ciò è prezioso per l’obiettivo che si pone: la lotta spirituale, il fuggire il male con orrore (cfr Rm 12,9), il non lasciare andare se stessi.

Il vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che si scontra con le tentazioni di Satana. Anche lui si misura nella lotta spirituale, ci dà l’esempio di come si fronteggia il male ed è il nostro modello di umanità. Forse, Gesù non aveva bisogno di allenarsi con i fioretti, però sappiamo che digiunò quaranta giorni… Altro che fioretto! Teniamo fisso lo sguardo su di lui per vivere con la stessa intensità e lo stesso impegno il nostro cammino di apertura alla grazia.

 Don Davide




Dietro al gusto c’è una storia

LA QUARESIMA

Al contrario di quello che si potrebbe pensare, la Quaresima è un itinerario “saporito”. Non un percorso in cui il digiuno e la penitenza ci farebbero perdere il gusto delle cose, ma l’occasione di riapprezzarne il vero sapore, diventando consapevoli che dietro ad ogni buon gusto c’è una storia.

Dietro alla vittoria di un atleta olimpico ci sono quattro anni di allenamenti intensi. Dietro al traguardo di una laurea ci sono tanti esami e tanto studio. Dietro al piatto più buono che abbiamo mai mangiato, c’è un’attenta selezione di sapori e una lunga preparazione.

Iniziamo il cammino spirituale della Quaresima con il desiderio di preparare il gusto della Pasqua e quindi anche di disporci ad assaporarlo. Per apprezzare i sapori, lo sappiamo, bisogna purificare quelli che potrebbero corromperli, lavare ciò che è venuto prima. Così è la Quaresima: non un tempo per intristirci con cose insipide e amare; ma un modo di rendere più sensibile il nostro appetito spirituale.

AL FIANCO DEL PERCORSO DEI BIMBI

Lo facciamo, innanzitutto, affiancandoci ai bimbi del catechismo, che scandiranno le cinque domeniche che precedono la Domenica delle Palme, con altrettante tappe che li aiuteranno (e ci aiuteranno) ad apprezzare il gusto del pane, ma soprattutto il suo significato, cioè il grande dono eucaristico di Gesù nel Giovedì Santo e nella Pasqua. Queste cinque tappe sono: 1) Seminato; 2) Maturato; 3) Raccolto; 4) Macinato; 5) Impastato.

Sembra un percorso per bambini, ma in realtà riprende esplicitamente la prima riflessione eucaristica della grande tradizione della Chiesa, in un testo datato I-II secolo d.C. dal titolo Didaché, dove l’autore riflette sulle analogie tra il processo del pane e l’itinerario spirituale dei credenti che celebrano l’eucaristia.

L’IMPEGNO DEGLI ADULTI

Oltre a questo, il percorso della Quaresima per la nostra comunità è ricco di momenti importantissimi. Mi permetto di suggerire, perciò, un atteggiamento di conversione anche per gli adulti per vivere proficuamente questo tempo speciale, senza dimenticare un impegno penitenziale concreto, ma privilegiando il cammino comunitario che lo sostiene e gli dà significato.

Domenica prossima vorrei proporvi una riflessione su quali caratteristiche debba avere il classico “fioretto” per essere significativo. Oggi, invece, voglio indicarvi le tre tappe da privilegiare per vivere la Quaresima come vero itinerario spirituale, di conversione ed ecclesiale.

  1. Gli Esercizi spirituali parrocchiali

Subito dopo il Mercoledì delle Ceneri, la parrocchia ha organizzato tre giorni di preghiera, di meditazione e di adorazione eucaristica, che si sovrappongono alle tradizionali “40ore” col desiderio di reinterpretare questo appuntamento. Suggerisco di individuare almeno un momento a cui partecipare, tra tutti quelli proposti. Sono gli “esercizi spirituali parrocchiali” e l’obiettivo è di accordarsi su una nota spirituale condivisa, all’inizio della Quaresima.

  1. La prima Assemblea di Zona pastorale

Domenica 17 marzo avremo la Prima assemblea plenaria della nostra Zona Pastorale San Felice. È il momento che segna l’inizio concreto della conversione pastorale che siamo chiamati a vivere e, sicuramente, partecipare vale più di tutti gli impegni di conversione che possiamo immaginare di prenderci. In questo caso faccio anche un auspicio: mi piacerebbe che ci fossimo tutti, nessuno escluso. Celebrazioni solenni a parte è l’appuntamento più importante dell’anno.

  1. La Festa dell’Incontro

Seguendo l’invito che papa Francesco ha rivolto alla chiesa universale, anche la nostra parrocchia vuole fare una festa per incontrare tutte le persone con cui abbiamo stretto legami di amicizia e di conoscenza nelle attività della Caritas, della San Vincenzo e del VAI, o anche semplicemente le persone che vengono a chiedere aiuto.

La festa sarà domenica 24 marzo, preceduta da un momento di preghiera guidato dai giovanissimi mercoledì 20 marzo.

Nelle prossime settimane illustreremo meglio il significato e le modalità della festa, ma intanto suggerisco di tenere bene a mente che essere sensibili a questo appuntamento, partecipando e condividendone l’intenzione, è un modo molto adatto e coerente di vivere la carità che la Quaresima prescrive.

Don Davide




Due tesori

Benedire

Veniamo dalle celebrazioni di S. Valentino – nella settimana appena conclusa – che sono state un’occasione particolarmente ricca di incontri e di preghiera. Mi ha fatto riflettere la risposta sentita e molto partecipata alle varie celebrazioni, secondo le intenzioni di preghiera. In fondo – pensavo all’inizio – è “solo” un ricordo, una preghiera, una benedizione.

Poi la partecipazione accorata, piena di fede e di affidamento in questi momenti, mi ha fatto riscoprire e mi ha convinto una volta di più che la benedizione e la preghiera di intercessione sono dei gesti potentissimi, perché significano riconoscere la parola buona di Dio sulla vita di ognuno. Benedire significa affermare con piena convinzione davanti a ciascuno che la sua esistenza è una realtà sommamente buona, prima di tutto agli occhi di Dio, poi anche per i fratelli e sorelle che accettano di fare parte di questa benedizione e intercessione. Solo a partire da questa considerazione dell’esistenza di ciascuno, voluta e amata da Dio, anche la vita concreta potrà edificarsi nel bene e, eventualmente, correggersi.

È una verità non scontata, che abbiamo bisogno di recuperare e di sentire confermata anche in una dimensione ecclesiale.

Benedire significa ripristinare un punto di partenza essenziale, quell’origine da cui sola può scaturire la conversione e ogni cammino spirituale: la certezza che la nostra vita è nel grembo fecondo dell’amore di Dio. Quanti uomini e donne, in questa settimana, hanno avuto bisogno di affidarsi a questa certezza! E che bello che sentissero il bisogno che fosse proprio la preghiera della Chiesa a dichiararlo!

Forse dovremmo riscoprire pastoralmente il tesoro di questa autorevolezza della Chiesa, che si può fare dono per chi ha più bisogno: per tutti i “beati” del Vangelo di oggi, che si riconoscono bisognosi e si affidano a Dio. Da qui potrà scaturire la catechesi, che corregge le forme più superstiziose, o la proposta di qualche cammino ecclesiale, per mettersi al servizio, ma non si può prescindere dal considerare una ricchezza l’atto di fede schietto con cui un fedele si accosta a Dio, per chiedere un’intercessione, per sentirsi benedetto.

La Parola di Dio

A partire da questo primo tesoro, oggi – questa domenica – viviamo la seconda tappa del Cammino pastorale dell’anno chiestoci dal vescovo: un momento di ascolto della Parola di Dio condiviso, in cui l’obiettivo primo è quello di generare la comunione e illuminare i nostri pensieri in forma ecclesiale. Dalla frequentazione della Parola di Dio, che speriamo sempre più abituale, scaturirà un sentire comune, un pensare in sintonia e il discernimento pastorale.

Il tema di oggi è: “L’ascolto della parola genera la conversione”, a partire dal primo annuncio del Vangelo che ha varcato i confini di Israele; quel magnifico primo semino, cioè, che ha segnato l’inizio della missione della Chiesa a tutti i popoli, la scintilla di quel processo che vede oggi la buona notizia diffusa nel mondo intero.

In questo, personalmente, mi sento in profonda sintonia con la sensibilità del vescovo, e spero che possiamo esserlo tutti. E cioè, che solo l’ascolto della Parola di Dio condiviso in modo semplice, ma pieno di fede, ci aiuterà ad uscire dai nostri modelli e dai nostri pensieri e progetti pastorali triti e ritriti, e ci aiuterà a convertirci personalmente e a discernere le forme e i modi della pastorale che lo Spirito ci chiama ad attuare, affinché anche oggi e per mezzo nostro possa essere accesa quella scintilla che fa arrivare il Vangelo proprio a tutti.

Non mancate!

Don Davide




Cana di Galilea

Particolare delle Nozze di Cana di Giotto

Particolare delle Nozze di Cana di Giotto

Le domeniche del Tempo Ordinario riprendono da Cana di Galilea: una festa di nozze. Quando due amici si sposano, sappiamo che giunge al termine una fase della loro vita, ma contestualmente ne inizia un’altra, più bella e preziosa.

Nella nostra zona pastorale abbiamo dato l’annuncio della prima assemblea di zona il giorno dell’Epifania. Ora ci incamminiamo verso quell’appuntamento, che sarà il 17/03, prendendo lo spunto simbolico delle nozze di Cana.

C’è un tempo che si chiude, una fase della vita pastorale della Chiesa che cambia. È stato un periodo bello, caratterizzato da un vero e proprio “innamoramento” quando in ogni parrocchia ci potevano essere uno o due preti, parroco e cappellano, e tutta la loro vita era un bellissimo intrecciarsi di relazioni e di dedizione con la gente di quella comunità. Un ministero ben definito, un ruolo chiaro tanto ai preti quanto alle persone e gli incarichi unificati in quel tipo di servizio.

È stata un fase bella, niente da dire, ma adesso bisognerà cambiare, come una coppia di fidanzati amorevoli deve comunque cambiare passo una volta celebrato il suo matrimonio.

Mi ha sempre dato grande speranza l’immagine dell’acqua cambiata in vino alle nozze di Cana, questo simbolo che il meglio deve ancora venire, che il gusto migliore e più pregiato ci sta davanti e non alle spalle. Voglio pensare che l’esperienza delle zone pastorali sia così. Ci spero e sono fiducioso.

Ci sarà bisogno di riconoscere insieme come si configura il ministero, quando vissuto da più preti alla pari su uno stesso territorio e quando sia molto più esposto su tanti e diversi fronti. Ci sarà bisogno di scoprire come si può gioire della presenza dei gruppi giovanili in parrocchia quando non saranno più i “tuoi” o i “nostri” giovani, se non in senso molto più ampio. Ci sarà bisogno di sviluppare quella sensibilità che permette di percepire la comunione nella liturgia, nei progetti comuni, anche quando le cose non potranno essere fatte tutte e tutti insieme come accadeva in una normale parrocchia a guida unitaria.

Sarà fondamentale, in tutto questo processo, riconoscere non solo che Gesù ci dona un vino sorprendentemente migliore, ma che dobbiamo metterlo in un decanter adeguato (se è rosso), o in un cestello col ghiaccio (se è bianco) per valorizzarlo al meglio, perché non basta il vino buono e nuovo, ma il vino nuovo va messo in otri nuovi. Se invece noi lo volessimo appiccicare a schemi vecchi, dice Gesù, romperemmo gli otri e perderemmo il vino.

Il vangelo delle nozze di Cana conclude ricordando che quello fu il primo miracolo di Gesù. Chissà che anche per noi, quello delle future zone pastorali, non sia il primo miracolo che lo Spirito Santo e Gesù compiono per una Chiesa rinnovata e verso una nuova comunione?

Don Davide