Come ai tempi di Noè

Dopo avere percorso l’impianto dell’intervento di Dio nella storia, con il racconto della Creazione, l’Alleanza e l’Elezione, la seconda parte delle letture della Veglia Pasquale (4° e 5°) sono un invito a meditare con l’animo pacificato e rassicurato la misericordia (4°) e la provvidenza di Dio (5°) con le quali il Signore della storia sempre sostiene e incoraggi il nostro cammino.

Il profeta Isaia usa la metafora sponsale per parlare di un atto definitivo: “Tuo sposo è il tuo creatore” (Is 54,5). Il vincolo d’amore stabilito da Dio con il popolo di Israele (e quindi con ciascuno di noi) è irrevocabile. Non dipende dalla coerenza dell’uomo: “Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia” (Is 54,10). Il Signore fa di tutto per riavvicinarci a sé. Anche quando dovesse apparire che si è allontanato, la verità è espressa da questa dichiarazione solenne: “Con affetto perenne ho avuto pietà di te” (Is 54,8). In questo testo, c’è uno dei passaggi più belli e teneri di tutta la Bibbia, quando Dio riafferma questo decreto irrevocabile: “Ora è per me come ai tempi di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque sulla terra, così ora giuro di non più adirarmi con te e di non più minacciarti” (Is 54,9). I “tempi di Noè” sono i tempi (eterni) che testimoniano e la postura definitiva di Dio nei confronti dell’uomo, promessa e realizzata in Gesù di Nazareth: non minaccia, non ira, ma attitudine materna, cura di pastore, protezione di padre buono. Chi di noi non si è mai sentito “afflitto, percosso dal turbine, sconsolato”? (cf. Is 54,11). A ciascuno il Signore dice: “Ecco, io pongo sullo stibio le tue pietre e sugli zaffiri pongo le tue fondamenta…” (Is 54,11).

Da questa posizione di speranza, risuona la chiamata di Dio con cui si apre la quinta lettura: “Voi tutti assetati venite all’acqua!” (Is 55,1). Incoraggiati da questo invito, noi possiamo lasciarci investire dal fiume di grazia, che discende in primo luogo dalla celebrazione solenne della Veglia Pasquale, e poi ci accompagna nella vita concreta di ogni giorno.

Consegniamoci a Dio senza riserve, lasciamo che l’invito alla conversione vibri nel nostro animo, affidiamoci alla sua provvidenza. Nella Veglia Pasquale ci immergiamo in un ascolto prolungato e abbondante della Sua parola e proprio questa 5° lettura ci garantisce il senso di questa sosta: nessuna parola di Dio rimarrà senza effetto, ritornerà in cielo senza avere operato con efficacia, e senza avere compiuto, nelle nostre vite, ciò per cui il Signore ce l’ha regalata.

Don Davide




Creazione e redenzione

A partire da questa domenica e per le tre domeniche di marzo che precedono la Pasqua, vorrei proporre un breve percorso sulla liturgia della parola della Veglia Pasquale, per prepararci meglio a questa celebrazione così importante e sperare che entri nella sensibilità di tutti il desiderio di parteciparvi.

Nella consapevolezza dei primi secoli, il vero modo di “fare” Pasqua era quello di celebrare la Veglia Pasquale. Questa liturgia incide sulla nostra vita, come dono di grazia, più di qualunque altro impegno per vivere bene e cristianamente la Pasqua.

La Veglia Pasquale, nella sua forma piena, prevede un lungo itinerario nella storia della salvezza attraverso sette letture dell’AT, più una meditazione di San Paolo sul Battesimo, come vera partecipazione alla resurrezione di Cristo, più la proclamazione del Vangelo.

Le prime tre letture sono considerate fondamentali, perché raccontano i tre capisaldi dell’opera di Dio: la creazione, bella e piena di amore (I); la provvidenza di Dio nella storia della salvezza, ossia il racconto della “legatura” di Isacco (II); la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto (l’Esodo) come profezia della redenzione definitiva (III).

In questo percorso iniziale c’è una fortissima unità. Dio ha creato un mondo bello e brulicante di vita. Fin dall’inizio, quindi, siamo richiamati al desiderio che Dio riscatti questa sua creazione, che ha voluto per la vita. Essa ci è data per la gioia e la letizia dei sensi, è lo spazio della nostra esperienza umana, della nostra esistenza. Siamo invitati a sentire una profonda solidarietà con essa, a custodirla, a preoccuparci di conservarne intatta la bellezza e il dono, da tutte le forze negative e logoranti, presagio di morte.

Nella Bibbia, il racconto “storico” ha inizio con la chiamata di Abramo. La liturgia pasquale chiama in causa Abramo nell’episodio decisivo della “legatura” di Isacco. Esso, infatti, più di ogni altro è autentica profezia della resurrezione del figlio amato, oltre che manifestazione evidente dell’atteggiamento di Dio (inteso come SS. Trinità) nei confronti dell’uomo. In esso, infatti, noi impariamo che “il Signore provvede”, oltre l’esperienza della morte nel cuore che doveva avere sperimentato Abramo, mentre accompagnava Isacco. Allo stesso modo, Dio Padre provvederà, oltre l’esperienza della morte. Inoltre, questo racconto ci consegna la definitiva consapevolezza che ciò che Dio NON chiede all’uomo, ossia di sacrificare il suo figlio, lui è disposto a farlo per noi. Mentre Dio chiede all’uomo misericordia e non sacrifici, lui è disposto a sacrificarsi per noi.

Per questo gli ebrei dicono, più correttamente, “la legatura di Isacco”, perché ne mette meglio in risalto il significato. L’atto di obbedienza di Abramo è quello della disponibilità, ma Dio non vuole in alcun modo il sacrificio del figlio, tanto meno un sacrificio umano che è sempre biasimato dai profeti. Ciò che conta è l’atteggiamento di affidamento di Abramo che mette le premesse per sperimentare la resurrezione: Dio è affidabile.

Infine, nella maestosa lettura dell’Esodo, noi siamo invitati a pensare a una schiavitù ben più grave, nonostante tutto, di quella dell’Egitto. La schiavitù del peccato, da cui il Signore ci libera spezzando le catene della morte e immergendoci in questa enorme potenza di vita nelle acque del Battesimo.

A questo punto, la liturgia pasquale può procedere, con un senso di grande gratitudine e una disponibilità all’ascolto, nella contemplazione delle grandi meraviglie di Dio ricordate dalle altre lettura.

Don Davide




Tanti doni, un solo corpo

Il Vangelo di oggi ci regala uno spunto di riflessione perfetto per questa domenica. L’elezione del Consiglio Pastorale, infatti, è una festa di comunione, dove chiediamo allo Spirito Santo di aiutarci a condividere i doni migliori di ciascuno per formare l’unico corpo della Chiesa, per l’utilità di tutti. Nella chiesa apostolica e per tutto il primo millennio era chiarissimo che il vero “Corpo di Cristo” era la Chiesa stessa, non l’Eucaristia, che veniva chiamata il “Corpo mistico di Cristo”.

In questo sforzo di edificare la nostra comunità, è fondamentale, quindi, che ci ricordiamo che l’essere insieme deve manifestare la presenza di Gesù. Lui ha promesso che dove due o tre sono riuniti nel suo nome, lui si trova in mezzo a loro, conferendo alla relazione un valore enorme, ma noi ci dobbiamo preoccupare di non rinnegare coi fatti questo dono.

Come ho detto già tante volte, mi auguro che questo giorno in cui eleggiamo il Consiglio Pastorale, non sia un gioco di potere o di autorità, ma un’occasione in cui fare emergere la presenza di Gesù in mezzo a noi. Un modo concreto per scoprire e gustare come si “fa” la Chiesa.

Il richiamo alla prima tradizione degli apostoli, ci aiuta anche a capire il legame fortissimo fra il sacramento dell’Eucaristia e l’essere parti attive della chiesa. Potremmo dire che l’Eucaristia, in questo senso, è uno sviluppo perfettamente coerente del Battesimo, che ci inserisce nella comunità cristiana e ci chiede di esserne protagonisti.

Oggi, quindi, siamo in festa per i 46 bimbi che faranno la Prima Comunione a maggio e che vi presentiamo, e cogliamo questa circostanza per sentire con ancora maggiore responsabilità l’elezione del Consiglio Pastorale. Desideriamo offrire anche a questi ragazzi e ragazze, nei prossimi anni, la buona testimonianza di una comunità che desidera esprimersi come un vero organismo e saper valorizzare i doni di ciascuno.

Che il Signore ci doni, come nella sinagoga di Nazaret, di sapere incarnare anche noi la parola di Dio nell’“oggi”, per rendere efficace e presente il Vangelo nella nostra storia e nella nostra città.

Don Davide 




La vita visibile

Il bagliore tenue e caldo di un presepe nella notte – non di quelli spettacolari e grandiosi, uno di quelli semplici, fatti in casa da noi: con un po’ di muschio, le lucine, qualche statuina senza troppe pretese e quel tocco originale che ci rende tanto orgogliosi (sia esso la capanna particolare che ci siamo inventati, il posto dove abbiamo collocato il dormiglione, oppure il nostro laghetto o infine quella magnifica fontanella vera che finalmente siamo riusciti a piazzare proprio al centro) – e poi le tracce di qualcuno che è passato, lasciando il nostro albero congestionato di regali; due sposi che si abbracciano – negli occhi il riflesso della loro casa – e il sorriso meravigliato del bimbo che si chiede come abbia fatto Babbo Natale a non farsi scoprire neanche questa volta… Mi chiedo se ci sia un’immagine più dolce e famigliare di questa, e probabilmente è proprio così l’atmosfera che abbiamo lasciato nelle nostre case in questi giorni di festa.

Fa un po’ contrasto che di fronte a un tale clima natalizio, questa domenica veniamo catapultati invece che nel racconto commovente della nascita di Gesù, nelle profondità vertiginose dell’inizio del vangelo di Giovanni. La solennità del Verbo ci sembra rubare la scena all’umiltà del Bambino.

Non è forse vero che nel mistero del Natale noi percepiamo la vita come dovrebbe essere e la tocchiamo quasi con mano? L’esperienza del Dio della vita è legata a quel bimbo che è stato possibile vedere, toccare e sentire piangere, il bambino nel quale abbiamo riconosciuto la Vita stessa condensata, concentrata, fatta carne… proprio come quando nasce un bimbo a noi vicino e tutti fanno a gara per prenderlo in braccio, coccolarlo, sbaciucchiarlo e “spupazzarlo”

Che cosa accade allora, quando il Verbo che sprigiona la Vita diventa uomo? Che cosa succede quando la Parola della Vita si fa carne? Accade improvvisamente di scoprire che in realtà non c’è un altro mondo che offra la possibilità della vita. La Vita si è fatta visibile in questo mondo.

«È venuto ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Letteralmente: «ha posto la sua tenda in mezzo al nostro accampamento». Se il vangelo fosse stato scritto oggi, avrebbe detto: “ha preso casa nel nostro condominio. Ha aperto un mutuo. Viene alle riunioni. Fa fatica ad arrivare alla fine del mese come tutti coloro che fra di noi la fanno”. Ma in realtà, nell’evocare la sua tenda in mezzo alle nostre, c’è di più. La sua non è una bella tenda come qualunque altra, come quelle degli scout, ad esempio. La tenda di cui si parla, nel libro dell’Esodo (cfr. Es 25,8), è la Tenda del Convegno: il luogo dove abita Dio, mentre si sposta con il suo popolo durante il cammino nel deserto. Ma è anche il luogo dove tutti sono convocati per incontrare Dio insieme.

Così l’augurio di Dio si rivolge oggi prima di tutto a te, che provi con impegno ad accogliere il Signore. Perché la sua vicinanza accompagni la tua ricerca, e tu possa essere come questo bimbo appena nato che prende il dito di una persona grande.

L’augurio di Dio si rivolge a te, che ogni tanto indugi e fai fatica. Non aver paura che Dio vìoli la tua libertà. Non pensare neppure che sia arrabbiato. Lui è garbato e ha sopportato con amorevolezza molteplici rifiuti. «A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Se vuoi sentire Dio come Padre, lasciati rapire dalla sua promessa.

L’augurio di Dio infine è anche per te, che in queste feste non hai voluto mancare: il Signore ti invita alla comunione, perché tu possa riscoprire la messa domenicale come luogo dell’incontro. Sarà per te come la sinagoga di Nazaret, dove ascolteremo la voce di Gesù che ci parla. Sarà il monte delle beatitudini, gremito di gente e di speranza. Sarà la riva del lago di Tiberiade, dove c’è pane da condividere per tutti o la casa di Betania, popolata di amici. Sarà infine il Golgota affollato dove da ogni disperazione e difficoltà la parola della vita continuerà ad imprimere il suo sigillo sulla storia.

 Don Davide




La gratitudine della vita

La prima domenica dopo Natale è dedicata alla famiglia di Gesù, la Santa Famiglia di Nazareth. È un riconoscimento per Maria e Giuseppe, che pur disorientati dalla grandezza dell’opera di Dio, hanno accettato di accoglierla e compierla, e di custodire il loro bambino.

Il vangelo di oggi evoca le molte preoccupazioni che dovettero affrontare nel prendersi cura di Gesù, come ogni famiglia nell’educazione dei propri figli. In modo particolare la paura di perderlo, la preoccupazione che la sua vita potesse essere in pericolo o minacciata. Giuseppe e Maria avevano già vissuto una terribile prova, all’inizio della vita di Gesù, quando Erode volle uccidere tutti i bambini di Betlemme. Cosa avranno potuto pensare, loro, una povera famiglia di semplici sconosciuti, di fronte alla persecuzione del re in persona. Quanti perché, quante domande, quanta paura? Quale angoscia di essere braccati, di non poter sfuggire di fronte a una cosa talmente più grande di loro?

In questi giorni di festa si ricordano molti di questi momenti difficili che accompagnano l’infanzia di Gesù, e che mettono in luce anche il terribile paradosso tra un Dio che non vuole costringere i suoi figli e vuole essere amato liberamente, e la violenza degli uomini.

Ma nella scena di Gesù al tempio tra i dottori della Legge, c’è un altro particolare importante per tutte le famiglie. I dodici anni, nella cultura di allora, erano una prima tappa verso la maturità. Le ragazze potevano essere promesse in sposa, i maschi iniziavano lo studio della Legge. In questa scena di Gesù che rimane al tempio, quindi, è simboleggiata anche la fatica di ogni genitore nei confronti dei passaggi di crescita dei propri figli, soprattutto quelli decisivi. C’è una grande gioia nel vedere questi passaggi avvenire in maniera riuscita, ma c’è sempre anche una preoccupazione data dal legame viscerale dei genitori, dall’incognito che i figli si trovano ad affrontare.

Le parole di Maria riflettono questo stato d’animo: “Tuo padre e io angosciati ti cercavamo”. La risposta di Gesù, d’altra parte, incoraggia ogni genitore: “Non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre?”.

Ogni figlio e ogni figlia deve aprirsi a questo “destino” che noi chiamiamo l’amore del Padre, e la grande sfida di ogni genitore è quello di accompagnarli e custodirli finché questo amore non si riveli e, allora, lasciarli liberi.

Mi sembra che la festa della Santa Famiglia sia così un inno di grazie a tutti coloro che custodiscono e curano le giovani vite dei bimbi, ai genitori che fanno le notti per mesi e mesi per accudire i propri figli piccoli, che lavorano con fatica per una vita intera per promettere futuro, che si impegnano per offrire possibilità, risorse ed educazione finché ad ognuno non si riveli il proprio “destino”, la chiamata dell’amore del Padre.

La gratitudine nei confronti di chi origina, ama e custodisce una giovane vita, non sarà mai troppa. Celebriamo la festa della Santa Famiglia, proprio dopo Natale, per questo.

 Don Davide




Promesse di bene e gioia d’Avvento

Già un anno che sono da voi (dovrei dire: da “noi”). Mi metto davanti alle letture di questa Prima Domenica di Avvento e sento come – ancora una volta e sempre – la Parola di Dio, prima di essere letta, è lei stessa che legge la nostra vita: «Io realizzerò le promesse di bene» (Ger 33,14). Mi chiedo: “Ho ricevuto il bene?”. Rispondo: “Sì”.

È un sì senza alcuna retorica, senza effetti di circostanza, animato dall’entusiasmo inaspettato di riconoscere una comunità, come la tua comunità, quella che prima di tutto ti ha accolto e ha fatto lo sforzo di volerti bene e che a un certo punto riconosci con una punta di calore nel cuore come la tua famiglia.

Forse non si riesce ad esprimere fino in fondo quanto sia difficile – quando un prete cambia – per il prete, voler bene a volti ancora sconosciuti, per i parrocchiani, voler bene a un prete che comunque risulta sempre un “usurpatore”. All’inizio ci si mette soprattutto una grande disponibilità, una disposizione interiore fatta di accoglienza e affetto regalato… poi viene il momento, che vale la bellezza di tutto il ministero, in cui riconosci alcuni dettagli e alcuni stili come usuali e dici: “Ok, sono a casa”.

In questo anno, mi ha accompagnato l’immagine di don Valeriano, fedelissimo, nella sua sedia in fondo alla chiesa, come un esperto capitano che dal suo punto di osservazione tiene d’occhio le peripezie del mozzo diventato timoniere. Il giovane marinaio, dalla sua, è furbo: sa che l’oceano di oggi, con l’effetto serra e i cambiamenti climatici, è molto più difficile di una volta, e quindi sa che è una fortuna indescrivibile essere in due lupi di mare sulla barca, piuttosto che uno solo. È una grazia navigare avendo le spalle coperte e con la certezza che, se ci sarà la bonaccia o i venti contrari, mentre tu tieni il timone, qualcuno saprà sistemare le vele, senza sprecare parole.

Quale preghiera migliore per questa esperienza che spegne la sua prima candelina, che rubare le parole di Paolo nella seconda lettura? «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, per rendere saldi i vostri cuori nella santità» (1Ts 3,12-13).

In uno scenario cosmico preoccupante e sconvolgente, tale che molti “muoiono di paura” (Lc 21,26), mi auguro che, quale comunità cristiana, possiamo essere saldi nella fiducia, senza paura (come ha dichiarato papa Francesco in questi giorni), e decisi a tenere il capo ben dritto levato verso la speranza. Per fare questo, Gesù ci chiede di esercitare il discernimento educando lo spirito. Perciò, cerchiamo di sfruttare questo prezioso tempo di Avvento, per riassaporare il gusto di un atteso, sorprendente e intimo incontro con lui.

Don Davide




Esercizi spirituali

In vista degli esercizi spirituali parrocchiali il 27-29/11/2015, sull’Agenda parrocchiale di questa domenica e della prossima, proponiamo due riflessioni: la prima su cosa sono gli esercizi spirituali; la seconda sul come si inseriscono nel percorso della nostra parrocchia.

 Gli Esercizi Spirituali sono un’opera di Sant’Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù, in cui il grande santo riversa tutta la sua esperienza riguardo alla vita spirituale e al discernimento interiore. Attraverso un metodo molto rigoroso, fatto di piccole meditazioni e di veri e propri esercizi dello spirito, lungo un itinerario che dura ben quattro settimane, l’autore propone un percorso di purificazione e di vera e propria rinascita, in modo da poter seguire Gesù Risorto senza catene e con maggiore autenticità e slancio.

I Gesuiti propongono ancora oggi gli esercizi spirituali nella forma classica, fatta di quattro settimane consecutive di ritiro e di profonda meditazione, anche se c’è una versione “aggiornata” in cui si possono fare le quattro settimane separatamente, nel corso di un anno o più.

Da questa ricchissima tradizione spirituale, la Chiesa ha ricavato un metodo, che è diventato una via privilegiata per la formazione spirituale di tutti, presbiteri e religiosi, ma anche laici.

In genere, quando oggi si parla di esercizi spirituali, si intende un periodo prolungato (può essere una settimana o qualche giorno) di meditazione e preghiera in un clima di silenzio costante, in modo da poter conservare la massima concentrazione e permettere alla Parola di Dio di risuonare in tutte le sue vibrazioni.

Negli ultimi decenni, il Card. Carlo M. Martini, è stato insuperabile maestro di un ulteriore rinnovamento del metodo e della forma degli esercizi spirituali. Martini ci ha insegnato a meditare, interrogare la nostra vita e pregare a partire dall’ascolto attento della Bibbia, facendo sintesi tra la lunghissima tradizione della Lectio Divina (di origine monastica) e la grande sapienza di Sant’Ignazio riguardo alla vita interiore e al discernimento spirituale.

In questa esperienza, come si vede, risulta fondamentale la guida di una persona esperta, un “maestro” nella vita dello Spirito e nella predicazione.

Da questo tesoro della vita ecclesiale si sono moltiplicate svariate esperienze che cercano di tradurre l’intuizione degli esercizi spirituali nella vita concreta delle persone e delle comunità parrocchiali. Non tutti infatti sono abituati a prendersi due o tre giorni di ritiro, a meditare il Vangelo nel silenzio e a pregare a lungo… e non tutti, semplicemente, possono farlo in mezzo ai tanti impegni della vita quotidiana, del lavoro o della famiglia.

Perciò la nostra parrocchia ha deciso di proporre un’esperienza calibrata sulle esigenze di tutti, in cui poterci mettere in ascolto e chiedere allo Spirito Santo di farci fare “un po’ di strada” sia personalmente, che come comunità.

Si tratterà di due momenti di meditazione guidata e di preghiera personale, il venerdì sera e la domenica pomeriggio, più – per chi vorrà – uno spunto personale per la giornata del sabato, dove ci daremo appuntamento per la preghiera dei Primi Vespri, che sono anche l’inizio del nuovo anno liturgico.

Domenica prossima proveremo a condividere qualche riflessione su come si inserisca questa proposta nel nostro cammino personale e parrocchiale.

Don Davide

e l’Azione Cattolica parrocchiale




Tutti santi + 1

Chi ha letto la fortunata e bellissima saga di Harry Potter, di J. K Rowling, sa che i dolcetti preferiti dei giovani protagonisti sono le “Caramelle Tutti i Gusti + 1”: tra le quali si trovano sapori bizzarri che riservano sempre delle sorprese. Di fronte alla festa di Tutti i Santi, non ho potuto fare a meno di pensare a questa associazione. Anche tra i santi, infatti, si trovano personaggi singolari, come ad esempio San Filippo Neri, che era pazzerello e giocherellone; oppure San Girolamo, insuperato conoscitore delle Scritture, ma che aveva un tale caratteraccio da rimproverare Sant’Agostino per il fatto di predicare senza conoscere perfettamente l’ebraico.

In questa festa, però, non si ricordano solo i santi ufficiali, quelli saliti agli onori degli altari, ma anche tutti quei fedeli che – magari sconosciuti – hanno condotto una vita santa nell’amore. Sono loro quel +1 sorprendente! Gente che forse non è stata riconosciuta da chi era vicino, ma che ha vissuto uno straordinario eroismo di virtù, o di pazienza, o di carità che solo a Dio era noto.

Tutti i Santi: una comitiva sensazionale di amici che oggi festeggiamo e ringraziamo perché ci accompagnano e ci proteggono.

Se però leggiamo bene il titolo che ho dato a queste riflessioni – a dire il vero un po’ pazzerelle anch’esse – ci accorgeremo che non ho scritto “Tutti i Santi”, bensì “TUTTI SANTI”, senza l’articolo. Non è solo la festa che celebra quelli che santi lo sono già diventati, ma è un invito molto forte a percorrere il cammino della santità. Anche in questo caso vale il simpatico riferimento alla storia di Harry Potter: “TUTTI SANTI +1!”. Magari il +1 è quel tuo collega di cui sai poco, e che in pausa pranzo sparisce per qualche minuto: nella prima parrocchia dove sono stato, c’era un signore che veniva in chiesa sempre dalle 13.30 alle 14.00, nella sua pausa pranzo e stava lì immobile, ad adorare il Signore. Oppure è quel tuo compagno di università, che senza farsi pubblicità, va tutte le settimane a trovare i malati in ospedale. O quella mamma, che anche se non ci pensi – perché non fa nulla di straordinario – ama suo marito e si prende cura di lui e dei suoi figli consumando il suo tempo.

In realtà, però, quell’ “UNO IN PIÙ” sei anche tu, sì proprio tu che stai leggendo! È la chiamata sorprendente di Dio che coinvolge anche te, e allo stesso tempo ti ricorda che tu stesso sei una gioia in più e originale per questo gruppo di persone meravigliose.

Mi chiedi: «Ma come si diventa santi?» Ai più grandi rispondo: 1) ama le persone che hai scelto; 2) compi il tuo dovere (se possibile con gioia); 3) sii benevolo, misericordioso e paziente. Ai più giovani, invece, sento di lasciare il consiglio insuperato di San Giovanni Bosco: 1) prega un po’ ogni giorno; 2) compi sempre il tuo dovere; 3) stai allegro e custodisci la gioia.

E allora coraggio! Tutti santi +1! Sì anche tu che pensi che sia impossibile! Chissà che non sia proprio tu, invece, il gusto +1 in questa grande assemblea di Dio!

Don Davide




Un solo maestro e tanti fratelli come guida

In questa Domenica la nostra Chiesa di Bologna celebra il patrono, San Petronio, e le letture della liturgia sono specifiche. Nella nostra parrocchia, la solennità di San Petronio segna anche l’inizio del catechismo, che è sicuramente l’attività pastorale che impiega più energie e coinvolge un maggior numero di persone: ragazzi, catechisti e famiglie.

Mi piace pensare che il Vangelo proclamato per la solennità di San Petronio sia come una bussola per il nostro impegno. Gesù dice di non chiamare nessuno maestro, perché uno solo è il nostro Maestro, e noi siamo tutti fratelli. Io vedo in questo un modello per la nostra pastorale. La pastorale di una parrocchia, infatti, non è fatta di persone che “insegnano” e di persone che “devono imparare”; di gente che sa e di contenuti da trasmettere; di un gruppo che comunica i contenuti della fede o i comportamenti cristiani e di un gruppo che li dovrebbe ricevere. Nella pastorale, siamo tutti alla scuola di un solo pastore: Gesù Cristo. E anche i catechisti e gli educatori, condividendo il cammino e la loro esperienza con i più piccoli o con chi viene guidato nella fede, in realtà sono in un percorso in cui imparano insieme agli altri dall’unico maestro.

Il metodo non è quello che ci sono alcuni “attori” e alcune persone “passive”, nemmeno i bimbi del catechismo! La regola suprema, per me, è il coinvolgimento! La fede viene condivisa e “insegnata” solo rendendo tutti attivi protagonisti della vita cristiana, anche i nostri fanciulli che sono ancora nel cammino dell’Iniziazione, attraverso la preparazione ai Sacramenti.

Coinvolgimento dei ragazzi nell’esperienza del catechismo e dei gruppi, coinvolgimento delle famiglie nel condividere l’impegno educativo della comunità cristiana, coinvolgimento dei catechisti ed educatori e di tutti gli altri responsabili delle attività della parrocchia nel sentirsi protagonisti insieme al parroco della vita della nostra comunità: questo per me significa, nel concreto, avere un solo maestro e sentirsi tutti fratelli.

Chiediamo al grande pastore della nostra Chiesa, San Petronio, di sostenerci in questo progetto e di aiutare la nostra comunità ad accompagnare i ragazzi che iniziano il catechismo, e a sentirci tutti coinvolti, insieme a loro, nel fare maturare la nostra fede.

Don Davide




Fossero tutti profeti!

Assistiamo in questi giorni alla straordinaria capacità di papa Francesco di trasferire il suo carisma su quello di tutta l’istituzione ecclesiale. Trovo in questo aspetto una specie di realizzazione dell’esclamazione profetica di Mosè: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!» (Nm 11,29).

Ancora una volta, la seconda lettura, la Lettera di Giacomo ci porta a riflettere su temi sociali come l’uguaglianza e l’equità. Nel suo viaggio a Cuba e in America, papa Francesco ha richiamato più volte alcuni di questi temi, convinto che l’attenzione seria a questo patrimonio, che appartiene pienamente al contenuto del Nuovo Testamento, sia una delle vie per testimoniare una nuova autenticità cristiana e per operare la “rivoluzione della tenerezza”.

Papa Francesco ha frequentemente spiazzato i discepoli di Gesù, come già faceva il Maestro, rifiutando la distinzione “noi e loro”, “i nostri e gli altri”, in nome di una fratellanza di tutti gli uomini che tenda a collaborare all’edificazione del Regno. Del resto, si sa, «lo Spirito soffia dove vuole» (Gv 3,8). L’attenzione, per altro impegnativa e faticosa, che tutti noi dovremmo avere, invece, è quella di non creare scandalo, soprattutto di non creare impedimenti (è questo il significato letterale di “scandalo”) ai più piccoli, ai poveri, alle persone svantaggiate. Senza mezzi termini, Gesù ci ricorda che è necessario sradicare da noi le cose che portano allo scandalo, e sembra che papa Francesco abbia preso con una radicalità senza precedenti questo insegnamento, quando – ad esempio – rifiuta il sontuoso pranzo offerto dal Congresso Americano per andare a mangiare alla mensa della Caritas, oppure quando si muove con una piccola auto in mezzo ai mezzi maestosi della sicurezza americana (pur necessaria).

Allora possiamo provare a seguire questo insegnamento e, grati al carisma di papa Francesco, provare anche noi come singoli e come comunità cristiana a compiere gesti profetici, anche piccoli, ma simbolici, che siano profezia della volontà d’amore di Dio per tutti gli uomini.

Don Davide