Un solo maestro e tanti fratelli come guida

In questa Domenica la nostra Chiesa di Bologna celebra il patrono, San Petronio, e le letture della liturgia sono specifiche. Nella nostra parrocchia, la solennità di San Petronio segna anche l’inizio del catechismo, che è sicuramente l’attività pastorale che impiega più energie e coinvolge un maggior numero di persone: ragazzi, catechisti e famiglie.

Mi piace pensare che il Vangelo proclamato per la solennità di San Petronio sia come una bussola per il nostro impegno. Gesù dice di non chiamare nessuno maestro, perché uno solo è il nostro Maestro, e noi siamo tutti fratelli. Io vedo in questo un modello per la nostra pastorale. La pastorale di una parrocchia, infatti, non è fatta di persone che “insegnano” e di persone che “devono imparare”; di gente che sa e di contenuti da trasmettere; di un gruppo che comunica i contenuti della fede o i comportamenti cristiani e di un gruppo che li dovrebbe ricevere. Nella pastorale, siamo tutti alla scuola di un solo pastore: Gesù Cristo. E anche i catechisti e gli educatori, condividendo il cammino e la loro esperienza con i più piccoli o con chi viene guidato nella fede, in realtà sono in un percorso in cui imparano insieme agli altri dall’unico maestro.

Il metodo non è quello che ci sono alcuni “attori” e alcune persone “passive”, nemmeno i bimbi del catechismo! La regola suprema, per me, è il coinvolgimento! La fede viene condivisa e “insegnata” solo rendendo tutti attivi protagonisti della vita cristiana, anche i nostri fanciulli che sono ancora nel cammino dell’Iniziazione, attraverso la preparazione ai Sacramenti.

Coinvolgimento dei ragazzi nell’esperienza del catechismo e dei gruppi, coinvolgimento delle famiglie nel condividere l’impegno educativo della comunità cristiana, coinvolgimento dei catechisti ed educatori e di tutti gli altri responsabili delle attività della parrocchia nel sentirsi protagonisti insieme al parroco della vita della nostra comunità: questo per me significa, nel concreto, avere un solo maestro e sentirsi tutti fratelli.

Chiediamo al grande pastore della nostra Chiesa, San Petronio, di sostenerci in questo progetto e di aiutare la nostra comunità ad accompagnare i ragazzi che iniziano il catechismo, e a sentirci tutti coinvolti, insieme a loro, nel fare maturare la nostra fede.

Don Davide




Fossero tutti profeti!

Assistiamo in questi giorni alla straordinaria capacità di papa Francesco di trasferire il suo carisma su quello di tutta l’istituzione ecclesiale. Trovo in questo aspetto una specie di realizzazione dell’esclamazione profetica di Mosè: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!» (Nm 11,29).

Ancora una volta, la seconda lettura, la Lettera di Giacomo ci porta a riflettere su temi sociali come l’uguaglianza e l’equità. Nel suo viaggio a Cuba e in America, papa Francesco ha richiamato più volte alcuni di questi temi, convinto che l’attenzione seria a questo patrimonio, che appartiene pienamente al contenuto del Nuovo Testamento, sia una delle vie per testimoniare una nuova autenticità cristiana e per operare la “rivoluzione della tenerezza”.

Papa Francesco ha frequentemente spiazzato i discepoli di Gesù, come già faceva il Maestro, rifiutando la distinzione “noi e loro”, “i nostri e gli altri”, in nome di una fratellanza di tutti gli uomini che tenda a collaborare all’edificazione del Regno. Del resto, si sa, «lo Spirito soffia dove vuole» (Gv 3,8). L’attenzione, per altro impegnativa e faticosa, che tutti noi dovremmo avere, invece, è quella di non creare scandalo, soprattutto di non creare impedimenti (è questo il significato letterale di “scandalo”) ai più piccoli, ai poveri, alle persone svantaggiate. Senza mezzi termini, Gesù ci ricorda che è necessario sradicare da noi le cose che portano allo scandalo, e sembra che papa Francesco abbia preso con una radicalità senza precedenti questo insegnamento, quando – ad esempio – rifiuta il sontuoso pranzo offerto dal Congresso Americano per andare a mangiare alla mensa della Caritas, oppure quando si muove con una piccola auto in mezzo ai mezzi maestosi della sicurezza americana (pur necessaria).

Allora possiamo provare a seguire questo insegnamento e, grati al carisma di papa Francesco, provare anche noi come singoli e come comunità cristiana a compiere gesti profetici, anche piccoli, ma simbolici, che siano profezia della volontà d’amore di Dio per tutti gli uomini.

Don Davide




Un bambino posto nel mezzo

Il gesto di Gesù nel Vangelo di oggi ci dà l’occasione per uno spunto pastorale. Di fronte alle ambizioni dei discepoli, Gesù mette al centro un bambino, come segno della disponibilità ad accogliere Gesù stesso.

Allo stesso modo, se devo immaginare la metodologia pastorale di una comunità cristiana, penso che un programma pastorale debba partire mettendo al centro i bimbi e i ragazzi. Attenzione: so che vado contro corrente, nel senso che tuti i documenti importanti del magistero dicono che ci vuole un inversione di tendenza, che bisogna lavorare di più con i genitori, gli adulti e le famiglie… ma per me, mettere al centro i bimbi e i ragazzi non significa dedicare ore, tempo ed energie solo al catechismo o ai gruppi, trascurando le mille altre esigenze della pastorale parrocchiale.

Il punto è un altro. Per me significa mettere al centro il progetto che riguarda i più giovani, per coinvolgere, attivare, responsabilizzare e chiamare a condivisione tutta la parrocchia. Gesù lo dice senza mezzi termini: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me”.

Concretamente, penso che il metodo per fare questa cosa sia di avere un’idea guida e un orizzonte condiviso. Con i gruppi facciamo questo attraverso gli strumenti dell’Azione Cattolica, che – per quest’anno – propongono come icona biblica la Visita di Maria a Elisabetta, come idea guida il tema del viaggio e come categoria di fondo la novità. Piano piano, sapendo che la formazione dei più giovani viene elaborata a partire da questo sfondo, mi piacerebbe che ci potesse essere una sintonia di tutta la comunità, una lunghezza d’onda condivisa, naturalmente calibrata sulla maturità e l’esperienza delle diverse fasce d’età.

In fondo, Gesù istruisce i suoi discepoli in un lungo viaggio attraverso le strade di Giudea e di Galilea, dove gli incontri, le parole, i problemi diventano occasione per annunciare e spiegare il Regno. Gesù non si è seduto in sinagoga, come facevano i maestri, per spiegare la Legge. Lo ha fatto “itinerando”, viaggiando.

La seconda lettura ci svela le passioni che emergono in questo viaggio, passioni spesso negative, che stanno rintanate nei nostri cuori, ed emergono quando smuoviamo le acque… Allora, lungo il cammino, sarà anche nostro compito imparare la sapienza che ci permette di neutralizzare queste passioni “tristi” (per usare una celebre formula usata nella psicologia) e imparare la passione per il Regno, attraverso lo sguardo posato su un bambino, posto nel mezzo.

Don Davide




Pensieri per un anno pastorale

«A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?» (Gc 2,14).

La domanda a bruciapelo della Lettera di Giacomo pone il problema di uno stile del nostro essere cristiani. Non è più la questione che ha diviso la Chiesa ai tempi della Riforma Protestante, se ci si salvi per le opere o per la fede… ormai è chiaro che ci si salva per grazia, in ogni caso. La questione è molto più il problema della presenza cristiana nel mondo: parole e opere non possono essere disgiunte, la coerenza della nostra testimonianza è fondamentale perché il vangelo possa ancora brillare agli occhi di tanti uomini e donne che, semplicemente, aspettano un segno che li interpelli.

Abbiamo un esempio emblematico di questo nella celeberrima scena del Vangelo. Pietro confessa con le parole la sua fede, ma poi con il suo modo di fare nega di fatto il punto più autentico della vita di Gesù: la sua morte e resurrezione.

Gesù lo rimprovera senza mezzi termini.

Anche noi spesso siamo come Pietro: professiamo la nostra fede a parole e nelle celebrazioni, ma poi nella vita di tutti i giorni il nostro stile non è coerente con il Vangelo. Soprattutto il nostro rapporto con i momenti di sofferenza, spesso, non tiene in nessuna considerazione la luce che viene dalla Croce di Gesù. Non è facile per nessuno, certo. Ma forse ci viene incontro proprio Gesù stesso, quando – dopo avere chiamato Pietro: “Satana” – gli dice di “tornare dietro di lui”, cioè di tornare nella posizione della sequela.

Ecco, noi riscontriamo tanti limiti nel nostro stile di vita cristiana, tante incoerenze, ma non dobbiamo preoccuparci: possiamo sempre ritornare nella posizione della sequela, con semplicità e direi anche un po’ di leggerezza, sapendo che sarà proprio questo “andare dietro a Gesù” che ci farà assumere il suo stile.

Mi auguro che in questo anno pastorale noi possiamo tenere come preziosissimi questi consigli. Che pian piano, cercando di tenere a mente le motivazioni evangeliche delle nostre scelte e delle nostre azioni, la fede che come comunità cristiana professiamo corrisponda sempre di più anche al nostro modo di essere autentici testimoni di Gesù soprattutto di fronte alle grandi sfide che si pongono alla coscienza cristiana: la questione dei migranti, l’ecologia, la giustizia sociale, la solidarietà, l’educazione delle nuove generazioni.

Don Davide




Il tempo della misericordia

Ci prepariamo a riprendere un anno pastorale, pieno di attività, di incontri e di propositi di bene. Lo facciamo in questo tempo in cui il sogno dell’Europa sembra dissolversi con l’innalzarsi di nuovi muri – pensavamo di esserceli lasciati alle spalle definitivamente, i muri – e in cui veniamo scossi dalla morte di tanti uomini, donne e bambini che migrano per le più svariate ragioni, e che sono – prima di tutto – nostri fratelli e nostre sorelle in umanità, figli di Dio.

Papa Francesco ci richiama continuamente a non dimenticarci di questa compassione per l’essere umano, imitando il Figlio di Dio che ha fatto come il Buon Samaritano, e si è chinato – e si china continuamente – sull’umanità ferita. Fedele al suo proposito, papa Francesco, apre sempre di più le porte della misericordia, con gesti e indicazioni concrete. Mi sembra che non sia solo un invito ad azioni particolari, ma la volontà di traghettare la Chiesa in un “tempo della misericordia”, simbolicamente avviato dall’indizione di uno speciale Anno Santo.

Il “tempo della misericordia” non è un singolo gesto, un’iniziativa o un’azione particolarmente benevola, è un clima e una mentalità, è uno stile con cui il cristiano abita e vede il mondo.

Possiamo comprendere le letture di questa domenica solo in questa cornice, e tenendo sempre davanti agli occhi ciò che accade nella storia del mondo.

Il profeta Isaia ci ammonisce: «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Giunge la vendetta del vostro Dio”. È un linguaggio duro, che sfugge alla gabbia del politicamente corretto. C’è una vendetta di cui Dio è il protagonista, per fare giustizia agli smarriti di cuore, alle vittime. Ci sarà una vendetta contro chi rimarrà insensibile alla morte di un bambino sulle spiagge dei nostri mari. Ci sarà una vendetta che farà fiorire e irrigherà le terre deserte e martoriate dell’Africa e del Medio Oriente: «La terra riarsa diventerà una palude e il suolo riarso sorgenti d’acqua», (I lett.) mentre altri saranno condannati per i propri «giudizi perversi» (II lett.).

La Lettera di San Giacomo, infatti, è inequivocabile: ai ricchi si dice: “Siediti qui”, mentre per i poveri “non c’è posto”. «Non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?».

Nel vangelo, invece, Gesù guarisce un sordomuto. Ora quel sordomuto siamo noi, noi tutti, chiese e civiltà dell’Europa, che dobbiamo imparare di nuovo a tendere l’orecchio e ascoltare il grido di chi ha bisogno, come fa Gesù, e a parlare non più di muri, razzismo, confini e frasi fatte, ma un linguaggio profetico che immagini e costruisca un mondo che, realmente, sia più conforme al Regno di giustizia e di pace che Dio ha voluto iniziare nella storia degli uomini.

Don Davide




Lo spirito della comunione

La solennità della SS. Trinità ci ricorda innanzitutto la vicinanza di Dio (Deuteronomio, I lettura). Dio non “era” solo. Lui è un’esistenza di comunione e di relazione: non aveva bisogno di creare il mondo, né tantomeno di scegliere un popolo con cui iniziare una storia.

Invece Dio ha scelto, con una decisione eterna, di espandere il suo amore e coinvolgere tutta la creazione in questo amore, e di scegliere un popolo per fare sentire piano piano a tutta l’umanità la sua vicinanza.

Lo Spirito Santo è la realtà di questa presenza di Dio in mezzo a noi, prima discreta e ora, nel tempo della Chiesa, manifesta.

Gesù risorto invia i suoi discepoli a battezzare e a coinvolgere nell’esperienza della fede tutti gli uomini, incaricandoli di farlo “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, cioè nel “nome” della Trinità.

Il “nome”, nella cultura ebraica, indica l’identità nel senso più profondo che si possa immaginare: esprime l’essere profondo di una persona, le sue caratteristiche, la sua natura, la sua capacità e il suo modo specifico di relazionarsi.

L’invito di Gesù, quindi, è un mandato a coinvolgere tutti gli uomini in questa comunione di amore e con lo stile di questa comunione. Non si tratta di una conquista, né di un allargare le fila della chiesa… ma di un testimoniare la Chiesa per quella che è realmente, ossia una comunità modellata dall’amore di Dio e che lo esprime fedelmente: una comunità che fa spazio al diverso, come il Dio Trinità; una comunità che coinvolge nell’amore chi ne è escluso, come il Dio Trinità; una comunità che, come il Dio Trinità, pazientemente si mette accanto agli uomini e alle donne, e cammina con loro, anche mille anni, per educarli a lasciarsi coinvolgere in questa gioia.

La solennità della Trinità, non è dunque una festa di concetti metafisici complessi e di distinzioni sottili, ma è la festa che invita ogni piccola comunità che costruisce la chiesa a realizzarsi in uno scambio di amore e di amicizia, e a condividere questa gioia con tutti.

Don Davide




Lo spirito della vita

Mentre continuano a giungere alle nostre orecchie tante notizie di ingiustizia, di violenza e di morte, viene rinnovata sulla Chiesa l’effusione dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste (sulla chiesa e su tutti gli uomini e le donne aperti ad accogliere questo dono, poiché lo Spirito Santo «soffia dove vuole» [Gv 3,8]).

In questa celebrazione è come se l’energia della resurrezione di Gesù si dispiegasse completamente. Nella notte di Pasqua abbiamo proclamato in un salmo: “Mandi il tuo Spirito, Signore, e tutta la terra si rinnova” (Sal 104); potremmo quasi dire che l’efficacia di questo rinnovamento opera a partire da oggi, e attraverso la conversione “alla vita” di tutte le persone che decidono di accogliere lo Spirito Santo e di fare spazio all’amore per la vita stessa. Si tratta di scelte concrete, con ricadute efficaci: i nostri stili di vita, il rispetto della creazione, la gentilezza nei confronti delle persone, la bontà, l’onestà, la dedizione ai più piccoli, gli sforzi per includere i poveri e gli esclusi, la gioia di esistere, l’entusiasmo e l’impegno di amare.

«Tutti furono pieni di Spirito Santo», dice il racconto di Pentecoste. Non si tratta – evidentemente –  di una pienezza quantitativa, come se lo Spirito Santo si potesse misurare, quanto di una pienezza qualitativa: si intende cioé una vita interamente animata e permeata dalla forza dello Spirito, che porta il suo frutto nelle famose nove manifestazioni che vale la pena di ricordare: gioia, pace, amore, bontà, pazienza, benevolenza, fedeltà, mitezza, dominio di sé.

Uno dei segni più efficaci di questa svolta che investe i discepoli è il cosiddetto “dono delle lingue”, ossia la possibilità di comprendersi, la grazia di una comunicazione efficace. Nel racconto degli Atti degli Apostoli sono due i miracoli che accadono: il primo è che i discepoli parlano più lingue, ispirate dallo Spirito; il secondo è che gli uditori sentono nella propria, come se lo Spirito avesse aperto a tutti la facoltà della comprensione. E’ un simbolo potentissimo che ci richiama al valore di una comunicazione che permetta una reale comprensione. Lo Spirito ci invita a metterci nei panni dell’altro (l’immagine di parlare più lingue) e di ascoltare come se parlasse esattamente la nostra (l’immagine dell’ascolto), perché solo questo ci permette di entrare in profonda empatia e condivisione e di fare sì che il dono supremo fatto all’uomo, la Parola, sia sorgente della nuova e vera comunione del mondo, contro tutte le forze disgregatrici della Morte.

Don Davide




Gli esercizi spirituali nella nostra parrocchia

Da venerdì prossimo la nostra comunità sarà impegnata negli esercizi spirituali parrocchiali. Ho voluto questa occasione per iniziare nel migliore dei modi il nuovo anno liturgico e il tempo di Avvento in preparazione al Natale, e ho chiesto all’Azione Cattolica parrocchiale di farsi carico dell’organizzazione a servizio di tutti.

Attraverso gli esercizi spirituali, vorrei che tutta la nostra comunità potesse riflettere sul tema del “Viaggio” – come già stanno facendo i vari gruppi parrocchiali – attraverso la scena del viaggio di Maria, che va a visitare la cugina Elisabetta dopo l’Annunciazione.

“Il Viaggio” è la chiave di lettura per entrare nella fecondità del Vangelo per l’oggi.

Che cosa significa per ciascuno di noi iniziare o ri-iniziare un itinerario spirituale? Quali sono le situazioni a cui dobbiamo fare fronte nella nostra vita personale, attraverso la disponibilità a metterci in cammino? Chi dobbiamo incontrare amorevolmente nella carità?

E ancora: come possiamo camminare insieme? Che cosa è necessario prendere come se fosse il bagaglio di un viaggio, nella pastorale della nostra comunità? E che cosa è necessario lasciare, perché comporta troppa zavorra?

Cosa significa come chiesa locale, incominciare un nuovo cammino con un nuovo vescovo?

E poi questo viaggio è sotto l’insegna della Misericordia, voluta da papa Francesco. Cosa significa, per ciascuno di noi, per le nostre relazioni, per il nostro amore e le nostre responsabilità, camminare sotto la benevola misericordia di Dio? Cosa comporta incontrare gli altri con misericordia, ed esercitarla il più possibile nella nostra vita?

Il tema del viaggio, infine, ci potrebbe spingere a considerare la sorte di tanti nostri fratelli e sorelle, che viaggiano attraverso deserti e mari, in mezzo a guerre e carestie… e trovano una sosta fuori dalla porta di casa nostra. Come ci interroga il viaggio di tanti uomini e donne?

Come vediamo, la chiave di lettura del viaggio è molto feconda per la nostra vita e le nostre riflessioni.

Venerdì sera vorremo farci aiutare a sostare proprio sul Vangelo, intercettando la forza di queste due donne meravigliose, Maria ed Elisabetta, e cercando di capire come il loro viaggio e il loro incontro coinvolga anche noi. Sabato sarà un giorno dedicato alla riflessione personale e domestica, magari insieme alla nostra famiglia. In questo giorno, i bimbi e le famiglie del catechismo, si inseriscono a loro modo negli esercizi spirituali parrocchiali, con un pomeriggio di festa e di preparazione del presepe parrocchiale. Concluderemo la giornata alle ore 18 con la preghiera dei vespri, per inaugurare il nuovo anno liturgico e iniziare insieme l’Avvento. Infine, domenica pomeriggio, padre Maurizio ci aiuterà a fare un viaggio e una ricognizione all’interno della nostra comunità, per cercare di capire come possiamo interpretare al meglio la nostra vita cristiana, in relazione alle sfide che ci attendono e al bene che dobbiamo costruire.

Vorremo poi concludere con un momento di festa, un aperitivo e un brindisi insieme.

Chi volesse proseguire questa esperienza e magari incontrare un luogo di scambio e di formazione, è invitato liberamente il sabato successivo, sabato 5 dicembre, alle ore 17.30, all’incontro organizzato dall’Azione Cattolica del nostro vicariato, proprio qui nella nostra parrocchia. Come dicevo, può essere un modo per continuare un po’ di percorso, e anche per condividere un maggiore coinvolgimento all’interno della vita parrocchiale.

 Don Davide




La chiamata del buon pastore

La Chiesa dedica questa Domenica, IV dopo Pasqua, alla “Giornata di preghiera per le vocazioni”.

La figura che emerge dalle letture odierne è quella del buon (o bel) Pastore, già presente nei graffiti e negli affreschi delle Catacombe, effigiato con sulle spalle l’agnello più giovane o più debole del suo gregge.

Questa immagine è stata efficacemente ripresa da Papa Francesco, che ha sottolineato come il vero pastore si riconosce dall’odore del gregge che guida distinguendosi dal mercenario che non sta con le sue pecore, quindi non le conosce. Nel momento del pericolo, infatti, le abbandona al lupo, che le “rapisce e le disperde”. Non a caso i due verbi, nella Scrittura, sono usati per descrivere l’agire di Satana o Diavolo ( da “dia-ballo” = separo).

Il vero pastore non fugge, rimane ed è pronto a dare la vita per il gregge, che gli è stato affidato come, fuor di parabola, ha fatto Gesù per i suoi e per tutti noi.

In questo brano il verbo “conoscere” (che sappiamo avere addirittura un significato di intimità nuziale: “Adamo conobbe Eva”; Maria: “Non conosco uomo . . .”) è citato ben quattro volte e la conoscenza avviene attraverso la “voce“ del Pastore che unisce il gregge e lo porta in salvo.

Nelle letture di questi giorni, soprattutto nei Vangeli, si è spesso usato il Verbo “dimorare, rimanere”: noi in Lui, Egli in noi. E’ il verbo del Battesimo di Gesù quando si dice che lo Spirito “si ferma, rimane” su Gesù che dal Padre è chiamato “il diletto”.

La prima lettera di Giovanni, seconda lettura, inizia con un “carissimi” che letteralmente significa “diletti”, la stessa parola usata dal Padre nei confronti del Figlio sempre durante il Battesimo nel Giordano.

Il testo afferma che “fin d’ora siamo figli di Dio” e fratelli di Gesù che ancora vediamo come in uno specchio (1 Cor 13,12) mentre “quando si sarà manifestato lo vedremo così come Egli è”.

L’immagine che Pietro, negli Atti, mostra agli abitanti di Gerusalemme e ad ognuno di noi è quella di un uomo infermo, di un “ecce homo”, risanato nel nome di Gesù Cristo il Nazareno “che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti”.

Gesù rivive ed opera negli apostoli che hanno incontrato, guardato con amore e preso per mano quell’uomo, lo hanno “toccato” come faceva Gesù che agiva con “viscere di misericordia” come il prossimo giubileo invita ogni cristiano a fare.

Il cristiano non è uno a cui è andato bene o deve andare bene tutto, ma è uno che “vi sta innanzi risanato”.

Anche per noi non c’è altro modo di essere salvati che essere guardati, toccati dall’amore.

Il Salmo ripete, per due volte, “il suo amore è per sempre” ed “eterna è la sua misericordia” come ripeteremo con Papa Francesco nell’anno del giubileo straordinario: “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”.

Don Davide




La concretezza della resurrezione

Nella lettura di questa III Domenica di Pasqua riecheggia ancora l’eco delle ultime parole di Gesù sulla Croce: “Perdona loro … !”. Infatti, la grandiosa “omelia” di Pietro si rivolge a coloro che avevano invocato la condanna di Gesù e, invece di maledirli per il loro misfatto, li invita ad una conversione perdonando il loro peccato, come aveva fatto Gesù sulla Croce. Il discorso di Pietro fu pronunciato sotto al portico di Salomone, verso le tre del pomeriggio, dopo la guarigione di uno storpio presso la porta del tempio detta “Bella” dove questi chiedeva l’elemosina. All’inizio del capitolo seguente sappiamo che “molti di quelli che avevano ascoltato il discorso credettero e il numero degli uomini raggiunse circa i cinquemila”.

Nella scia della prima lettura anche il brano di Giovanni ribadisce che è possibile tornare sempre a Gesù, anche se abbiamo peccato. La nostra conversione non dipende innanzitutto da una nostra iniziativa, per quanto virtuosa, ma dall’accoglimento da parte nostra della sua persona.

Il Vangelo infine sottolinea la “corporeità” di Colui che i discepoli avevano creduto un fantasma. Egli li invita a guadare e toccare i segni della Passione nelle sue mani e nei suoi piedi, e chiede loro qualcosa da mangiare: pesce arrostito che “prese e mangiò davanti a loro”.

Certamente il suo è un corpo trasfigurato e rimane il mistero della sua resurrezione, ma in noi rimane la speranza di non essere destinati a restare polvere e la comprensione dell’importanza e del valore del nostro corpo, già qui e ora, vivendo la verità della fede e sperimentando l’amore, il bene, il perdono. Non c’è opposizione tra corpo e anima, carne e spirito, l’uomo è da considerarsi un’unità avviata all’incontro con una Persona realmente vivente.

Quindi, la nostra preghiera è ben espressa dal Salmo responsoriale, che ci invita continuamente ad invocare “la luce del tuo volto”, la luce del Risorto che ci indica la strada e con le sue parole ci fa “ardere il cuore” come ai discepoli di Emmaus, annunciando a tutti quella Pace che solo Lui può donare.

(Commento a cura di Gilberto Turchi)