Segni e prodigi

In mezzo a pandemie e pestilenze

Il primo dei segni prodigiosi, che ci permettono di riconoscere il tempo e l’opera di Gesù, ha un punto di attivazione nella responsabilità di umili servi, davvero un gruppo non di grandi protagonisti: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela!” (Gv 2,5).

Quei servi possiamo essere noi. Magari non i protagonisti della Storia, ma al centro della storia, determinanti per fare accadere i fatti che contano, quelli indicati da Gesù.

Dal vangelo di questa domenica, raccolgo tre spunti.

“Qualsiasi cosa vi dica…”

È Maria che lo dice e sono le ultime parole che ascoltiamo di lei.

Si tratta dell’indicazione più autorevole che possiamo immaginare. Solo a riguardo di Gesù vale questo principio: “Qualsiasi cosa vi dica…”.

In questi tempi confusi, mi sembra che manchi nella vita dei cristiani questa chiarezza: la parola autorevole è quella di Gesù.

Insieme ad essa dobbiamo fare discernimento. Perciò, dovremmo dedicarci di più e più concretamente all’ascolto della parola di Gesù, alla sua assimilazione e a seguire le indicazioni dove ci porta. Ho invece impressione che siamo disorientati, perché se fossimo i servi di Cana, probabilmente andremmo in cantina a vedere se abbiamo qualche avanzo di un vinaccio qualunque per rimediare.

“Fatela!”

Necessita una grande fiducia mettere in atto questo comando perentorio di Maria. Tuttavia, è come ribadire il concetto: se è lui, Gesù, che ti parla, puoi avere fiducia, puoi farlo concretamente.

Come si fa ad avere fiducia? Avendo il desiderio di allargare il cuore all’esperienza del mondo, nella quale Gesù vuole introdurci.

Ci sono così tante cose belle da fare, così tanto da amare: si tratta di educare la nostra sensibilità a riconoscerlo quando questo “tanto” ci viene incontro.

“Tu hai tenuto…”

Questa frase la dice il maestro di tavola allo sposo, ma in realtà è rivolta a Gesù.

C’è qualcosa in serbo per noi. Che cosa?

Ci addentriamo nel percorso dell’anno, aggrappati alle indicazioni di Gesù, con il desiderio di scoprirlo e con la fiducia di rimanerne sorpresi e meravigliati.

Don Davide




Eterno bagliore

Tempo scaduto

Come si prende il Natale per il verso giusto?

Come si vive nel modo corretto?

Senza sapere dire il perché, queste domande mi hanno ronzato in testa per tutto l’Avvento e ora che il tempo è finito, devo provare a darmi una risposta.

Qual è il verso giusto da cui guardare il Natale?

La grazia di Dio

Ho confessato tanto in questi giorni e ho fatto alcuni incontri straordinari: giovani che tengono alla loro fede e vogliono viverla in maniera piena; adulti concentrati sulla loro missione su molteplici fronti, e tanti altri veri discepoli del Signore. Ti chiedi che cosa li abbia resi così; quale percorso li abbia portati fin lì. Se domandi, ti diranno: la parrocchia, l’AC, gli Scout, quel movimento, una guida spirituale…

Eppure capisci che oltre a tutte queste cose c’è di più: l’amore di Dio che raggiunge le persone, gratuitamente le tocca, liberamente le interpella e affettuosamente le conquista.

I bambini

Di tutte le cose sconvolgenti che si potrebbero dire sul mistero cristiano, c’è questa storia del Dio neonato.

Fasciato dalla mamma, protetto dal papà è esposto al calore benevolo di due animali e alla furia di un re del mondo. Penso alle mie nipotine, che si sdraiano come se fosse una culla su Steel, il setter di casa, che da loro si lascia fare tutto.

Ma a fronte dei bambini che si sentono protetti, ce ne sono troppi che non sono sicuri. I dati riportati a un’iniziativa dell’Unicef sulla violenza contro i bambini nel mondo mi hanno sconvolto. Non può succedere. Dobbiamo sempre avere presenti quei bimbi che stanno dietro un filo spinato o si vedono puntare contro un’arma. È un orrore che anche Isaia sognava di estirpare: “Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni…” (Is 65,20).

Poi ci sono quelli accanto a noi, tra i nostri, che hanno delle malattie gravi o delle difficoltà che li rendono speciali. Tante storie di famiglie che si mascherano nella ordinarietà. Ho in mente casi concreti che pongono domande da fare impazzire. Non ci sono parole adatte, tantomeno risposte. Forse un giorno ci verrà concesso di raschiare la crosta di queste contraddizioni, entrando nel mistero di un Dio neonato.

Gli affetti

Che siano per noi come una casa di pane o perché ci fanno soffrire, che ce li godiamo o ne sentiamo la nostalgia, Natale mostra a tutti quanto siano importanti gli affetti.

A Giuseppe e Maria mancavano quelli di casa, ma c’erano loro due, l’uno l’amato dell’altra.

Hanno fatto vivere il loro amore, ben sapendo che avrebbe potuto non essere più, e questo bastò.

Bastò a salvarsi reciprocamente e a salvare Gesù.

Di solito lascio uno spunto ai giovani, ma questa volta lo voglio condividere con voi. Non è la solita musica di Natale. È una canzone dei Coldplay, si intitola Everglow. Tutto il testo è speciale [testo e traduzione], ma c’è un verso che mi sembra particolarmente giusto per questo Natale:

Quindi, se ami o vuoi bene a qualcuno, dovresti farglielo sapere.

Questo consiglio, per me, è una dedica a chi manca. Nel video, c’è una pattinatrice che… beh, ve lo lascio guardare. E che ognuno possa pensare a chi ama e a chi manca.

Il verso giusto

La grazia di Dio c’è. Spesso è tanto discreta da non farsi notare, non sappiamo perché. Ma proprio quando tutto sembra sfuggire al controllo umano, non c’è ostacolo all’amore di Dio.

A tutte le domande e le preghiere che abbiamo, troppo forti da tenere, troppo difficili da dire, può rispondere solo il Dio neonato.

Se ami o vuoi bene a qualcuno, dovresti farglielo sapere. Anzi, forzando la traduzione per cogliere le sfumature, se ami o vuoi bene a qualcuno, dovresti permettergli che lo sappia.

Don Davide




Toccheremo la paglia?

L’ultima tappa dell’Avvento è una grande domanda sulla libertà.

L’arcangelo che raggiunge Maria incontra, in verità, ciascuno di noi.

C’è un appuntamento con un bimbo in una mangiatoia. Non ci sarà nessuna costrizione.

Cosa potremo farcene se la nostra libertà non è allenata all’incontro? Come ci accorgeremo che la notte non è più buia, se non alzeremo lo sguardo per vedere una stella? Come sentiremo il calore della vita, se ci infastidiranno l’asino e il bue? Come scopriremo che la terra è benedetta, se non toccheremo la paglia?

Della scena dell’Annunciazione si potrebbero dire e sono state scritte miliardi di cose, ma oggi dobbiamo apprezzare le pause dell’angelo e le domande di Maria per capire come Dio aveva preparato una libertà per mettersi in moto.

Oggi dobbiamo apprezzare le pause dell’angelo e le domande di Maria.

E noi? E tu?

Vorrai fare parte di un mondo modellato su una redistribuzione del potere?

Accoglierai in uno spazio anche piccolo qualcuno che ha bisogno?

Sei disponibile a riconoscere nell’umanità di Gesù il racconto di Dio?

Potrai valorizzare la semplicità delle cose?

Infine, impareremo ad avere una vicinanza alla vita reale, vera, all’esistenza propria e delle altre persone, tale da potere dire di toccarla, di averla vista e custodita?

Impareremo ad avere una vicinanza alla vita reale, tale da potere dire di averla toccata?

Nel giorno e nella liturgia di Natale ci verrà detto che tutto è soltanto grazia; che ogni meraviglia, in realtà, è un dono. I doni vengono accolti da qualcuno che liberamente li sa accettare e accogliere.

Specchiarci in Maria e ascoltare il suo dialogo con l’angelo ci aiuta a fare entrare quell’energia di bene che è capace di purificare ed attivare la nostra libertà, per fare di questo regalo un tesoro per noi.

Don Davide




La Parola di Dio sopra di noi

Come accade che la Parola di Dio “viene” sopra un essere umano?

Il Vangelo risponde: nel corso della storia, ma lontano dalle manipolazioni dei potenti, in qualche luogo nascosto, dove si trova una persona in ascolto.

In realtà, nel corso della narrazione evangelica, anche i vari uomini di potere si trovano nella condizione di essere interpellati da un momento decisivo, quando devono decidere se accogliere l’incontro con Gesù come opportunità della vita, oppure rifiutarlo; tutti costoro, citati all’inizio del brano di questa domenica, lo rifiuteranno.

Rimane vero che, prima o poi, viene offerto l’appuntamento con questo Incontro.

Tuttavia, la Parola di Dio viene su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Non dobbiamo pensare che Giovanni fosse semplicemente un predestinato. Accade qualcosa che lo attiva, in una situazione che lo trova in ascolto, accogliente.

Nessuno sa cosa sia questo evento. Alcuni profeti biblici hanno provato a raccontare quell’esperienza, ma nemmeno i migliori ha saputo fare meglio che evocare immagini suggestive.

C’è qualcosa di misterioso e segreto che conquista la vita di una persona.

Sono certo che accade anche fra voi. La Parola di Dio viene, scende, risuona, vibra nella vita di voi che leggete e vi attiva. Normalmente lontano dalla storia dei potenti, in qualche situazione in cui siamo maggiormente in ascolto.

Mi viene in mente, ad esempio, un papà che capta il sorriso più intenso della sua bambina, o i genitori che accolgono in un momento di particolare sintonia le confidenze dei figli e delle figlie adolescenti. Penso al proposito di un lavoratore di svolgere al meglio la sua azione di artefice delle cose; o alla dilatazione di un/a giovane che sceglie di fare volontariato.

Vedo questa Parola nelle sensibilità che vengono suscitate: per l’ambiente, per il rispetto reciproco, per l’uguaglianza effettiva, per i diritti e i doveri di ciascuno e ciascuna di noi.

La stessa Parola risuona, inconfondibile, in chi indica con grazia Gesù e la sua via.

A voi, profeti e profete, che appianate le asperità del mondo e che rendete più vicina la salvezza di Dio… a tutti e tutte voi diciamo grazie!

Don Davide




Settenario

Ho notato che vanno di moda i discorsi motivazionali.

Ne ho ascoltati proprio di recente un paio interessanti di Matthew McConaughey e di Denzel Washington:

Ok. Loro sono due superstar, ma sette è considerato il numero perfetto, quindi ho deciso che anche se non sono proprio nessuno per fare un discorso motivazionale, voglio cogliere l’occasione di questo settenario.

Primo. La vita si intensifica

Quando facevo il cappellano avevo molta paura di diventare parroco. Stavo sempre con i giovani, facevo esperienze indimenticabili e non avevo nessuna preoccupazione amministrativa. Sono stati anni davvero indimenticabili, lo percepivo mentre li vivevo, perciò non ero incentivato a cambiare. Anzi, quando vedevo il numero della Curia (allora il vescovo non ti chiamava ancora personalmente), cercavo di non rispondere. Adesso ci sono tante questioni amministrative, riesco a stare meno con i ragazzi e il mio tempo è frammentato, tuttavia ho scoperto che è bello e che lo faccio con lo stesso entusiasmo.

La vita si intensifica

Si intensifica nella serietà delle cose che fai, nell’importanza dei rapporti che stabilisci, nella sensibilità che impari ad avere, nel modo in cui ami e in cui provi emozioni. Non è questione di confronti, ma non penso nella maniera più assoluta che la percezione dell’intensità dell’esistenza si logori col tempo; credo, piuttosto, che cresca e che diventi più percettiva.

Secondo. La parola di Dio rimane il fondamento

Cambia il mondo, cambia la Chiesa, cambiano i vescovi e il papa. Anzi, viviamo non in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca. Arrivano il web 3.0, le pandemie e si pensa di andare su Marte, ma la parola di Dio resta salda. “Le mie parole non passeranno” (Lc 21,33), dice Gesù. Non passano le sue parole e la stupenda storia della salvezza, presa nel suo complesso narrativo, che è il racconto del modo in cui Dio agisce, entra nella storia, e ricuce i rapporti per avvolgerci del suo amore.

La parola di Dio rimane una luce

Non un faro che illumina tutto, ma una lanterna (Sal 119,105), che rischiara ogni passo.

Terzo. Amici

In sette anni possono nascere stupende amicizie e ci si può legare enormemente. Ci si può fare nuovi amici e si possono anche perdere. Ho imparato che ogni momento con una persona a cui vuoi veramente bene, è un regalo da godere. È un momento speciale. Non si deve pensare che basti fare qualcosa insieme, non è sufficiente.

Bisogna risplendere di quella presenza ed emanare il proprio bene

E ringraziare alla sera perché, anche quel giorno, c’è stata.

Quarto. Non lasciare le proprie passioni

C’è un tempo, inevitabile, in cui ci si dedica anima e corpo ad alcune chiamate particolari e necessarie. Due giovani che diventano genitori, un uomo che diventa prete, chi inizia a lavorare seriamente… Questo è bene.

È bene anche ricordarsi delle proprie passioni, recuperarle quando si può.

Aiuta ad essere interi e a dare continuità alla persona che sei. Devi essere tu, e non altri. Ed è bello che tu, chiunque tu sia, possa essere integro o integra, per il dono che puoi fare di te.

Cinque. Insieme

Nell’omelia del primo giorno in cui sono arrivato qui, avevo espresso il desiderio (che mi dava molta serenità) di fare le cose insieme; so di non essere stato bravo io a rispettare sempre tale proposito, ma riaffermo ancora la validità di questo principio. È un sentiero di montagna in mezzo a un panorama stupendo: tracciato, sicuro, senza pericoli gravi, bello ed emozionante.

Fare le cose insieme è un sentiero di montagna in mezzo a un panorama stupendo

Sei. Anno liturgico

Non riesco a esprimere quale suggestione sia potere ricominciare il tempo non solo con i cenoni e con auguri che, in realtà, non hanno il potere di cambiare il corso delle cose, ma in modo che il tempo non sia circolare, bensì nuovo, con una suggestione spirituale, con qualche messaggio da consegnare alla nostra esistenza. Ho sempre relativizzato il Capodanno civile, ho sempre amato tantissimo entrare nel nuovo anno liturgico.

Sentire la liturgia che cambia atmosfera e intonazione

e il dilatarsi il silenzio e la meraviglia, avvolge tutti di uno stupore che ci permette di rinascere spiritualmente.

Sette. Scrivere

Scrivere è come respirare la vita. Un modo per non permetterle di passare via troppo presto, troppo in fretta. È la magia per trattenere una stella cadente e la ricetta per prolungare un’emozione. Inoltre, è per me un modo di comunicare la gratitudine.

Le parole di per sé hanno un potere creativo: quando le dici, fanno accadere le cose.

Come tutti i poteri, vanno usate con prudenza: possono essere buone o cattive. Se scritte hanno ancora più peso. Io spero di scrivere, per voi, parole buone.

Don Davide




Re di un mondo diverso

“Il mio regno non è di questo mondo;

se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto…” (Gv 18,36).

Ho letto di recente una riflessione di Anita Prati:

http://www.settimananews.it/societa/mysterium-iniquitatis/

che consiglio come meditazione proprio in questa Solennità di Cristo Re.

In relazione al problema dell’economia che ruota attorno alla produzione di armi, e che vede l’Italia “che ripudia la guerra” (Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 11) in un primato assai problematico, l’autrice cita la celeberrima testimonianza dei martiri dei primi secoli cristiani, che rifiutavano di fare i soldati, per non dovere uccidere.

Lo spunto evidenzia la forza profetica dello spirito evangelico e permette di cogliere qualcosa del mistero di questo Messia Re, così diverso da tutto.

È re di un regno che evidentemente non si è ancora insediato, ma i cui fedeli sono presenti fra gli uomini e le donne di tutti i tempi. È un re che “conquista” non il potere, ma il servizio come il trono più bello in cui collocarsi.

I suoi servitori non “combattono” nel senso bellicoso del termine: non vogliono apparire come altri competitori, ma come coloro che aprono nuove strade a una fraternità praticabile.

Quel Regno di Pace (nel senso assoluto della parola) non c’è ancora, ma il suo mondo si fa strada inesorabilmente nei regni mondani.

Questa solennità conclude l’anno liturgico in modo da permetterci di ricordare i tanti segni di questa presenza, nascosta ma efficace, quando si è palesata al nostro spirito, e di continuare il percorso della nostra vita personale e comunitaria con il desiderio di mostrare che c’è tanta energia buona e inedita del Vangelo ancora da sprigionare.

Don Davide




Poveri, Vangelo e Gandalf il Bianco (Under 20 testo+video)

Oggi, per la Chiesa, è la Giornata mondiale dei Poveri.

L’ha voluta papa Francesco, cinque anni fa, perché non ci dimenticassimo di quasi tre miliardi di persone che vivono al limite della dignità umana.

“Povertà” è una parola controversa.

Ci fa pensare a un bisogno di giustizia e al desiderio di un mondo migliore, ma qui nella nostra società, abbiamo sempre la tentazione di pensare che chi è povero abbia delle sue responsabilità.

San Francesco piace a tutti, ma nessuno sceglierebbe di essere povero come lui.

Si tende piuttosto ad ammirare i ricchi, e la parola sobrietà ci mette a disagio, ci inquieta.

Eppure, al fondo delle manifestazioni sul clima, che anche in questi giorni si sono svolte a Glasgow e a Roma, e che trovano grande consenso in tutto il mondo giovanile, c’è il tema della povertà. Saranno i più poveri a subire in proporzione gli effetti più disastrosi dei cambiamenti climatici, ma non solo loro!

Celebrare la Giornata mondiale dei Poveri, imparare essere vicini, amici e fratelli dei poveri, significa risvegliare la nostra coscienza, prendere parte ai cavalieri della luce, in una lotta per la giustizia che sembra impossibile vincere, ma non lo è.

Mi è venuta in mente una scena de Il Signore degli Anelli, quando i pochi sopravvissuti guidati da Aragorn e Re Theoden, decidono di uscire dall’assedio del Fosso di Helm, all’alba. È il gesto estremo di chi si oppone con tutte le sue forze al male, rappresentato dagli orchi. In quel momento disperato, Gandalf il Bianco emerge dal monte. Sembra solo, ma con lui c’è un esercito del bene: pieno di giovani e di coraggio.

Il resto ve lo lascio guardare: QUI

Anche perché sono le immagini che mi evocano meglio la descrizione che fa Gesù nel Vangelo di oggi: un intervento clamoroso di Dio con i suoi angeli per ristabilire il bene e la giustizia.

Immaginatevi la scena vista al cinema davanti a uno schermo più grande della nostra chiesa, con la musica a trascinarti dentro a quella cavalcata dove la Luce arriva ancora prima dei suoi testimoni. Ce n’è abbastanza per pensare e per divertirsi.

Don Davide




Alla porta del cuore

Papa Francesco, cinque anni fa, ha voluto istituire la Giornata Mondiale dei Poveri perché sentiva urgente, per la Chiesa, il bisogno di accogliere una conversione ancora più autentica.

La “povertà” ci mette in crisi tutti.

Sappiamo che bisogna soccorrere “il grido nascosto dei poveri” e che una certa sobrietà di vita è indispensabile, per il nostro equilibrio e per l’equilibrio delle relazioni fra gli uomini e le donne del mondo e del pianeta.

Tuttavia, appena la “questione della povertà” ci tocca da vicino, sentiamo tutte le contraddizioni e le fatiche. Proviamo disagio per i poveri che si incontrano per la strada; parliamo volentieri dei problemi del mondo, ma fatichiamo a modificare i nostri stili di vita; vogliamo una chiesa povera e per i poveri, ma non si riesce a trovare qualche volontario per le pulizie della chiesa.

La Giornata mondiale dei Poveri si celebra verso la fine dell’anno liturgico, tempo nel quale le celebrazioni domenicali ci ricordano che Dio lavora, con i suoi testimoni, per un significativo intervento nella storia a favore della giustizia e del bene, per rifondare la comunione degli uomini e delle donne sulle basi dell’umiltà, dell’abbandono delle logiche di potere e della fraternità.

Gesù entra in scena da grande protagonista in maniera clamorosa: la sua luce sovrasta quella del Sole e oscura la Luna, la sua autorità si fa spazio fra le galassie. Tuttavia, non è lui che agisce nella storia, ma i suoi angeli e i suoi amici. Egli chiede a noi di riconoscere la sua tenerezza per ogni creatura, come quando il ramo della pianta del fico matura; possiamo sentirlo vicino proprio quando si manifesta il bene per chi è più nel bisogno. Allora sappiamo che lui vuole entrare nella storia in maniera efficace, bussando alla porta del nostro cuore.

Don Davide




Un passo in più (Under 20)

Il gesto di quella povera vedova che getta nell’offerta per il Tempio due monetine di poco valore, ma viene elogiata da Gesù, ci piace tantissimo, perché lei è autentica, mentre tutti gli altri ricconi facevano i gradassi, ma la loro offerta non era per nulla sentita o sincera.

Tuttavia, quell’autenticità ci sembra difficile, perché è un gesto estremo, una roba alla San Francesco, per intenderci.

Sono convinto, però, che quello che elogia Gesù, sia prima di tutto un simbolo: è il simbolo di chi nella vita ci si mette senza risparmiarsi.

È il simbolo di chi fa un passo in più.

Quel passo in più ti fa sperimentare l’amore, ti fa toccare il cielo con un dito, ti fa andare sulla Luna.

È una cosa che possiamo fare anche noi e che vale per tutte le età, da bambini, da adolescenti e da adulti.

Vi propongo allora questo video, che ha molti significati, che si intitola: Un piccolo passo




Il Tesoro del regno

Penso a una pediatra in questo periodo, alle prese ogni giorno con le influenze e i mali stagionali, sempre con la responsabilità di stanare il Coronavirus.

Penso a quegli e a quelle insegnanti che fanno lo slalom tra classi in quarantena, recupero delle lezioni per i casi isolati e tentativi di riprendere le fila di un percorso; insieme, penso all’esercito di catechiste e catechisti che fanno un mestiere analogo, al servizio della fede.

Penso a una giovane mamma in carriera, che torna a casa e trascorre del tempo con i suoi figli piccoli, in attesa di quello che ha nella pancia; o a un giovane papà che fa lui l’inserimento della figlia all’asilo, per il quale – fortunatamente – le stereotipizzazioni di genere sono un retaggio che non lo riguarda.

Penso ai genitori che oltre alle responsabilità professionali, non si sottraggono alle preoccupazioni e alle cure che non diminuiscono, ma aumentano con il crescere dei loro figli.

Penso a due persone di orientamento omosessuale che la domenica vanno a messa nella loro parrocchia, incuranti di quello che si dice in giro che pensino alcuni, anche cristiani, anche all’interno della Chiesa, perché per loro conta più Gesù; e penso a una giovane universitaria che ha un incarico nazionale e nel fine settimana, invece di riposarsi, va a Roma a fare servizio gratuitamente.

Penso agli anziani e ai nonni, infaticabili promotori di una società dell’aiuto gratuito, e penso a chi fa volontariato nell’ambito della carità, che sembra avere sott’occhio sempre un’altra urgenza, un’altra emergenza e non essere mai soddisfatto.

Penso a un’equipe di adulti che seguono un gruppo giovani, amalgamando con pazienza da erborista le diversità e le complessità di quell’età; e penso ai preti che tengono insieme green pass e no pass, vax e no vax, sforzandosi di non cavalcare la tensione che divide e allo stesso tempo di allontanare i lupi che insidiano il gregge, conducendolo nel recinto sicuro dell’amore di Dio.

Sono solo alcuni, pochi esempi che ho avuto sotto gli occhi in una semplice settimana di vita, ma comprendono tutti e tutte voi che cercate di vivere bene e con sapienza, di dare valore al tempo, di corrispondere alla vostra dignità, mentre adempite a tutte le incombenze, e anche dopo averlo fatto.

Tutti e tutte coloro, cioè, che se devono fare un miglio con qualcuno, scelgono di farne due; che benedicono, invece di maledire; per i quali e per le quali i momenti difficili sono occasioni per fare meglio, e che hanno nel sangue l’attitudine allo sprint finale e a un bene aggiunto, anche quando sembra fin troppo generoso.

Hanno dato tutto?

Beh, appunto, spesso ci sorprendono. Magari non tutto tutto, ma moltissimo sì.

In ogni caso sono sulla buona strada e, comunque, non sono poi così certo che Dio chieda loro di più.

Sono più propenso a pensare che quando Gesù ha visto l’obolo della vedova e ha detto quelle parole indimenticabili: “Lei invece nella sua povertà ha dato tutto, tutto quanto aveva per vivere” (Mc 13,44) non pensasse a una totalità inesorabile, che apparirebbe quasi severa, ma proprio a quell’atteggiamento di chi la vita ce la mette sempre tutta, di chi anche all’ultimo sprint, della giornata, di un impegno o della stessa esistenza, decide di mettere ancora qualcosa nel tesoro del Regno.

Don Davide