Tre sapienze

Ho ascoltato di recente una riflessione suggestiva di Alessandro Baricco. Un testo pieno di cose questionabili e ricchissimo di spunti per il pensiero, riguardo a un possibile assetto e all’interpretazione del mondo prossimo venturo.

Nella parte finale di questa meditazione, l’autore afferma: “Commiati, addii, distacchi saranno insegnati come gesti artigianali da compiere bene, li si riterrà obbligatori.”

Mi stupisce che si parli di una cosa di cui la Chiesa potrebbe e dovrebbe essere umile maestra, non per insegnare da una posizione di autorità o presuntuosa, ma per trasmettere un sapere fondamentale per vivere.

Mi sento, perciò, di richiamare tre sapienze che la Chiesa può consegnare per chi vuole accoglierle; sono sapienze che c’entrano con la morte, ma che in realtà riguardano il vivere bene.

Primo. I funerali.
Si celebrano bene, non in fretta, non con il desiderio di finire il prima possibile questa atroce sofferenza, ma con tutte le cure possibili. Questo vale sia per chi crede che per chi non crede. Nella forma religiosa o laica, è fondamentale per il nostro modo di essere “umani” celebrare bene il commiato dalle persone da cui ci separiamo. Se non lo si fa, si lascia una ferita emotiva e psicologica di cui difficilmente si possono misurare le conseguenze. Il fatto che all’inizio della pandemia non sia stato compiuto questo gesto, in alcune circostanze, è stato un vero e proprio infarto dell’umanità, della cultura e del pensiero. Perciò, anche quando si incontra un carro funebre, o un funerale, è sacrosanto avere ogni gesto di attenzione: un piccolo segno di raccoglimento, il rispetto per la bara, la percezione che sta accadendo qualcosa di decisivo.

Secondo. La sepoltura.
Noi essere umani occidentali a cavallo tra il XX e il XXI secolo celebriamo la sepoltura individuale, perché per mille ragioni antropologiche che non è certo possibile esprimere qui, nella nostra parte del mondo si è sempre dato rilievo all’individuo, anche quando c’era molta più consapevolezza che fosse parte di una comunità. Non è un processo che un singolo cambia così alla leggera, pensando che sia una cosa irrilevante. In gioco c’è un mondo di simboli, di percezione dell’esistenza e di senso con cui si sta al mondo e nel mondo.

Nel luogo della sepoltura si ricorda la storia di un essere unico, personale. Quella vita che è nata è un “io” non una coscienza collettiva, e non è più destinato a dissolversi in modo indistinto nella natura o nella Creazione. È certamente possibile la cremazione, ma con un luogo della custodia delle ceneri, cioè della sepoltura. Scimmiottare con la dispersione delle ceneri le nobilissime culture orientali, che hanno (come la nostra) migliaia di anni di assimilazione di una precisa tradizione religiosa, è come fingere di parlare una lingua straniera, senza saperlo fare.

Terzo. La preghiera.
Per noi, che siamo credenti, c’è una preghiera perfetta per ricordare i defunti. È il ricordo di essi nella messa. Fin dalle catacombe, sulle tombe, veniva rappresentata la scena dell’ultima cena. Nella messa si celebra la morte di Gesù e si proclama la sua resurrezione, in attesa della sua venuta: quando incontreremo di nuovo le persone che già partecipano della vita del Risorto, che amiamo e con le quali desideriamo ritrovarci. Per questo è importante non perdere la tradizione di fare memoria dei nostri defunti nella messa, che è la memoria per eccellenza del trionfo pasquale di Gesù sulla morte.

Don Davide




Che cos’è la felicità? (per gli Under 20)

Il giovane “se ne andò rattristato” dopo la proposta di Gesù.

Mi ha sempre affascinato questo enigma. Quel giovane uomo aveva cercato Gesù di sua spontanea volontà: se decide di andarsene e di non accettare l’invito di Gesù, perché allora è triste?
Perché non accoglie una cosa che lo avrebbe fatto felice?
E viceversa: perché fa una scelta che lo rende triste?

È un mistero a cui è complicato rispondere.
Provo a indagare quando sono felice o lo sono stato in passato.

Sono stato felice la prima volta che, da ragazzo, mi sono innamorato; e poi quando ho sentito una voce amorevole che mi sembrava più forte di tutte, quella di Gesù. Ricordo il luogo, i colori, il profumo e l’ora.
Sono felice quando percepisco lo scorrere della mia vita come importante nell’armonia complessiva del mondo: in una parola, quando quello che faccio ha un senso buono.
Sono felice quando voglio bene; ancora di più insieme a coloro a cui voglio bene.
Sono felice quando riesco a semplificare le cose, anche quelle che possiedo.
Sono felice sulle Dolomiti, molto meglio in compagnia degli amici.

Forse, abituandosi a frequentare la felicità come se fosse un’amica, impareremmo a distinguere i sentimenti che durano da quelli che svaniscono, le emozioni che ci rendono belli o belle da quelle che ci imbruttiscono, e a non lasciarci fregare quando i bivi sono difficili da scegliere.

Don Davide




La sapienza evangelica

“Un tale corse incontro a Gesù”: aveva urgenza quell’uomo!
Vi leggo, simbolicamente, la stessa urgenza di cose buone che hanno gli uomini e le donne di oggi.
Non importa che le analisi ci dicano che nell’Occidente cristiano, semmai, si corra in direzione opposta a Gesù, e il fatto che alcuni, più in generale, non cerchino cose buone e pratichino quelle cattive non ci deve trarre in inganno; in quest’ultimo caso, spesso, si tratta di un’espressione molto disordinata del desiderio di una vita che valga la pena di essere vissuta.

Tuttavia, proprio in quell’incontro tanto desiderato (e probabilmente a lungo atteso) si consuma una crisi. L’uomo si trova disorientato. La sua motivazione inspiegabilmente crolla: rifiuta le possibilità aperte da Gesù, ma rimane tremendamente perplesso. È triste.

C’è una cosa che possiamo imparare, fondamentale e decisiva: la disponibilità di rimanere aperti a prospettive diverse dalle nostre, di imparare qualcosa che non sappiamo ancora, di essere condotti su territori nuovi. Abramo lo fece a novant’anni: non c’è vecchiaia che tenga!

Gesù ci indica la sapienza evangelica. È una via non omogenea al mondo. Si può apprendere solo se disponibili, si può apprezzare solo se la si pratica. Quello che accade nel nostro cuore è un’opera spirituale, non spiegabile con altre esperienze umane. La sapienza evangelica “è viva, efficacie, più tagliente di ogni spada a doppio taglio”: tocca la nostra esistenza, ci aiuta a fare le scelte, se non siamo anestetizzati ci fa sentire spesso un acuto bisogno di conversione.

Penetra in un luogo profondissimo “dentro” di noi, raggiunge nodi complessi che nemmeno siamo capaci di districare, e opera percorsi di guarigione e di consolazione.

Alla fine, o nel cammino, uno sperimenta un dono sovrabbondante (“cento volte tanto”, dice Gesù), non perché tutto vada alla perfezione, ma perché ci si può sentire completi e integri, anche in mezzo alle turbolenze del mondo.

Don Davide




“Running in the rain” (per gli Under 20)

Ovvero: credere nell’impossibile

Oggi Gesù ci parla di una di quelle cose che sembrano impossibili: l’amore autentico e fedele, l’amore eterno.

L’amore ci piace tanto, perché è l’emozione più forte che proviamo.

Lo sogniamo tutti e tutte, poi diventa difficile, la cultura circostante lo svilisce, il pensiero dominante ci convince che sia impraticabile e, alla fine, ci si persuade che sia un’utopia, che fosse un’illusione. Una cosa troppo grande e troppo bella per essere vera.

Come la scorsa domenica, vi propongo un video sportivo: https://youtu.be/ffggPf8Impk

Ambra Sabatini aveva 17 anni quando, a causa di un incidente di cui è stata solo vittima, nel giugno del 2019 le è stata amputata la gamba sinistra sopra il ginocchio. Due anni dopo esatti è in pista per la finale olimpica; la pioggia battente ci fa ricordare cosa abbia significato: quanto tempo ci voglia a riprendersi dall’amputazione di un arto, ad abituarsi all’uso delle protesi anche più semplici, figurarsi quelle da gara, e a imparare a correrci sopra come un leopardo.

Anche la corsa di Ambra sembrava impossibile. E invece eccola qui: sotto i nostri occhi e sotto la pioggia che la rende ancora più meravigliosa. Guardatela e credete all’amore fedele, rispettoso, pieno di dolcezza e che dura.

Guardatela e credete alle cose… possibili.

Guardatevela e riguardatevela: dura solo 14”11, il tempo di fare il record del mondo.




Le possibilità buone

Le letture di oggi ci inducono a riflettere sul modo in cui Dio fa le cose, sulle possibilità belle e positive che sono iscritte nella creazione e nelle relazioni.

Ascoltiamo innanzitutto una dichiarazione positiva: “Non è bene che l’uomo sia solo. Voglio fargli un aiuto che gli corrisponda.” Questa intenzione benevola si traduce nell’offerta di un sostegno adatto alla dimensione relazionale dell’essere umano.

Poi sentiamo un futuro: “lascerà suo padre e sua madre”. Non bisogna confonderlo con un imperativo futuro, come si fa tutte le volte che si trasformano automaticamente e senza le mediazioni necessarie questi testi in legge. “Lascerà” indica prima di tutto una possibilità di vita e di avanzamento; vuole dire: l’essere umano non sarà sempre attaccato al suo passato, potrà andare oltre alle sue radici, sarà capace di fare qualcosa di nuovo.

Pensate a quante storie epiche o tragiche si tramandano sul fatto che i figli o le figlie devono portare avanti le imprese dei padri e delle madri, tante volte con un peso schiacciante, che priva la vita di ogni forma di libertà. La Genesi ci dice: niente di tutto questo!

Infine Gesù ci ricorda, che è per la durezza del cuore (e di conseguenza, per la pietà di Dio) che tante cose accadono nel mondo. Voglio spogliare da questa interpretazione ogni riferimento legislativo o legalista. Non pensiamo alla questione “cos’è lecito e cosa non è lecito fare?”: che era la domanda limitante di quel gruppo di farisei che stavano sfidando Gesù.

Proviamo a cogliere, invece, che Gesù ci orienta a un altro tipo di prospettiva e di modo di stare nel mondo: non che cosa è lecito, ma quali sono le possibilità migliori? Che cos’è buono e ci è dato liberamente? Come conviene vivere?

Se viviamo così, possiamo allargare il cuore e i pensieri.

È vero, ci sono tanti amori che finiscono, anche tra quelli che si sono fatti promesse eterne. È una forma di rispetto per queste storie, capire che c’è quasi sempre molta sofferenza. Raccogliamo la prospettiva di Gesù, allora, e chiediamoci: come si custodisce l’amore? Quali sono i gesti da fare e le parole da imparare? Come si apprendono e si esprimono la fedeltà, la dolcezza, la tenerezza e il rispetto?

È vero: ci sono tante amicizie che deludono. Chiediamoci: come si impara la relazione? Come si cresce fidati e capaci di cura? Come si condivide?

È vero, infine, che ci sono tante persone sole. Perché? Come si diventa non “delle persone che aiutano”, ma “aiuto”. Con quali abilità e sensibilità si generano incontri e si apre futuro?

Tutte queste domande aperte non soffocano con la restrizione della legge, ma aprono piste che è appassionante percorrere, suscitano desideri di vita e di esperienze belle, generano passione.

Don Davide




Come nelle favole (vere) (per gli Under 20)

È iniziata la scuola da un paio di settimane, e oggi vi parlo di impegno a superare gli ostacoli e di determinazione per raggiungere i propri obiettivi, come fanno i protagonisti delle favole.

Le favole ci piacciono perché ci fanno emozionare.

Nelle favole di un tempo, però, le protagoniste erano delle povere ragazze in attesa del riscatto portato dal principe azzurro. Con la sensibilità di oggi sull’uguaglianza di genere erano modelli “vomitevoli”. Poi sono venute Mulan, Merida (Rebel), Elsa (Frozen), Oana (Oceania) e Raya, figure tenaci e determinate in modi diversi ad essere artefici della loro libertà e del loro destino… Infine Emma.

Emma ha 18 anni. Essendo inglese, è stata invitata al torneo di Wimbledon dove ha giocato le prime 4 partite della sua carriera nel circuito “maggiore”. Dopo è tornata a casa e ha dato gli esami, perché doveva finire la scuola.

Poi è andata a giocare le qualificazioni per il torneo di New York, uno dei 4 più importanti del mondo. Era la sua quinta partita. Da lì ne ha vinte 10 di fila, ha sconfitto tutte le sue avversarie senza perdere un set, ha conquistato il trofeo, stabilendo tutti i record possibili in un solo torneo alla seconda partecipazione, la prima che si era dovuta “meritare”.

Il video che vi propongo si intitola: “La favola di New York”(link),  ma sarebbe più corretto chiamarlo: “La favola di Emma” perché questo è il punto: le cose non accadono da sole, siete voi i protagonisti e le protagoniste. Nel nostro modo di pensare e di parlare, per esempio, diciamo: “La prossima volta andrà meglio…”, ma è un’affermazione imprecisa, che non ci allena alla verità. Dovremmo dire: “La prossima volta tu potrai farlo andare meglio…”

Emma era una tennista esordiente, ma ha stabilito una progressione impressionante migliorando partita dopo partita, come se ogni match le fosse valso un anno di esperienza. Questo significa: imparare.

Il video dura 13’, ma non c’è bisogno di guardarlo tutto. Io vi consiglio di guardare i primi 2 minuti e dal 9 all’11, dove si vede che ha iniziato a giocare nei campi laterali, vuoti, e dopo si trova sul centrale, davanti a 10.000 tifosi.

E non perdetevi per nulla al mondo il rovescio al minuto 6’19” – 6’20”. Se si potesse materializzare la perfezione è in quel colpo. Quel timing, quella sfrontatezza buona, quella risolutezza, quel di più indescrivibile che rappresenta quel gesto, è quanto di meglio potrei augurarvi nella vita e che vi auspico di imparare.

Don Davide




Una catenina…pesante!

Prepariamo le Prime Comunioni, che celebreremo sabato 9 ottobre in due turni, e proviamo a riprendere oltre al catechismo, anche i gruppi giovanili.

Gesù parla di una macina da mulino appesa al collo a chi scandalizza i suoi piccoli che credono in lui… Una macina da mulino… non è esattamente come indossare un gioiello di Pandora o una catenina al collo!

Sento la grande responsabilità di non “disperdere” la fede dei credenti di qualunque età, e di avere una preoccupazione speciale per quella dei ragazzi e delle ragazze, che deve ancora maturare, trovare le motivazioni, fondarsi.

Dobbiamo provare ad essere una comunità che non arresta il loro percorso, ma lo favorisce, in percorsi belli, anche impegnativi, ma senza trabocchetti o inganni: questi sono gli scandali che Gesù menziona nel vangelo.

Gesù insegna, metaforicamente, a togliere quello che è di intralcio, ciò che porta a un’esperienza negativa, che è logoro. Tagliare e potare: nel Vangelo sono spesso immagini per fare spazio, presupposti a quella rinascita dall’alto che apprendiamo dal dialogo tra Gesù e Nicodemo.

Perciò, invito tutti noi a un impegno: focalizziamoci sulla fede essenziale, su quelle scelte che sono veramente evangeliche e che sono animate dallo Spirito del Signore, giudicate degne, decise insieme ed essenzializziamo i nostri comportamenti personali su ciò che rende testimonianza di Gesù.

Scopriremo tanti compagni e compagne di viaggio, che come noi testimoniano l’amore di Dio nel suo nome.

Don Davide




Risorgerà

Gesù parla ai discepoli della sua morte e profetizza, in base alla fede dei profeti e del suo popolo, il suo destino di resurrezione. “Ma i discepoli non capivano, e avevano timore di interrogarlo…” (Mc 9,31-32).
La nostra comunità, in questi ultimi anni, ha affrontato la morte di tante colonne della nostra parrocchia, intendo cioè molte persone che in vario modo hanno messo a servizio in maniera particolare la loro vita per tutti noi e per la Chiesa.
Questo ci avvicina a tutti coloro che fanno l’esperienza dolorosa di salutare una persona cara, vicini o lontani, credenti o no, della nostra comunità o di altre appartenenze. Non importa. Non vi è alcuna classifica e vogliamo solo allargare il cuore alla compassione, alla condivisione e alla bontà reciproca.
Questa esperienza ci fa sentire vicini tutti e tutte.

“Dopo tre giorni risorgerà” sentiamo dalle labbra stesse di Gesù.
Ma noi facciamo fatica a capire cosa questo significhi veramente. Vorremmo comprendere meglio… e allo stesso tempo temiamo di interrogare lui su questo, come se avessimo paura di accostarci a un mistero troppo grande, complesso e spaventoso.
“Risorgerà”: è una parola che si erge statuaria, come una torre sull’esistenza. Tante volte Gesù lo dice agli altri e di se stesso, del Figlio dell’Uomo: risorgerà.
Questa parola, al futuro, ci chiede un atto di fiducia che è come quando, sulla cima di un monte, ammiri il panorama bellissimo e ti senti certo che Qualcuno tiene tutto il mondo nell’esistenza e pensi che la vita sia possibile, nonostante tutte le brutture, cattiverie e violenze che da tante parti cercano di avvelenarla.
“Risorgerà…” è bene sussurrarla, come se fosse la preghiera del cuore.

Ma noi, oggi, Signore, vogliamo anche provare a raccogliere lo spunto del Vangelo e “interrogarti”. Non per questionare, che finiremmo confusi come Giobbe; non per protestare, ma per avere una luce, per sentire il calore dello Spirito, come una carezza sulla spalla fatta da un amico, come un bacino sulla guancia.
Prima di tutto, capiamo che dobbiamo domandare a te, Gesù. È nel rapporto con te che prendono forma le risposte, i sentieri, le prospettive e la speranza. In secondo luogo – penso – dobbiamo esplorare la vita, seguire le tracce come dei Sherlock Holmes dello Spirito, cogliere tutti i segni di vita concreta che sono infiniti e sono mille volte al giorno sotto gli occhi di ciascuno e ciascuna di noi, collegare le tracce, indagare al di là dell’ovvio e non accontentarci delle evidenze, ma usare la logica del Regno… e magari capirne qualcosa di questa vita, vedere dove si addentra, quali sono le sue strade per attraversare la morte.

Veniamo da te, Gesù, a tirarti il lembo del mantello, non solo come quella donna che era sicura di venire guarita, ma anche come quei bimbi che tirano la giacca del papà o della mamma, perché hanno qualcosa da chiedere, col desiderio di capire, certi di imparare.

Don Davide




Vedere il Regno di Dio

L’anno pastorale e la figura di Nicodemo

Dopo la pausa estiva riprendiamo l’anno pastorale.

Secondo le indicazioni del nostro Vescovo Matteo, ci accompagna il personaggio di Nicodemo, figura della vita adulta che si rinnova nell’incontro con Gesù (Gv 3,1-10).

Si tratta di un rinnovamento profondo, che investe dall’alto tutta la persona, le sue relazioni e il suo mondo interiore, come se fosse una consacrazione.

Gesù dice: “Se uno non nasce dall’alto non può vedere il regno di Dio!”.

La posta in gioco, quindi, è l’esperienza del regno di Dio: la percezione di un amore vero, concreto e incondizionato che raggiunge la nostra vita e la scoperta di una trasformazione reale del mondo con cui entriamo in contatto (persone e strutture) nella direzione del bene.

L’impegno pastorale di quest’anno, quindi, si propone questi due obiettivi non poco ambiziosi: che le persone che entrano in contatto con la nostra comunità, che vengono alla nostra celebrazione e che partecipano alla vita della nostra parrocchia si sentano amate e benedette; inoltre, che si possa allargare la partecipazione e il coinvolgimento a partire dai più giovani.

Don Davide




Il tempo con voi (per gli Under 20)

Care amici, care amiche,

in questa settimana ricorre il diciottesimo anniversario del giorno in cui sono diventato prete: era il 13/09/2003.

Ho voglia di condividere alcune convinzioni che ho maturato in questi anni stando molto con voi, anche se mai abbastanza.

1.È prezioso il tempo condiviso. Non si può chiedere o proporre quasi nulla, senza la disponibilità a trascorrere del tempo insieme.

2.Tempo è sinonimo di vita. Sostituisci “vita” a “tempo” nella frase precedente e il significato è ancora più vero.

3.Il vostro corpo è un tempio nel vero senso della parola. È una gran cosa che vi esprimiate con il corpo, e anche che lo custodiate da chiunque, in qualunque modo, voglia farvi del male.

4.Libertà, coscienza e spirito sono tre parole magiche: conviene stare vicino a chi vi aiuta a conoscerle meglio.

5.È importante avere un amico adulto o un’amica adulta. Sì, lo so… sembra una cosa da pazzi, fuori moda, da vergognarsi con i coetanei… ma chi ce l’ha diventa un uomo e una donna migliore.