Notti magiche

Si è appena conclusa una bella messa, all’aperto, nell’appennino bolognese. È un tardo pomeriggio di inizio settembre rischiarato dalla luce calda e brillante del crepuscolo, è fresco e non c’è più il frinire assordante delle cicale. L’unico suono che si sente, armonioso, è quello di trenta ragazzi che scherzano, ridono, si abbracciano. L’atmosfera è elettrizzata: si capisce che c’è qualcosa nell’aria. Quel tipo di esperienza è l’esatta descrizione del passaggio dello Spirito Santo, per chi ha avuto la grazia di sperimentarlo, almeno una volta, nella vita.

Le ragazze e i ragazzi sono di seconda e terza media, qualcuna inizia la prima superiore. Sono venuti al campo lasciando a casa il cellulare (avete capito bene: lasciando a casa il cellulare per otto giorni!), sottoponendosi al tampone prima di partire e tenendo nei giorni iniziali la mascherina in ogni momento, anche quando giocavano.

Uno degli educatori ha ancora la chitarra in mano e strimpella qualcosa mentre rientra in casa. Un paio di ragazze si uniscono a cantare. Una nota tira l’altra: “Facciamo questa!”, “Cantiamo quest’altra…”. L’educatore si appoggia a suonare sul pianerottolo a metà delle scale e le due ragazze gli siedono a fianco. In breve tempo, tutti i ragazzi si sistemano sui gradini e cantano insieme a squarciagola per quarantacinque minuti. Una scena d’altri tempi. Un momento di magia interminabile… finché le cambusiere non li attraggono con motivazioni più che convincenti.

Mentre questo prodigio stava prendendo forma, ero stato raggiunto dal programma del G20 delle Religioni, che si svolge proprio a Bologna in questi giorni (dal 12 al 14). Un evento importantissimo di dialogo tre le religioni e le istituzioni e con appuntamenti di alto livello: scorrendo il nome dei relatori, oltre a quelli di alcuni leader religiosi, si trovano quelli del Presidente Draghi e del Presidente Mattarella; pensavo: “Wow! Dev’essere interessantissimo andarci!”.

Poi sentivo i canti provenire dalla tromba delle scale e – come con la Madeleine di Proust, ma con l’emozione del suono, invece che del gusto – in un baleno ho rievocato tutti i momenti belli del campo, i sorrisi soprattutto e le condivisioni della loro vita, e ho pensato: “Io non farei cambio con questa esperienza per nulla al mondo! Non c’è G20 che tenga: io non vorrei essere, in questo momento, in nessun altro posto che qui.”.

Lunedì 13 festeggio diciotto anni dalla mia ordinazione presbiterale – divento maggiorenne – e d’ora in poi posso firmarmi le giustificazioni da solo per fare fughino dagli incontri diocesani noiosi! Scherzi a parte, ritengo che un simbolo efficace di questi anni di ministero sia proprio la possibilità di condividere con la mia parrocchia questo apice meraviglioso del campo estivo, con la stessa confidenza con cui lo farei con la mia famiglia a tavola.

Trovo un riscontro, abbastanza preciso nel racconto degli Atti degli Apostoli. Anche gli apostoli, infatti, hanno dovuto testimoniare la fede davanti ai capi del popolo, Paolo addirittura al cospetto del Re, del Governatore e dell’Imperatore stesso… ma le comunità più belle (e con esse le pagine migliori) sono nate da piccoli rapporti semplici e veri, da comunità molto curate nella genesi e nella crescita della fede.

Al termine dell’ultima serata del campo, io ho dovuto salutare, perché il giorno successivo avevo il Battesimo della mia nipotina. Sono uscito fuori insieme ai ragazzi, che andavano ad ammirare le stelle. Mentre percorrevo in auto il viottolo per uscire, una ragazza mi dice al finestrino (cito testualmente): “A proposito don, volevo dirti che è stato fantastico! Volevo che tutte le cose che facevamo, non finissero mai!”.

Quest’estate, tra gli Europei e le Olimpiadi, abbiamo cantato le notti magiche, ma – a dirla tutta – non c’è una notte più magica di così.

Lo tengo come il biglietto di auguri per la maggiore età del mio ministero.

Don Davide




Il potere delle parole (per gli Under 20)

Quanti sordi e muti ci sono nel nostro mondo! Non le persone che hanno difficoltà fisiologiche, che spesso comunicano addirittura meglio degli altri. A loro va tutto il rispetto dovuto.

Ci sono tanti muti di fronte alle ingiustizie, giovani che non difendono i loro amici e le loro amiche, responsabili che non parlano della crisi climatica o, peggio, ne distorcono la percezioni, presunte autorità le cui parole sono così insulse che anche il loro suono risulta vuoto oppure stonato.

E poi ci sono i sordi che non vogliono ascoltare, chi non fa lo sforzo di mettersi in relazione, i peggiori sono quelli che non si meravigliano più e che non vogliono imparare.

Ma voi no, ragazze e ragazzi! Cogliete oggi l’invito di Gesù che guarisce un sordomuto dicendo: “Apriti!”. Doveva avere risuonato con un tale carisma, quel comando, che i narratori lo riportano ancora nella lingua originale: “Effatá”, come quando una parola è talmente forte che ti rimane in mente per sempre.

Io vi dico: leggete libri, guardate film e serie tv, ascoltate la musica, non rinunciate mai a parlare dopo avere pensato con un po’ di saggezza cosa comunicare. E se la gente si stupirà, come accadeva con Gesù, meglio così! Scoprirà che siete recettivi e sarà costretta a riconoscere che avete qualcosa da dire.

Don Davide




Visioni di coraggio

Riprendono la pastorale più attiva, la scuola e l’università, il lavoro e gli impegni personali e la prima parola che risuona in questa domenica è: “Coraggio! Non temete!” (Isaia 35,4-7). I profeti hanno sempre la capacità di infondere speranza e di rigenerare la forza di guardare al futuro, e se pensiamo agli anni di pandemia da cui veniamo e alla crisi della pastorale, che sembra essersi ormai rassegnata a delle chiese semivuote e alla difficoltà di appassionare e coinvolgere i giovani, pare che ce ne sia proprio bisogno.

Accogliamo volentieri perciò lo sguardo dei profeti, che penetrano prospettive che è difficile persino intuire. Concretamente, nel contesto in cui risuona l’oracolo del profeta Isaia, il regno di Israele era sotto l’assedio delle truppe di Sennacherib, imperatore d’Assiria. Sembrava non ci fosse speranza alcuna. Invece il profeta – contro il parere di tutti e fronteggiando contrarietà e umiliazioni – non offre solo un oracolo di vittoria, ma la prospettiva di un mondo nuovo. L’esito della vicenda darà ragione al profeta.

Per vedere la realizzazione delle profezie, però, bisogna credere alla Parola di Dio. Da questa domenica, allora, cogliamo due suggerimenti a cui aderire con fede.

Per prima cosa dobbiamo riconoscere di essere sordi e muti proprio di fronte alla Parola di Dio. Sembra un’affermazione ripetuta banalmente, ma occorre prendere atto che non abbiamo una consuetudine significativa con la Parola di Dio, non l’ascoltiamo (siamo sordi) e ancora meno siamo capaci di testimoniarla in maniera affascinante (siamo muti): in verità, sembriamo sempre dei principianti nella vita spirituale, che invece è necessaria per orientare le nostre scelte di vita, per rafforzare la nostra personalità e le nostre relazioni, e per osservare un rigore morale che riguarda prima di tutto la nostra dignità.

In secondo luogo possiamo cercare di vivere una carità più limpida, non tanto nelle cose eclatanti, quanto negli atteggiamenti fraterni, nel vivere con più cordialità i rapporti in parrocchia e fuori, essere gentili, non discriminare, non dare giudizi affrettati, impegnarsi a volere bene, gioire di condividere la fede con la propria comunità.

C’è un grande desiderio, in fondo, in ciascuno dei credenti, di una fede viva e di una comunità così amorevole e propositiva, da rallegrare persino il deserto e la terra arida.

Don Davide




Se sapete ciò che fate… (per gli Under 20)

Sentiamo Gesù che dice: “Ascoltate e comprendete bene” e pensiamo che si voglia imporre, senza diritto, sulla nostra vita. Forse, ai più ribelli viene da pensare: “Ma cosa vuole questo? Perché dovrei dargli retta?!”.

Eppure, scopriamo che Gesù valorizza il bisogno di autenticità delle persone che lo circondano, ed è convinto che proprio la ricerca dell’autenticità porti ogni giovane alla sua unità e integrità.

Con un capolavoro di amicizia, Gesù inverte le prospettive e si avvicina a ciascuno e ciascuna di voi: mentre per alcuni, la ricerca di autenticità dei giovani appare una cosa eccentrica, Gesù afferma che è proprio quella che vi farà conquistare voi stessi.

L’importante è che siate consapevoli di ciò che state facendo. Se sapete ciò che fate… beati voi!




Dal nucleo

La scena del vangelo di questa domenica ha una triplice intensificazione. Prima Gesù risponde a una disputa pubblica sulle questioni della purità rituale, poi approfondisce il discorso in una casa, portandolo sul tema dell’interiorità, infine risponde personalmente ai suoi discepoli.

Purtroppo, nel taglio della versione liturgica, si perde il senso di sgomento dei discepoli, che – appunto – “lo interrogavano”, perché si rendevano ben conto della rivoluzione delle parole di Gesù.

Sulla scia dei profeti, in un mondo dove il sacro e il contatto con il mistero di Dio veniva definito dalle pratiche esteriori, Gesù costruisce l’interiorità. È quello il luogo dove si gioca la qualità della nostra esistenza: se riusciamo ad essere integri, interi, con ciò che proviamo.

Qui la questione diventa delicata, perché noi tendiamo a pensare che “essere integri con ciò che proviamo” significhi solo dare retta alle nostre emozioni e ai nostri sentimenti… ma non è così. Il punto è che ciò che viviamo sia un tutt’uno tra i nostri propositi, il nostro stile, le nostre scelte di vita, gli obiettivi che abbiamo, ciò che diciamo e ciò che facciamo. Un esempio perfetto, in negativo, è quando dobbiamo mentire: se mentiamo, vuol dire che queste dimensioni non sono allineate.

L’interiorità è una cosa desueta. Oggi vanno più di moda le belle foto su Instagram con le frasette carine… ma anche in questo esempio possiamo osservare un bisogno di interiorità. L’esposizione esteriore di sé in un’immagine proposta al pubblico esprime, in realtà, il bisogno di raccontare qualcosa di vero… che spesso deve addirittura essere esplicitato appunto con una frasetta, che esprime ricerca di interiorità.

Alla fin fine, per tutti l’interiorità è la cosa più preziosa che abbiamo. Solo che spesso è una gran confusione, perché ci sono troppe forze che spingono e non sappiamo come manovrarla, inoltre ci sono pochi maestri.

Gesù, tra l’altro ci mette in guardia che, paradossalmente, i nemici vengono proprio dall’interno. La nostra interiorità è come un fortino, al cui interno ci sono dei traditori; oppure come un muscolo che… sì certo, si può fare male prendendo una botta, ma è molto peggio quando si strappa per l’uso o per un movimento sbagliato. Bisogna avere cura pazientemente e di continuo di questo muscolo che è l’interiorità, in modo da impedire di farsi male e di sgominare i “traditori”.

Gesù conclude la lista di questi nemici parlando dell’insensatezza. Possiamo vigilare, quindi, cercando di non fare cose “insensate”, rimanendo padroni di noi stessi e in contatto con la nostra consapevolezza. In un manoscritto raro dei vangeli, c’è una glossa che attribuisce a Gesù questa affermazione: “O uomo, se sai ciò che fai, beato te!”.

Beato chi ha la consapevolezza di sé ed espande la sua esistenza come il Sole che irraggia calore dal suo nucleo.

Don Davide




…quella felicità (per gli Under 20)

Voglio consegnare una piccola riflessione a voi ragazze e ragazzi, diciamo dalle medie ai vent’anni, amichevolmente. Non è detto che siano sempre poche righe, potrebbe essere un video o un post sui canali social della Parrocchia… Stay tuned!

Per questa settimana, mi colpisce che Pietro non voglia rinunciare a Gesù e gli dica: “Gesù, dove vuoi che andiamo? Tu dici qualcosa che ci rende felici!”. (Ok, ho tradotto per attualizzare, ma il senso è questo!). Noi, adulti e credenti, non siamo sempre stati capaci di mostrare questo legame tra Gesù e la felicità. Alcune volte, magari, abbiamo parlato più di impegno, di morale o, peggio, di divieti.

Per quanto mi riguarda, mi propongo di migliorare. Vorrei che ciascuna e ciascuno di voi possa scoprire che cosa c’entra Gesù con la felicità, quella che ti fa cantare le tue canzoni preferite al sole d’estate, o che vuoi immortalare con la storia più bella che tu riesca a creare. È quella felicità semplice che ho in mente, e anche quella dei traguardi più belli.

Mi basta sapervi su quella strada, ma – se avete voglia – fatemi sapere se ci siete o se c’è stato qualche impiccio.

Don Davide




Scegliere tutti i giorni

Ben ritrovate e ben ritrovati,

spero che la vostra estate sia stata in linea con le vostre aspettative e rigenerante. Dopo la pausa estiva riprendiamo questo appuntamento domenicale, che – per chi non lo sapesse – offre uno spunto di riflessione collegato alla liturgia domenicale o alla vita della nostra comunità parrocchiale.

In questa domenica incontriamo un luogo singolare, fondamentale nella storia dei patriarchi, collocato a metà strada tra la Samaria e la Galilea, circa al centro della Terra Promessa: Sichem.

Sichem (Gs 24,1) è il luogo della prima sosta di Abramo nella Terra: il posto dove Dio gli fa contemplare il dono futuro e promesso (Gn 12,6-7).

Sichem è il momento della conferma, dopo il cammino di redenzione di Giacobbe, dove tutta la sua storia viene ricapitolata e lui diviene finalmente il padre di un popolo, come era destinato ad essere (Gn 35,1-4). Per Giacobbe Sichem è il luogo della maturità, quando dopo una crisi lunga e faticosa, ma superata, seppellisce gli idoli per identificarsi completamente con la sua missione e il suo ruolo.

Spesso la Bibbia rimanda ai momenti decisivi e di passaggio, a quegli eventi che segnano radicalmente una svolta; tuttavia, si viene a sapere poi che questi momenti, invece, non risultano mai definitivi. Pur ancorandosi ad essi, le vicende dei personaggi incontrano ancora smarrimento, fatica e disorientamento, quasi fino alla fine della loro vita. Ma proprio nella considerazione di questo lungo cammino, emergono ancora più chiaramente quelle tappe significative che più di ogni altra hanno segnato una svolta e che, perciò, diventano punto di riferimento.

Così è anche l’invito che fa Giosuè a Sichem e oggi a ciascuno di noi: Sceglietevi oggi chi servire! (24,15).

Abbiamo l’occasione di verificare di nuovo che Dio, benedetto Egli sia, è l’unico Dio vivente e il cammino che lui ci ha fatto fare è un cammino di vita, mentre quelle degli idoli sono seduzioni ingannevoli.

Ora questo appuntamento decisivo con Dio, per noi ha i tratti dell’incontro con Gesù. “Noi abbiamo riconosciuto che tu sei il Figlio di Dio”, dice Pietro, dove il passaggio più importante è dato proprio dal riferimento a Gesù: “TU sei il Figlio di Dio”. In sostanza, Pietro riconosce che se di una felicità si può parlare, si tratta di cercarla con lui, con Gesù, e di non lasciarsi disorientare.

Così, come se la nostra ripresa fosse “essere a Sichem”, abbiamo l’occasione di scegliere e confermare Gesù anche oggi, con più amore, convinzione ed entusiasmo, nella continua accoglienza dell’incontro con lui. In fondo, si tratta di scegliere e confermare la nostra ricerca di felicità, le cose per cui la nostra vita ha un senso vero e con dei frutti belli.

Don Davide




Grandi e gentili

Nelle letture di oggi ammiriamo il Signore della Creazione, che mette un argine ai flutti del mare e che intima al vento di cessare e alla tempesta di calmarsi.

Queste prime due settimane di Estate Ragazzi – la prima solo con gli animatori, la seconda anche con i bambini – sono state esattamente come dice la liturgia di questa domenica. È stato proprio come vedere il Signore della Creazione che, attraverso i ragazzi, diceva all’epidemia: “Taci, calmati!” (Mc 4,39).

Non nel senso che siano passati tutti i pericoli o che non bisogna più tenere alta la guardia contro la possibilità di contagio… ma nel senso che è stato come vedere un forte argine alle forze negative dell’epidemia, mentre si riaffermava la vitalità dei bimbi e dei giovani animatori.

C’è stato, forse, nei mesi passati un momento in cui si pensava: “Maestro, non ti importa che siamo perduti?” (Mc 4,38), sia per la paura di ammalarsi, sia perché sembrava paralizzata la pastorale e appesantita ogni possibilità di incontro e di edificazione fiduciosa.

Invece, grazie alla tenacia iniziale di Alice e Francesca, che hanno scelto con caparbietà di radunare un gruppetto di coordinatori, unitamente alla disponibilità di tempo e all’esperienza di Michele e Suor Aurora e alla collaborazione di Laura e Silvia, sono stati attivati i responsabili degli animatori e tutti loro insieme hanno dato vita a un’esperienza che – nel vero senso della parola – è stata come una boccata di ossigeno dopo il soffocamento di questa epidemia.

Inoltre, è stata ancora più sorprendente di una normale Estate Ragazzi, perché le limitazioni imposte ci hanno permesso di ritrovare il vero senso pastorale di questa iniziativa.

Il numero non tanto elevato di bambini, il momento del pranzo riservato agli animatori e le iniziative per loro nel pomeriggio e, soprattutto, la prima settimana di preparazione fatta con calma e serietà dopo la scuola per preparare al meglio le attività dei piccoli, ci hanno fatto capire meglio che il nostro obiettivo non deve essere di avere il numero più grande possibile, a costo di non riuscire a fare una proposta di valore, e col rischio di esaurire le energie dei ragazzi. L’obiettivo pastorale dell’Estate Ragazzi, invece, deve essere offrire un’esperienza di comunità piena di cura ai bimbi e del tempo di qualità per coltivare la relazione con gli adolescenti animatori.

Da questa impostazione non torneremo più indietro e spero che tutta la parrocchia diventi consapevole che queste sono le scelte che devono guidare l’edificazione della nostra comunità, non dei presunti atti di servizio al limite dell’eroismo, che però non favoriscono la qualità della proposta formativa e la cura (anche in termini di tempo dedicato) che dobbiamo ai più giovani, non solo ai bambini.

Siamo soltanto al giro di boa. Ci aspetta un’altra settimana, in cui speriamo che tutto continui a procedere al meglio, ma anche se dovesse esserci qualche inconveniente, non negherebbe la bellezza di quanto fatto finora e la fiducia che grazie ai ragazzi abbiamo ritrovato e che possiamo continuare ad avere.

Queste righe, cari coordinatori e coordinatrici, responsabili, animatori e animatrici sono esplicitamente un omaggio per voi. Probabilmente, il Grande Gigante Gentile ha soffiato nelle vostre vite un sogno che nemmeno osavate sperare. Tutta la comunità vi ringrazia per il vostro impegno e perché, anche senza pensarci e forse senza saperlo, siete stati grandi e gentili e avete messo un argine all’epidemia, molto più potente di qualunque vaccino.

Don Davide




Il nuovo regno degli uomini è il Regno di Dio

A cosa possiamo paragonare il Regno di Dio?

Gesù amava parlare in parabole per molti motivi. Sicuramente non ci sfugge il fatto che, noi per primi, per parlare delle cose divine, abbiamo la necessità di usare forme comparative che ci aiutino a comprendere qualcosa che è semplice, ma infinitamente “altro”. È altrettanto vero che, in queste similitudini, ‘i piccoli’ come noi, hanno più facile accesso e la voce di Gesù è come se si adattasse alle nostre orecchie.

Nella scorsa domenica (Mc 4,26-34) si è riproposto il tema di una nuova visione del Regno, quello di Dio. La domanda ci appare semplice ma possiamo immaginare che nasca dalla difficoltà di descrivere direttamente questo Regno che, ovviamente, si differenzia da quello degli uomini. Marco ha appena parlato della Parola di Dio come un seme (la parabola del seminatore) facendo seguire altri ‘come se’ sul Regno: è come il tempo della mietitura, della raccolta; è il tempo della gioia. Poi Gesù ci presenta un seme particolare per spiegarcene alcune caratteristiche.

“I miei pensieri non sono i vostri pensieri”: colmare la distanza

Gli uditori del tempo, come quelli di oggi, pensano al regno come qualcosa che rientra nelle idee degli uomini tranquillamente: non c’è bisogno di metafore. Il Re è qualcuno di cui ho esperienza, ha la corona il trono, ha dei poteri.

Ma per il Regno di Dio non è così; ci è chiara l’esperienza di ciò che intendiamo come regno degli uomini, ma non bastano le parole e le idee per parlare di quello che Gesù ha rivelato: Dio ha una visione precisa di quello che per Lui può e deve essere il nuovo regno degli uomini e ce lo rivela attraverso la concretezza di quello che il Cristo fa e dice.

Il seme della parola produce GIOIA.

La prima considerazione di fondo che facciamo è che questo regno è in stretta connessione con la Parola. La parola seminata e raccolta, nel Regno, porta gioia. Infatti, come ogni raccolto oggi e molto più ieri, riuniva le comunità contadine in momento di festa, vertice di tutto un anno di attese e fatiche, così anche la Parola che produce frutto, esprime (ex-premere = preme fuori) la gioia dell’umanità.

E’ un Regno in cui ci si sente a CASA

La seconda, parte dall’immagine del Regno di Dio come un seme della senape. Fra tutti gli ortaggi è il seme più piccolo, minuscolo; ma è anche quello che cresciuto, nell’orto, giganteggia fra gli altri, tanto da ospitare alla sua ombra gli uccelli del cielo. Si badi bene però, anche gli uccelli sono quelli piccoli, di nessun conto o valore per uno che voglia cacciare trofei alati.
Allora e oggi (anche se un po’ meno) l’orto è un fatto domestico, un fatto in casa… il Regno di Dio è familiare, fa famiglia, si realizza nel piccolo e produce cose grandi; tanto grandi da ospitare chi è più in difficoltà, nella semplice condivisione di ciò che si ha. Diventa così il giardino per tutta per la famiglia umana.

Il Gusto vero della vita

Il seme della senape è antico ed è particolare. Il suo sapore si fa sentire davvero nelle pietanze in cui viene usato. Il Regno di Dio dà sapore alle nostre giornate, non è addivenire, è qui (v. Mc 1,25). La Parola accolta ti rende accogliente e realizza il Regno, proprio come fa il seme della senape, il più piccolo e apparentemente il più insignificante seme dell’orto, diventa casa, ombra rinfrancante per tanti piccoli, come ciascuno di noi davanti a Dio.

Nel Regno di Dio c’è posto per tutti, trasforma e vivifica tutti i regni degli uomini che accolgono la Parola, la Buona novella, da quelli più personali fino a quelli più potenti.

E quindi ora possiamo rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio: “A cosa possiamo paragonare il Regno di Dio? “

Alla gioia dei fratelli e delle sorelle di tutta la terra che ascoltano la Buona novella, la mettono in pratica e creano una nuova umanità.

Anna Maria e Francesco




Cose grandi e umili

Nella liturgia di oggi c’è un tema di leadership cristiana.

Il profeta Ezechiele propone una parabola al termine di una riflessione che offre un confronto serrato fra Dio e tutti gli altri re e imperatori che hanno preteso di rivaleggiare con il suo potere.

Essi, dice il profeta, sono come alti cedri, maestosi e imponenti, ma il Signore eleva tra questi cedri un ramoscello, una cosa piccola, ancora nascente, la pone sulla cima del monte… perché “sappiano tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore: che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso…” (Ez 17,24).

Gesù ci propone, innanzitutto, la parabola del seme che cresce da solo, per affermare che il Signore mette in gioco una forza inarrestabile che permette al seme di crescere, anche indipendentemente dall’attività del contadino. In seguito, Gesù introduce una differenza significativa con il riferimento corrispettivo del profeta Ezechiele: il granello di senape non è come il ramoscello del cedro. Il granello di senape cresce e diventa il più grande di tutte le piante dell’orto e gli uccellini possono fare il nido alla sua ombra, nel senso che senz’altro possono trovare un piccolo ristoro, ma certamente non svolazzare e rifugiarsi sotto di esso come sotto il cedro.

Siamo dunque invitati non tanto alle piccole cose, ma a quelle grandi vissute con un atteggiamento umile e prudente: non tante cose, ma una che possa crescere; non la pretesa di essere uno spazio immenso o la presunzione di coinvolgere tutti, ma la disponibilità di fare ombra a chi vuole.

Ci si potrebbe chiedere dove vada a finire lo slancio missionario, la conversione pastorale che papa Francesco ci chiede. Mi sembra che il punto sia la decisione ferma di vivere questo impegno in maniera non autoreferenziale, che vuole dire non nella cornice della nostra visione e del nostro punto di vista, ma col tentativo di cogliere la realtà, le sfumature e le connessioni.

In questo senso, la grandezza della pianta di senape non è di essere immensa, ma di esserci per le altre piante dell’orto: di portare ombra in modo che tutto possa svilupparsi in maniera salutare e giusta, e così di favorire e collaborare con l’energia che Dio mette in ogni cosa che deve crescere.

Don Davide