Ricordati, Dio

Quaresima

La Quaresima si apre con Dio stesso che ci conferma nel legame benevolo di alleanza con lui: «Io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri cari e con ogni essere vivente che è con voi» (Gn 9,10). Ogni impegno, ogni sacrificio, sta lì dentro. È un’alleanza che coinvolge tutti gli esseri viventi: tutte le persone che mi vogliono bene, tutte le persone a cui sono in qualche modo legato, persino gli animali che mi fanno compagnia e la natura che amo e in cui mi ristoro.

Con tutti siamo in comunione e viviamo l’inizio di questo impegno quaresimale in questo abbraccio non fisico, ma reale, che ci rinvigorisce.

Siamo protetti da te, Padre e da una corona di fratelli e sorelle, di amici, pure in mezzo a mille difficoltà.

Arcobaleno

Quando Dio giura: «Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra» (Gn 9,11) intercetta la paura più recondita e mostruosa dell’animo umano: che la nostra vita sia distrutta, che noi siamo disprezzati, che la nostra esistenza cada in rovina come se non avesse valore.

L’alleanza di Dio ci garantisce che non sarà così, che anche quando nella sua immensa onnipotenza Dio potesse prendere la risoluzione di “distruggerci”, lui non lo farà. C’è un verso bellissimo nel profeta Osea che ci spiega perché: «Perché sono Dio e non un uomo, sono “Diverso” in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (Os 11,9).

È tenerissimo Dio, che mette un segno perché sa che “nel tempo” siamo inclini a cambiare le nostre risoluzioni e i nostri proponimenti, e sembra essere preoccupato di questo anche lui.

Così, quando dovesse essere “tentato” si fermerà davanti all’arcobaleno. Anzi, come un divino Cupido, scocca la freccia del suo amore e della sua pace e ci colpisce al cuore. Come un vaccino portato dal cielo, come un vaccino contro ogni male: «Io ricorderò» (Gn 9,15), dice. Ricorda il primo proposito, il momento di chiarezza in cui si è capaci di proiettarsi nel futuro, per sempre, nella luce di quella decisione iniziale, come ci si ricorda dell’innamoramento.

Preghiera

«Ricordati, Dio…» è la preghiera che accede al tuo cuore. Anche nel salmo di oggi la diciamo due volte (Sal 24/25,6-7). Come potresti dimenticarti?! Questa preghiera è la chiave che apre sempre il tuo cuore. Forse è la parola migliore che possiamo dirti, mentre preghiamo, perché se tu non ti ricordassi di noi, se il tuo pensiero non fosse rivolto alla nostra esistenza, noi – semplicemente – spariremmo. Invece, siamo sempre nei tuoi pensieri. Tu ci vegli sempre. E nel momento in cui ti ricordi, ci avvolgi subito con il tuo amore e ci rendi splendenti; non pensi a come siamo nelle difficoltà o a quando siamo tentati, ma ci aiuti ad essere migliori, a trasfigurarci.

Così, è solo nel tuo ricordo che anche noi – come Gesù – possiamo stare con le fiere e allo stesso tempo sperimentare la vicinanza degli angeli. Sì, perché noi siamo tentati, ci lasciamo disorientare, siamo sempre prossimi a imbruttirci, ma poi siamo nel tuo pensiero, anche noi ci ricordiamo di ricordartelo, e scopriamo che tu ci avvolgi con quella benevolenza che fu il tuo primo proposito, come quando ti innamorasti di noi e noi di te, e ci vedi belli e ci fai essere migliori, perché ci ami, e noi siamo ammantanti di luce: da materiali diventiamo spirituali, da uomini vecchi diventiamo nuovi. Stiamo con le fiere e gli angeli ci fanno compagnia.




Subito

Quel giorno sul lago

Cosa successe, quel giorno, sul Lago di Tiberiade?

Accadde che, per la prima volta, un uomo sentendosi chiamato scelse liberamente di seguire Gesù. In realtà non si trattava di un solo uomo, ma erano due fratelli. Li chiamò – ci dice il Vangelo – ed essi subito lo seguirono.

Immediatamente, a quanto pare dal racconto, Gesù notò altri due fratelli, impegnati nello stesso mestiere. Li chiamò subito.

C’è una duplice catena in questo racconto, come quando due bimbe si tengono per le mani con le braccia distese e fanno il girotondo con il corpo all’indietro; o una ballerina che disegna un semicerchio intorno ai danzatori, scambiandosi da uno all’altro in successione.

Sembra che la chiamata di Gesù non possa risuonare per uno solo, ma che valga sempre anche per un “fratello”. E addirittura, oltre a una prima coppia, ne viene coinvolta repentinamente un’altra. Questo passaggio di testimone sembra innescato dalla prontezza alla risposta dei primi: essi SUBITO lo seguirono. E Gesù SUBITO chiamò gli altri due.

La voce di Gesù che raggiunge la vita delle persone è come una scintilla nella stoppia. Nel momento in cui si accende, fa divampare un incendio… ma dipende dalla prontezza con cui chi si sente chiamato risponde.

 

Oggi qui

Ci possiamo chiedere, allora, cosa succede, oggi, nella nostra Bologna o, più specificamente, su Via San Felice, attorno al Palazzo dello Sport, a ridosso dei Viali di Circonvallazione o tra le vie del Centro?

Queste parole valgono per chi, fra di noi, riconosce la propria fede, ne è grato e se ne sente orgoglioso. Chi fra di noi sente la chiamata di Gesù, che risuona personale, con la sua tonalità e l’inflessione della sua voce. Avete mai immaginato come doveva parlare Gesù? Io sì, tante volte.

Chi, fra di noi, desidera ancora essere suo discepolo risponda presto! Non indugi affatto, neanche per un secondo! Avrà appena aperto gli occhi, per capire da che parte Gesù lo stia chiamando, che scoprirà accanto a sé un fratello, una sorella, che hanno ascoltato la stessa chiamata come lui. Entrambi ascoltino e gli rispondano: grazie Gesù! Vogliamo essere pescatori di uomini!

E Gesù, vedendo quest’entusiasmo chiamerà subito degli altri, come se anche lui scoprisse la sete dell’umanità. C’è bisogno di incamminarsi su sentieri luminosi e c’è bisogno di “agguantare” tutti gli esseri umani.

 

Quello che puoi fare tu

Tu rispondi subito. Lui subito chiamerà altri.

Ed essi risponderanno.

Pensavi di udirla solo tu, quella chiamata.

Appena ti volti attorno, scopri altri tre fratelli e sorelle.

Don Davide




Dove abiti tu?

Dimorare
Abbiamo tutti bisogno di trovare un luogo dove stare, in cui sentirci a casa.

Gli innamorati quando si innamorano, gli sposi quando edificano la loro casa, i ragazzi che cercano un gruppo di appartenenza, chi segue le mode, chi condivide o mette “mi piace” a una playlist su Spotify, chi si iscrive a un canale YouTube… tutti cercano un “posto” non solo fisico e non immateriale da cui attingere un tratto di vita.

È la ricerca di una dimensione “spirituale”, che faccia sintesi delle esperienze del corpo, dell’anima, dei sentimenti e delle emozioni, per farci trovare senso e bellezza nelle cose, e riconoscere che questa esistenza merita di essere vissuta.

«Dove abiti?» 
Chiunque cerca una guida, un mentore, un compagno di viaggio e una persona da amare, o anche semplicemente un gruppo di lavoro o una comunità dove stare, porta questa domanda nel cuore.

La domanda che i discepoli di Giovanni Battista rivolgono a Gesù, dunque, esprime almeno due sfumature:

1) Dove abiti perché ti possiamo seguire, perché possiamo abitare lì anche noi?! Sei affascinante per me? Sei in grado di farmi sentire vivo?
2) Dove abiti TU. Che cos’è che fa vivere te, Gesù? Cos’è decisivo per te, Maestro?

Entrambe le domande sono importanti, ma la prima è più inflazionata. Per me la seconda è molto più interessante: cos’è, Gesù, che ti ispira? Qual è il segreto tuo?

Colui che dirada le tenebre
Avete presente quando si incontra un “guru” in qualche ambito (uso la parola “guru” nel suo significato originale di “colui che dirada le tenebre”)? Ecco, quando si incontra uno che ti chiarifica o ti illumina a partire dalla sua chiarezza, ci si chiede sempre quali siano le sue sorgenti, chi siano stati i suoi maestri, come abbia percorso quel cammino che l’ha portato ad essere così.

Ecco, i discepoli di Giovanni Battista dovevano avere pensato questo del loro (primo) maestro. Giovanni era un uomo “pazzesco”, straordinario. Secondo le fonti ha lasciato il segno nella comunità di Gesù ancora per più di un secolo. Gesù stesso lo avrebbe definito «il più grande tra i nati di donna». Loro, i suoi seguaci più stretti, dovevano avere pensato che la loro ricerca più profonda era compiuta, come lo sportivo che fosse certo di avere trovato il miglior allenatore possibile.

Invece lui, il Battista, indica Gesù.

Da qui quella domanda lapidaria, piena di aspettative, di curiosità e di ricerca: «Maestro, dove dimori?».

Gesù
Quello che aveva da dire Gesù era sproporzionato per una sola risposta. A quel punto, egli non può che ribattere: “Venite e vedrete.” Ti introduco in qualcosa di talmente sorprendente, che non vorrai più rinunciarci.

I discepoli lo avrebbero capito ben presto… e anche noi lo capiamo nella nostra esperienza cristiana. Al seguito di Gesù siamo istruiti in uno stile e una vita delle relazioni, con gli uomini e con Dio, che non finiamo mai di imparare. La sua vicinanza, il suo affetto, la sua autenticità superano sempre quello che pensiamo di avere potuto ammirare. La sua onestà di fronte alla “serietà” e bellezza della vita, e allo stesso tempo la sua capacità di vivere cose vere e di farci capire come la vita andrebbe vissuta, non cessano di affascinarci e di attrarci.

Un giorno nuovo
Giovanni, l’evangelista, ricorderà quel giorno per tutta la vita. Quando scriverà il Vangelo, da uomo molto anziano lui, che era stato il discepolo più giovane, non mancherà di appuntare: «Erano circa le quattro del pomeriggio». La nota non è solo la testimonianza commovente della bellezza di quell’incontro, ma molto di più. Nel conteggio ebraico del tempo che conta i giorni non a partire dal mattino come noi, ma dal crepuscolo, quel ricordo indica l’inizio di un giorno nuovo.

Don Davide

tramonto




In una forcella di montagna

La Domenica del Battesimo di Gesù fa da cerniera tra il Tempo di Natale e l’inizio del Tempo Ordinario.

Entriamo nel cammino dell’anno e riprendiamo i percorsi usuali della nostra vita, avendo negli occhi il panorama delle feste e guardando in avanti all’itinerario che ci attende, come chi al valico di una forcella montana guarda alle spalle un paesaggio favoloso e scruta la meta avanti a sé dall’alto.

Di solito, la salita per arrivare alla forcella in un sentiero di montagna è molto faticosa, quindi quando si arriva in cima ci si sente stanchi, ma anche entusiasti per il traguardo raggiunto. Si desidera fare una pausa. Allora si cerca un posto riparato, perché in mezzo al valico tira sempre un vento forte, e si mangia un panino per ricaricare le energie fisiche per i passi successivi.

Ugualmente anche noi, al valico di queste feste. Abbiamo l’energia della festa che ci ha ricaricato: la conferma dell’amore di Dio su di noi, la meraviglia del Natale che si è rinnovata, la gioia di seguire la stella divina come i magi.

La meta è la Pasqua e sta davanti a noi, lontana, ma fin da adesso riusciamo a intravederla nella scena di Gesù che viene investito della benedizione dello Spirito Santo dall’alto.

Le feste di Natale sono state belle, ma la grande intensità spirituale ci ha chiesto concentrazione e accoglienza. Così, la Parola di Dio è il nostro “panino” che ci rifocilla, e la possibilità di ascoltarla nella liturgia, al riparo della montagna, è la sosta che ci ricarica le energie.

Durante la sosta, dopo avere mangiato, si ha bisogno di bere. Capita spesso che dopo una salita impegnativa l’acqua sia finita. Proprio perché abbiamo compiuto un meraviglioso cammino, abbiamo bevuto molto… ma abbiamo ancora sete.

Ed ecco che la prima parola che ascoltiamo, in questa domenica è un incoraggiamento strepitoso.

“O voi tutti assetati, venite all’acqua!”

Ci sono sorgenti nel sentiero che ti sta davanti!

Se hai sete, se cerchi, semplicemente vieni. Scoprirai meraviglie! Ci saranno fonti, e altri scenari… e stelle alpine!

Fuori di metafora, siamo invitati a cercare nel Signore ciò di cui sentiamo il bisogno. In modo particolare, siamo invitati ad ascoltare la sua Parola nella liturgia, insieme all’assemblea della comunità: lì si preparano altri doni, dopo quelli natalizi, perché quella Parola è come la pioggia e la neve che irrigano il terreno per la primavera.

“Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete!”

Sorprendentemente, il Signore che è entrato nella storia si mostra ancora presente come nel tempo dell’Avvento e del Natale. “Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino!” era lo stesso annuncio che risuonava anche all’inizio dell’Avvento, e ci viene ridetto oggi.

Ci rimettiamo in cammino, e il Signore è sempre vicino.

Don Davide




Tre preghiere per Natale

Sentire

Maria, meditando sulla tua Annunciazione ti chiediamo prima di tutto che cosa significhi vedere un angelo.

Ci piacerebbe capire che tipo di visione sia e che emozione si provi.

Ma… mi pare di vederti scuotere la testa con il tuo sorriso dolce. Ti ascolto.

“Non si tratta di una visione” dici. “Arrivarono delle parole. Udii dei suoni, erano celesti e forti e vibrarono con le stesse frequenze del mio cuore, quando pulsa la vita.”

In effetti, Maria, ho letto tanti commentari e ho fatto gli esami di esegesi sui vangeli dell’infanzia di Gesù… ma in nessuno di quelli avevo imparato che in questo testo non c’è mai un verbo di visione. Non si dice che hai visto l’angelo o che quella creatura si mostrò. Tutti i verbi sono di parola e di suono: lui diceva, tu ascoltavi e rispondevi.

Come prima preghiera per questo Natale, ti chiedo allora di aiutarci a sentire cosa Dio vorrà dirci. Intercedi per noi, perché sappiamo sintonizzarci sulla sua frequenza. Abbiamo bisogno di sentire con chiarezza una parola buona da parte di Dio.

Promesse

Poi leggo che anche tu sei stata turbata e che l’angelo, subito, ti ha rassicurata con una promessa.

Vorrei, perciò, che tutte le persone che sono turbate e temono, possano essere rassicurate dalle promesse che tu porti insieme al Natale.

Per compierle, ci hai donato Gesù.

Fa’ che si realizzino con forza, per la gioia del tuo popolo, e che tutte le promesse di bene possano realizzarsi, per chi apre il cuore al tuo Figlio e chiede la tua intercessione.

Spiritualità

Infine ti prego, Maria, perché possiamo vivere in questo Natale un’autentica esperienza spirituale.

Perché sentiamo il calore di una presenza divina e di una fiamma che accenda in noi più amore, più gioia, più determinazione e più serenità. Ciascuno nei propri percorsi di bene. Ciascuno a modo suo.

Forse saremo limitati nei movimenti ed è possibile che non faremo quelle abbuffate in grandi baldorie, che caratterizzano le nostre feste. In fondo sarà sufficiente tagliare un dolce natalizio, scartare un semplice regalo e avere accanto qualcuno che ci vuole bene.

Ma sarebbe importantissimo se potessimo sentire quel tocco di Dio che è in grado di lasciare la sua traccia, come la scia che ha lasciato l’angelo col suo magico suono, quando si è allontanato da te.

Don Davide




Una scena mozzafiato

Lettera aperta quasi alla fine dell’anno liturgico

C’è un versetto da infarto nel vangelo di questa domenica, quando il terzo protagonista della parabola mette il tesoro che gli è stato consegnato in una buca e lo sotterra.

Se lo immagini interpretato da un bravo attore, in un film al cinema, sul grande schermo, dove potresti cogliere l’atmosfera, i movimenti impercettibili e le emozioni disegnate sul volto, è una scena mozzafiato, ma nel senso da fare paura.

Vorrei farti notare che il racconto della parabola (anche se la versione liturgica ha tolto una parola) inizia così: “Avverrà infatti…”. Questo esempio di Gesù esplicita l’insegnamento della parabola delle vergini. Là la vigilanza era l’impegno di imparare ad amare per andare incontro allo sposo. Qui, i talenti, prima di essere doni specifici come l’essere intelligenti o l’essere bravi in uno sport, sono un simbolo dell’amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo che ci è stato donato.

Ecco allora, la nostra scena terribile: questo uomo seppellisce il suo amore, quello ricevuto e quello che avrebbe da dare e, così facendo, in realtà seppellisce se stesso. Decidendo di non amare decide di morire.

Decidendo di non amare giungerà alla conclusione di non essere stato mai amato, fin dall’inizio: “Ecco qui il tuo talento” dirà alla fine della storia al suo padrone. Come se dicesse: “Io non ho niente da darti, riprenditi ciò che è tuo e che non è mai stato mio.” È la stessa posizione del figlio maggiore nella famosa parabola: “Tu non mi hai mai dato un capretto per fare festa con i miei amici…”

Ma non vero! Nella parabola raccontata da Gesù non c’è nessuna intenzione di riflettere su un’eventuale ingiustizia da parte di Dio che amerebbe qualcuno più di qualcun altro. Semmai è tutto il contrario. La storia si concentra sul fatto che tutti, da qualsiasi posizione partano, hanno la possibilità di ricevere la stessa ricompensa, facendo esperienza dei doni del Signore: “Prendi parte alla gioia del tuo Signore” viene detto a entrambi i primi due, nello stesso modo, indipendentemente dal fatto che uno abbia altri cinque talenti e l’altro altri due. Anzi, c’è una corrispondenza fra cinque dati e cinque ottenuti; due dati, due ottenuti. Nulla di più!

Allo stesso modo, il Padre misericordioso dell’altra parabola svelerà come stanno le cose veramente: “Tutto ciò che è mio è tuo!”.

Perciò – ecco la lettera aperta – chiunque tu sia: non sotterrare il tuo amore! Non morire in anticipo. Tu hai l’amore di Dio. Qualunque sia stata la tua storia nell’infanzia, nella giovinezza o nella tua vita attuale, da Dio tu sei amato/a e tu puoi amare.

Ama. Sii generoso. Se devi amare, corri anche qualche rischio come un saggio investitore: per l’amore ne vale la pena. È un bel modo per portare a conclusione il bilancio di un anno, non credi?

Il testo ci racconta che quel servo si è sotterrato “per paura”. Prova a non ascoltare le tue paure: le paure sono come un fantasma di fumo che si condensa sempre di più, ma se tu gli corri incontri si dissipa in un istante. Prova ad ascoltare, invece, la voce del Signore che ti dice: “Non temere! Non avere paura! Sei invitato alla festa della vita! Non sottrarti!”.

Tutto ciò che è di Dio e di Gesù, è anche tuo. Sì, Gesù ha messo il suo cuore nel tuo perché tu possa amare come lui. Non rimanere come il servo pauroso con il soldino in mano. Non rimanere come il fratello maggiore sulla soglia.

Davvero, per le tue paure non vorrai fare quel passo?

Non entrerai?!

Don Davide




Siate voi, i santi!

Nella festa dei Santi ascoltiamo le Beatitudini, come indicazione di chi siano le persone sante: sono coloro che sono “felici” secondo i criteri di Dio, non quelli del mondo.

Non sono, ad esempio, i ricchi, ma i “poveri nello spirito”, cioè chi sa di dovere ricevere o imparare, chi non si sente superiore agli altri ed è semplice, amichevole e gentile con tutti.

Nelle parole di Gesù, però, c’è anche un altro segreto: un significato nascosto che si palesa solo a chi è disponibile a lasciarsi interpellare, a chi – come dice il prologo della Regola di San Benedetto – alla domanda del Signore: “C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene”, risponde prontamente: “Io!”.

In molte delle beatitudini Gesù usa il verbo al passivo, principalmente per indicare che il soggetto di quell’azione è Dio. Nell’esegesi viene chiamato “passivo teologico”. È Dio stesso, dunque, che consola, che concede in eredità e che agisce in tutte le altre beatitudini.

Tuttavia, ricordando l’invito rivolto all’assemblea del Popolo di Dio: “Siate santi, come io il Signore, sono santo” (Lv 19,2), possiamo ascoltare l’invito a… rubare il posto a Dio! Lui lo desidera, ci fa spazio volentieri. Se noi abbiamo risposto: “Io! Io desidero la vita!” lui ci consiglia di seguire una strada non evidente, ma intima e vera.

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Ci dice: “Mettiti tu al mio posto e consola, valorizza la mitezza, concedi giustizia, dona misericordia, costruisci rapporti basati sulla purezza, benedici i pacifici, fai sentire l’amore ai perseguitati.”

Le Beatitudini, dunque, potrebbero essere riscritte anche così, oggi:

“Beati coloro che sono semplici nell’animo, che non si attaccano al potere né lo bramano, ma sanno stare con tutti. Loro vivono costantemente nell’esperienza dell’amore di Dio.

Beato chi consola chi è nel pianto, lenisce le ferite, alleggerisce qualche peso.

Beato chi osa concedere l’autorità e consegnare il mondo alle persone più miti.

Beato chi sazia gli affamati e fa giustizia a chi riceve soprusi.

Beato chi perdona e chi rispetta anche chi ti ha fatto un torto, come fa Dio.

Beato chi tratta le persone con purezza, chi rispetta l’amore, chi non offende il corpo dell’altro e non ne umilia l’anima.

Beato chi custodisce i pacifici e concede loro spazio, togliendolo ai signori della guerra.

Beato chi aiuta i perseguitati e gli oppressi, in qualsiasi modo possa o sappia farlo.

Quando uno si infila così nei panni di Dio o accanto a lui, sperimenta, poi, cosa succede a Dio stesso. Perché, ancora una volta, è Dio stesso che si fa povero come un re che voglia stare alla tavola dei suoi sudditi. È Dio stesso che piange, talvolta, perché ci sono così poche persone disposte a consolare. È Dio stesso che non viene incontro a noi nella sua ira, anche se potrebbe, e si fa mite, perché noi possiamo continuare ad abitare la Terra.

È Dio che ha fame e sete che gli uomini siano giusti, e brama che il peccato non travi la percezione della “giustizia” che abbiamo di lui.

È sempre Dio che ha misericordia, per primo.

Dio ha il cuore talmente puro da guardare l’uomo e da trovarlo bello e da pensare che l’uomo e la donna – l’umanità – siano una cosa “molto buona”.

È lui, che pur essendo il Signore delle Schiere, l’Ammiraglio dell’Esercito Celeste, sceglie la via della pace e ne promulga l’editto.

Infine, Dio stesso, in Gesù, è stato perseguitato e continua ad esserlo, in tutti i Crocifissi della storia per dire che di loro, a quelle croci, a quelle sofferenze appartiene il dono supremo dell’amore di Dio e la sua ricompensa.

Don Davide




Fare, credere, convertirsi

Gesù propone un insegnamento sul “fare la volontà di Dio”, perfettamente coerente con la tradizione di Israele. Come ormai sappiamo bene, infatti, per Israele le Parole del Signore – che sono le indicazioni divine per la Vita – prima si “fanno” e poi si “ascoltano e comprendono”. È una sapienza molto pratica, che non prevede che il rapporto con Dio si possa apprendere solo intellettualmente. È il contrario: la pratica della vita, l’esperienza, permette di aprire il cuore e la mente a quei misteri che, altrimenti, sarebbero inaccessibili e incomprensibili.

Anche la catechesi di oggi e il tentativo di comunicare la fede dovrebbe sempre tenere presente questo criterio.

Il tema dell’insegnamento di Gesù, nel vangelo di questa domenica che ci propone l’esempio dei due figli, è dunque questo: che uno dice, ma non fa e l’altro fa, senza dire.

Sorprendentemente, però, Gesù associa il significato di questa storia al “fare” dei pubblicani e delle prostitute, che non è un fare, ma il credere.

Anzi, a ben guardare – leggendo tra le pieghe della narrazione evangelica – spesso queste persone considerate peccatrici, impure ed escluse dal culto, si trovavano nella posizione di essere affascinate dalle parole di Gesù, senza riuscire effettivamente ad uscire dalla loro miserevole e contraddittoria condizione.

Ma la predicazione di Gesù apriva comunque uno squarcio, lavorava sotterranea, come un torrente carsico o una goccia che scava la roccia. E così, infine, era proprio il loro credere, credere che quell’annuncio di vita, di bene, di nuove possibilità che si radicava nella vicinanza di Dio attraverso Gesù potesse riguardare anche loro, che pian piano, ma inesorabilmente, li cambiava.

E si convertivano.

Il racconto delle figure come Levi, come Zaccheo, come la donna che lava i piedi di Gesù con le sue lacrime sono simbolici di quello che poteva accadere a tutti loro.

Dunque, raccogliamo due insegnamenti.

Il primo è che possiamo puntare a mettere in pratica qualcosa del Vangelo fin da oggi. Questo fare e mettere in pratica ci aiuterà a scoprire che le visioni che la fede ci offre sono vere, autentiche e penetrano il senso profondo dell’esistenza. La sorpresa e la profonda consonanza con i nostri bisogni più veri aprirà il nostro cuore alla fede e, di conseguenza, a convertirci in tutti quegli aspetti che hanno bisogno di essere illuminati dall’amore di Dio.

Il secondo è che credere nelle possibilità di bene instillate dalla vicinanza di Gesù ha il potere reale di cambiare in meglio la nostra vita. Di migliorare le nostre relazioni, di amicizia e di amore; di fare scattare qualitativamente la nostra crescita e la nostra maturazione; di ottimizzare il nostro studio, la nostra professionalità; di vivere con più lucidità sui nostri buoni propositi, con meno, ansia, più pace e consapevoli della pienezza verso cui tendiamo.

La porta è aperta e il cammino della vita è davanti a noi.

Don Davide




Quattro filari

La storia dei lavoratori nella vigna ci parla di quattro filari, dove si coltivano uve diverse, da cui produrre altrettanti vini pregiati.

È una storia in cui Gesù, nascosto nelle pieghe di un racconto, vuole parlarci di un risveglio. Il risveglio della nostra vita. Il dono di mettersi all’opera per servire l’amore del Padre.

Ecco questi quattro filari da percorrere, con l’uva da assaggiare e da lavorare perché ci allieti un vino sublime, “il vino che rallegra il cuore dell’uomo” (Sal 103/104,15).

Il Signore è in cerca

Il Diavolo va in giro come leone ruggente, cercando chi divorare (1Pt 5,8). Il Signore va in giro come agnello mansueto, cercando chi assumere. Sappi che il Signore è in cerca; che il “regno di Dio” passa e ripassa dalla tua vita, è prossimo, non è lontano. È così poco distante che è a suono di voce, che le occasioni non ti mancano. “Cercate il Signore mentre si fa trovare – ci ricorda Isaia – invocatelo mentre è vicino!” (Is 55,6).

Ascolta la chiamata

Ascolta la sua chiamata, senti che qualcuno ti sta parlando: “cosa fai lì?”. Dedicati all’ascolto di una guida, di un punto di riferimento, di qualcuno che ti ispiri e ti illumini.

Ricorda la vigna

Non sei chiamato ad andare in un posto indefinito, poco piacevole, dove non sai cosa fare. Sei chiamato nella sua vigna, dove ci sono tanti operai e dove il Signore vuole tutti. Non importa che tu sia il primo o l’ultimo, la prima o l’ultima, conta che sei invitato. Chiama altri! Aiuta qualcuno a sentirsi coinvolto, non ragionare solo in termini di “giustizia”, di “cosa ci guadagno”, di “chi se lo merita”, ma pensa al regno di Dio: un grande spazio di bene, in cui siano coinvolti tutti.

A giornata

Non c’è l’assunzione a tempo indeterminato e non si vive di rendita. La chiamata con cui il Signore ti risveglia dal tuo torpore è un lavoro “a giornata”. Ti devi dedicare tutti i giorni, quotidianamente, anche poco, ma sempre. A che cosa?! A quello che ti serve per “risvegliarti”. Vuoi crescere nella fede? Inizia a lavorare “a giornata”. Vuoi raggiungere risultati nello studio? Inizia oggi. Vuoi migliorare la tua relazione? Fai qualcosa di meglio a partire da adesso. Rammenta che uno dei drammi della nostra società e della maturità umana di questi tempi è che c’è una grandissima superficialità proprio su questo punto. Non si prende sul serio che bisogna lavorare quotidianamente, se si vuole “ricevere” in dono il “regno”. E non ti scoraggiare: le piccole vittorie contano. Anche se hai fatto ancora pochissimo, hai incominciato. Il traguardo non mancherà.

Don Davide




“Mi hai sedotto”

Avete presente quando due persone molto innamorate si scambiano un gesto di affetto, o quando uno non ha paura di dire all’altra (o viceversa) che è stato conquistato? Avete mai sentito due fidanzati che raccontano la loro storia e uno dei due dice: “E pensare che io all’inizio non ne volevo sapere! Mi ha dovuto conquistare!”.

Di questa esperienza parla il profeta Geremia: “mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre…”

Così è l’esperienza spirituale. Qualcuno sente il richiamo del divino e lo segue e non ha paura di riconoscere che è diventato così prezioso che non vorrebbe mai perderlo nella vita. Altri riscoprono come un tesoro preziosissimo qualcosa che non avevano mai considerato prima, o che addirittura rifiutavano.

Succede anche quando la vita di una persona cresce fino a rivelarne il senso pienamente, o una persona si appassiona a un lavoro che pensava di detestare, o quando un servizio che si assume si rivela una benedizione (come chi fa volontariato o accetta qualche incarico per gli altri).

Ma chi di noi può dire a Dio, o più personalmente a Gesù: “Mi hai sedotto, Signore, e mi sono lasciato sedurre?”.

Vorrei suggerire qualche piccolo esercizio spirituale.

Il primo. Per un momento, senza considerare le contrarietà o le fatiche, oppure pensando: “Proprio in mezzo a queste contrarietà e fatiche…” per quali motivi sento di potere benedire il Signore? Nonostante tutto, qual è un motivo di beatitudine, come un innamorato che stia in compagnia di una persona amata, in questo preciso momento della mia vita?

Il secondo. Quando mi ha sedotto Gesù? Quand’è stato il preciso momento, in cui Gesù mi ha coinvolto? Magari allora non me ne rendevo conto, ma ora lo riconosco con precisione.

A partire da questi piccoli esercizi di meditazione, sono sicuro che potremo anche noi riconoscere, come Geremia, che dentro di noi c’è un fuoco che non può essere sopito, che quella scintilla della fede non possiamo perderla e che abbiamo sperimentato l’amore di Gesù come qualcosa di imprescindibile.

Don Davide