La saldezza e le sorgenti

La profezia della prima lettura conclude con il famoso oracolo: “La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli.” (Is 56,7). Pensiamo subito alla scena in cui Gesù scaccia i mercanti dal Tempio, citando proprio questo versetto di Isaia. La casa a cui fa riferimento la profezia è il Tempio e per capire quanto fosse estrema questa visione, dobbiamo ricordare che il culto nel Tempo era riservato agli ebrei. All’epoca di Gesù, il Tempio aveva un cortile in cui potevano accedere anche gli altri popoli, ma non era concesso loro di procedere oltre.

Tuttavia, questo raduno degli stranieri “che hanno aderito al Signore per servirlo e per amarlo” e degli ebrei “che si guardano dal profanare il Sabato e restano fermi nell’alleanza” (Is 56,6), secondo il Nuovo Testamento avviene non solo nella casa fisica del Tempio, ma anche nella casa spirituale che è la Chiesa. (Non le chiese di mattoni, che sono venute molto più tardi, ma la Chiesa fatta dei battezzati!)

Da qui vorrei trarre lo spunto di oggi, che possiamo parafrasare così: “La mia casa (cioè la Chiesa) sarà chiamata casa-di-preghiera per tutti i popoli.”.

“Casa – di – preghiera”: mi chiedo se non sia proprio quello che abbiamo perso e che, quindi, dobbiamo recuperare. Spontaneamente, infatti, pensiamo alla chiesa edificio di mattoni, come il luogo dove si va a pregare e di conseguenza alla Chiesa di persone come quelli che pregano, che fanno cose spirituali… è tipico dei ragazzi più giovani, ad esempio, pensare la chiesa (con l’iniziale minuscola o maiuscola è indifferente) come il luogo dove si prega, perciò noioso. Quante volte ho sentito studenti intorno alle scuole chiedere ai propri amici che avevano fatto i campi estivi: “Ma cosa fate durante i campi, pregate sempre?!”.

Già il fatto che questo tema della preghiera sia interpretato quasi sempre in senso negativo o riduttivo, come una cosa per pochi nostalgici, la dice lunga sulla situazione.

Ma vorrei provare a dire di più. Pensando alla preghiera come moto dello spirito, come elevazione della persona nel dialogo con il Divino, si potrebbe parafrasare la profezia di Isaia anche così: “La mia casa (cioè la Chiesa) sarà chiamata luogo di esperienza spirituale per tutti i popoli.”

Nonostante quello che si pensi, c’è molto bisogno di insegnamenti spirituali, regole o consigli per vivere meglio. Qualcuno sente il bisogno e lo cerca, qualche altro non lo cerca affatto ma non si rende conto che ne ha bisogno lo stesso.

Con rammarico, registro che questa “ricerca” è ormai affidata agli psicologi, alle religioni orientali o alle discipline olistiche, ai mental coach, ai motivatori, ai guru…

Non è una questione di competizione e lo dico con il massimo rispetto e amorevolezza: ma sembra che la Chiesa si sia ritirata da questo campo, sembra che al di là di qualche ripetizione di concetti stantii e moraleggianti, non siamo più capaci di appassionare all’esperienza spirituale come a un’arte, un tesoro prezioso e pieno di benefici che va ricercato, una scienza che va anche imparata.

I giovani meno che mai sembrano chiederla, così nella pastorale ci siamo settati su altre cose.

Mentre pensavo a queste riflessioni mi risuonava in mente lo splendido versetto di un salmo, che a proposito del ritrovarsi di Israele insieme agli stranieri nella luce del Messia a Gerusalemme, nella “Casa – di – preghiera”, dice:

sorgentiSi dirà di Sion: “L’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda.”.
E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti.” (Sal 87,5.7)

Mi piace pensare alla “saldezza” nelle nostre vite complicate, come qualcosa che ci viene dall’Altissimo. Se dovessi dare indicazioni cristiane per la vita concreta direi proprio questo: se cerchi di rimanere saldo nella vita, ascolta le indicazioni dell’Altissimo. Lì troverai tutte le “sorgenti” per la tua esistenza.

Don Davide




La brezza e la tempesta

Uno dei tratti belli dei racconti biblici è il fatto che non fissano la realtà in formule semplici, ma ne colgono la complessità e varietà. 

L’esperienza di Dio può avvenire in una brezza leggera, come per il profeta Elia nella prima lettura, o nella situazione di un vento forte, tanto da intimorire pescatori esperti, come nell’episodio evangelico. 

Elia, dopo una vita spesa come profeta autentico ed estremamente autorevole, e dopo prodigi clamorosi che lo avrebbero dovuto qualificare come uomo di Dio senza alcun dubbio, vive l’appuntamento decisivo dell’ascolto della voce del Signore in un momento di raccoglimento e in un’esperienza silenziosa, quasi impercettibile. 

Egli aveva già vissuto l’incontro con Dio, quando ne aveva udito la chiamata profetica e aveva risposto, ed era stato il suo testimone più volte nei confronti del re. Ma ecco, verso la fine della sua vita si realizza lesperienza più importante di tutte. 

È come un sigillo sulla sua carriera, la conferma che nonostante le difficoltà aumentino invece che diminuire (in questo momento è in fuga dalla regina Gezabele)ha seguito la strada giusta. Questa voce che arriva dopo una vita di imprese ed eventi grandiosi, paragonabili a un grande trambusto che non lo ha mai lasciato in pace, ora si fa percepire così leggera e delicata, ed è simbolo di un’esperienza intima, di quelle che toccano le sorgenti della nostra esistenza, in grado di cambiare il cuore. Come quando ti accorgi di essere autenticamente innamorato, o ti persuadi nel profondo che una particolare strada è quella giusta da seguire. 

È una sensazione che non tutti hanno la fortuna di potere descrivere: senti che una pace molto profonda rilassa i muscoli del corpo, sparisce ogni paura e, al contrario, guardi al futuro con determinazione e coraggio. 

Qualcosa di simile, ma molto più ricco e variegato, deve avere vissuto il profeta Elia. 

Per i discepoli, invece, è tutto il contrario. Essi sono spaventati dal vento forte e contrario, loro che sono pescatori esperti! Temono di vedere un fantasma, perché assistono a qualcosa di inaudito: un uomo che cammina su acque in tempesta, acque – quelle del Lago di Tiberiade – profondissime. 

I discepoli sono persone che devono ancora imparare tutto al seguito del Maestro. Hanno bisogno che la loro fede nasca e venga confermata. La loro esperienza è forte e sconvolgente, tanto da plasmare i loro punti di riferimento e ridefinirli. 

Quando torneranno a riva non saranno più gli stessi e non potranno più negare di avere intuito chi fosse veramente Gesù. Infatti, non c’è bisogno di capire tutto: spesso è sufficiente intuire semplicemente chi sia veramente Gesù. È già abbastanza dirompente, per mettersi in cammino a cercarlo ancora e più autenticamente.  

Sono entrambe esperienze di Dio. 

Alcune volte Dio ci si fa incontro in maniera potente, come quando interviene per farsi conoscere nella vita degli adolescenti ai campi o durante un’esperienza di volontariato. Altre volte, nel silenzio di una preghiera feriale, conferma il cammino di chi già lo ha conosciuto. 

Molte volte, un’esperienza forte e potente, è l’inizio che conduce a quella più intima, ma non meno incisiva. Si vorrebbe che il Signore si facesse conoscere ancora in maniera clamorosa, che risolvesse di un colpo le nostre fatiche, i nostri indugi, e la smemoratezza di quel primo momento di folgorazione. Invece lui semina più intimamente, finché il semino non pianti radici meno spettacolari, ma non meno efficaci e importanti. 

La voce di Dio può essere delicata o potente, può irrompere senza chiedere il permesso o agire solo toccando la nostra libertà. L’importante è essere in ascolto di questa voce, sapere che si può nascondere ovunque e può essere portata da ogni cosa, perché Dio ci vuole sempre raggiungere, nel posto dove siamo, per aiutarci a fare proprio il passo di cui abbiamo bisogno. 

Don Davide 




Un tesoro

Il regno dei cieli è simile a un tesoro.

tesoro

Ci sono due condizioni per apprezzare un tesoro: la prima è che sia una cosa oggettivamente di valore. La seconda che sia qualcosa di prezioso per chi lo incontra.

Alla prima condizione noi associamo, ad esempio, l’immagine di un forziere pieno di cose preziose, ritrovato in un’isola misteriosa. In questo caso, può darsi che i trovatori aprano lo scrigno e vedano brillare tante monete d’oro e che ne facciano bottino; oppure potrebbe accadere che in mezzo a una cassa piena di fango sia nascosto un diamante di inestimabile valore, e che si rischi di perderlo, ingannati dall’apparenza.

Con questo inizio del suo insegnamento, Gesù sembra rivolgerci quindi molto direttamente alcune domande:

◆Il “regno dei cieli”, ossia il desiderio di Dio è qualcosa che noi consideriamo prezioso?

◆Abbiamo cura di fare esperienza della dimensione spirituale e di approfondirla, come – ad esempio – abbiamo cura di stare in salute o di fare le cose che ci piacciono?

◆Abbiamo la saggezza di riconoscere che la spiritualità è una parte preziosa e indispensabile della nostra vita?

◆Se non abbiamo ancora fatto esperienza che l’incontro con Gesù è un tesoro per la nostra vita, abbiamo la pazienza di scavare un po’ e la disponibilità di accordare la fiducia a qualcuno che ci possa guidare?

Tante persone sono degli ottimi professionisti, lavorano tanto, si impegniamo nei loro doveri, ma il loro spirito è atrofizzato… non sono in sintonia con l’esistenza e con gli altri… sono svuotati di energie di amore e di bene.

Si chiedono come mai, nonostante tanto impegno, le cose non funzionino come dovrebbero. Rimpiangono di non avere tempo per apprezzare la vita, qualche spazio di riflessione e consapevolezza, più momenti da dedicare alle persone care.

In questi casi, i sensi di colpa cominciano ad affastellarsi uno sull’altro, e così il dispiacere, che facilmente si trasforma in risentimento spesso senza neanche capire il perché.

Il tema è sempre lo stesso: non c’è solo la sorgente biologica della nostra vita, ma anche altre… lo spirito è quella che le lega tutte. Se il nostro spirito si spegne… tutte le altre sono come una rete che pian piano perde le sue fibre, fino a spezzarsi.

Per questo Gesù insiste, nelle prime due parabole, sul fatto che quando si è trovato questo tesoro o questa perla, quando si è capito che è un tesoro, si deve fare di tutto per “possederlo”. Non si tratta di carpirlo, ma di non privarsi di questa risorsa.

Poi, nell’ultima parabola, Gesù ci incoraggia, ricordandoci che questa ricerca non avviene in condizioni ottimali, in una camera sterile dal male… Il regno dei cieli, ci dice, è come una rete in cui ci sono tanti pesci, buoni e cattivi. Viviamo la nostra tensione a Dio in un continuo destreggiarci tra altre tensioni meno buone, in un continuo esercizio di discernimento, in una continua preghiera di lasciarci scegliere da lui.

Ad un certo punto, mentre cerchiamo il tesoro di Dio, scopriamo di essere noi un tesoro per lui e che lui ha dato tutto – compreso il suo figlio – e continua a fare tutto, per averci con sé.

Don Davide




Come la pioggia e la neve

Siamo in piena estate e la liturgia della Parola, in questa domenica, inizia evocando la pioggia e la neve. Sembrano immagini lontane, ma proprio nei mesi più caldi e secchi dell’anno siamo aiutati a considerare la preziosità dell’acqua che disseta la terra e del ciclo delle stagioni.

La pioggia e la neve – dice il profeta Isaia – scendono dal cielo e irrigano e fecondano la terra, perché germogli, dia il seme e poi il raccolto. È una metafora stupenda e celebre, usata sempre per indicare l’efficacia della Parola di Dio, che non torna al cielo senza avere irrigato la vita di chi raggiunge.

Oggi, però, pensando all’estate, in questo paragone vorrei cogliere la dilazione del tempo. Tra l’autunno e l’inverno che preparano la terra irrigandola e la gioia del raccolto, passa un tempo lungo, di attesa, in cui l’agricoltore può curare un po’ il campo, ma non può operare più di tanto.

Mi sembra che nella pastorale delle nostre comunità, dovremmo riscoprire e coltivare il tempo lungo. La semina della parola – come ben manifesta la parabola evangelica, che pare esprimere un aspetto complementare a quello della prima lettura – è difficile. Nonostante l’abbondanza e la generosità del seminatore, che non è uno sprovveduto, c’è una difficoltà intrinseca in questa seminagione.

Lo dico in modo provocatorio, ma ho l’impressione che nel tempo che viviamo, invece, per evitare il rischio della dispersione dei semi e del periodo lungo per vedere il frutto, preferiamo fare come l’esperimento scientifico per eccellenza di tutti i bimbi, cioé mettere il semino in un bicchiere con un po’ di cotone, per vedere il germoglio e la piantina e dire: “Wow!”. I bimbi, giustamente, ne rimangono meravigliati, ma gli adulti sanno che non si raccoglierà nulla da quella piantina… ma è come se ci rassicurasse vedere qualcosa.

Lo si fa con il catechismo, in cui ci rassicura vedere i bimbi nei quattro anni del catechismo, ma sapendo che poi – sia per loro che per le loro famiglie – rimane ben poco di quella esperienza.

Lo si fa con i ragazzi e i giovani, con i quali usiamo quasi sempre il criterio del “così vengono”, ma alla fine non insegniamo loro a pregare, la vita spirituale, il valore dei sacramenti, di avere una guida. Fare queste cose “spirituali” è difficile: è impopolare, non interessano, ci vuole tempo… mi chiedo, però, se non siano proprio questi percorsi difficili a manifestare l’efficacia di cui parla il profeta Isaia. Quando questi ragazzi saranno diventati uomini e donne, che cosa li aiuterà?

Anche la carità corre lo stesso pericolo. Sembra che sia l’unica cosa che conti nella Chiesa, agli occhi del mondo: della fede cristiana non interessa più niente, anzi, non di rado si manifesta un certo fastidio, però la Chiesa che fa tanta carità piace a tutti: “Così dovrebbe essere!” si dice. Ma cosa sostiene la carità? Tutte le persone che animano in maniera non improvvisata, costante e con sapiente dedizione la carità, sono persone che sanno precisamente il motivo per cui lo fanno: per Gesù. Gli altri ci girano attorno, ma se non ci fossero i primi, l’immenso impianto della carità nella Chiesa semplicemente crollerebbe.

seminaAllora, cosa dobbiamo fare? La semina della Parola di Dio è difficile e, diciamolo senza mezzi termini, è fuori moda. Ma pare che Gesù non abbia escluso questa eventualità, citando il profeta Isaia.

“A chi ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza, ma a colui che non ha sarà tolto anche quello che ha.” È una delle frasi più scandalose e irritanti del Vangelo, a fronte di un certo modo di pensare in termini di aurea mediocritas. Ma quello che vuole dire Gesù, parlando della Parola di Dio, è che la Parola è legata a un desiderio e la ricchezza cristiana a un’adesione. Chi rifiuta questo tesoro, si troverà sprovvisto e non ne rimarrà nulla. Chi invece lo cerca e vi si apre, a prezzo di fatica e pazientando nel tempo lungo, non avrà nemmeno bisogno di scoprirlo, ma sarà ricolmato di ricchezza.

Don Davide




Ogni cosa è illuminata

“Hai tenuto nascoste” afferma laconicamente Gesù, indicando un tratto misterioso di Dio Padre.

Queste cose nascoste sono impedite ai dotti e ai sapienti, ma sono rivelate ai piccoli. Non è una requisitoria contro lo studio o contro il desiderio di saggezza; né tantomeno la volontà di denigrare chi si impegna nella formazione: qui l’elemento chiave è il tema della piccolezza, dell’umiltà e della semplicità.

In questo ambito di un’adesione alla realtà senza sovrastrutture, con umile accoglienza e immediatezza, si rivelano le cose che altrimenti Dio tiene nascoste.

Domenica scorsa Gesù ci consegnava l’insegnamento di un bicchiere d’acqua offerto, che può cambiare le sorti di una vita e fare sperimentare la salvezza a chi offre e a chi riceve: una cosa piccolissima, che forse senza l’adesione alla realtà, sfuggirebbe alla nostra attenzione. Invece Dio rivela ai semplici la potenza di questo gesto.

In questo sguardo della semplicità posata sull’esistenza, ogni cosa è illuminata: la gratitudine, un sorriso, il gesto paziente e quotidiano che fra molti anni produrrà un grande risultato, come studiare qualche pagina di un libro difficile, che un giorno si trasformerà in una laurea e, molto di più, in una competenza; o il solfeggio degli studenti di musica, pratica noiosa che prelude alla composizione di una sinfonia.

Ogni cosa è illuminata, come un genitore che cambia il pannolino a un bimbo piccolo e – alla fine – avrà donato la vita a una persona; o l’impegno di un* giovan* a modificare in meglio il proprio temperamento, che un giorno produrrà una cultura di pace.

In una foto artistica, quando la luce è quella giusta, anche le cose che rimangono nell’ombra appaiono rilevanti. Parlandoci di Dio Padre come fa nel vangelo, Gesù sembra tratteggiarlo come un maestro fotografo, che usa l’esposizione perfetta, perché ogni cosa sia illuminata, e anche quelle nascoste siano nella giusta luce.

Così facendo, innanzitutto, Dio ci fa apprezzare la profondità del reale, come appunto in una splendida fotografia, e ci fa ammirare le sfumature senza stancarci.

Ma soprattutto, stimola la nostra curiosità, perché rimaniamo con le domande che ci fanno cercare e vivere:

-Che cosa è essenziale?

-Qual è il segreto nascosto che posso scoprire?

-Come posso guardare la mia vita, per vedere che ogni cosa è illuminata?

Nella prima lettura, il profeta preannuncia come l’incontro con il Messia sarà anche frutto di questo sguardo.

Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo ci spiega che così la vita spirituale assume una forma concreta e viene sottratta a quell’interpretazione “spiritualistica” che spesso la squalifica.

Può accadere, quindi, che educarci continuamente ad aderire alla realtà con cuore semplice e umile ci aiuti a fare esperienza di Gesù e a seguire un sentiero spirituale che si dipana man mano che si rivela.

In una giornata di pieno sole in estate, saremo sicuramente aiutati a vedere che ogni cosa è illuminata.

Don Davide




Tempo ordinario, tempo da vivere

Un cammino spirituale

Per una specie di parallelismo misterioso, il ritorno a un a certa normalità (se così si può davvero chiamare) è avvenuto in corrispondenza con le feste conclusive del Tempo Pasquale, l’Ascensione e la Pentecoste, in modo che l’esperienza più acuta di battaglia contro il Coronavirus, i giorni drammatici della Quarantena e i primi passi della ripresa hanno coinciso con il periodo quaresimale e pasquale.

In un modo davvero inaspettato, abbiamo vissuto forse più realmente di tutte le altre volte la passione dell’umanità e la lotta per la vita.

Ora, nella progressione dell’anno liturgico, viviamo il Tempo Ordinario.

Andando per le strade, in questi giorni, si apprezza il ritorno all’ordinarietà, ancorché non completa: ai tavoli dei bar si incontra qualcuno; negozi e ristoranti sono aperti pur con le misure di sicurezza; è tornato il traffico nelle strade; nelle chiese si celebra quotidianamente.

Ancora una volta riscopriamo che il tempo ordinario non è un tempo minore, ma un tempo da vivere. Un tempo in cui riscoprire le cose importanti per noi non più per mancanza, ma per consapevolezza; non perché le rimpiangiamo, ma perché sappiamo custodirle e goderne: le persone a cui non possiamo rinunciare, le comunità a cui apparteniamo, i riti che ci fanno vivere, le cose che dicono chi siamo.

Per i cristiani e la Chiesa, che vivono nel mondo e ne condividono i travagli, la grazia di questo tempo con un’ordinarietà parzialmente ritrovata e verso cui tendiamo pienamente è quella di riconoscere ancora, nei compagni di viaggio che si fanno presenti, il volto nascosto e misterioso di Gesù risorto che cammina con noi. Lui è la nostra sorgente spirituale, rallegra il nostro cuore e ci fa vivere.




Molti posti

Nella “casa del Padre” – dice Gesù – c’è un sacco di posto, che bello! Lì non ci sarà distanziamento fisico che tenga: ci staremo tutti, senza problemi! Ma… poi… ci sarà il “fisico” in cielo? A quanto pare sì, un fisico trasfigurato, ma reale: quello di Gesù che, risorto, mangiava con i suoi discepoli sulle sponde del lago.

StadioLo hanno chiamato (lo abbiamo tutti chiamato) “distanziamento sociale” e anche solo questa piccola nota dovrebbe renderci avveduti della crisi in cui siamo sprofondati! Macché distanziamento sociale! Il distanziamento è stato solo fisico e guai a chi vorrebbe latentemente proporre – quasi come un messaggio subliminale – la frammentazione della società. Il nome più antico del Diavolo, ci insegna Gesù, è Divisore e Menzognero.

Nella “casa del Padre” niente distanza, di nessun tipo! Anzi, dove è Gesù, lì saremo anche noi, come se ci tenesse in braccio, come sue pecorelle.

In questi giorni, questa consapevolezza è la base su cui risuona l’invito di Gesù a “non essere turbati”. Ce ne sarebbero parecchie di ragioni per essere turbati, almeno per me: in primis l’idea di tornare a celebrare la messa, che è fatta di carne e di sangue, in una distanza fisica forzata.

Ma voglio dare credito alla parola di Gesù, non voglio che il mio cuore sia turbato. Desidero avere fede in Dio e fiducia in Gesù, che “nella casa del Padre” c’è posto e la possibilità di essere vicini per tutti. E so che la “casa del Padre” non sarà solo il Cielo, il Paradiso, ma è già oggi quell’edificio spirituale costruito dai legami d’affetto, dalla comunione di intenti, dalla stessa partecipazione alle fatiche di tanti fratelli e sorelle nella fede e non solo, di tanti uomini e donne di buona volontà.

Non sappiamo davvero quale sia la strada: non lo sappiamo per la nostra pastorale, non lo sappiamo riguardo al convivere sociale, non lo sappiamo ancora negli aspetti sanitari.

Il Vangelo ancora una volta ci conferma che non è un problema drammatico essere disorientati e non individuare la meta lontana. Possiamo pensare a Gesù, guardare il suo volto, fare riferimento a lui. Possiamo chiederci: cosa farebbe Gesù qui al mio posto? Quale passo muoverebbe lui, in questo cammino così urgente che devo percorrere? Che scelta percorrerebbe lui, con la sua mitezza, il suo amore, la sua saggezza?

Dobbiamo ancorarci con una certa dose di umiltà e di immediatezza alla sua parola, proprio alla parola di Gesù viva che risuona in quella scritta del Vangelo ed è per questo che vorrei, nei prossimi mesi, suscitare dei piccoli gruppi informali che si trovino a leggere il vangelo per qualche minuto, nei cortili della parrocchia o delle case, per lasciarci guidare da lui. Torneremo su questa possibilità.

Ora, desidero consegnarvi queste righe bellissime, scritte da San Giovanni Crisostomo, che mettendo insieme la certezza di essere chiesa anche “in pochi”, l’unione spirituale che varca i numeri esigui a cui siamo costretti, il tesoro della Parola di Dio e –

– la presenza accanto a noi del Risorto, compendia tutti i motivi per cui non dobbiamo davvero lasciarci turbare:

“Non senti il Signore che dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? (Mt 18, 20). E non sarà presente là dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità? Mi appoggio forse sulle mie forze? No, perché ho il suo pegno, ho con me la sua parola: questa è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo è sconvolto, ho tra le mani la sua Scrittura, leggo la sua parola. Essa è la mia sicurezza e la mia difesa. Egli dice: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20)”.

Don Davide




La carità non avrà mai fine

Le storie belle nei giorni brutti

Una cosa evidente nei giorni della pandemia da Covid-19 è stata che lo Spirito Santo ha toccato i cuori di molte persone, rendendole protagoniste di una resilienza ai disagi provocati dall’emergenza sanitaria in modo tanto bello, quanto umile e nascosto.

Qualcuno si era chiesto, in effetti: perché Dio non fa qualcosa per rimediare a questa situazione? Ma Dio – spesso chiamato in causa a sproposito in queste occasioni – non agisce in modo clamoroso, aprendo i cieli e con miracoli eclatanti. Lo farà un giorno, ma quando accadrà sarà la fine della Storia. Normalmente Dio suscita la forza di vita che si sprigiona da Gesù Risorto, toccando la libertà di tanti uomini e donne con la presenza del suo Spirito.

Lo Spirito Santo interagisce con la sensibilità, l’apertura del cuore, la gentilezza, la premura, la compassione, la solidarietà e il realismo dei fedeli che lo invocano e desiderano essere con lui responsabili di altri fratelli e sorelle, consapevoli che viviamo insieme, ospiti comuni del mondo.

Così abbiamo registrato gesti di carità pura, incisivi e invisibili ai più. In questi giorni abbiamo ricevuto tante offerte sul conto corrente della Caritas, anche da persone lontane o esterne alla nostra comunità; il Cesto della Carità in chiesa non è mai rimasto vuoto, neanche nei giorni della chiusura più radicale, quando non girava nessuno, come se un angelo o più angeli portassero la spesa in volo dalle mani di tante persone gentili. I servizi di carità dei nostri volontari e delle nostre associazioni parrocchiali sono sempre stati attivi, e anche tanti giovani sono stati coinvolti, alcuni anche in servizi semplici come aiutare chi aveva bisogno per un po’ di pulizie in casa o qualche commissione. E questo discorso non vale solo in ambito ecclesiale: la beneficienza non ha confini o confessioni di appartenenza ed è stata tanto in tutti gli ambiti.

CaritasChi ha vissuto così, non ha certo la preoccupazione di essere “riconosciuto”, perché sa bene che queste cose hanno valore davanti a Dio e non c’è bisogno di altro, tuttavia Gesù dice che “non c’è nulla di nascosto che non sarà manifestato” (Mt 10,26). Gesù lo usa in un contesto negativo, ma vale anche per le cose positive.

A tutti costoro, A TUTTI VOI, la nostra comunità parrocchiale e la Chiesa desidera che arrivi un grazie sentito, sincero ed essenziale. GRAZIE.

La carità non avrà mai fine. Anche nei giorni brutti, c’è stato e ci sarà sempre qualcuno a spezzare il buio con atti di bontà pura: è il sistema immunitario del mondo.

Il desiderio è che il tanto di queste persone ispiri tutti, affinché con il poco di tutti possiamo fare, soccorrere, curare, confortare ancora di più.

Don Davide




Perché abbiano la vita

Papa Francesco all’inizio del suo pontificato ci chiese di uscire, di essere una chiesa missionaria. Contestualmente ha usato l’immagine diventata famosa dell’ospedale da campo.

Quest’anno ci siamo confrontati con un’epidemia. Ci siamo trasformati inevitabilmente in un ospedale da campo, ma purtroppo siamo stati costretti a restare in casa. Volenti o nolenti, abbiamo realizzato in questi mesi la seconda proposta del papa, ma non la prima.

staccionataIn questa domenica cominciamo a leggere il discorso di Gesù sul “buon pastore”, nel quale Gesù si ispira alla grande riflessione di Ezechiele: Dio come si prende cura di noi? Dio, ci dice il profeta Ezechiele, lo fa suscitando “pastori” che insegnino la cura reciproca. Ci mette in relazione, ci affida gli uni agli altri… perché nello stile del pastore impariamo a costruire un mondo di cura e di predilezione. Ma ogni tanto – anzi Ezechiele direbbe: ogni spesso – accade che i pastori non facciano i bravi, allora Dio fa in modo che nessuno rimanga senza cura o senza amore. Entra in gioco lui e fa il Pastore direttamente per ciascuno.

Gesù si richiama a questo aspetto: l’amore di Dio, che considera la sua creatura così preziosa, da mettersi in gioco lui stesso e personalmente. Dio Padre lo fa attraverso il suo Figlio. Gesù vuole fare sentire ai suoi discepoli e amici che lui fa esattamente lo stesso e invita tutti quelli che vogliono in qualche modo essere “pastori” a passare da questo modello.

Torniamo ora alla situazione di “chiusura” in cui siamo stati costretti. Il pastore chiama individualmente le sue pecore, ciascuna per nome, poi le conduce fuori. Non è che le conduca proprio, in realtà le spinge.

C’è dunque bisogno di una chiamata personale per ritornare fuori, all’attività missionaria. Non si deve intendere come se Gesù legittimasse il “liberi tutti” alla fine della fase uno della quarantena. Mi sembra più interessante cogliere che è la parola di Gesù che a ciascuno suggerisce cosa dobbiamo fare e come dobbiamo comportarci, per avere quella “spinta” necessaria per fare la nostra parte per ri-uscire fuori… in maniera saggia.

Dopo che le ha spinte, si rimette davanti a loro. Questo pastore ci viene descritto come uno che sta alternativamente dietro e davanti al suo gregge, tutto intorno a lui, come custode. Dobbiamo sapere che lui ci custodisce, non come scusa per essere spregiudicati, ma per avere quella lucida tranquillità di affrontare la nostra “chiamata” nel migliore dei modi.

Se ascoltiamo la sua parola, lui ci guida ad ogni passo, senza bisogno di sapere tutto.

Si tratta di stare nel cammino di fede, in questo viaggio finché il Maestro non ci abbia condotto ad assaporare il gusto della vita.

Don Davide




Due luci

Il Rosario e la Parola di Dio

Nella nostra parrocchia veneriamo un’immagine di Maria con il titolo di Madonna della Salute. È una presenza tanto amata da tutti i fedeli, che il proposito di restauro è stato accolto da grandissimo favore e che, anche in questi mesi in cui l’icona era appunto in laboratorio, le persone non hanno mai smesso di accendere le candele nella cappellina a lei dedicata.

Al termine del mese di maggio, l’immagine tornerà in chiesa, in fase di restauro molto avanzato ma ancora non ultimato. Nonostante lo sconvolgimento dei programmi dell’anno pastorale, si è voluto infatti mantenere la preghiera del tradizionale Ottavario alla B.V. della Salute. In realtà sarà un “Cinquenario”, una devozione di cinque giorni, ma ci è sembrato quanto mai opportuno pregare per la salute, non solo nostra, ma in senso assoluto, in questo periodo di emergenza sanitaria.

Da lunedì 25 a venerdì 29 maggio, alle ore 18.30 pregheremo il Rosario seguito dal canto delle litanie. Poi celebreremo la messa secondo le intenzioni mariane e concluderemo con un breve momento di silenzio davanti a Gesù Eucaristia, per ricevere la sua benedizione.

Sarà l’occasione per ritrovarci di nuovo in famiglia, come nelle vecchie case di campagna, quando tutti i membri, dai nonni ai nipotini, si radunavano per recitare il Rosario. Era come uno scudo, semplice ma sicuro, contro tutte le difficoltà della vita. Vorremmo che fosse caratterizzata allo stesso modo: una preghiera semplice, vissuta nella gioia di stare insieme affidandoci alla Madonna, sentendoci di nuovo in famiglia.

Alla ricerca di una rinascita spirituale e in un atteggiamento di discernimento, nel mese di giugno vorremmo provare a vivere alcuni momenti di ascolto condiviso della Parola di Dio: un breve itinerario di lettura, per capire cosa abbiamo vissuto in questi tempi difficili.

Ci sarà un appuntamento serale, metteremo qualche tavolo nel campetto con una candela al centro e, a piccoli gruppi, distanziati e all’aperto, al riparo da fastidiosi contagi, leggeremo, pregheremo, mediteremo e condivideremo con la massima semplicità un testo della Bibbia e una riflessione a partire da esso. Al termine, con chi vuole, sempre nella modalità in sicurezza, potremo mangiare un gelato e bere qualcosa di fresco, mentre recuperiamo il gusto di fare due chiacchiere con gli amici.

Sono due piccole luci, per essere rigenerati dallo Spirito e mettere le basi per una vita nuova.

Don Davide