Simeone, Anna e una famiglia

Nell’ultimo giorno dell’anno, la liturgia ci propone due figure suggestive: Simeone, per il quale si compì la promessa di non morire senza vedere il Messia, e Anna, profetessa simbolo di un’attesa lunga e paziente.

Simeone è una figura eccezionale: in tutta la lunghissima storia dell’attesa messianica, lui ebbe l’intuizione che quello fosse il tempo giusto… e fu guidato da questo ascolto interiore al grande appuntamento.

Anche Anna spicca per la sua singolarità: non esistevano profetesse al tempo di Gesù. Tantomeno sappiamo di figure femminili rilevanti al Tempio. Invece Anna, con una vita passata nell’autenticità, doveva essersi conquistata un’enorme autorevolezza, riconosciuta da tutti.

A conclusione di questo anno, ci chiediamo: ho saputo cogliere gli appuntamenti di Dio? La mia vita è stata autentica? Ho meritato autorevolezza nei compiti e nelle responsabilità che mi sono stati affidati?

C’è soprattutto un tema importante riguardante le promesse e le speranze. Tutti confidiamo in una promessa: promessa di vita buona, in equilibrio, felice. Spesso, rispetto a questa promessa, che assume subito i tratti della speranza, ne va della nostra fede in Dio. Se le promesse non sono vane, se la nostra speranza non è frustrata, allora è più facile affidarsi, credere, fare esperienza di Lui.

Ma quando le promesse tardano e le nostre speranze si affaticano? Sappiamo che tutte le promesse di Dio vengono confermate in Gesù (cf. 1Cor), ma come si traduce questo, concretamente, nella nostra vita?

Ci accostiamo, quindi, alla fine del nuovo anno, pensierosi. Quali promesse attendiamo ancora? Quali speranze, ormai, sentiamo con il fiato corto? Come possiamo ascoltare la presenza di Gesù? Come possiamo scoprire che è in lui che possiamo vedere compiuta la Promessa?

Sicuramente siamo invitati a prendere molto sul serio un rapporto ancora più personale, ricercato e intimo con Gesù: la preghiera personale, l’ascolto e il dialogo con la sua Parola, l’amore fattivo per fratelli e sorelle in difficoltà.

Oggi la chiesa festeggia anche la famiglia di Gesù, chiamata la Santa Famiglia. Una famiglia “santa”, certo, ma tutt’altro che esente dai problemi e dalle difficoltà concrete delle nostre famiglie, perciò anche una famiglia che può dare l’esempio alle famiglie, soprattutto in due aspetti.

Il primo: non è stata una famiglia alla quale tutto è andato come pianificato. Le sorprese, che hanno colto Maria e Giuseppe ben più che impreparati, non sono affatto mancate. Anche a loro è accaduto che dopo avere difeso il loro bimbo in ogni modo, è bastata una distrazione per smarrire Gesù diventato ragazzo. Anche a loro sarà toccato affrontare disparità di ruoli e voci maligne. Anche loro hanno dovuto affrontare lo smarrimento di fronte al destino di un figlio impossibile da decifrare. Le cose che mettono le famiglie, soprattutto quelle giovani, di fronte alla propria inadeguatezza, non sono mancate neanche alla famiglia di Gesù, quindi coraggio! Non è segno di stranezza, ma solo di vita reale.

Secondo: da quanto ne sappiamo, la famiglia di Gesù è stato il bacino dove egli stesso ha appreso la sua umanità bellissima e aperta. Da ciò raccogliamo un invito alle famiglie a non chiudersi nelle loro dimensioni, a non dimenticarsi di chi la famiglia non ce l’ha o ce l’ha – come si dice – un po’ scalcagnata. Di non dimenticarsi delle persone sole, delle donne che vorrebbero un figlio e per mille ragioni non lo possono avere; o di quelli per cui la famiglia è solo un ricordo pieno di dolore e di difficoltà. Credo che le famiglie cristiane, che si compiacciono di festeggiare la Famiglia di Gesù e di ritrovarcisi, debbano e possono essere famiglie aperte e attente, che sanno riconoscere quando è il momento di non parlare solo di pannolini, di bimbi o di problemi di figli adolescenti… ma che sanno intercettare il mondo più complesso e arricchirlo e impreziosirlo con la testimonianza di un amore tenero, sincero e bello.

Don Davide