Omelia 16 settembre 2018 di Padre Maurizio

Vorrei con voi, oggi, e con le amiche e gli amici che sono venuti a rallegrare la nostra liturgia con il dono del canto, spendere due parole e dare voce a quella gioia che ci muove dentro. E che ci fa percepire, con una evidenza indiscutibile, il legame tra musica e liturgia, tra canto e sacramento.
Ciò che percepiamo, con questo misterioso legame, è qualcosa che ha a che fare con l’energia creatrice, quell’energia dello spirito che crea mondo. Il motore del mondo. Non è solo un abbellimento, il coro che canta in chiesa. Quando celebriamo il sacramento senza cantare, sentiamo che ci manca qualcosa, ma è come se non disponessimo delle parole adeguate per dire questa mancanza. E allora diciamo: <<Certo, col coro è più bello…>>. Ma non è solo più bello, è, soprattutto, più vivo. Ecco, vorrei trovare con voi le parole per dire questo, per dire questa vita del canto nel sacramento, questa vita del sacramento nel canto.
Il nostro punto di partenza è la nostra cultura, centrata sull’efficienza, sul calcolo quantitativo; una cultura totalmente anaffettiva perché ci consegna a una solitudine molto vicina alla solitudine dei numeri primi… Anzi, siamo più soli dei numeri primi, perché poi nella musica i numeri si esaltano tutti in questa loro parentela privilegiata con le note e con il ritmo. I numeri si esaltano quando sono assunti dallo spirito della musica. Noi ci esaltiamo un po’ meno, perché abbiamo affinato il linguaggio di una ragione priva, però, delle parole degli affetti. Ecco, il primo punto è questo: la musica, il canto, nella sua gratuità, è il luogo di una vitale mediazione tra le parole della ragione e le parole degli affetti e dei legami, che sono la sostanza del nostro vivere. Una mediazione non di quantità, ma di qualità: il coro non aggiunge nulla al sacramento, ma lo fa risuonare e vibrare all’interno dei nostri corpi, che sono corpi vibranti, sempre, anche sotto anestesia.
Poi noi cristiani occidentali, ogni volta che cantiamo in chiesa, portiamo qui quasi duemila anni di storia e di civiltà. Perché dalla grande tradizione monastica cristiana – che ha molti secoli di storia e di memoria – perché da lì, dall’esigenza di cantare Dio, è nata la grande musica occidentale. Non si è trattato solo di cercare le risonanze più pure ed eleganti dello Spirito creatore: il genio cristiano ha stabilito un legame indissolubile tra civiltà musicale e vita secondo lo Spirito. Quindi, ogni volta che portiamo la musica dentro la liturgia, portiamo con noi quindici secoli di storia. Non solo: portiamo nel sacramento un’intera civiltà musicale, senza la quale la nostra stessa civiltà va in depressione. Perché il canto e la musica liturgica occidentale sono un albero vivo, le cui radici penetrano profondamente nella tradizione classica e nella tradizione biblica. Da una parte la sensibilità tutta greca e latina per la parola poetica, ritmata e cantata, quale espressione viva dell’umano. Dall’altra la forza del sentire biblico, che nella preghiera fatta canto (pensiamo alla meravigliosa ricchezza del Libro dei Salmi) celebra la quotidiana attesa, il quotidiano incontro con Dio.
Se c’è qualcosa in grado di dirci che il mondo, le cose, i corpi, hanno un’anima, questo è la musica. Perché la musica fa suonare il legno, il metallo, la pelle del tamburo. Ci innalza verso l’incanto dell’essere-al-mondo, alleggerendo ogni ingombro di massa inerte; ma allo stesso tempo restituisce alla materia un’anima di vita. L’universo intero, stelle comprese, vibra. La voce del canto porta, nello spazio limitato di una stanza o di una chiesa, la vibrazione dell’universo. E il sacramento dice alla musica: <<Sorella, non ti spaventare per questa immensa responsabilità, perché tu stai dando respiro a una parola che ti precede, una parola buona, carica di promessa, una parola che vuole bene, la parola del Verbo che si è fatta carne, per ciascuno di noi, per la nostra felicità e per la nostra salvezza. Non avere paura, canta!>>. E la musica, il canto, accoglie l’invito. Il canto entra nel sacramento, e sente che lì è casa sua. Lì, nel sacramento, il canto incontra e trova se stesso come voce che può dar voce e corpo all’Indicibile che lo precede, incontra e trova se stesso come voce dell’inesprimibile che è dentro ciascuno di noi.
Non avere paura, canta! Perché senza il prodigio del canto il mondo non solo è più triste, ma si decompone.

p. Maurizio