La chiamata del buon pastore

La Chiesa dedica questa Domenica, IV dopo Pasqua, alla “Giornata di preghiera per le vocazioni”.

La figura che emerge dalle letture odierne è quella del buon (o bel) Pastore, già presente nei graffiti e negli affreschi delle Catacombe, effigiato con sulle spalle l’agnello più giovane o più debole del suo gregge.

Questa immagine è stata efficacemente ripresa da Papa Francesco, che ha sottolineato come il vero pastore si riconosce dall’odore del gregge che guida distinguendosi dal mercenario che non sta con le sue pecore, quindi non le conosce. Nel momento del pericolo, infatti, le abbandona al lupo, che le “rapisce e le disperde”. Non a caso i due verbi, nella Scrittura, sono usati per descrivere l’agire di Satana o Diavolo ( da “dia-ballo” = separo).

Il vero pastore non fugge, rimane ed è pronto a dare la vita per il gregge, che gli è stato affidato come, fuor di parabola, ha fatto Gesù per i suoi e per tutti noi.

In questo brano il verbo “conoscere” (che sappiamo avere addirittura un significato di intimità nuziale: “Adamo conobbe Eva”; Maria: “Non conosco uomo . . .”) è citato ben quattro volte e la conoscenza avviene attraverso la “voce“ del Pastore che unisce il gregge e lo porta in salvo.

Nelle letture di questi giorni, soprattutto nei Vangeli, si è spesso usato il Verbo “dimorare, rimanere”: noi in Lui, Egli in noi. E’ il verbo del Battesimo di Gesù quando si dice che lo Spirito “si ferma, rimane” su Gesù che dal Padre è chiamato “il diletto”.

La prima lettera di Giovanni, seconda lettura, inizia con un “carissimi” che letteralmente significa “diletti”, la stessa parola usata dal Padre nei confronti del Figlio sempre durante il Battesimo nel Giordano.

Il testo afferma che “fin d’ora siamo figli di Dio” e fratelli di Gesù che ancora vediamo come in uno specchio (1 Cor 13,12) mentre “quando si sarà manifestato lo vedremo così come Egli è”.

L’immagine che Pietro, negli Atti, mostra agli abitanti di Gerusalemme e ad ognuno di noi è quella di un uomo infermo, di un “ecce homo”, risanato nel nome di Gesù Cristo il Nazareno “che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti”.

Gesù rivive ed opera negli apostoli che hanno incontrato, guardato con amore e preso per mano quell’uomo, lo hanno “toccato” come faceva Gesù che agiva con “viscere di misericordia” come il prossimo giubileo invita ogni cristiano a fare.

Il cristiano non è uno a cui è andato bene o deve andare bene tutto, ma è uno che “vi sta innanzi risanato”.

Anche per noi non c’è altro modo di essere salvati che essere guardati, toccati dall’amore.

Il Salmo ripete, per due volte, “il suo amore è per sempre” ed “eterna è la sua misericordia” come ripeteremo con Papa Francesco nell’anno del giubileo straordinario: “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”.

Don Davide