La gratitudine della vita

La prima domenica dopo Natale è dedicata alla famiglia di Gesù, la Santa Famiglia di Nazareth. È un riconoscimento per Maria e Giuseppe, che pur disorientati dalla grandezza dell’opera di Dio, hanno accettato di accoglierla e compierla, e di custodire il loro bambino.

Il vangelo di oggi evoca le molte preoccupazioni che dovettero affrontare nel prendersi cura di Gesù, come ogni famiglia nell’educazione dei propri figli. In modo particolare la paura di perderlo, la preoccupazione che la sua vita potesse essere in pericolo o minacciata. Giuseppe e Maria avevano già vissuto una terribile prova, all’inizio della vita di Gesù, quando Erode volle uccidere tutti i bambini di Betlemme. Cosa avranno potuto pensare, loro, una povera famiglia di semplici sconosciuti, di fronte alla persecuzione del re in persona. Quanti perché, quante domande, quanta paura? Quale angoscia di essere braccati, di non poter sfuggire di fronte a una cosa talmente più grande di loro?

In questi giorni di festa si ricordano molti di questi momenti difficili che accompagnano l’infanzia di Gesù, e che mettono in luce anche il terribile paradosso tra un Dio che non vuole costringere i suoi figli e vuole essere amato liberamente, e la violenza degli uomini.

Ma nella scena di Gesù al tempio tra i dottori della Legge, c’è un altro particolare importante per tutte le famiglie. I dodici anni, nella cultura di allora, erano una prima tappa verso la maturità. Le ragazze potevano essere promesse in sposa, i maschi iniziavano lo studio della Legge. In questa scena di Gesù che rimane al tempio, quindi, è simboleggiata anche la fatica di ogni genitore nei confronti dei passaggi di crescita dei propri figli, soprattutto quelli decisivi. C’è una grande gioia nel vedere questi passaggi avvenire in maniera riuscita, ma c’è sempre anche una preoccupazione data dal legame viscerale dei genitori, dall’incognito che i figli si trovano ad affrontare.

Le parole di Maria riflettono questo stato d’animo: “Tuo padre e io angosciati ti cercavamo”. La risposta di Gesù, d’altra parte, incoraggia ogni genitore: “Non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre?”.

Ogni figlio e ogni figlia deve aprirsi a questo “destino” che noi chiamiamo l’amore del Padre, e la grande sfida di ogni genitore è quello di accompagnarli e custodirli finché questo amore non si riveli e, allora, lasciarli liberi.

Mi sembra che la festa della Santa Famiglia sia così un inno di grazie a tutti coloro che custodiscono e curano le giovani vite dei bimbi, ai genitori che fanno le notti per mesi e mesi per accudire i propri figli piccoli, che lavorano con fatica per una vita intera per promettere futuro, che si impegnano per offrire possibilità, risorse ed educazione finché ad ognuno non si riveli il proprio “destino”, la chiamata dell’amore del Padre.

La gratitudine nei confronti di chi origina, ama e custodisce una giovane vita, non sarà mai troppa. Celebriamo la festa della Santa Famiglia, proprio dopo Natale, per questo.

 Don Davide




Il Giubileo, le periferie e Betlemme

«Betlemme, così piccola fra i villaggi di Giuda…» (Mi 5,1). Non era certo un centro importante, Betlemme, tuttavia lo diventa perché è la patria del re Davide: da piccolo paese sconosciuto alla periferia di Gerusalemme, diventerà addirittura città regale.

Ancora più sconosciuta era Nazareth, che non è mai citata in tutto l’Antico Testamento. L’inizio del racconto dell’Annunciazione a noi sembra molto solenne, ma in realtà il fatto che un angelo sia mandato a una ragazza sconosciuta di un paese sconosciuto, ha del sorprendente. L’unico tratto di quel racconto che evoca qualcosa di importante, è il riferimento a Giuseppe, della casa di Davide, anche se era una dinastia in decadenza.

In questi racconti di Natale, così, le periferie geografiche e ancora di più quelle esistenziali salgono alla ribalta. Nazareth diventerà il luogo dove il Verbo si fece carne (Gv 1,14), Betlemme, niente di meno che la città del Messia. Una dinastia decadente ritrova la sua regalità, una ragazzina di provincia diviene la regina e sovrana dell’universo.

Ci può essere messaggio del Vangelo che rappresenta al meglio quale sia la sfida della Chiesa di oggi, nella quale papa Francesco e il vescovo Zuppi ci chiedono di impegnarci?!

Il Giubileo esige che noi esercitiamo la misericordia, per riportare tutti coloro che sono ai margini al centro, per esercitare la nostra dignità cristiana di re, profeti e sacerdoti e per ridare dignità regale a coloro a cui è stata ingiustamente sottratta.

Il viaggio di Maria che oggi contempliamo, mentre va a visitare la cugina Elisabetta, sia dunque il modello di questo spostamento che siamo chiamati a compiere verso gli altri.

L’itinerario di Maria in questi primi capitoli dei vangeli dell’infanzia è entusiasmante: Maria si muove da Nazareth a una periferia montuosa della Giudea, poi torna a casa, va a Betlemme, poi Gerusalemme, poi di nuovo a Nazareth. Da periferia a periferia, poi verso il centro e ritorno. Come se Maria volesse trascinare tutto con sé in un unico grande viaggio, nel quale, di continuo, fa la scoperta di Dio e della verità che Dio le restituisce sulla sua vita: «Benedetta!» «Benedetto il frutto del tuo grembo!» «La madre del Signore»…

Se sapremo accogliere la grazia del Giubileo e gli “spostamenti” che ci chiede di compiere, sicuramente faremo una rinnovata esperienza di Dio e della verità di noi stessi.

Don Davide




Siate sempre lieti….ma proprio sempre!

La liturgia di oggi, quasi sfidando le nostre fatiche, ci invita alla gioia. «State sempre lieti» (Fil 4,4) incoraggia San Paolo e, come se anticipasse le nostre obiezioni, insiste: «Ve lo ripeto ancora: state lieti! Non angustiatevi per nulla!» (Fil 4,4.6).

Non angustiarsi per nulla?! Ma come si fa?!

Ecco il regalo di questo Natale: la possibilità della gioia. Una gioia che non è legata alle circostanze esterne, ma a una fiducia che prende dimora in una zona molto profonda di noi stessi.

Qual è questa fiducia? È la fiducia di un cammino. Alle folle che chiedono a Giovanni Battista come si debbano preparare ad accogliere il regno di Dio imminente, il Battista risponde semplicemente di mettersi nella disposizione di migliorare il loro vivere. Non è una né una proposta impraticabile, né una richiesta volontaristica: si tratta, per Giovanni, di riconoscere il piccolo passo che ci sta davanti e farlo senza indugio, con determinazione.

La grazia di questo umile cammino è che ci dispone alla purificazione dei nostri atteggiamenti e delle nostre vite, e quindi alla conversione. L’immagine del ventilabro richiama infatti l’azione dello Spirito, che soffia per togliere dalle nostre esistenze tutto ciò che non porta un frutto buono.

Perciò, possiamo ascoltare ancora con rinnovata gratitudine l’invito del profeta Sofonia: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore in mezzo a te è un salvatore potente!» (Sof 3,17).

Noi possiamo gioire perché siamo sicuri che il Signore ci tiene in cammino. Nessuno ci chiede di essere perfetti, neanche Dio. Lui vuole che non stiamo fermi, che non demordiamo, e che non perdiamo la fiducia che la nostra vita è guidata da lui.

L’unica perfezione che ci viene chiesta è questa tensione del desiderio, questa speranza di essere come Dio Padre, compassionevoli, teneri, capaci di raccogliere nel nostro il cuore dell’altro. Una grande poetessa polacca, W. Szymborska, ha scritto una volta un verso perfetto per esprimere l’empatia, il sentire con il cuore dell’altro: «Senti come mi batte forte il tuo cuore». Ecco, questa è la perfezione che dobbiamo cercare. Per il resto, possiamo gioire e avere la fiducia di camminare, senza paura, solo con la preoccupazione di continuare a muoverci verso Gesù che ci chiama e che, prima ancora, ci viene incontro.

In questa domenica, la prima con il nostro nuovo vescovo Matteo, chiediamo di poter essere una chiesa capace di questi sentimenti, gli stessi che impariamo da Cristo, e di poter essere noi stessi una comunità gioiosa e di fare gioire per questo il nostro pastore.

Don Davide




Una settimana davvero speciale

Con la voce di Giovanni Battista che ci invita alla conversione e a fare l’esperienza del perdono dei peccati, entriamo in una settimana davvero speciale per tutta la Chiesa e per la Chiesa di Bologna.

Questo martedì Papa Francesco aprirà la Porta Santa in San Pietro a Roma per inaugurare il Giubileo Straordinario della Misericordia; sabato, invece, accoglieremo il nuovo vescovo Matteo Maria Zuppi, che dopo la celebrazione eucaristica aprirà la Porta Santa nella nostra cattedrale.

Il papa ci ha consegnato l’intento programmatico di questo anno, nell’interpretazione sintetica del Concilio che ci ha proposto nella bolla di indizione dell’anno santo Misericordiae Vultus (MV): «I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in un modo nuovo. Una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre» (MV 4). La misericordia è la chiave sintetica di questo “nuovo” stile, è «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa» (MV 10).

Senza mezzi termini, papa Francesco afferma che «tutto nell’azione pastorale della Chiesa dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti […]. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole» (MV 10).

Mi pare di particolare rilievo, in questo tempo d’Avvento, ricordare che «misericordia è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro» (MV 2). L’Avvento, tempo di attesa, è tempo soprattutto di attesa della misericordia di Dio, di incontro col suo perdono e rinnovamento a partire da esso.

Chi desidera cambiare vita? Chi desidera avere la pace? Si faccia avanti! È il tempo della misericordia!

Anche la presenza di un nuovo vescovo si iscrive in questo segno della misericordia di Dio per la sua – in questo caso, nostra – Chiesa.  Per capire quali siano i sentimenti di un vescovo per la diocesi che gli viene affidata, potremmo rileggere le parole di Paolo nella II lettura di questa domenica, rivolta “col cuore in mano” ai Filippesi, sua comunità prediletta e amata. Soprattutto, vorrei ricordare queste parole: «Quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia» (Fil 1,4). Ci auguriamo che il vescovo Matteo possa dire lo stesso della sua Chiesa di Bologna, ma allo stesso tempo vogliamo fare nostre queste parole:

«Caro vescovo,

quando preghiamo per te, lo facciamo con gioia, a motivo del tuo prezioso servizio al vangelo. Siamo persuasi che il Signore che ha iniziato in te quest’opera buona, la porterà a compimento. Perciò preghiamo che il tuo amore cresca sempre di più, perché tu possa raccogliere a piene mani i frutti che ti aspetti dalla tua Chiesa ed essere lieto e contento del tuo ministero» (cf. Fil 1,4-11).

 Don Davide




Promesse di bene e gioia d’Avvento

Già un anno che sono da voi (dovrei dire: da “noi”). Mi metto davanti alle letture di questa Prima Domenica di Avvento e sento come – ancora una volta e sempre – la Parola di Dio, prima di essere letta, è lei stessa che legge la nostra vita: «Io realizzerò le promesse di bene» (Ger 33,14). Mi chiedo: “Ho ricevuto il bene?”. Rispondo: “Sì”.

È un sì senza alcuna retorica, senza effetti di circostanza, animato dall’entusiasmo inaspettato di riconoscere una comunità, come la tua comunità, quella che prima di tutto ti ha accolto e ha fatto lo sforzo di volerti bene e che a un certo punto riconosci con una punta di calore nel cuore come la tua famiglia.

Forse non si riesce ad esprimere fino in fondo quanto sia difficile – quando un prete cambia – per il prete, voler bene a volti ancora sconosciuti, per i parrocchiani, voler bene a un prete che comunque risulta sempre un “usurpatore”. All’inizio ci si mette soprattutto una grande disponibilità, una disposizione interiore fatta di accoglienza e affetto regalato… poi viene il momento, che vale la bellezza di tutto il ministero, in cui riconosci alcuni dettagli e alcuni stili come usuali e dici: “Ok, sono a casa”.

In questo anno, mi ha accompagnato l’immagine di don Valeriano, fedelissimo, nella sua sedia in fondo alla chiesa, come un esperto capitano che dal suo punto di osservazione tiene d’occhio le peripezie del mozzo diventato timoniere. Il giovane marinaio, dalla sua, è furbo: sa che l’oceano di oggi, con l’effetto serra e i cambiamenti climatici, è molto più difficile di una volta, e quindi sa che è una fortuna indescrivibile essere in due lupi di mare sulla barca, piuttosto che uno solo. È una grazia navigare avendo le spalle coperte e con la certezza che, se ci sarà la bonaccia o i venti contrari, mentre tu tieni il timone, qualcuno saprà sistemare le vele, senza sprecare parole.

Quale preghiera migliore per questa esperienza che spegne la sua prima candelina, che rubare le parole di Paolo nella seconda lettura? «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, per rendere saldi i vostri cuori nella santità» (1Ts 3,12-13).

In uno scenario cosmico preoccupante e sconvolgente, tale che molti “muoiono di paura” (Lc 21,26), mi auguro che, quale comunità cristiana, possiamo essere saldi nella fiducia, senza paura (come ha dichiarato papa Francesco in questi giorni), e decisi a tenere il capo ben dritto levato verso la speranza. Per fare questo, Gesù ci chiede di esercitare il discernimento educando lo spirito. Perciò, cerchiamo di sfruttare questo prezioso tempo di Avvento, per riassaporare il gusto di un atteso, sorprendente e intimo incontro con lui.

Don Davide




Esercizi spirituali

In vista degli esercizi spirituali parrocchiali il 27-29/11/2015, sull’Agenda parrocchiale di questa domenica e della prossima, proponiamo due riflessioni: la prima su cosa sono gli esercizi spirituali; la seconda sul come si inseriscono nel percorso della nostra parrocchia.

 Gli Esercizi Spirituali sono un’opera di Sant’Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù, in cui il grande santo riversa tutta la sua esperienza riguardo alla vita spirituale e al discernimento interiore. Attraverso un metodo molto rigoroso, fatto di piccole meditazioni e di veri e propri esercizi dello spirito, lungo un itinerario che dura ben quattro settimane, l’autore propone un percorso di purificazione e di vera e propria rinascita, in modo da poter seguire Gesù Risorto senza catene e con maggiore autenticità e slancio.

I Gesuiti propongono ancora oggi gli esercizi spirituali nella forma classica, fatta di quattro settimane consecutive di ritiro e di profonda meditazione, anche se c’è una versione “aggiornata” in cui si possono fare le quattro settimane separatamente, nel corso di un anno o più.

Da questa ricchissima tradizione spirituale, la Chiesa ha ricavato un metodo, che è diventato una via privilegiata per la formazione spirituale di tutti, presbiteri e religiosi, ma anche laici.

In genere, quando oggi si parla di esercizi spirituali, si intende un periodo prolungato (può essere una settimana o qualche giorno) di meditazione e preghiera in un clima di silenzio costante, in modo da poter conservare la massima concentrazione e permettere alla Parola di Dio di risuonare in tutte le sue vibrazioni.

Negli ultimi decenni, il Card. Carlo M. Martini, è stato insuperabile maestro di un ulteriore rinnovamento del metodo e della forma degli esercizi spirituali. Martini ci ha insegnato a meditare, interrogare la nostra vita e pregare a partire dall’ascolto attento della Bibbia, facendo sintesi tra la lunghissima tradizione della Lectio Divina (di origine monastica) e la grande sapienza di Sant’Ignazio riguardo alla vita interiore e al discernimento spirituale.

In questa esperienza, come si vede, risulta fondamentale la guida di una persona esperta, un “maestro” nella vita dello Spirito e nella predicazione.

Da questo tesoro della vita ecclesiale si sono moltiplicate svariate esperienze che cercano di tradurre l’intuizione degli esercizi spirituali nella vita concreta delle persone e delle comunità parrocchiali. Non tutti infatti sono abituati a prendersi due o tre giorni di ritiro, a meditare il Vangelo nel silenzio e a pregare a lungo… e non tutti, semplicemente, possono farlo in mezzo ai tanti impegni della vita quotidiana, del lavoro o della famiglia.

Perciò la nostra parrocchia ha deciso di proporre un’esperienza calibrata sulle esigenze di tutti, in cui poterci mettere in ascolto e chiedere allo Spirito Santo di farci fare “un po’ di strada” sia personalmente, che come comunità.

Si tratterà di due momenti di meditazione guidata e di preghiera personale, il venerdì sera e la domenica pomeriggio, più – per chi vorrà – uno spunto personale per la giornata del sabato, dove ci daremo appuntamento per la preghiera dei Primi Vespri, che sono anche l’inizio del nuovo anno liturgico.

Domenica prossima proveremo a condividere qualche riflessione su come si inserisca questa proposta nel nostro cammino personale e parrocchiale.

Don Davide

e l’Azione Cattolica parrocchiale




Parigi, 13 novembre 2015

Nella liturgia della 33° domenica del Tempo Ordinario, anno B, sia il profeta Daniele che Gesù nel Vangelo fanno uso un genere letterario molto specifico, quello dell’Apocalittica, che a noi risulta oscuro e minaccioso, ma ancora al tempo di Gesù doveva essere facilmente codificabile.

Tale genere letterario veniva usato per parlare di un evento nella storia, che ponga fine alla continuità della storia, in modo tale che attraverso questa cesura netta, la storia successiva risulti diversa da quella precedente, e soprattutto portata su un altro piano. Dio è il protagonista assoluto di questo intervento risolutivo, al punto che il primo dato dell’apocalittica è che il destino del cosmo, nonostante tutte le apparenze, non sfuggirà dalle mani di Dio.

Non dobbiamo pensare che qualcosa, nel corso degli eventi, possa rovinare definitivamente i piani di Dio, quasi da “rompergli le uova nel paniere”, sì da costringerlo ad intervenire per rimediare. La cosiddetta “fine” del mondo sarà invece un atto della volontà d’amore del Padre: la venuta del Signore che tirerà tutti i fili della storia e li porterà a compimento. Nell’immagine del vangelo, infatti, il Figlio dell’Uomo viene proprio nel momento in cui tutto sembra compromesso, con i segni della sua autorità e della sua presenza («grande potenza e gloria»), ed è lui che raduna tutti, raccogliendo il cosmo nel suo abbraccio.

Non possiamo non pensare ai terribili fatti di Parigi della sera di sabato 14/11, insieme a tutte le tante, troppe, atrocità che si consumano nel mondo. La sensazione che ci rimane è di sgomento e, certamente, anche di paura, eppure i cristiani devono imparare a leggere gli eventi con questa capacità di interpretazione della storia. Nelle letture, il contrasto tra queste due situazioni è impressionante: mentre si descrive «un tempo di angoscia, come non c’era mai stato» (Dn 12,1), la profezia di Daniele dice che proprio allora il popolo sarà salvato; quando evoca uno sconvolgimento cosmico, Gesù afferma che sarà quello il momento in cui il Figlio dell’Uomo interverrà nella storia a segnare un prima e un dopo. Paradossalmente, Gesù parla di un risveglio in questa situazione, come quando il ramo tenero del fico preannuncia la primavera (cf. Mc 13,28-29). Dobbiamo riconoscere questo risveglio, questo invito per le coscienze a rinnovarsi proprio nel mezzo dei tumulti che, altrimenti, ci paralizzerebbero.

L’evento che decifra il tempo da riconoscere è la resurrezione – «non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga» (Mc 13,30) – nel senso che tutte le volte che si configurano questi “sconvolgimenti”, il cristiano è chiamato a iniettare la potenza di vita della Pasqua nella storia; questa energia vitale discrimina il prima e il dopo, fa finire il mondo vecchio, abitato dalla violenza, dalla sopraffazione e dalla negazione della convivialità, e fa iniziare la Nuova Creazione di Dio. Sono solo le sue parole, quelle che invitano all’amore del prossimo e dei nemici, che non passeranno. Tutto il resto sì.

Chi riconosce questi segni come invito a una stagione nuova, sarà considerato saggio. Bisogna avvedersi definitivamente che invocare alla riduzione dell’altro, o addirittura il suo annientamento, è la matrice di tutta la violenza che vorrebbe soffocare il mondo; bisogna rifiutare una lettura geopolitica appiattita e semplicista, che non colga, almeno, come il Medio Oriente sia l’ultima identità antagonista che resista alla globalizzazione.  Bisogna bandire ogni superficialità, ogni semplificazione e ogni generalizzazione. Chi vuole abitare la storia, non può sottrarsi a questo compito.

Dall’altro canto, ci vuole un impegno e una responsabilità quanto mai necessaria nell’educazione, nella formazione alla convivialità delle e nelle differenze. I terroristi si fanno saltare in aria e uccidono; i violenti, i gretti e gli opportunisti non hanno né realismo né profezia, mentre «coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre» (Mc 13,3).

Per interpretare la storia e rispondere ai fatti di Parigi e di tutte le altre violenze del mondo, abbiamo bisogno di simili profeti, che sappiano educare molti “altri” alla giustizia e la cui luce possa essere come stelle quando più buia è la notte.

 

Don Davide




“Tutto” quello che abbiamo

Cos’è che fa grande il piccolo gesto della povera vedova?

Sappiamo che Gesù elogia la totalità di questo gesto, sottolineandolo due volte: “Ella ha dato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.

Tuttavia, questo atto quasi sconsiderato, provoca in noi una certa inquietudine: chi di noi potrebbe dare tutto? Potrei io, mamma o papà con dei figli, lasciare il mio lavoro, svuotare il mio conto in banca, esaurire la dispensa e vendere persino la casa? Non voglio assolutamente sminuire la radicalità evangelica, ma alcune volte una certa retorica spiritualista ha prodotto dei pensieri tanto belli sulla vita cristiana, da rimanere solo pensieri, perché di fatto intraducibili nella realtà, e così ha oscurato lo splendore e il valore pratico del Vangelo per la nostra vita. Come se le parole di Gesù fossero un ideale talmente alto, da poterci solo compiacere di fare dei bei discorsi, sapendo che non potranno mai avere una presa reale sulla nostra vita.

Sicuramente, però, Gesù aveva in mente un insegnamento ben preciso. Al punto da chiamare a sé i suoi discepoli, dopo essere stato rapito dalla visione di quella donna. Come se dicesse: “Venite mo’ qui che vi faccio notare una cosa, e vi insegno perché è così importante!”. È un gesto educativo bellissimo! È il gesto tipico di un pedagogo, cioè di chi ti sa prendere e farti fare i passi giusti per crescere.

Ma allora, cosa voleva insegnare Gesù?

Innanzitutto dobbiamo considerare che è l’ultima “scena” della sua vita, prima della sua passione; come se Gesù stesso avesse percepito, vedendola, che quel gesto poteva essere una sintesi efficace di tutto il Vangelo, di tutto quello che aveva detto o aveva voluto dire fino a quel momento. E cioè, che la nostra vita è custodita dal Padre.

Qui si sintetizza la nostra fede.

Non è il problema di “quanto” uno dia. Il punto, dice Gesù, è che quei “ricchi” danno un po’ e col resto pensano di poter “decidere” della loro vita. Pensiero scellerato, che Gesù più volte rimprovera nel Vangelo. Al contrario, quella povera vedova, nel suo geto – di cui, ribadisco – non conta la quantità, afferma in maniera inequivocabile la sua fiducia che il Padre si prenderà cura di lei, che non le mancherà da mangiare, da bere, da avere ancora due spiccioli da gettare nel tesoro del tempio. E infatti, il senso della prima lettura è proprio questo: se ti fidi, non ti mancherà.

Se hai fiducia, la tua vita non sarà perduta.

Anche se non abbiamo niente, la nostra vita è custodita dal Padre.

Anche se abbiamo tantissimo, la nostra vita non dipende da noi.

Anche se ci sembra che tutto vada storto, la nostra vita è nelle mani del Padre.

Questa è la sintesi di tutto il vangelo, la cosa che occorre ricordare per vivere nella pace ed essere felici. E quando dovessimo dimenticarcela, Gesù ci prende vicino a sé, ci fa vedere dalla sua prospettiva e ci dice: “Ehi, guarda il gesto della povera vedova!”.

 Don Davide




Tutti santi + 1

Chi ha letto la fortunata e bellissima saga di Harry Potter, di J. K Rowling, sa che i dolcetti preferiti dei giovani protagonisti sono le “Caramelle Tutti i Gusti + 1”: tra le quali si trovano sapori bizzarri che riservano sempre delle sorprese. Di fronte alla festa di Tutti i Santi, non ho potuto fare a meno di pensare a questa associazione. Anche tra i santi, infatti, si trovano personaggi singolari, come ad esempio San Filippo Neri, che era pazzerello e giocherellone; oppure San Girolamo, insuperato conoscitore delle Scritture, ma che aveva un tale caratteraccio da rimproverare Sant’Agostino per il fatto di predicare senza conoscere perfettamente l’ebraico.

In questa festa, però, non si ricordano solo i santi ufficiali, quelli saliti agli onori degli altari, ma anche tutti quei fedeli che – magari sconosciuti – hanno condotto una vita santa nell’amore. Sono loro quel +1 sorprendente! Gente che forse non è stata riconosciuta da chi era vicino, ma che ha vissuto uno straordinario eroismo di virtù, o di pazienza, o di carità che solo a Dio era noto.

Tutti i Santi: una comitiva sensazionale di amici che oggi festeggiamo e ringraziamo perché ci accompagnano e ci proteggono.

Se però leggiamo bene il titolo che ho dato a queste riflessioni – a dire il vero un po’ pazzerelle anch’esse – ci accorgeremo che non ho scritto “Tutti i Santi”, bensì “TUTTI SANTI”, senza l’articolo. Non è solo la festa che celebra quelli che santi lo sono già diventati, ma è un invito molto forte a percorrere il cammino della santità. Anche in questo caso vale il simpatico riferimento alla storia di Harry Potter: “TUTTI SANTI +1!”. Magari il +1 è quel tuo collega di cui sai poco, e che in pausa pranzo sparisce per qualche minuto: nella prima parrocchia dove sono stato, c’era un signore che veniva in chiesa sempre dalle 13.30 alle 14.00, nella sua pausa pranzo e stava lì immobile, ad adorare il Signore. Oppure è quel tuo compagno di università, che senza farsi pubblicità, va tutte le settimane a trovare i malati in ospedale. O quella mamma, che anche se non ci pensi – perché non fa nulla di straordinario – ama suo marito e si prende cura di lui e dei suoi figli consumando il suo tempo.

In realtà, però, quell’ “UNO IN PIÙ” sei anche tu, sì proprio tu che stai leggendo! È la chiamata sorprendente di Dio che coinvolge anche te, e allo stesso tempo ti ricorda che tu stesso sei una gioia in più e originale per questo gruppo di persone meravigliose.

Mi chiedi: «Ma come si diventa santi?» Ai più grandi rispondo: 1) ama le persone che hai scelto; 2) compi il tuo dovere (se possibile con gioia); 3) sii benevolo, misericordioso e paziente. Ai più giovani, invece, sento di lasciare il consiglio insuperato di San Giovanni Bosco: 1) prega un po’ ogni giorno; 2) compi sempre il tuo dovere; 3) stai allegro e custodisci la gioia.

E allora coraggio! Tutti santi +1! Sì anche tu che pensi che sia impossibile! Chissà che non sia proprio tu, invece, il gusto +1 in questa grande assemblea di Dio!

Don Davide




La domanda della vita eterna

L’uomo ricco, che secondo la versione di Matteo è un giovane, pone al Maestro la domanda fondamentale: “Che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. È la domanda decisiva, quella che punta diritto al cuore del nostro desiderio di vita: di una vita autentica e di una vita che non debba più soffrire lo scoglio della morte.

Gesù, infatti, accoglie la sfida contenuta in questa domanda e risponde all’uomo. Tuttavia prima si preoccupa di precisare che solo a Dio compete l’appellativo di “buono”.

Cosa vuole farci capire Gesù?

Mi sembra che Gesù ci inviti a renderci attenti alla domanda di vita che emerge da tutte le persone, e in modo particolare dai giovani, Ogni uomo porta nel cuore questo desiderio di vita, magari anche in mezzo a mille contraddizioni o sbagli, oppure nascosto e soffocato dalla presenza di altre ricchezze. Il compito è di fare emergere tale voglia di vita, fino a che ognuno sia posto di fronte a una scelta decisiva: accoglierla, liberandosi dalle proprie schiavitù, o lasciarla andare, magari a prezzo della propria tristezza?

In questa settimana abbiamo iniziato il catechismo, che rappresenta uno degli sforzi più grandi della nostra comunità, e il Maestro ci educa a intercettare questa imperiosa domanda di vita che viene dai bimbi e dalle loro famiglie che incontreremo.

Dobbiamo farlo, però, senza presumere di essere “buoni”, o giusti, o ancora peggio “i migliori”, perché uno solo è colui che con cuore buono si prende cura di ognuno, Dio stesso.

Rispondere alla domanda: “Che cosa devo fare per avere la vita eterna” è il compito di ogni comunità cristiana. È la sapienza pastorale che dobbiamo desiderare più di tutte le altre ricchezze.

Questa sapienza pastorale viene alimentata dall’ascolto della parola di Dio, che è in grado di aiutarci nel discernimento e di farci innamorare di ciò che è degno e di farci respingere ciò che non merita. Un’altra via è il Sacramento della Riconciliazione, che ci aiuta a ritrovare sempre l’essenziale tesoro del nostro cuore: per questo motivo, ho deciso che da sabato prossimo voglio dedicare uno spazio maggiore alla Confessione, tutti i sabati che non sarò via coi ragazzi, a partire dalle 17.30, per avere un’opportunità distesa di celebrare questo sacramento.

Sappiamo, ancora una volta con assoluta certezza, che in questo cammino non siamo soli. Ben consapevoli che è una cosa impossibile ai soli uomini, noi possiamo confidare con allegrezza che non ci mancherà l’aiuto di Dio.

Don Davide