Il Battesimo di Gesù e la vittoria della fede

La festa del Battesimo di Gesù è una domenica particolare nel calendario liturgico, perché si pone come cerniera tra il Tempo di Natale e il Tempo Ordinario. Essa infatti chiude le festività natalizie, con il clima peculiare che accompagna le letture di questo periodo, ma allo stesso tempo conta come I domenica del Tempo Ordinario.

Dopo avere contemplato l’umiltà di Dio, che si fa uomo in Gesù bambino nel piccolo paese di Betlemme e nelle condizioni più ordinarie, ora contempliamo l’umiltà di Gesù uomo adulto, che inaugura il suo “ministero pubblico” mettendosi in fila con gli uomini peccatori, condividendone – non per finta – la loro condizione e il loro destino.

È un momento di altissima rivelazione di Dio: così, infatti, Gesù mostra che il Padre si compiace nell’amare gli uomini e stare loro vicino proprio nella loro condizione di peccatori bisognosi di conversione e aperti al cambiamento.

Il battesimo di Gesù è anche una promessa: il gesto di purificazione, che compie Giovanni con l’acqua, sarà compiuto in maniera definitiva ed efficace dal dono dello Spirito Santo.

La liturgia, dunque, ci invita a meditare l’inizio di questo cammino stupendo e umanissimo di Gesù in mezzo alle nostre vite reali e concrete. Di qui il senso di riascoltare l’invito del profeta Isaia, nella prima lettura: “Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino!”. Ora il Signore è vicino! Adesso cammina in mezzo a noi! Questo è il momento in cui, chiunque desideri scoprirlo in un modo rinnovato, può capitalizzare il suo desiderio!

Risuona un grande invito, per mezzo del profeta Isaia, all’inizio di questo anno liturgico: “O voi tutti, assetati, venite all’acqua; voi che non avete denaro, venite ugualmente! Comprate e mangiate senza denaro e senza spesa vino e latte!”.

E questo invito è sostenuto da una certezza stupenda: che nessuna delle parole del Signore tornerà indietro senza essere stata efficace, senza avere operato ciò che è nell’intenzione benevola di Dio.

Vorrei davvero, perciò, che tutti sentissimo questo tempo che ci è dato – il cammino dell’anno liturgico – come l’occasione preziosa per dare spazio a quell’intimo desiderio di avere un’amicizia personale e viva con Gesù, o riscoprirla, certi che lui non mancherà di farci sentire la sua presenza.

“Questa è la vittoria della nostra fede”, dice l’apostolo Giovanni nella seconda lettura: “quella che vince il mondo”. Qui, con mondo, si intende l’accezione negativa, le forze di peccato e di disgregazione presenti in esso, il mondo inteso come ciò che si oppone alla Nuova Creazione di Dio.

In questa settimana, tristemente, abbiamo visto in più forme questa realtà negativa, basti pensare ai tragici fatti di Parigi o della Nigeria. La liturgia ci propone un cammino di conversione, di incontro con Gesù e di autenticità cristiana, proprio come “arma pacifica della fede” che, però, è l’unica in grado di vincere queste forze disgregatrici che tutti gli uomini di buona volontà, vogliono vedere sconfitte.

Don Davide




Va nella grande città

Con una certa urgenza, la liturgia di questa domenica ci invia insieme a Giona “nella grande città”. Ninive era la capitale del regno assiro, la città dell’imperatore, famosa per essere nemica di Israele.

Proprio a Ninive il Dio di tutto il creato manda il profeta e il profeta, ovviamente, protesta. Perché a Ninive? Perché portare la parola di Dio a chi la rifiuta e anzi l’avversa?

Il comando di Dio risuona nel tempo della chiesa ancora più intenso, in quanto la presenza di Gesù ha reso ogni istante un momento propizio per la manifestazione dell’amore di Dio e l’opportunità di accogliere questo amore. “Il tempo si è fatto breve”, “il tempo è compiuto”: c’è una forte consapevolezza che il Signore è all’opera in questo tempo e ci invita a vederne le opportunità di salvezza.

Siamo dunque tutti invitati a non cogliere in questo tempo e nel mondo che viviamo, solo la crescente “secolarizzazione”, né tantomeno solo gli ostacoli al Vangelo, come se una volta (non tanti decenni fa) il mondo fosse una specie di anticipazione del Regno di Dio, e oggi invece tutto fosse brutto e cattivo.

Questa interpretazione non corrisponde al vero. Ogni tempo della storia, offre cose belle e soffre cose brutte, ogni stagione del mondo accoglie il Regno di Dio in parte e, in parte, ha sempre bisogno di conversione.

Come Giona anche noi siamo esortati a credere che il nostro, oltre che a un tempo pieno di difficoltà, è anche un tempo propizio per annunciare il Vangelo, è un momento in cui tanti cuori e tante vite attendono solo che qualcuno faccia loro conoscere il Signore in maniera coerente e luminosa e sono pronti ad aprirsi a questa nuova speranza.

A dirla tutta, nel tempo di oggi prevalgono le condizioni per l’accoglienza del Vangelo, per un desiderio di spiritualità, per una rinnovata esperienza di comunità, piuttosto che le forze contrarie.

Bisogna stare solo attenti – molto attenti! – a presentare il Vangelo nella sua forza di vita: bisogna evitare la predicazione moralista, il continuo richiamo ai principi e ai valori e quella forma di presunta superiorità spirituale che caratterizza alcune volte l’atteggiamento di noi cristiani, per esser invece disponibili a dimostrarci veramente amici di tutti gli uomini, accoglienti delle loro fatiche e umili nella condivisione.

Vediamo che laddove c’è uno sforzo educativo onesto, l’impegno per una custodia e una cura fraterna, una reale disponibilità a lasciare spazio alla freschezza e alla novità delle giovani generazioni, il desiderio di intercettare la qualità umana che la vita di Gesù manifesta, c’è anche sempre una grande accoglienza del Vangelo, una maturazione della fede e una crescita della chiesa.

Così rimarremo sorpresi come Giona e – magari non perfettamente sintonizzati con le parole che Dio voleva dire, magari un po’ contrariati per la sua eccesiva bontà – ammireremo l’incontro con il Signore della grande città… e chissà che, con il cuore convertito anche noi, non sperimenteremo, in questo, la gioia del Padre.




Il viaggio dei Magi

La settimana che andiamo a incominciare è quella della festa dell’Epifania, nella quale la liturgia è dominata dal viaggio misterioso e suggestivo dei Magi.

Secondo la tradizione, i Magi erano sapienti, esperti della religione di Zoroastro e quindi scienziati e astronomi capaci di leggere delle corrispondenze tra i segni del cielo e la storia del mondo. Il Vangelo non ci dà molte informazioni su di loro: essi venivano “dall’Oriente”, probabilmente dalle regioni dell’Impero Persiano oppure addirittura dall’Estremo Oriente e non erano necessariamente tre; il Vangelo dice: “alcuni”, che sono stati poi fissati nel numero di tre grazie alle fonti medievali e alla corrispondenza con i tre doni: oro, incenso e mirra.

Essi compiono un lungo viaggio per adorare un re, tanto che vanno da Erode a chiedere informazioni. Quando arrivano alla meta indicata loro dagli scribi e dottori della legge di Israele, dice il testo, vedono: «il bambino con Maria sua madre», lo riconoscono grazie a questo segno e si prostrano in adorazione. Infine, tornano per un’altra strada, per non lusingare Erode e non agevolarlo nel suo progetto malefico.

Raccogliamo una piccola riflessione, per ciascuno di questi tre elementi.

  1. Un lungo viaggio. I Magi attraversano per la sua latitudine una buona parte del mondo allora conosciuto. È un viaggio geografico, certamente, ma anche simbolico: nel loro viaggio collegano tanti popoli che oggi sono in conflitto, segnati dalla guerra e dall’odio, quasi con l’intenzione di unificarli e porre le premesse della pace; inoltre accumulano una grande sapienza e saggezza. Essi sono la figura dei saggi, che conoscono la sapienza del mondo e lo attraversano come messaggeri di unità e di pace.
  2. L’adorazione del bambino. Tutta la sapienza e ricchezza, non impedisce loro di riconoscere il re nei panni di un bambino che non ha nulla di regale e di prostrarsi, umilmente, in adorazione. Essi riconoscono il bambino grazie alla relazione con la mamma: «videro il bambino con Maria sua madre», non attraverso chissà quali prodigi, ma grazie allo splendere della loro umanità di una luce che potremmo definire divina. In quanto sapienti, essi sono la figura di chi non è geloso della propria condizione, ma la piega umilmente e la condivide al servizio delle vite più giovani, di un’umanità che deve crescere e risplendere di una luce divina.
  3. Un’altra strada. Pur essendo sapienti, ricchi, probabilmente sovrani di popoli, essi non lusingano il potere e non si lasciano irretire dalle sue trame. Con una libertà di cuore più unica che rara, per quel tempo, rifiutano l’omaggio al re del luogo e se ne vanno per un’altra strada. Essi, così, sono il segno di questa libertà dal potere, che può caratterizzare non solo i poveri o i deboli, ma anche chi ricopre ruoli importanti e può decidere di non lasciarsi sedurre dalle lusinghe del potere stesso.

Vorrei che i Magi potessero diventare il simbolo di una comunità di adulti, che vivono nel mondo come costruttori di unità e testimoni di pace, e che capitalizzano la loro esperienza al servizio dei più giovani, di quella parte di umanità che deve crescere e poter risplendere di una luce quasi divina. Vorrei che questa comunità di adulti – o comunque, come diceva don Lorenzo Milani, di tutti i “più grandi” nei confronti di tutti i “più piccoli” – sia capace di piegarsi verso i più giovani senza ombra di risentimento alcuno, ma gioiosamente come i Magi, e libera da ogni desiderio di potere e di autoaffermazione.

Se così fosse, il viaggio dei Magi si ripeterà, e non solo a Natale.

Don Davide