La vita alle porte della città

Con un paragone ardito mi verrebbe da leggere la scena del Vangelo di oggi in relazione a due eventi importanti di questi giorni: le elezioni amministrative nella nostra città e l’inizio dell’Estate Ragazzi nella nostra parrocchia.

In questo racconto suggestivo, infatti, Gesù incontra una processione funebre che esce dalla città, e la incontra proprio alla porta, mentre lui – portatore di vita – vi sta entrando. Ho sempre visualizzato la scena come se si svolgesse davanti a una delle nostre meravigliose dodici porte, ad esempio a Porta San Felice.

Credo che sia una questione fondamentale per chi si occupa della polis, della città, con gli incarichi che verranno affidati. Vorrei che tutti si chiedessero: quali dinamiche mortifere “escono” dalla città? E quali forze di vita possiamo portarci dentro? Sarebbe bello se i nostri amministratori potessero avere sempre davanti agli occhi questa scena: una sorta di sfida, sulla soglia di questo meraviglioso agglomerato dove vivono gli uomini e le donne, per farne uscire tutte le potenze mortifere e per iniettarvi invece le migliori forze vitali.

L’altro elemento di confronto è l’inizio dell’Estate Ragazzi. Non posso non pensare a Gesù che con il suo tocco ferma la processione funebre fregandosene delle convenzioni religiose (toccare un morto era un gesto di impurità rituale) e fa rivivere un giovane in uno scenario che “sa di tristezza”. Con l’Estate Ragazzi mi sembra che le cose stiano allo stesso modo. Gesù “tocca” la vita di questi bimbi e degli adolescenti, magari senza troppo seguire le regole del protocollo, e la anima sfrenatamente. A noi adulti, talvolta, “piace” descrivere i ragazzi come svogliati, disinteressati, attaccati solo ai video game e bla bla bla… Poi li scopriamo impegnati per tre settimane, a divertirsi insieme, a seguire dei bambini urlanti, ad arrivare – magari con le occhiaie fino alle ginocchia – alle 8.00 di mattina puntuali nei giorni dopo la fine della scuola.

Ogni tanto ho proprio l’impressione che il rapporto della chiesa coi giovani sia descritto da questo episodio della vita di Gesù: noi siamo un po’ spenti, mesti, forse anche un po’ noiosi e ci lamentiamo che i ragazzi sono “smorti” (“morti” mi sembrava un’affermazione un po’ forte…). L’unica cosa che abbiamo da portare “fuori” è questo clima. Poi arriva Gesù e, con un tocco, fa un casino. So già che qualcuno mi dirà: “Don Davide, non si scrive casino nell’Agenda della Domenica!”. So già anche che qualcuno si lamenterà, puntualmente, perché in queste tre settimane ci sarà un po’ di casino, e non solo si lamenterà nelle ore in cui è doveroso rispettare il riposo e la quiete, ma anche nelle altre… giusto per lamentarsi.

Ma cosa volete farci… non sono io che lo dico… Prima di me l’ha detto il papa, nella cattedrale di Rio De Janeiro ai giovani argentini durante la Giornata Mondiale della Gioventù: ha detto loro, testualmente: “Mi auguro che facciate casino!”. Poi certo, la traduzione ufficiale del Vaticano ha attenuato in un più corretto: “chiasso”, ma il papa ha usato: “casino”. Il papa voleva dire: “Mi auguro che vi facciate sentire, che siate protagonisti della chiesa, che mettiate in gioco la vostra vivacità”.

La cosa più bella di questa scena è che Gesù “prende” metaforicamente questo morto tornato in vita e lo restituisce a sua madre, come a dire: “Io vi restituisco la vita di questi ragazzi. Ora sta a voi farli vivere”.

Ok, Gesù, abbiamo capito. Ci proviamo.

Don Davide




Corpus Domini. Pane e vino

La liturgia in cui tradizionalmente si celebra in modo particolare la grazia dell’Eucaristia, ricorda l’episodio di Melchisedek, che compare fugacemente nel racconto biblico, come simbolo di Cristo. La caratteristica di questa figura è che la sua offerta è semplice: pane e vino, come segni di ciò che è essenziale per vivere (pane) e per rendere gioiosa la vita (vino).

La solennità del Corpus Domini, che una volta esprimeva la fede della chiesa con una certa sfarzosità, oggi ci richiama piuttosto a questo essenziale-per-vivere. Di che cosa abbiamo bisogno realmente? Di nutrirci, perché il nostro organismo cresca; di curarci quando si ammala e di tenerlo un po’ allenato perché il corpo si irrobustisca. Poi abbiamo bisogno di amore, di sentirci protetti e di poter essere istruiti, per dare ricchezza anche al nostro animo. Infine abbiamo bisogno di sentirci utili, di sapere che la nostra vita ha un senso e che la nostra presenza è preziosa.

Lo stesso vale certamente anche per la vita dello Spirito in noi. Se non ci nutriamo degli insegnamenti di Gesù non possiamo crescere e affrontare con sapienza le responsabilità della vita. Se non ci curiamo con la misericordia, le malattie rischiano di infettare il nostro organismo. Se non ci alleniamo con la preghiera, il nostro spirito rimane flaccido, come un corpo senza muscoli. La comunità cristiana è il luogo dove concretamente sperimentiamo l’amore di Dio che ci protegge, e dove possiamo essere istruiti per conoscere meglio Gesù. Infine abbiamo il compito di capire qual è la nostra vocazione, quale sia il nostro compito nel mondo, perché non manchi alla costruzione del regno di Dio il nostro prezioso contributo.

Gesù invita i suoi discepoli, di fronte al bisogno di nutrimento delle folle, di essere loro stessi a provvedere da mangiare. Suona come un grande incoraggiamento, a ciascuno di noi, affinché celebrando la solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, noi possiamo essere richiamati a ciò che conta veramente, e allo stesso tempo fare di tutto perché a nessuno manchi ciò che è essenziale, non solo materialmente, ma anche spiritualmente.

Devo dire che in questo giorni ho visto questo impegno, sia in occasione dei sacramenti dei nostri ragazzi, sia in occasione dell’organizzazione della festa della parrocchia: ho visto tante persone, catechisti, ragazzi e volontari dare il proprio servizio e il proprio tempo, perché questo Corpo di Cristo che è la Chiesa possa essere un luogo pieno di vita per tutti, e noi dobbiamo esserne riconsocenti.

Don Davide




La Trinità

Ho provato a immaginare molte volte come dev’essere la vita di Dio nell’intimità della sua casa. Padre, Figlio e Spirito Santo. Se il paragone non risultasse irriverente, me li immagino come tre amici giocatori di poker nel vecchio West, che sembrano concentrati al loro tavolo, ma sono pronti a intervenire se accade qualche guaio nel saloon. Oppure come tre persone importanti, il presidente, il vice-presidente e il capo delle operazioni che seguono da uno schermo in una stanza segreta il corso degli eventi con la responsabilità di orientarli. Sono solo paragoni, un po’ scherzosi. Come recita un principio della teologia: “Quanto più si afferma una somiglianza, tanto maggiore è la differenza”.

Immagino Dio Padre commuoversi per le sorti del mondo, commuoversi di stima e benevola tenerezza per tutto il bene che gli uomini fanno, e commuoversi di un dispiacere da torcersi le budella, per tutto il male che sanno compiere. Vedo Gesù, imprimere, come uno stampatore, il suo volto su tutti gli uomini e le donne, specialmente su coloro che la cui dignità è violata, su quelli che soffrono da soli, sulle vittime che sono disprezzate dagli altri. Infine, non lo vedo, ma lo sento, lo Spirito Santo che dà vita dove non ce lo aspetteremmo. Lo Spirito che quando qualcuno dice: “Si stava meglio quando si stava peggio” suscita sogni nei giovani e nuovi entusiasmi negli anziani; lo Spirito che fa amare, anche quando è difficile; lo Spirito che insegna a disprezzare le ricchezze e a prediligere la condivisione; lo Spirito che suscita uomini e donne pacifici e giusti, in mezzo alla violenza e alle guerre. Lo Spirito che ti fa incantare di fronte a un panorama di montagna, al mare sconfinato, a un fiore in primavera. Lo Spirito che fa sorridere una persona malata e gli fa amare la vita, nonostante tutto.

Oggi non celebriamo le formule complicate che parlano di un’unica sostanza in tre ipostasi (o persone): questo lo lasciamo ai filosofi e ai teologi.

Oggi celebriamo il Dio della storia, che si rimbocca le anime, che ama e che agisce in comunione, che interviene attivamente non a modificare il corso della storia, ma a toccare il cuore degli uomini e delle donne disponibili, per cambiare il mondo.

Quando i ragazzi si innamorano dicono che “hanno una storia”: ecco, noi auguriamo anche ai ragazzi che oggi completano l’iniziazione cristiana con il Sacramento della Cresima, di essere animati dallo Spirito d’amore e non solo di “avere una storia” con questo Dio della storia, ma di “fare la storia” con lui.

Don Davide




Ragazzi spiritosi e uomini pieni di spirito

Oggi, solennità di Pentecoste, celebriamo il secondo turno delle Prime Comunioni. Domenica prossima, giorno della SS. Trinità, ci saranno le cresime in parrocchia.

Ci auguriamo che lo Spirito Santo scenda in varie forme e in molti modi ad animare la vita di questi ragazzi, affinché possano essere “spiritosi”. Chissà se l’Accademia della Crusca accorderà anche a me l’invenzione di un termine: dopo “petaloso” (un fiore pieno di petali), anche “spiritosi”: dei ragazzi pieni di Spirito. Eh, già, quello con la S maiuscola. È questo che fa la differenza. Mi direte: “Guarda, don Davide, che il termine esiste già: si dice spirituale”. Spirituale?! Ma vogliamo scherzare?! Non vi dà l’idea di qualcosa di serioso (ecco, appunto), di roba da adulti? Invece a me è venuto in mente San Filippo Neri, che era sì pieno di Spirito, uno degli uomini più “spirituali” che la Chiesa abbia mai avuto, e tuttavia era anche molto “spiritoso”: si divertiva, era un giocherellone, faceva scherzi e riusciva sempre a fare gioire i suoi ragazzi.

Avremmo proprio bisogno di ragazzi pieni di Spirito così: che animino una chiesa viva, con la loro freschezza, e la rendano piena di gioia.

E poi, naturalmente, avremmo bisogno di uomini e donne adulti pieni di Spirito. “Spirito” che?! Lo Spirito Santo, questo grande sconosciuto. Quello a cui si danno i meriti (o le colpe, a seconda della prospettiva di chi guarda) nella vita della chiesa quando non si sa cos’altro dire. Quello che nelle nostre preghiere non compare quasi mai: preghiamo il Padre, Gesù, Maria, gli angeli custodi, ricordiamo i defunti, ma quasi mai invochiamo lo Spirito Santo, che invece è la presenza concreta di Gesù Risorto e dell’amore del Padre oggi, nei giorni della nostra esistenza.

Ad esempio, chi sa a memoria la Sequenza allo Spirito Santo (che, tra l’altro, è una preghiera bellissima). Quanti, tra quelli che la sanno, si ricordano di dirla, al mattino prima di iniziare la giornata, oppure quando c’è una difficoltà da sciogliere?

Tuttavia non basta dire una preghiera. Essere uomini e donne pieni di Spirito, significa soprattutto lavorare costantemente per fare spazio allo Spirito del Risorto, per cercare di muovere i nostri passi animati da lui. Significa ricercare il bene di tutti e l’Amore non ricevuto, ma donato; servire, soprattutto i più poveri e i piccoli; lottare con tenacia contro le forze della morte.

Speriamo di trasmettere così una buona testimonianza, e di non essere troppo “seriosi”, in modo che i nostri ragazzi possano essere “spiritosi”: come dei fiori bellissimi, i cui petali sono lo Spirito Santo.

Don Davide




Corpi celesti e corpi terrestri

Oggi, domenica dell’Ascensione, in parrocchia celebriamo il primo turno delle Prime Comunioni. È una coincidenza istruttiva, che unisce il corpo di Gesù che sale al cielo – con la micidiale domanda che pongono tutti i bimbi: “Ma quindi Gesù dov’è adesso? E se è salito al cielo, non cade?!” – e il segno concretissimo della Comunione, cioè di mangiare insieme, ad un’unica tavola, un pane che è in realtà il Corpo di Cristo.

C’è quindi il corpo glorioso di Gesù – che sfida tutte le leggi della fisica – che porta la nostra umanità concreta nella realtà di Dio; e poi ci sono i bimbi con le loro facciotte buffe, i loro sorrisi emozionati e i vestitini eleganti, che sono testimoni del venire di Dio nella realtà umana.

Oggi, quei bimbi sono per tutti – anche per chi celebrerà le altre messe – il segno tenerissimo di Dio che si fa vicino a ciascuno di noi per incontrarci, e che non si formalizza se noi siamo grandi o piccoli, famosi o gente comune, bravi o un po’ più “scapatizzi”.

Quindi ci impegniamo tutti a “fare la Comunione”, nel senso di essere vicini a loro con il nostro esempio, e di essere amici fra noi, di volerci bene, per dimostrare a questi ragazzi che quando Dio passa in mezzo a noi, crea qualcosa di nuovo e di buono, anche nel nostro modo di stare insieme.

La coincidenza tra la festa dell’Ascensione e le Prime Comunioni ci aiuta così a ricordare e celebrare il legame tra la dimensione spirituale della nostra vita e quella concreta: non c’è spiritualità che non plasmi i nostri atteggiamenti, non c’è fede che non si traduca in vita, non c’è amore che non si esprima in gesti concreti. Lo spirito e il corpo vanno sempre insieme, perciò facciamo il proposito, in questo giorno di festa, di rendere “pronto” anche il nostro spirito, e di aiutare questi piccoli, nella loro esistenza, a rendere bella la loro anima, così come oggi sono bellissimi nei loro vestitini e col loro sorriso.

Don Davide




Lo splendore di una città

Papa Francesco esorta più volte nella Evangelii Gaudium, ad avere uno sguardo contemplativo sulla città. Oggi siamo aiutati dalla seconda lettura, che ci descrive l’immagine meravigliosa della Gerusalemme Celeste, come se il frutto della fede dei discepoli sia la generazione di una città luminosa e fraterna.

Confessare il Signore risorto significa costruire uno stile della convivenza che valorizzi il bene di tutti e abbia a cuore ciascuno.

Questo è il dono della pace che il Signore ci lascia: una pace per nulla paragonabile a quella che sono in grado di costruire gli uomini, fatta di fragili accordi e di compromessi. Si tratta, invece, di una pace sincera, amorevole, legata all’esperienza di una vita piena e condivisa in maniera gioiosa.

Questa domenica sera c’è la conclusione dell’Ottavario di preghiera in onore della B.V. della Salute e faremo la processione per le strade della nostra parrocchia. La processione sembra un rito antico, quasi obsoleto. Magari in campagna possiamo ancora riconoscerle un valore folcloristico, ma in città ci pare il residuo archeologico di una fede che non c’è più, soprattutto quando qualche ragazzo con un bicchiere di birra in mano guarda il suo passaggio con l’occhio pallato di un pesce lesso.

Invece penso che possa essere ancora un evento tanto bello quanto prezioso, se la immaginiamo come quel gesto pacifico di cui parlavo poco sopra: l’idea di percorrere le strade della nostra città serenamente, ponendo qualche piccolo segno gioioso, e cercando di esprimere uno sguardo attento attraverso la preghiera alle grandi situazioni che ci interpellano.

La processione è un simbolo di riconoscimento di una comunità, è un appuntamento per dire che noi queste strade le abitiamo, senza presunzione di superiorità, senza ostilità, ma con la ferma determinazione di essere attivi protagonisti non solo tra di noi, entro le mura della parrocchia, ma cercando di edificare insieme a tutti.

Per fare ciò, porteremo dei segni: dei cartelli con le frasi più belle e significative di papa Francesco, fatti dai bimbi di II e IV elementare; dei palloncini, che diventeranno il simbolo della nostra preghiera, una preghiera che possa illuminare la notte, lanciati dai bimbi di III elementare; infine, dei lumini, con cui fare risplendere le vie che attraverseremo con il simbolo della pace.

Confido che questo brulicare nella notte, ci aiuti a contemplare lo splendore della città – non solo della nostra, ma più in generale della città “degli uomini” – quel luogo dove si vive insieme e si cerca di imparare la convivialità delle differenze.

E che la preghiera che si è prolungata per otto giorni, possa ottenere per intercessione di Maria, la guarigione del corpo e dei cuori e il dono dello Spirito di unità e di pace, come in una rinnovata Pentecoste.

Don Davide




Come il signore è con noi

«Ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,32).

La liturgia di Pasqua si avvicina all’Ascensione del Signore e comincia a farci riflettere su cosa significa il distacco fisico di Gesù dal nostro mondo terreno, e anche come lui continua a essere con noi.

Gesù prepara i suoi discepoli alla sua assenza: doveva essere un momento molto difficile per loro, dopo avere sofferto per la sua morte e gioito per la sua resurrezione, dovevano essere completamente impreparati all’idea di vivere senza di lui, e ancora più per quanto gli erano affezionati. Lui aveva dato loro tutte le speranza e il senso più grande della vita che potessero immaginare.

In questa intensa situazione emotiva, Gesù dà loro l’insegnamento più importante: il modo per non sentire la sua assenza è quello di amarsi, di volersi bene. Non solo: è il modo di sentire la sua presenza. Chi ama, sente il Signore vivo e vicino, perché capisce intimamente il suo “spirito”, quella dimensione interiore che permette di attingere al segreto più vero della vita.

Questa è anche l’unica via per rendere testimonianza. La fraternità amichevole, la solidarietà, l’amore reciproco. Chi vede una comunità di persone così, piccola o grande che sia, vede il Signore Risorto in mezzo ad essa.

La seconda lettura collega questa immagine ideale ma non utopica della comunità dei discepoli di Gesù alla Gerusalemme celeste. Così la chiesa è un segno concreto e un anticipo della realtà che vedrà tutti gli uomini in compagnia di Dio e dove ognuno sarà consolato.

La prima lettura, invece, ci incoraggia sull’esempio degli apostoli, a perseverare nell’amore, anche quando si dovessero attraversare molte difficoltà. Tutto questo serve per fare risplendere questo comando di vita di Gesù, che è l’invito a trasformare il mondo con l’amore.

Don Davide




Una moltitudine

Poche parole nel vangelo di oggi, per ricordarci l’immagine pastorale di un gregge e del suo pastore. L’estate scorsa, in montagna vicino a Passo Giàu, ho visto con i miei occhi un numerosissimo gregge che pascolava nelle vallette sottostanti un sentiero. Dall’alto il pastore le controllava, e non ne perdeva di vista alcuna. Appena una si allontanava, il pastore faceva un fischio e i suoi cani subito riconducevano la pecorella troppo intraprendente negli spazi rassicuranti del gregge. E quando il pastore ha deciso di muoversi tutte le pecore – almeno 300 – lo hanno seguito spontaneamente.

Gesù doveva avere un’immagine simile davanti agli occhi, magari non con il panorama delle Dolomiti, ma certamente quella di numerose pecore che stabiliscono spontaneamente con il loro pastore un rapporto di vera conoscenza, e che sono custodite perché lui non permetterà che si allontanino troppo. Vorrei che potessimo custodire soprattutto questo pensiero: “Nessuno può strapparle dalla mia mano” (Gv 10,29). Aggiungerei: niente e nessuno. Dobbiamo avere fiducia che Gesù non permetterà che ci allontaniamo da lui, esattamente come dice san Paolo nella Lettera ai Romani: “Chi potrà separarci dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35). Con piena fiducia possiamo rispondere: niente e nessuno.

La lettura dell’Apocalisse (II) ci garantisce, anzi, che la tribolazione, la fatica della testimonianza, il passaggio arduo della Croce, ben lungi da essere motivo di allontanamento, sono invece come un bagno di purificazione che ci rende partecipi del passaggio di Gesù da morte a vita. Non c’è niente che macchia di più del sangue, paradossalmente questo lavacro avviene nel sangue di Cristo e ci rende candidi come il manto di una pecorina appena lavata.

Molte sono le tribolazioni del mondo, molti uomini e donne soffrono fatiche di ogni genere e intensità. Per questo, la visione estrema dell’Apocalisse promette un mondo dove tutte queste ferite saranno curate: anche questo è frutto della cura del Buon Pastore.

Vogliamo ricordare e avere presente tali sofferenze nella preghiera dell’Ottavario della B. V. della Salute, che inizieremo domenica 24 aprile. In quest’anno della misericordia, vogliamo provare a essere in sintonia con i sentimenti e la cura del Buon Pastore, attraverso l’intercessione di Maria, provando ad allargare lo sguardo, i pensieri e la preghiera a tutte le persone che vivono qualunque situazione di difficoltà. Ogni giorno dell’Ottavario, perciò, pregheremo per un’intenzione particolare, legata ai misteri della vita di Gesù che si contemplano. Mercoledì 27 aprile, l’attenzione al mondo si allargherà grazie a un incontro col CEFA sulle attività che svolge in Kenya, sostenute anche grazie al mercatino della nostra parrocchia, e a cui ha partecipato un nostro parrocchiano. Dopo l’incontro, pregheremo una decina del rosario e faremo la parte conclusiva dell’Ottavario.

Infine, l’1 maggio, durante la processione serale, alla fine di ogni mistero compiremo un piccolo segno con l’aiuto delle famiglie e dei bimbi del catechismo che vorranno partecipare, e faremo una preghiera speciale, scritta da vari parrocchiani, per le seguenti intenzioni: migranti e poveri, scuola, malati e anziani, famiglia, lavoro.

Speriamo così di allargare lo sguardo e l’attenzione alle vicende del nostro mondo, di “lavare” le tribolazioni con la nostra preghiera e ci contribuire così a cancellare le lacrime cattive da ogni volto.

Don Davide




Si manifestò di nuovo

Quante volte abbiamo desiderato che Gesù si manifestasse nella nostra vita?! Magari attraverso una preghiera che speravamo di vedere esaudita, o in una speranza realizzata… o in una difficoltà che speravamo di superare…

Se ci pensiamo bene, se siamo qui, in chiesa, pronti per la messa, o a casa a leggere questo foglietto, vuol dire che una volta lo abbiamo incontrato, lo abbiamo sentito vero, accanto a noi. Abbiamo percepito che sì, potevamo credere.

La resurrezione agisce in noi come un continuo rinnovare quella scintilla, alcune volte sfidandola, alcune volte alimentandola in maniera vigorosa. Quando desideriamo che il Signore si manifesti “di nuovo”, come all’inizio del Vangelo di oggi, è perché siamo sempre in passaggio di Pasqua, è perché abbiamo qualche croce, piccola o grande, che deve diventare resurrezione. Non è una disgrazia! Al contrario! Il Signore ci prende per mano, proprio in quella difficoltà, per farci fare qualche passaggio decisivo.

C’è un’incredibile tenerezza nella scena del Vangelo di questa Domenica. Pietro è triste, sconsolato. Non gli resta che tornare a pescare. Lo dice come se ormai quel gesto tanto conosciuto e consueto avesse completamente perso di senso. Non aveva promesso il Signore che avrebbero “pescato” gli uomini? E invece si ritrovano a inseguire pesci che non si fanno prendere. “Quella notte non presero nulla”: si sente in questa frase tutto lo sconforto di chi pensa che il destino avverso si accanisca su di lui: “Ecco, non ne va bene una. Non siamo più nemmeno capaci di pescare!”.

Gesù risorto compare interpellandoli, proprio per guidarli in questo passaggio pasquale: “Non avete nulla da mangiare?”. Sembra un’ulteriore umiliazione per i discepoli: un pellegrino chiede un pesce a dei pescatori, e loro devono confessare di non avere nulla… Che tristezza.

È in questo scenario che Gesù si manifesta di nuovo. Di fronte allo svilimento estremo dei discepoli, ecco che sorge una nuova resurrezione.

“È il Signore!” esclama Pietro sbalordito. C’è qui tutto l’entusiasmo della rinascita. E ancora più tenera è la notazione che i discepoli, dopo, non chiedono nulla, perché ormai sanno bene che è il Signore.

Ecco, quando il Signore si manifesta di nuovo, nella nostra vita, lascia sempre un momento di pace e di grande consapevolezza. Ci credevamo abbandonati, forse respinti, invece Gesù in un impeto di tenerezza si avvicina di nuovo a noi, ci fa superare quella fatica, ci dice che possiamo vivere, e vivere nella gioia.

Don Davide




La Pasqua piena di misericordia

“A coloro a cui perdonerete i peccati saranno rimessi”. Questa affermazione di Gesù risorto, in mezzo ai suoi, sembra tautologica. È ovvio, verrebbe da dire. Ma Gesù vuole sottolineare come la Chiesa abbia la responsabilità di essere piena testimone della Pasqua attraverso la misericordia. Per questo il Risorto mette nelle mani della Chiesa questo “potere” di perdonare, e affida a ciascuno di noi, battezzati, questo mandato e questo compito.

Perdonare è l’unico potere che abbiamo. Riconciliare la nostra unica arma.

La misericordia è l’energia della resurrezione in atto. Cos’è che fa vivere, quando siamo morti? Essere riconciliati col Padre. Cos’è che ci cambia quando stiamo percorrendo una strada sbagliata? Chiedere perdono. Cos’è che ci rimette in cammino, quando siamo bloccati? Potere aprirci con qualcuno, confessare le nostre fatiche.

Tutte le volte che noi chiediamo ed offriamo perdono, passiamo dalla morte alla vita; dal mondo vecchio logoro a causa dei suoi stessi egoismi diamo origine al mondo nuovo.

L’esperienza così intensa, autentica ed elettrizzante che i discepoli fanno di Gesù risorto nel vangelo di oggi, noi la ripetiamo tale e quale quando facciamo opera di misericordia o la chiediamo per le nostre vite.

Che cos’altro è la “Misericordia” se non vedere le ferite del Corpo di Cristo, essere anche noi trafitti dalle sue piaghe e mettere il dito in quegli squarci della sua carne. Dovremmo proprio cercare di vedere le ferite degli uomini e delle donne del nostro mondo, dovremmo pregare che il nostro cuore si intenerisca di fronte alle piaghe fisiche e morali di tanti nostri fratelli e dovremmo accettare di “mettere le mani” a ciò che uccide i nostri fratelli e sorelle, sporcarci di lavoro, per cercare di cambiare qualcosa.

In questo modo, il Signore risorto si manifesterà a noi nella sua totale integrità e noi potremo così celebrare la Pasqua in pienezza.

Don Davide