Correre al sepolcro

«Le parole delle donne parvero ai discepoli come un vaneggiamento, Pietro tuttavia corse al sepolcro…» (Lc 24,11).

È un annuncio così potente, quello della resurrezione, da sembrare incredibile. In esso riposano tutte le nostre speranze di vita e di salvezza, al punto che qualche filosofo ha ipotizzato che “la Resurrezione”, così come “l’essere di Dio”, fossero solo una proiezione dei desideri dell’uomo.

Certo, il mistero del Risorto ci spiazza: secondo la testimonianza dello sparuto gruppo dei suoi discepoli, Gesù risorto non si può trattenere – nonostante l’anelito di potere stare con lui – non si comprende fino in fondo, non possediamo la sua verità se non attraverso molteplici e comunque insondabili punti di vista.

Eppure balena come la scintilla di un fuoco di brace sotto la cenere un dubbio, o forse un’intuizione… E… se fosse?!

Un amico agricoltore mi ha raccontato che i covoni di grano, si possono incendiare perché la forza con cui sono compressi, può talvolta generare processi chimici di autocombustione al loro interno, se non sono perfettamente essiccati. La scintilla della resurrezione è come questa traccia di qualcosa di potenzialmente incendiario, che rimane nel nostro cuore. Pressati dalle mille cose da fare, dalle paure, dalle ansie, ormai assuefatti agli orrori e alla disillusione, qualcosa nel più intimo del nostro essere afferma un destino di vita.

Questa scintilla divampa quando l’annuncio di questa possibilità la raggiunge e la fa diventare desiderio, speranza, volontà di dare credito all’esistenza.

Dev’essere successo così, a Pietro, quando le donne sono arrivate a dirgli del sepolcro vuoto. Quelle parole gli sono parse come un vaneggiamento, nonostante ciò una potenza nascosta si è fatta strada da chissà dove – forse in nome dell’Amore – in mezzo al suo scetticismo. Il vangelo ci racconta di un meraviglioso: “tuttavia”: «Pietro tuttavia corse al sepolcro». In questo dubbio di Pietro che apre uno spiraglio, in questo desiderio di qualcosa d’altro, certamente anche di riscatto per il suo tradimento, in questo “tuttavia” c’è l’intero racconto di come la fede nel Risorto si fa strada tra gli uomini e nella storia del mondo.

Per questo dobbiamo ascoltare continuamente il Vangelo, e quando possiamo testimoniarlo con umiltà, perché quando scatterà un po’ di curiosità, quando qualcuno dirà “forse”, “magari”, “proviamo” oppure “tuttavia”, lo Spirito del Risorto avrà già creato la minuscola crepa che, prima o poi, farà crollare tutte le resistenze.

Come una caccia al tesoro, così è la resurrezione: quando hai trovato il primo indizio, non puoi fare a meno di arrivare alla meta.

Don Davide




La sapienza

La liturgia della parola nella Veglia Pasquale giunge con la 6° lettura a una meravigliosa meditazione sulla sapienza. Il percorso che Dio ha fatto fare al suo popolo, a partire dalla riflessione sul senso dell’esistenza, passando per l’Alleanza, l’Elezione e l’esperienza del peccato e della misericordia, ci invita a maturare una saggezza del vivere, dove tutte questi elementi del rapporto con Dio sono raccolti e ci viene consegnato soprattutto il compito di rimanere nel legame con lui, attraverso l’ascolto attento e amorevole della sua parola. Chi si mette a questa scuola, anche se affrontasse mille difficoltà o contraddizioni, non sarà solo, non sarà abbandonato da Dio, anzi, sarà salvato.

E proprio su una estrema prospettiva di salvezza conclude questo intenso percorso attraverso la storia della salvezza, con la 7° lettura della veglia.

Il profeta Ezechiele dà voce a una dichiarazione solenne di Dio, il quale – in un linguaggio tipico dell’AT – rivendica per sé ogni azioni, l’intervento correttivo come quello salvifico. Ebbene, il Signore dice di agire non per riguardo all’uomo, ma per fedeltà al suo Nome santo (cf. v. 23). È una formula di rivelazione: Dio si rivela Santo, Misericordioso e Benevolo. Fa parte della sua natura, non è condizionato da come l’uomo agisce. In definitiva, Dio manifesterà in maniera potente e irrevocabile il suo intervento di salvezza: sarà un’azione di purificazione, di conversione e di rinnovamento, che ha come risultato “l’abitare” nella Terra Promessa, quella Terra Promessa che è, in realtà, il senso profondo della nostra esistenza e la nostra pace.

Questo viaggio conclude con l’affermazione: “Voi sarete il mio popolo, e io sarò il vostro Dio” (v. 28). Ci può essere un esito più efficace nel celebrare la Veglia Pasquale?

Don Davide




Come ai tempi di Noè

Dopo avere percorso l’impianto dell’intervento di Dio nella storia, con il racconto della Creazione, l’Alleanza e l’Elezione, la seconda parte delle letture della Veglia Pasquale (4° e 5°) sono un invito a meditare con l’animo pacificato e rassicurato la misericordia (4°) e la provvidenza di Dio (5°) con le quali il Signore della storia sempre sostiene e incoraggi il nostro cammino.

Il profeta Isaia usa la metafora sponsale per parlare di un atto definitivo: “Tuo sposo è il tuo creatore” (Is 54,5). Il vincolo d’amore stabilito da Dio con il popolo di Israele (e quindi con ciascuno di noi) è irrevocabile. Non dipende dalla coerenza dell’uomo: “Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia” (Is 54,10). Il Signore fa di tutto per riavvicinarci a sé. Anche quando dovesse apparire che si è allontanato, la verità è espressa da questa dichiarazione solenne: “Con affetto perenne ho avuto pietà di te” (Is 54,8). In questo testo, c’è uno dei passaggi più belli e teneri di tutta la Bibbia, quando Dio riafferma questo decreto irrevocabile: “Ora è per me come ai tempi di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque sulla terra, così ora giuro di non più adirarmi con te e di non più minacciarti” (Is 54,9). I “tempi di Noè” sono i tempi (eterni) che testimoniano e la postura definitiva di Dio nei confronti dell’uomo, promessa e realizzata in Gesù di Nazareth: non minaccia, non ira, ma attitudine materna, cura di pastore, protezione di padre buono. Chi di noi non si è mai sentito “afflitto, percosso dal turbine, sconsolato”? (cf. Is 54,11). A ciascuno il Signore dice: “Ecco, io pongo sullo stibio le tue pietre e sugli zaffiri pongo le tue fondamenta…” (Is 54,11).

Da questa posizione di speranza, risuona la chiamata di Dio con cui si apre la quinta lettura: “Voi tutti assetati venite all’acqua!” (Is 55,1). Incoraggiati da questo invito, noi possiamo lasciarci investire dal fiume di grazia, che discende in primo luogo dalla celebrazione solenne della Veglia Pasquale, e poi ci accompagna nella vita concreta di ogni giorno.

Consegniamoci a Dio senza riserve, lasciamo che l’invito alla conversione vibri nel nostro animo, affidiamoci alla sua provvidenza. Nella Veglia Pasquale ci immergiamo in un ascolto prolungato e abbondante della Sua parola e proprio questa 5° lettura ci garantisce il senso di questa sosta: nessuna parola di Dio rimarrà senza effetto, ritornerà in cielo senza avere operato con efficacia, e senza avere compiuto, nelle nostre vite, ciò per cui il Signore ce l’ha regalata.

Don Davide




Creazione e redenzione

A partire da questa domenica e per le tre domeniche di marzo che precedono la Pasqua, vorrei proporre un breve percorso sulla liturgia della parola della Veglia Pasquale, per prepararci meglio a questa celebrazione così importante e sperare che entri nella sensibilità di tutti il desiderio di parteciparvi.

Nella consapevolezza dei primi secoli, il vero modo di “fare” Pasqua era quello di celebrare la Veglia Pasquale. Questa liturgia incide sulla nostra vita, come dono di grazia, più di qualunque altro impegno per vivere bene e cristianamente la Pasqua.

La Veglia Pasquale, nella sua forma piena, prevede un lungo itinerario nella storia della salvezza attraverso sette letture dell’AT, più una meditazione di San Paolo sul Battesimo, come vera partecipazione alla resurrezione di Cristo, più la proclamazione del Vangelo.

Le prime tre letture sono considerate fondamentali, perché raccontano i tre capisaldi dell’opera di Dio: la creazione, bella e piena di amore (I); la provvidenza di Dio nella storia della salvezza, ossia il racconto della “legatura” di Isacco (II); la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto (l’Esodo) come profezia della redenzione definitiva (III).

In questo percorso iniziale c’è una fortissima unità. Dio ha creato un mondo bello e brulicante di vita. Fin dall’inizio, quindi, siamo richiamati al desiderio che Dio riscatti questa sua creazione, che ha voluto per la vita. Essa ci è data per la gioia e la letizia dei sensi, è lo spazio della nostra esperienza umana, della nostra esistenza. Siamo invitati a sentire una profonda solidarietà con essa, a custodirla, a preoccuparci di conservarne intatta la bellezza e il dono, da tutte le forze negative e logoranti, presagio di morte.

Nella Bibbia, il racconto “storico” ha inizio con la chiamata di Abramo. La liturgia pasquale chiama in causa Abramo nell’episodio decisivo della “legatura” di Isacco. Esso, infatti, più di ogni altro è autentica profezia della resurrezione del figlio amato, oltre che manifestazione evidente dell’atteggiamento di Dio (inteso come SS. Trinità) nei confronti dell’uomo. In esso, infatti, noi impariamo che “il Signore provvede”, oltre l’esperienza della morte nel cuore che doveva avere sperimentato Abramo, mentre accompagnava Isacco. Allo stesso modo, Dio Padre provvederà, oltre l’esperienza della morte. Inoltre, questo racconto ci consegna la definitiva consapevolezza che ciò che Dio NON chiede all’uomo, ossia di sacrificare il suo figlio, lui è disposto a farlo per noi. Mentre Dio chiede all’uomo misericordia e non sacrifici, lui è disposto a sacrificarsi per noi.

Per questo gli ebrei dicono, più correttamente, “la legatura di Isacco”, perché ne mette meglio in risalto il significato. L’atto di obbedienza di Abramo è quello della disponibilità, ma Dio non vuole in alcun modo il sacrificio del figlio, tanto meno un sacrificio umano che è sempre biasimato dai profeti. Ciò che conta è l’atteggiamento di affidamento di Abramo che mette le premesse per sperimentare la resurrezione: Dio è affidabile.

Infine, nella maestosa lettura dell’Esodo, noi siamo invitati a pensare a una schiavitù ben più grave, nonostante tutto, di quella dell’Egitto. La schiavitù del peccato, da cui il Signore ci libera spezzando le catene della morte e immergendoci in questa enorme potenza di vita nelle acque del Battesimo.

A questo punto, la liturgia pasquale può procedere, con un senso di grande gratitudine e una disponibilità all’ascolto, nella contemplazione delle grandi meraviglie di Dio ricordate dalle altre lettura.

Don Davide




Il disgusto e la torre di Siloe

È un’abitudine che non siamo ancora riusciti a sradicare, tra noi cristiani, quella di ritenerci in fondo superiori agli altri, o migliori, non tanto per le nostre qualità morali personali, ma per il fatto di credere, di seguire Gesù, di conoscere Dio e di cercare di seguire la strada che lui ci indica.

Ci sembra che questa cosa sia oggettiva, e che unita alla nostra personale umiltà faccia una buona sintesi: noi non siamo migliori di tutti gli altri, però per il fatto di credere, in realtà un po’ sì.

Nelle letture di questa domenica la parola di Dio ci aiuta a smascherare questo pensiero nocivo.

Nella prima lettura, la rivelazione di Dio a Mosè nel roveto ardente ci ricorda che tutte le volte che ci accostiamo al mistero di Dio, noi entriamo in un luogo santo, qualcosa che non possiamo né afferrare né carpire fino in fondo, e tanto meno padroneggiare, perciò bisogna toglierci i sandali, cioè sapere che non possiamo in alcun modo piegare Dio a nostro favore, ritenere che sia per forza dalla nostra parte.

Nella seconda lettura, il monito di San Paolo è esplicito: «Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1Cor 10,12). Credo che non ci sia da aggiungere altro.

Nel vangelo, Gesù stesso richiama due fatti tragici per dirci che non dobbiamo risolvere l’enigma del male pensando semplicemente che “erano più cattivi di tutti gli altri e se lo sono meritati”. L’invito di Gesù è anzi all’opposto: ci ricorda che non dobbiamo mai pensare che altri siano più cattivi di noi, e sentire sempre questo profondo richiamo ed esigenza di conversione.

Mi pare che questo si traduca, per noi, in due attenzioni specifiche. La prima e più ovvia è quella di non “disgustarci” degli altri, come fa il fariseo con il pubblicano al tempio. Spesso noi ci sentiamo quasi in diritto di farlo, per difendere la verità, ma in realtà difendiamo noi stessi, ci dimentichiamo di distinguere il peccato dal peccatore, e spesso ci dimentichiamo anche che quel peccato caratterizza anche noi stessi.

La seconda è di non presumere di avere in tasca la verità, di sapere tutto di Dio e di ricavare una sorta di costituzione di leggi cristiane direttamente dal vangelo. Forse le vicende degli uomini e delle donne, come ci insegna la parabola del fico, ci spingono piuttosto a riconoscere la pazienza e la misericordia di Dio, che continua ad “adattarsi” alle nostre debolezze, finché non riuscirà a raccogliere qualche buon frutto.

 Don Davide




La vita come dovrebbe essere

Quando guardiamo il cielo di notte e l’aria è tersa, rimaniamo stupefatti dallo splendore del firmamento. Una meraviglia che supera di gran lunga le nostre domande, ma che allo stesso tempo ci incuriosisce e ci interroga. Spesso, quando siamo ispirati da sentimenti buoni, un tale spettacolo può essere persino capace di donarci un po’ di serenità e di pace tra le preoccupazioni e le fatiche della vita.

Allora, sotto a tanta bellezza, è come se percepissimo che sì, c’è un patto, all’interno del quale siamo e che ci custodisce. Deve essere stata questa, inizialmente, l’esperienza di Abramo (I lettura). Poi, questa percezione di fondo della vita, ha assunto la fisionomia di un volto e di un nome: Abramo vi ha riconosciuto un tu, la voce di Dio, che lo coinvolgeva personalmente e lo interpellava.

Di solito, invece, noi diamo più credito ai momenti “no”. È quando le cose ci vanno male che siamo spinti a una maggiore consapevolezza e ci sembra che sia più realistico essere disincantati e disillusi, pensare che il mondo – la vita – l’esistenza “sono così” e che non conviene farsi tante illusioni.

Ben lungi da questa prospettiva, invece, coinvolgendo i discepoli a cui riserva le rivelazioni più profonde (Pietro, Giacomo e Giovanni) nella Trasfigurazione, Gesù ha voluto confermare l’intuizione di Abramo: ha voluto, cioè, che noi sapessimo con assoluta e irrevocabile certezza, che la verità è nello sguardo capace di cogliere la realtà trasfigurata, che il destino dell’uomo e del mondo è la realtà di Gesù risorto. Il mondo “vero”, l’esistenza “vera” è quella bella. Quella che ci fa dire, con un desiderio quasi struggente: “E’ bello per noi stare qui”, “E’ bello vivere così”. Non dobbiamo distogliere lo slancio da questo desiderio, non dobbiamo rassegnarci al negativo e dargli più consistenza di quanto si meriti. Anche se Gesù invita i suoi discepoli a tornare a valle, e quindi ad allontanarsi dall’esperienza della Trasfigurazione, lo fa per incoraggiarli a portare nel mondo quella verità di cui ora sono divenuti partecipi, senza ombra di dubbio.

Il destino è quello splendore che hanno visto. Non si sono sbagliati, e non hanno visto un fantasma. Se lo ricordino – i suoi discepoli – quando arriveranno i giorni della croce – quelli di Gesù e quelli di tutte le croci – che la verità è la gloria. Se lo ricordino, nei giorni brutti, che la verità è la bellezza.

Non si lascino strappare questa certezza.

Sappiano di essere dentro un patto, in cui Dio – il contraente – è fedele, fedelissimo. E in mezzo alle fatiche continuino ad ascoltare la voce dell’amore, che li richiama alla verità di quella esperienza.

Così, la liturgia di Quaresima, ci fa sostare sulla scena incantevole della Trasfigurazione per ricordarci che tutto l’itinerario di questi giorni non è un itinerario di mortificazione, ma di “vivificazione”, e che tutto ciò che mettiamo in atto, come strategia ascetica per vivere al meglio questo tempo, lo facciamo per allenarci a tenere fisso lo sguardo, anche dal fondo della valle, sulla luce che emana dal monte.

 Don Davide




La tentazione e le storie

Quando dobbiamo descrivere un momento di prova, in genere ci troviamo a raccontare una storia. “È successo questo e quello… e poiché mi sentivo così… allora è accaduto che…”.

Per questo motivo, nella prima domenica di Quaresima, la liturgia ci propone la professione di fede di Israele (I lettura) nella forma di una storia. Il racconto di ciò che Dio ha operato in mezzo alle prove della nostra vita è il modo migliore per sconfiggere le tentazioni attuali. L’anno della misericordia è un tempo in cui noi ci esercitiamo a fare proprio questo: a riguardare al nostro vissuto e non scorgervi un percorso fatto di successi, gioie e fallimenti, ma soprattutto l’intervento di Dio che ci ha protetto e guidato. Ecco perché Israele, quando professa la sua fede, racconta una storia: così fa memoria della presenza di Dio che guida la sua esistenza. Ed ecco perché fare memoria aiuta noi nel momento della prova: perché ricorda che Dio ci è accanto, anche e soprattutto nel momento della tentazione, e ci aiuta a sconfiggerla.

Quando vado a benedire, o nei colloqui con le persone, spesso mi viene rivolta la domanda riguardante la traduzione del Padre nostro: «non ci indurre in tentazione». L’italiano ha tenuto lo stesso verbo usato nella traduzione latina di San Girolamo, ma in italiano si confonde il significato, sia perché in latino il termine ha un campo semantico più vasto, sia per la struttura sintattica della frase. Il senso della frase correttamente dovrebbe essere: «Non permettere che entriamo nella tentazione» o «Fa’ che possiamo non entrare nella tentazione». La preghiera è dunque che il Signore ci tenga ben lungi dalla tentazione, perché noi siamo deboli, ma anche nel caso che dovessimo trovarci in una simile prova, che lui possa non abbandonarci.

Tutti i padri della chiesa hanno sempre visto il racconto delle tentazioni di Gesù, a questo proposito, come un episodio di grande consolazione. C’è da dire, innanzitutto, che Gesù non ha sopportato una tentazione “puntuale”, che cioè si è risolta in un momento in cui ha avuto una piccola fatica, e poi più. La tentazione di Gesù viene descritta come una prova prolungata, lancinante, progressiva e sempre più aspra nella sua intensità, e che va a toccare il punto cruciale della sua esistenza, in questo caso l’essere il figlio di Dio. È stata un’esperienza ben più intensa di quando noi andiamo completamente in crisi nella nostra vita, e sentiamo una spinta fortissima e spesso lacerante a scegliere una strada che profondamente sbagliata, ma che nondimeno ci attira in maniera irresistibile. Questo è il tipo di tentazione di Gesù. I padri della chiesa vi trovavano consolazione perché vedevano in questo racconto il fatto che Gesù ha vinto le tentazioni e ci ha dato non solo la forza e il coraggio di vincerle anche noi, ma la certezza che una volta superate, noi possiamo stare bene, essere felici, sentirci al nostro posto e in pace.

Siamo invitati, quindi, in questo itinerario quaresimale ad affilare le nostre armi di fronte alle tentazioni e alle prove: abbiamo la memoria di come Dio ci ha condotto nella nostra vita e abbiamo la sua parola, che è molto vicina a noi (cf. II lettura) per guidarci, incoraggiarci e consolarci.

Don Davide




Gettate le reti

Il Signore ti chiama. Sì, proprio te. Chiama ciascuno di noi, non solo gli apostoli, i preti o le suore… Tutta la nostra vita è un ascoltare la voce del Signore che ci chiama. Per questo la liturgia ci fa meditare ogni anno sulle splendide pagine della chiamata dei primi discepoli.

La storia della fede parte da questi “inizi”: qualcuno che ha voluto rispondere alla chiamata del Signore. Se ci disponiamo ad ascoltare il Signore che chiama anche noi, oggi, forse daremo inizio a una “nuova” storia: qualcosa che Gesù risorto vuole compiere con noi nei nostri giorni. Questo è il senso di tutte le chiamate dei profeti (I lett.), che vengono associate ai racconti di vocazione dei primi discepoli.

In questa settimana, in modo particolare, l’occasione di porre un nuovo piccolo inizio ci è data dall’entrare nel Tempo di Quaresima. Mercoledì compiremo l’austero gesto delle ceneri, chiedendo la grazia di vivere spiritualmente questo tempo di grazia come occasione propizia di conversione.

Giovedì ci uniremo in preghiera con tutte le persone ammalate, in occasione della Giornata mondiale del malato, nella memoria della Beata Vergine di Lourdes, per stare vicini a questi nostri fratelli e sorelle che soffrono.

Nei giorni successivi, fino a Domenica, potremo anche sostare in adorazione davanti all’Eucaristia, nelle tradizionali 40ore di adorazione eucaristica, che sono un’ottima occasione per cominciare spiritualmente preparati la Quaresima.

Domenica prossima, infine, giorno del patrono di una delle due parrocchie che compongono la nostra UNICA COMUNITA’ PARROCCHIALE, celebreremo la messa solenne in San Valentino, con la tradizionale benedizione, mentre i ragazzi del catechismo vivranno il loro ritiro di preparazione alla Pasqua.

Il Signore ancor oggi ci invita gettare le reti, a compiere questo gesto di fiducia alla sua parola. La pesca sarà sovrabbondante, gli amici saranno coinvolti, lo stupore ci prenderà e faremo senz’altro anche esperienza della nostra fragilità e miseria, ma avremo così un’occasione ancora più bella di conversione e per affidarci senza timore a Gesù.

Don Davide




Tanti doni, un solo corpo

Il Vangelo di oggi ci regala uno spunto di riflessione perfetto per questa domenica. L’elezione del Consiglio Pastorale, infatti, è una festa di comunione, dove chiediamo allo Spirito Santo di aiutarci a condividere i doni migliori di ciascuno per formare l’unico corpo della Chiesa, per l’utilità di tutti. Nella chiesa apostolica e per tutto il primo millennio era chiarissimo che il vero “Corpo di Cristo” era la Chiesa stessa, non l’Eucaristia, che veniva chiamata il “Corpo mistico di Cristo”.

In questo sforzo di edificare la nostra comunità, è fondamentale, quindi, che ci ricordiamo che l’essere insieme deve manifestare la presenza di Gesù. Lui ha promesso che dove due o tre sono riuniti nel suo nome, lui si trova in mezzo a loro, conferendo alla relazione un valore enorme, ma noi ci dobbiamo preoccupare di non rinnegare coi fatti questo dono.

Come ho detto già tante volte, mi auguro che questo giorno in cui eleggiamo il Consiglio Pastorale, non sia un gioco di potere o di autorità, ma un’occasione in cui fare emergere la presenza di Gesù in mezzo a noi. Un modo concreto per scoprire e gustare come si “fa” la Chiesa.

Il richiamo alla prima tradizione degli apostoli, ci aiuta anche a capire il legame fortissimo fra il sacramento dell’Eucaristia e l’essere parti attive della chiesa. Potremmo dire che l’Eucaristia, in questo senso, è uno sviluppo perfettamente coerente del Battesimo, che ci inserisce nella comunità cristiana e ci chiede di esserne protagonisti.

Oggi, quindi, siamo in festa per i 46 bimbi che faranno la Prima Comunione a maggio e che vi presentiamo, e cogliamo questa circostanza per sentire con ancora maggiore responsabilità l’elezione del Consiglio Pastorale. Desideriamo offrire anche a questi ragazzi e ragazze, nei prossimi anni, la buona testimonianza di una comunità che desidera esprimersi come un vero organismo e saper valorizzare i doni di ciascuno.

Che il Signore ci doni, come nella sinagoga di Nazaret, di sapere incarnare anche noi la parola di Dio nell’“oggi”, per rendere efficace e presente il Vangelo nella nostra storia e nella nostra città.

Don Davide 




Il Consiglio Pastorale come ascolto dello Spirito Santo

La prossima settimana avremo le elezioni del Consiglio Pastorale. Vorrei che fosse un momento molto sentito, perché ciascuno possa essere protagonista della configurazione e dello stile che vorremmo dare alla nostra parrocchia.
Il Consiglio Pastorale esige una partecipazione democratica, cioè elezioni che indichino la preferenza della maggior parte della comunità.
Con queste poche note, vorrei, però, evitare un pericoloso malinteso che potrebbe sorgere in proposito.
Non dobbiamo assimilare queste votazioni a quelle politiche, che sovente generano polemiche, tensioni e spinte a denigrare i propri rivali.
L’elezione del Consiglio Pastorale e il Consiglio Pastorale stesso è una dinamica spirituale, un momento di ascolto dello Spirito Santo e di pratica concreta della comunione ecclesiale. Mi auguro, perciò, che non ci siano gelosie, invidie o delusioni. La partecipazione al Consiglio non è un modo per poter avere un po’ di potere in parrocchia, non si tratta delle elezioni presidenziali americane! Credo che non ci sia niente di peggio che immaginare che le cose della parrocchia possano rappresentare uno spazio di potere (chissà che potere!); se ci fosse questa tentazione indicherebbe davvero una terribile meschinità di vedute e di interpretazione della vita ecclesiale.
Eleggere il Consiglio Pastorale significa avere piena fiducia nella presenza dello Spirito del Risorto nella Chiesa intesa come popolo di Dio, con la convinzione che chi viene eletto dalla comunità è chiamato dallo Spirito Santo a offrire un servizio alla presenza cristiana nel nostro territorio e soprattutto nell’oggi. Questo servizio si svolge umilmente, con le proprie capacità di discernimento e di senso pratico, senza che a nessuno venga chiesto più di quanto può o è capace di dare. Quello che conta, lo ripeto, è la dinamica spirituale che si crea, perché questo “stile” indica non solo un modo di fare Chiesa, ma il modo in cui la Chiesa è se stessa, cioè luogo di comunione e di testimonianza del Risorto.
Concretamente, domenica 24 gennaio, verrà consegnata all’ingresso in chiesa prima della messa una scheda per l’elezione. Potranno votare tutti coloro che hanno compiuto dai 16 anni in su, quindi vi prego di richiedere la scheda, nel caso non vi venisse consegnata. Si potranno votare da un minimo di una persona a un massimo di cinque, esclusivamente tra quelle indicate nella lista dei candidati. All’inizio della messa pregheremo con l’Invocazione allo Spirito Santo, come piccolo segno di questo ascolto dello Spirito Santo. Infine, al termine della messa, prima di uscire, si potrà consegnare la propria scheda di elezione. Preferisco, per motivi di praticità e di ordine, che non si consegni la scheda degli eletti in NESSUN altro momento, né prima della celebrazione, né negli altri orari della giornata.
A questo punto non mi resta davvero che chiedervi di cogliere questa opportunità e di partecipare, senza pigrizie o paure. Avete ancora tutta questa settimana per informarvi sui candidati: votate chi preferite, votate chi sentite più adatto a rappresentare la comunità, votate gli amici… ma votate! Vi ringrazio in anticipo per questo impegno e per questa gioia della comunità.

Don Davide