Commemorazione dei fedeli defunti

Celebrare l’Eucaristia per ricordare i risorti.

La Commemorazione dei fedeli defunti ci aiuta a ricordare la comunione che si stabilisce nella celebrazione dell’Eucaristia. È un legame spirituale più grande di quello che si crea fra chi celebra: il memoriale dell’Ultima Cena, infatti, ci porta al sacrificio di Gesù, all’offerta della sua vita per vincere la morte in favore della vita di tutti. 

È un legame, quindi, che si stende come un manto benevolo su tutta la linea del tempo, che va ad abbracciare tutti i defunti con cui entriamo in comunione, perché sono convocati alla stessa tavola, vivi anch’essi, perché già partecipi pienamente del trionfo di Cristo sulla morte. 

Per questo, da sempre, la Chiesa celebra l’Eucaristia in memoria dei defunti. Nelle catacombe romane ci sono rimasti dei simboli commoventi di questa fede: il pane e il vino disegnati sulle tombe dei cristiani dei primi secoli, insieme alla figura di un giovane, effigie del Risorto. 

Per ricordare i propri defunti, quindi, il modo migliore per significato e più corrispondente all’autenticità della fede cristiana è quello di dedicare l’intenzione di una messa alla memoria dei propri cari. È molto più di una tradizione ereditata dai nostri nonni, che i giovani guardano con certo sospetto e distacco. 

Questa pratica esprimere la nostra fede in Gesù e nel mistero pasquale che celebriamo nell’Eucaristia. 

La messa NON si paga, e la richiesta di intenzione in una messa è GRATIS. Grazie a un’antica e devota tradizione, tuttavia, i fedeli colgono normalmente questa occasione per fare un’offerta per la manutenzione della chiesa e per la vita della parrocchia. Essa non è un compenso per la celebrazione della messa, ma si configura come un’occasione per assumersi la responsabilità della nostra chiesa che vogliamo integra e bella e della nostra comunità che vogliamo attiva e viva. 




Celebrare i funerali, onorare i morti

Nella celebre tragedia di Sofocle, Antigone va incontro alla morte perché decide di dare sepoltura al fratello Polinice, contro il parere del re Creonte. In uno dei passaggi Antigone afferma che questa cosa è così buona e giusta che sarà valsa la pena farla e morirne.

La vicenda di Antigone ha un omologo anche nella storia di Tobia, uno dei libri della Bibbia, dove tutta la vicenda narrativa ha inizio proprio dalla decisione di Tobi (il padre di Tobia) di andare a seppellire i morti contro l’editto del re.

In entrambi i casi, i re volevano impedire la sepoltura in spregio all’umanità dei loro nemici, al contrario Antigone e Tobi risultano i grandi difensori della dignità di ogni individuo.

Fin dalle radici della nostra cultura, dunque, è iscritta nell’animo umano la consapevolezza della necessità di dare dignitosa sepoltura ai morti. È un obbligo morale che non dipende nemmeno dalle leggi esteriori; direbbe il grande filosofo Kant che è un imperativo categorico, qualcosa che decide se un atto è umano oppure no.

La scorsa estate sono andato a visitare il sacrario militare dei tedeschi al Passo della Futa. Concettualmente, è una cosa sbalorditiva. Agli inizi degli anni ’60 (quindi ad appena quindici anni dalla guerra) il governo tedesco e quello italiano trovarono un accordo, affinché la Germania potesse dare dignitosa sepoltura a tutti i propri morti in queste terre, e l’Italia, così facendo, esprimesse uno dei più grandi gesti di pace immaginabile, affermando la dignità anche del nemico, con le ferite aperte che la situazione degli ultimi anni di guerra avevano e hanno ancora lasciato.

Io vedo uno dei segnali più evidenti e gravi di declino della nostra cultura (almeno qui in Italia nell’orizzonte che riesco a prendere in considerazione) proprio nella trascuratezza con cui si affronta il tema del saluto a una persona cara defunta, della celebrazione del funerale e della sepoltura dei morti.

Ultimamente, in occasione della celebrazione dei funerali, mi è capitato più volte che qualcuno tirasse dritto sotto il portico passando tra me e il carro funebre, mentre io dicevo le preghiere di accoglienza o di congedo del defunto, disinteressandosi di quello che si stava facendo e in spregio al rispetto per il defunto stesso (e i suoi famigliari).

Il rispetto della morte, evidentemente, vale meno che deviare il proprio tragitto e allungarlo di dieci metri.

Dopo avere pazientato in un paio di occasioni, una volta mi sono permesso di chiedere a una signora di passare dall’altra parte. Questa donna mi ha risposto: “Con calma, eh! Basta dirlo!”. Ma proprio in questa risposta io ravviso il segno della rovina: non ci dovrebbe nemmeno essere il bisogno di dirlo!

Inoltre, sempre più frequentemente, in parrocchia dobbiamo registrare con grande tristezza che i parenti dei defunti non organizzano loro il funerale. Le frasi ricorrenti sono: “Facciamo una cosa veloce…” o “Diamo solo una benedizione in camera mortuaria…”

Accade anche che la parrocchia non sia avvisata nella circostanza della morte di qualche persona che è stata molto vicina alla comunità e che ha amato la chiesa.

In occasione della Commemorazione dei fedeli defunti spero che ci aiutiamo a recuperare il senso della dignità della morte e del rispetto dei defunti, e che possiamo essere un piccolo segno per invertire queste tendenze abominevoli e barbariche. Ci vuole l’impegno di tutti e una luminosa testimonianza della fede nel Signore Risorto!

Don Davide




Il Generale, la Parola e il Messia

Riflessioni in vista del Mandato ai catechisti, educatori e responsabili

Naaman il Siro è il modello di un uomo distante dal culto del Dio d’Israele. Si trova in una situazione di emergenza e decide di affidarsi a Eliseo, che gode della fama di essere grande profeta. Tuttavia, quando Eliseo lo invita a fare il bagno nel Giordano, inizialmente il generale Naaman, abituato a comandare e non a obbedire, è scettico. La sua condizione di estremo bisogno, però, lo costringe ad aprirsi e a fare esperienza delle prodigiose opere di Dio.

L’apostolo Paolo riafferma che “la parola di Dio non è incatenata”. Che essa è testimone della fedeltà con cui Dio ci manifesta il suo amore, libero dagli schemi e da altri contenimenti.

Infine, i lebbrosi samaritani compiono un atto di fede e, mentre vanno dal sacerdote per certificare la loro guarigione fidandosi solo della parola di Gesù che li ha mandati, si ritrovano guariti. Solo uno di loro, però, riconosce in questo l’irrompere del tempo nuovo del Messia, il tempo in cui i lebbrosi sono purificati e guariti e ai poveri è annunciata la buona novella. Nel gesto del lebbroso che torna a ringraziare, non c’è solo una questione di buona educazione, ma la consapevolezza di avere superato uno spartiacque, di vivere un tempo diverso, segnato dalla grazia inequivocabile del Dio che salva.

Potremmo riassumere queste tre letture con tre immagini: il generale divenuto discepolo, la Parola libera ed efficace, il Messia che ci rende grati.

Oggi conferiamo il Mandato da parte della comunità parrocchiale ai catechisti, agli educatori e ai responsabili della nostra parrocchia. È un segno di riconoscimento del servizio che alcune persone hanno accettato e di gratitudine per questa disponibilità.

A loro auguro di potere riconoscere ciò che la liturgia di questa domenica ci propone: il Dio testimoniato nella nostra fede è in grado di piegare la fierezza anche dei generali più lontani e renderli suoi discepoli e testimoni. La Parola di Dio è il nostro tesoro, la nostra risorsa sempre più grande e decisiva, ed è libera: è libera di raggiungere chi vuole, non è bloccata da alcun ostacolo, è in uscita. Noi dobbiamo confidare sempre nella potenza di questa parola: amarla, conoscerla, viverla e testimoniarla. Infine, siamo consapevoli di vivere un tempo speciale: è il tempo del Messia, non è in mano nostra. Come ci chiede il tema dell’anno pastorale di quest’anno, dobbiamo forse abituarci a vedere dov’è che il Messia sta agendo nella nostra pastorale, e dove sta cambiando il nostro tempo e la nostra storia, ma soprattutto i nostri cuori.

Don Davide




Il profumo del pane

Il profumo del pane è profumo di vita: che siano vite vissute nella convivialità, o corpi bruciati dal sole e dalla sofferenza, o vite scavate e offerte, sempre il pane ci rimanda al significato di una vita che viene impastata, lievita e cresce, e – come insegnavano bene i nostri nonni, per i quali buttare il pane era un sacrilegio – non deve essere sprecata.

La mostra delle opere di Matteo Lucca, Daniela Novello ed Ettore Frani (che si apre oggi e della quale vi invito calorosamente all’inaugurazione) mentre ci fa sostare sulla bellezza e l’intensità delle loro creazioni, al contempo è come una solenne apertura alla vita pastorale della nostra comunità.

Vorrei, infatti, che chi visita la mostra si senta spinto a vivere la vita più intensamente sui temi che gli sono consoni: chi l’attenzione alle questioni dell’alimentazione e dei poveri, con l’anelito alla giustizia e alla perequazione delle risorse; la fraternità e l’amicizia; l’apertura ai misteri della fede.

La nostra parrocchia, con il mese di ottobre, riprende a pieno regime tutte le attività, a partire dal catechismo, i gruppi ACR, giovanissimi e giovani, fino a tutto l’articolato tessuto della vita della comunità.

Auspico che l’apertura della mostra sia come un simbolo dello stile che ci proponiamo di vivere: una partecipazione e collaborazione sempre più larga, l’entusiasmo nelle cose e lo stile della condivisione, la volontà di raggiungere tutti in una tensione missionaria che arricchisce anche i credenti e, infine, il desiderio di vivere le cose animati dalla bellezza e con una qualità alta nelle proposte che offriamo.

Don Davide




Amministrare i beni di Dio

La domenica di oggi ci propone la controversa parabola del cosiddetto “amministratore infedele”. A ben vedere, quest’ennesima storia magistrale inventata da Gesù non è complicata come sembra e il suo protagonista è tutt’altro che infedele.

Egli, infatti, viene colto nell’accusa di essere uno che sperpera i beni del suo padrone, molto ricco. A questa sentenza senza appello, segue il suo cambiamento, una vera e propria conversione. Egli si mette (finalmente) a fare davvero l’amministratore, facilitando, rimettendo i debiti, esercitando la benevolenza. Ci si aspetterebbe una dura reazione del ricco datore di lavoro, una causa intentata ai danni del suo ex collaboratore, invece quell’uomo loda il suo amministratore. È come se gli dicesse: “Oh, finalmente ti sei messo a fare l’amministratore come si deve!”.

Noi pensiamo subito a questioni economiche, al profitto e alle regole della giustizia umana, ma a Gesù non interessa nulla di queste cose. Lui vuole dire che per tutti noi, amministrare i suoi beni e non sperperarli significa riflettere la sua benevolenza, rimettere i peccati, perdonare, riconciliare, amare, aiutare, custodire, alleggerire i pesi.

All’inizio di questo anno pastorale, dunque, siamo ammoniti di non sciupare i beni del ricco Signore che è Dio. Essi sono la vita delle persone, le storie di ogni uomo e ogni donna che a lui sono cari, le lotte per il bene, i cammini di conversione, gli sforzi di amare nonostante tutto. Dio non tollera la nostra superficialità pastorale, lo sperpero delle risorse umane e spirituali, la banalizzazione del nostro impegno e la sprovvedutezza delle scelte.

Ma quando accettiamo che il suo richiamo giunga ai nostri orecchi e invece di impermalosirci o ritenere di avere fatto tutto bene lasciamo che ci converta, allora siamo spinti verso le persone che lui ci ha affidate. C’è un popolo numeroso che ha bisogno di cure e di interventi per alleggerire i pesi, sentire l’amore gratuito del Padre e fare esperienza di riconciliazione.

Questo significa essere buoni amministratori della multiforme grazia di Dio: essere al servizio dei beni di Dio, dei suoi tesori, che sono – in fondo – i cuori e le vite delle persone.

Don Davide




Il Centro di Ascolto

L’anno pastorale inizia con una realtà tanto preparata e attesa. Questa settimana, infatti, incomincia il Centro d’ascolto della Caritas parrocchiale.

Si apre così uno spazio per accogliere le persone in maggiore situazione di bisogno, mettendo le condizioni per non rifiutarle e non farle sentire come “qualcuno che dà fastidio”, ma anzi permettendo la conoscenza, poi l’amicizia e, di seguito, di costruire qualche percorso di aiuto significativo.

Il Centro d’ascolto non ha tutte le soluzioni e non eroga soldi – se non dopo un lungo e attento vaglio delle situazioni e dell’opportunità, e comunque solo in maniera finalizzata a una concreta autonomia – tuttavia è il luogo migliore per fare fronte alle tantissime richieste di aiuto che arrivano quotidianamente in parrocchia, ed è un segno squisitamente evangelico della comunità cristiana.

L’ascolto, in moltissime forme, è la più grande urgenza del mondo di oggi, che si consuma nella fretta e nell’autoreferenzialità e non lascia alcuno spazio a un ascolto cordiale, disinteressato e gratuito.

Non a caso, il Centro d’ascolto è la prima cosa richiesta alle parrocchie da parte della Caritas diocesana.

A dispetto delle apparenze, fare partire un Centro d’ascolto è un’impresa titanica. A questo proposito, dobbiamo ringraziare calorosamente i responsabili della Caritas parrocchiale, Antonella Munari e suo marito Paolo Nipoti, insieme a tutti coloro che si sono impegnati per questo obiettivo, con una menzione di merito alla segreteria parrocchiale, che ha svolto tantissimo lavoro.

Un ringraziamento specialissimo unito a un attestato di stima che si consolida sempre di più, va alla San Vincenzo parrocchiale, in modo particolare a Gabriella Falavigna, Nino Salici e sua moglie Fiorella, e tutti i membri collaboratori, che per decenni hanno portato avanti l’ascolto, l’assistenza e l’aiuto a tante persone e famiglie della nostra parrocchia, con lo stile inconfondibile di impegno e responsabilità personale proprio della San Vincenzo.

La San Vincenzo continuerà la sua opera, con il suo carisma specifico, in collaborazione, sostegno e reciproca partecipazione con la Caritas, che sempre di più svolgerà un ruolo di coordinamento delle varie anime caritative della parrocchia, cercando di aumentare la sensibilità di tutti.

A questo proposito, si ricorda che c’è bisogno di tanta collaborazione a vari livelli. Chi voglia dedicare un po’ di tempo, dalle cose più pratiche a quelle meno, può certamente contattare i responsabili.

Siamo orgogliosi – di un orgoglio bello, non vanitoso! – di iniziare l’anno pastorale con questo segno concreto. La nostra parrocchia, si chiama “della Carità” ed è bello pensare che, così, cerchiamo di essere sempre più fedeli alla nostra vocazione comunitaria.

Don Davide




La Croce di San Valentino

Segno di fede e devozione.

La Croce di San Valentino è un segno di fede e di devozione molto speciale, legato alla chiesa santuario di S. Valentino della Grada.

Gesù ci invita a prendere su di noi il suo giogo (Mt 11,28-30) come il Cireneo (Mt 27,32), ma in realtà non siamo noi ad aiutare lui, è lui che sostiene noi. Il giogo, portato così assieme con lui, diventa leggero e noi troviamo sorprendentemente consolazione e riposo. È l’esperienza della grazia.

La Croce di San Valentino è il segno di questa grazia. È una croce con un unico asse verticale, ma due assi orizzontali, a indicare che la nostra croce è unita a quella di Gesù.

È la grazia che ha provato prima di tutto il sacerdote Valentino, nella sofferenza del martirio. Affidandoci alla sua intercessione, siamo sempre aiutati a trovare in Gesù coraggio, consolazione e sollievo.

Signore Gesù,
unisci la mia croce alla tua
affinché anche la mia sofferenza
sia trasfigurata,
come quella di San Valentino,
in un’offerta d’amore a te
per la salvezza del mondo
e per il bene di coloro che amo.

Amen.

Calendario delle Celebrazioni nella Chiesa di S. Valentino

 




I Campi, la Madonna della Grada e la Croce di S. Valentino

Con ancora la gioia e l’entusiasmo nel cuore per i campi estivi appena conclusi dei ragazzi delle medie e delle superiori, e pieni di gratitudine per queste esperienze preziose, in questa settimana celebriamo la Solennità di S. Maria della Grada, venerdì 6 settembre.

Alla Madonna della Grada affidiamo la ripresa dell’anno pastorale.

Al termine delle celebrazioni benediremo anche la Croce di San Valentino, segno di fede e di devozione molto amato dai fedeli che vengono a pregare il santo nell’omonima chiesa santuario.

Vorremmo così collegare il cammino di un popolo con i suoi estremi: da una parte la vitalità dei ragazzi e dei giovani, dall’altra le speranze di tutte le persone che hanno bisogno di affidarsi all’intercessione di San Valentino. In mezzo, il cammino del popolo di Dio per la nostra parrocchia, la Zona Pastorale San Felice e la diocesi intera.

Gesù ci invita a prendere su di noi il suo giogo come il Cireneo, ma in realtà non siamo noi ad aiutare lui, è lui che sostiene noi. Il giogo, portato così assieme con lui, diventa leggero e noi troviamo sorprendentemente consolazione e riposo. È l’esperienza della grazia.

La Croce di San Valentino è il segno di questa grazia. È una croce con un unico asse verticale, ma due assi orizzontali, a indicare che la nostra croce è unita a quella di Gesù.

La grazia di questo sollievo e di questa consolazione è quella che ha provato prima di tutto il sacerdote Valentino, nella sofferenza del martirio. Affidandoci alla sua intercessione, siamo sempre aiutati a trovare in Gesù coraggio, consolazione e sollievo.

Invito pertanto tutti coloro che si sentono protagonisti e responsabili del cammino pastorale delle nostre comunità (parrocchiale, zonale e diocesana) ad essere presenti a questa celebrazione, per affidare alla Madonna della Grada l’anno pastorale e a San Valentino la vita propria e di tutte le persone care.

Don Davide




Il tempo ordinario

La Parola di Dio seminata nelle nostre vite

Il Tempo Ordinario, nella liturgia e nella vita della Chiesa, è quello che non è caratterizzato dalla preparazione o dall’irradiazione dei grandi misteri della vita di Gesù: il Natale, la Pasqua e la Pentecoste.  

Tuttavia, dovremmo considerarlo sempre stra-ordinario, perché è proprio in questo periodo che la Parola di Dio irriga profondamente e anche più efficacemente la nostra vita.  

È come il rapporto tra la semina e la mietitura: il momento in cui si miete e si gode dei frutti è pieno di entusiasmo e di clima festoso, ma cosa sarebbe senza la semina e la lunga gestazione, nascosta e paziente, che ha preparato il raccolto? 

Allo stesso modo, il Tempo Ordinario è il segno della pazienza e dell’umiltà di Dio, che si prende cura di noi irrigando la nostra vita goccia a goccia e curando, nella maniera misteriosa e piena di discrezione che lui solo conosce, la nostra crescita e l’opera dello Spirito in noi. 

Perciò, fino al prossimo Avvento, siamo invitati a metterci in un assetto semplice e feriale di ascolto della Parola di Dio; dobbiamo lasciarla lavorare dentro di noi, perché – come ci garantisce Dio stesso per mezzo del profeta Isaia (vd. Is 55,8-11) – essa realizzi con certezza il motivo per cui ci accompagna ogni giorno.  




“Discepolimissionari” dello Spirito

La solennità di Pentecoste porta a compimento quest’anno intensissimo per la Chiesa di Bologna, che è stato proprio guidato dal desiderio di lasciarci ispirare e condurre dallo Spirito Santo per rendere la nostra Chiesa sempre più conforme alla volontà di Dio. 

Il vescovo ci aveva affidato l’icona della Pentecoste per rispondere alla vocazione di essere chiesa in uscita, chiesa missionaria e anzi, noi tutti discepolimissionari. Per sentire, cioè, di nuovo la responsabilità urgentissima di essere una comunità cristiana vitale e che porti il primo annuncio del Vangelo a tutti.

Accanto ai bimbi della nostra comunità, abbiamo cercato di tradurre questa indicazione nello slogan: “Ci provo gusto!” esprimendo così il desiderio di vivere la nostra fede con passione e in modo piacevole. I momenti belli sono stati tanti e ci proponiamo di continuare ad arricchirci vicendevolmente con l’entusiasmo di tracciare una rotta per i più piccoli. 

Abbiamo vissuto l’inizio delle Zone Pastorali, che compiranno un anno il 1 luglio 2019: compleanno assolutamente da festeggiare! Nella Zona è sorto il desiderio di convocare nuovamente i giovani in un cammino di formazione e di esperienza cristiana a maglie allargate, dopo che quest’anno è stato un anno di transizione, perché i loro educatori “storici” hanno iniziato percorsi di vita nuovi e c’è stato bisogno di pensare e di discernere cosa potesse essere opportuno fare. 

Sono state tante le famiglie giovani che si sono avvicinate alla nostra parrocchia per chiedere il Battesimo e va fatto un vero e proprio monumento al gruppo incaricato per la catechesi battesimale, che hanno saputo interpretare a nome di tutti quello stile di accoglienza e di famigliarità che spesso è la prima interfaccia per chi incontra una comunità cristiana. 

Su questo saremo chiamati a lavorare ancora di più l’anno prossimo, perché il cammino della Chiesa di Bologna si concentrerà sull’Iniziazione Cristiana e su come la Chiesa, attraverso l’annuncio, genera alla fede. 

È un’esperienza che continua: incontriamo tanti adulti che chiedono la Cresima, giovani fidanzati che si appassionano durante gli incontri in preparazione al loro Matrimonio e altre persone che, nonostante tutto, riprendono un cammino di fede. 

È la conferma che siamo chiamati ancora ad ascoltare lo Spirito profondamente, perché l’ispirazione del Signore soffia dove vuole ed è potente, e noi – come discepolimissionari – abbiamo l’onere e l’onore di rendere l’amore del Signore riconoscibile e vicino a tutti. 

Don Davide