Il Triduo e l’incenso

A partire da questa domenica ci prepariamo alle celebrazioni pasquali nella nostra parrocchia. Lo facciamo prendendo spunto dal fatto che nelle letture di questa domenica si comincia a parlare direttamente della Pasqua, prima attraverso il ricordo della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, poi in due immagini di riconciliazione, di cui la storia del figlio prodigo e del Padre misericordioso è una vera e propria resurrezione di quel figlio che era morto ed è tornato in vita.

Non si tratta soltanto di fare una catechesi sui giorni di Pasqua, ma di disporci a vivere le celebrazioni dei giorni santi come sorgente di una spiritualità personale e comunitaria. La liturgia, infatti, è il modello e l’alimento di ogni vita spirituale autenticamente cristiana. È importante riconoscere che tutta la nostra vita cristiana si arricchisce dalla liturgia del Triduo Pasquale e che non è indifferente celebrarla in una chiesa qualunque: la Pasqua, secondo la tradizione ebraica, si celebra in famiglia, perché i grandi possano aiutare i piccoli a comprenderne il vero significato. Lo stesso si può dire della parrocchia: nei limiti del possibile la Pasqua si celebra in parrocchia, con la propria comunità, con cui si condividono ideali, una storia e una ricerca di significato.

Che cosa significa questo rito? Questa è la domanda che dovrebbe sorgere dalla bocca del più giovane, e pronta dovrebbe essere la risposta dei più anziani: eravamo stranieri nel paese di Egitto… Ossia: la Pasqua ci riguarda, non parla della vita degli israeliti in Egitto, o dei primi cristiani al tempo di Gesù, la Pasqua parla di noi, di me e di te e della Chiesa.

È fondamentale, perciò, sapere che il Triduo Pasquale non è la ripetizione di un rito sempre uguale: ma ci sono delle scelte che facciamo come parrocchia, delle sottolineature che devono permetterci di cogliere la ricchezza dei segni che si celebrano, per essere poi trasportata nella vita.

Da domenica prossima vorrei dunque parlare dei tre segni per eccellenza della presenza di Gesù nel Triduo Pasquale:

1. Gli olii, l’altare e l‘eucaristia (giovedì santo)
2. la Croce (venerdì’ santo)
3. Il Cero Pasquale (sabato santo)

Questi tre segni scandiscono il ritmo delle celebrazioni dei tre giorni e ci richiamano al senso di quello che stiamo celebrando e al modo – se possiamo dire così – della presenza di Gesù in mezzo a noi. Questi tre segni sono anche gli unici che verranno incensati durante le celebrazioni, in modo che la solennità dell’incenso riservata a questi momenti, tra tutti quelli che la liturgia pasquale potrebbe prevedere, ci aiuti a focalizzarne subito l’importanza. Quando vedremo l’incenso, invece di pensare al pretesto di un’inutile sontuosità, la sobria solennità dell’incensazione dovrà risvegliarci l’attenzione e farci ricordare che quel segno è il simbolo riassuntivo e denso di significato delle celebrazioni che stiamo facendo. Così, a Dio non salirà solo la nostra preghiera, ma anche la nostra attenzione e da lui scenderà una forza che risanerà il nostro cuore e ci farà compiere tutti i passaggi necessari per vivere.

(continua domenica prossima)

Don Davide




La Festa dell’Incontro

Se c’è una possibilità buona per il nostro mondo è quella di incontrarci amichevolmente, almeno tra quelle persone che – pur essendo diverse per qualsiasi motivo – hanno i presupposti della fiducia per avvicinarsi, condividere e diventare persone che si appartengono.

Ci saranno tante altre frontiere di vicinanza da attraversare, forse persino più importanti, come ad esempio quando la fiducia e il rispetto sono da costruire quasi da zero, ma sarà impossibile farlo se non incominciamo dal primo passo possibile: quello, cioè, di avvicinarci a coloro con cui c’è già un piccolo rapporto.

Nel suo piccolo, sono le premesse di un mondo nuovo. Il mondo che non erige muri, ma ponti e che dalla divisione di Babele costruisce la comunione della Gerusalemme celeste.

È questo l’intento che si prefigge papa Francesco, invitando tutte le parrocchie a organizzare una giornata di festa con le persone che si aiutano e con cui si entra in relazione nel territorio.

Festa dell'incontro

Noi l’abbiamo chiamata “La Festa dell’Incontro”, una giornata da trascorrere insieme a tutte le persone e le famiglie con cui entriamo in contatto e che aiutiamo come parrocchia, attraverso la San Vincenzo e la Caritas, o che incontriamo nelle nostre strade, davanti ai supermercati, o per rapporti di amicizia personali.

Vogliamo diventare amici, conoscerci meglio, condividere le nostre povertà e scambiarci le nostre ricchezze.

Per questo abbiamo fatto una veglia per meditare sulle povertà che ci caratterizzano tutti: povertà di cultura, povertà di relazioni e povertà di affetti. Per lo stesso motivo invitiamo a una messa particolarmente curata, in questa domenica, le famiglie cristiane e poi trascorriamo qualche ora conviviale insieme.

Oltre la messa e il pranzo offerto agli ospiti, l’appuntamento per tutti è domenica 24 marzo, alle ore 14.30 nel cortile della parrocchia, per mangiare un dolce e prendere il caffè insieme, e poi per intrattenerci con un gioco molto divertente fin verso le 16.00.

Con questa giornata si conclude l’itinerario della nostra comunità pensato per iniziare la Quaresima con il piede giusto, fatto degli Esercizi Spirituali, dell’Assemblea di Zona e di questo giorno di festa.
Come segno esteso di questa amicizia dilatata, essendo oggi anche la Giornata di solidarietà diocesana con la Chiesa di Iringa, tutte le raccolte delle messe saranno devolute per la costruzione della chiesa di Mapanda, in Tanzania, dove c’è la missione fidei donum della Chiesa di Bologna.

Da domenica prossima vorrei invece proporre qualche riflessione e indicazione per orientarci nelle celebrazioni del Triduo Pasquale, per leggere le scelte celebrative che vorremmo fare e così vivere consapevolmente e con grande intensità spirituale il momento più importante della nostra esistenza cristiana.

Don Davide




L’Assemblea di Zona

Zona PastoraleGesù sa che a lui e ai discepoli spetta un lungo cammino per poter sperimentare la Pasqua, perciò – attratto dall’amore del Padre – sale sul monte, per essere il più possibile in sintonia con lui. La trasfigurazione è un regalo di Dio, un anticipo della resurrezione offerto ai discepoli, perché siano istruiti su quale sia il traguardo e si sentano incoraggiati nella fede.

Mi piacerebbe che potessimo pensare alla prima Assemblea di Zona, che si terrà questa Domenica pomeriggio (17 marzo, ore 16, presso la Parrocchia S. Caterina di Saragozza) come a una piccola esperienza di trasfigurazione “pastorale”.

È l’amore del Padre che ci chiama a metterci in ascolto della voce dello Spirito Santo e gli uni gli altri, perché vuole che la Chiesa viva del contributo di tutti. In questo momento di partecipazione condivisa, preparato fra le varie parrocchie con semplicità, ma soprattutto con tanta amicizia ed entusiasmo, abbiamo un piccolo anticipo di cosa sarà – e dovrà essere – la Chiesa del futuro. Siamo certamente anche istruiti su quale sia la meta del nostro cammino: quella comunione che permetta di trovare un modo adeguato di vivere la fede anche per gli anni a venire e così di essere più autentici testimoni del Risorto.

Nell’invitare alla partecipazione, quindi, mi rivolgo soprattutto ai giovani. Ciò che è in gioco, a partire dall’Assemblea di Zona, non è qualcosa che riguardi solo i prossimi cinque anni, tale da fare pensare che interessi quella popolazione anziana che ormai costituisce quasi esclusivamente la presenza ecclesiale. In realtà, qui si iniziano a porre le basi e le premesse della Chiesa del futuro, dell’assetto delle parrocchie, del territorio ecclesiale e della pastorale per i prossimi venti/trent’anni, forse anche di più. Qui c’è in gioco la Chiesa che voi ragazzi e giovani di oggi, abiterete da adulti protagonisti, forse da genitori; in ogni caso sarà la vostra Chiesa.

Bisogna essere consapevoli di questo: se ci sarete voi, giovani, nella Chiesa del futuro, la Chiesa esisterà. Altrimenti potrebbe anche scomparire.

Dall’Assemblea di Zona di questa domenica, idealmente tracciamo un ponte verso l’appuntamento della Festa dell’Incontro di domenica prossima: l’occasione di stare insieme in amicizia e condivisione con le persone e le famiglie che come parrocchia aiutiamo stabilmente, attraverso la preziosissima opera della San Vincenzo e della Caritas.

Anche in questo capiamo il significato della trasfigurazione: un momento di rivelazione in cui la Chiesa appare per quello che è: il corpo di Cristo, al quale partecipano tutti, senza esclusi.

In questo itinerario quaresimale, che condividiamo con la nostra comunità parrocchiale e con le altre parrocchie, il Signore ci guida, ci purifica e ci istruisce perché ogni nostro passo sia un avvicinarci ad aprire il cuore alla resurrezione di Gesù e ad esserne autentici testimoni con il nostro Battesimo.

Don Davide




A colpi di fioretto

Nella riflessione di domenica scorsa ho indicato come via privilegiata per vivere spiritualmente l’itinerario quaresimale il fatto di dare rilievo e partecipare ai tre importanti appuntamenti comunitari che ci aspettano: gli Esercizi spirituali parrocchiali (1); l’Assemblea di Zona pastorale (2); la Festa dell’Incontro (3).

So bene, però, che la nostra educazione religiosa non ci fa sentire “bene” se non facciamo almeno un “fioretto”.

Vorrei provare, allora, a indicare quali caratteristiche deve avere un “buon” fioretto, per essere proficuo per la nostra vita cristiana e per sfuggire alla presunzione di essere giusti davanti a Dio (cfr Lc 18,9).

Mani che porgono una candelaPer prima cosa, dunque, un fioretto non deve essere una cosa che ci mette nell’atteggiamento di conquistare la giustizia o di meritare il premio. Bisogna sempre guardarsi dagli atti di superbia davanti a Dio, che sono la cosa più pericolosa per un cammino spirituale. Al contrario, un “buon” fioretto dovrebbe essere un impegno che ci aiuta a fare spazio all’azione e alla grazia di Dio. Un’operazione di sgombero e non di riempimento. In quest’ottica, il silenzio, la rinuncia a qualcosa che ci distrae, il sacrificio del tempo per una cosa più importante possono essere attenzioni ben calibrate.

Il fioretto, poi, è indubbiamente una mortificazione e non dobbiamo edulcorare questa parola, come se fosse un principio dei secoli bui. La mortificazione – come trattare il proprio corpo duramente in allenamento – è un metodo indispensabile per allenare la nostra volontà. Perciò rinunciare alla cioccolata, alla Coca-Cola, al caffè, al vino, alla Play-station può essere certamente un piccolo esercizio di mortificazione. Ci possono essere anche attenzioni più importanti e significative: mortificare un interesse o una curiosità, evitare una spesa; rinunciare a qualcosa per fare qualcosa di migliore… Il punto è non vivere queste cose come un atto eroico, ma come un esercizio per essere più pronti a vivere con attenzione la dimensioni spirituali della Quaresima.

Infine, un buon fioretto deve essere orientato alla conversione. In realtà non è molto utile se io sono goloso, fare il fioretto di non mangiare dolci, se prevedo che alla fine della Quaresima mi ingozzerò di pasticcini. Molto più utile è pensare qualcosa che educa piano piano i nostri atteggiamenti. L’insegnamento dei grandi maestri della vita spirituale ci dicono che la correzione dei propri vizi è un lavoro faticosissimo, che va preso con tutta la serietà del caso. Spesso è impossibile senza la grazia, nonostante ciò è prezioso per l’obiettivo che si pone: la lotta spirituale, il fuggire il male con orrore (cfr Rm 12,9), il non lasciare andare se stessi.

Il vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che si scontra con le tentazioni di Satana. Anche lui si misura nella lotta spirituale, ci dà l’esempio di come si fronteggia il male ed è il nostro modello di umanità. Forse, Gesù non aveva bisogno di allenarsi con i fioretti, però sappiamo che digiunò quaranta giorni… Altro che fioretto! Teniamo fisso lo sguardo su di lui per vivere con la stessa intensità e lo stesso impegno il nostro cammino di apertura alla grazia.

 Don Davide




Quaresima 2019

Tempo favorevole per l’incontro con Dio 

Con la liturgia dell’imposizione delle ceneri comincia il tempo forte di Quaresima, tempo liturgico qualificato come “momento favorevole” e “giorno della salvezza” (2Cor 6,2), cioè tempo appropriato per vivere la riconciliazione con Dio e con i fratelli, tempo in cui fare esperienza della gratuità della salvezza di Dio verso di noi, e tempo in cui essere strumenti di salvezza per gli altri.

Il colore liturgico che accompagna i quaranta giorni penitenziali della Quaresima è il viola, colore che esprime la penitenza, l’attesa e la speranza, la preparazione alla piena manifestazione della luce che esploderà la notte di Pasqua con il cambio in bianco dei paramenti liturgici. 

Albero di ulivo e rocceIl percorso quaresimale è segnato da due movimenti apparentemente opposti, ma in realtà convergenti nell’obiettivo. Il primo è il movimento di ritorno dell’uomo a Dio, e il secondo è il rivolgersi di Dio all’uomo. 

Le opere che il Vangelo e la tradizione della Chiesa ci suggeriscono, gli impegni quaresimali che esprimono la nostra conversione, l’elemosina, la preghiera, il digiuno, sono la nostra risposta a questa iniziativa redentiva partita da Dio: risposta che non va sbandierata, che non deve essere per noi motivo di autocompiacimento, proprio perché non ha la sua origine in noi, ma in questo atto di misericordia gratuita e infinita con il quale il Signore ci ha amati nel dono del Suo Figlio. Esercitare la carità, coltivare la comunione con il Padre nell’orazione, esercitarsi nelle rinunce ai beni relativi di questo mondo, sono esigenze che devono nascere da un cuore che ha preso coscienza di quanto folle sia stato il nostro dare le spalle a Dio con il nostro peccato, noi che siamo solo polvere e cenere; devono essere atteggiamenti di conversione che ci restituiscano all’abbraccio del Padre, che abita nel segreto, nell’intimo della nostra coscienza, e non cessa di invitarci a tornare a Lui, specialmente nel “tempo favorevole” della Quaresima, che oggi si apre. 

Don Davide




Dietro al gusto c’è una storia

LA QUARESIMA

Al contrario di quello che si potrebbe pensare, la Quaresima è un itinerario “saporito”. Non un percorso in cui il digiuno e la penitenza ci farebbero perdere il gusto delle cose, ma l’occasione di riapprezzarne il vero sapore, diventando consapevoli che dietro ad ogni buon gusto c’è una storia.

Dietro alla vittoria di un atleta olimpico ci sono quattro anni di allenamenti intensi. Dietro al traguardo di una laurea ci sono tanti esami e tanto studio. Dietro al piatto più buono che abbiamo mai mangiato, c’è un’attenta selezione di sapori e una lunga preparazione.

Iniziamo il cammino spirituale della Quaresima con il desiderio di preparare il gusto della Pasqua e quindi anche di disporci ad assaporarlo. Per apprezzare i sapori, lo sappiamo, bisogna purificare quelli che potrebbero corromperli, lavare ciò che è venuto prima. Così è la Quaresima: non un tempo per intristirci con cose insipide e amare; ma un modo di rendere più sensibile il nostro appetito spirituale.

AL FIANCO DEL PERCORSO DEI BIMBI

Lo facciamo, innanzitutto, affiancandoci ai bimbi del catechismo, che scandiranno le cinque domeniche che precedono la Domenica delle Palme, con altrettante tappe che li aiuteranno (e ci aiuteranno) ad apprezzare il gusto del pane, ma soprattutto il suo significato, cioè il grande dono eucaristico di Gesù nel Giovedì Santo e nella Pasqua. Queste cinque tappe sono: 1) Seminato; 2) Maturato; 3) Raccolto; 4) Macinato; 5) Impastato.

Sembra un percorso per bambini, ma in realtà riprende esplicitamente la prima riflessione eucaristica della grande tradizione della Chiesa, in un testo datato I-II secolo d.C. dal titolo Didaché, dove l’autore riflette sulle analogie tra il processo del pane e l’itinerario spirituale dei credenti che celebrano l’eucaristia.

L’IMPEGNO DEGLI ADULTI

Oltre a questo, il percorso della Quaresima per la nostra comunità è ricco di momenti importantissimi. Mi permetto di suggerire, perciò, un atteggiamento di conversione anche per gli adulti per vivere proficuamente questo tempo speciale, senza dimenticare un impegno penitenziale concreto, ma privilegiando il cammino comunitario che lo sostiene e gli dà significato.

Domenica prossima vorrei proporvi una riflessione su quali caratteristiche debba avere il classico “fioretto” per essere significativo. Oggi, invece, voglio indicarvi le tre tappe da privilegiare per vivere la Quaresima come vero itinerario spirituale, di conversione ed ecclesiale.

  1. Gli Esercizi spirituali parrocchiali

Subito dopo il Mercoledì delle Ceneri, la parrocchia ha organizzato tre giorni di preghiera, di meditazione e di adorazione eucaristica, che si sovrappongono alle tradizionali “40ore” col desiderio di reinterpretare questo appuntamento. Suggerisco di individuare almeno un momento a cui partecipare, tra tutti quelli proposti. Sono gli “esercizi spirituali parrocchiali” e l’obiettivo è di accordarsi su una nota spirituale condivisa, all’inizio della Quaresima.

  1. La prima Assemblea di Zona pastorale

Domenica 17 marzo avremo la Prima assemblea plenaria della nostra Zona Pastorale San Felice. È il momento che segna l’inizio concreto della conversione pastorale che siamo chiamati a vivere e, sicuramente, partecipare vale più di tutti gli impegni di conversione che possiamo immaginare di prenderci. In questo caso faccio anche un auspicio: mi piacerebbe che ci fossimo tutti, nessuno escluso. Celebrazioni solenni a parte è l’appuntamento più importante dell’anno.

  1. La Festa dell’Incontro

Seguendo l’invito che papa Francesco ha rivolto alla chiesa universale, anche la nostra parrocchia vuole fare una festa per incontrare tutte le persone con cui abbiamo stretto legami di amicizia e di conoscenza nelle attività della Caritas, della San Vincenzo e del VAI, o anche semplicemente le persone che vengono a chiedere aiuto.

La festa sarà domenica 24 marzo, preceduta da un momento di preghiera guidato dai giovanissimi mercoledì 20 marzo.

Nelle prossime settimane illustreremo meglio il significato e le modalità della festa, ma intanto suggerisco di tenere bene a mente che essere sensibili a questo appuntamento, partecipando e condividendone l’intenzione, è un modo molto adatto e coerente di vivere la carità che la Quaresima prescrive.

Don Davide




Due tesori

Benedire

Veniamo dalle celebrazioni di S. Valentino – nella settimana appena conclusa – che sono state un’occasione particolarmente ricca di incontri e di preghiera. Mi ha fatto riflettere la risposta sentita e molto partecipata alle varie celebrazioni, secondo le intenzioni di preghiera. In fondo – pensavo all’inizio – è “solo” un ricordo, una preghiera, una benedizione.

Poi la partecipazione accorata, piena di fede e di affidamento in questi momenti, mi ha fatto riscoprire e mi ha convinto una volta di più che la benedizione e la preghiera di intercessione sono dei gesti potentissimi, perché significano riconoscere la parola buona di Dio sulla vita di ognuno. Benedire significa affermare con piena convinzione davanti a ciascuno che la sua esistenza è una realtà sommamente buona, prima di tutto agli occhi di Dio, poi anche per i fratelli e sorelle che accettano di fare parte di questa benedizione e intercessione. Solo a partire da questa considerazione dell’esistenza di ciascuno, voluta e amata da Dio, anche la vita concreta potrà edificarsi nel bene e, eventualmente, correggersi.

È una verità non scontata, che abbiamo bisogno di recuperare e di sentire confermata anche in una dimensione ecclesiale.

Benedire significa ripristinare un punto di partenza essenziale, quell’origine da cui sola può scaturire la conversione e ogni cammino spirituale: la certezza che la nostra vita è nel grembo fecondo dell’amore di Dio. Quanti uomini e donne, in questa settimana, hanno avuto bisogno di affidarsi a questa certezza! E che bello che sentissero il bisogno che fosse proprio la preghiera della Chiesa a dichiararlo!

Forse dovremmo riscoprire pastoralmente il tesoro di questa autorevolezza della Chiesa, che si può fare dono per chi ha più bisogno: per tutti i “beati” del Vangelo di oggi, che si riconoscono bisognosi e si affidano a Dio. Da qui potrà scaturire la catechesi, che corregge le forme più superstiziose, o la proposta di qualche cammino ecclesiale, per mettersi al servizio, ma non si può prescindere dal considerare una ricchezza l’atto di fede schietto con cui un fedele si accosta a Dio, per chiedere un’intercessione, per sentirsi benedetto.

La Parola di Dio

A partire da questo primo tesoro, oggi – questa domenica – viviamo la seconda tappa del Cammino pastorale dell’anno chiestoci dal vescovo: un momento di ascolto della Parola di Dio condiviso, in cui l’obiettivo primo è quello di generare la comunione e illuminare i nostri pensieri in forma ecclesiale. Dalla frequentazione della Parola di Dio, che speriamo sempre più abituale, scaturirà un sentire comune, un pensare in sintonia e il discernimento pastorale.

Il tema di oggi è: “L’ascolto della parola genera la conversione”, a partire dal primo annuncio del Vangelo che ha varcato i confini di Israele; quel magnifico primo semino, cioè, che ha segnato l’inizio della missione della Chiesa a tutti i popoli, la scintilla di quel processo che vede oggi la buona notizia diffusa nel mondo intero.

In questo, personalmente, mi sento in profonda sintonia con la sensibilità del vescovo, e spero che possiamo esserlo tutti. E cioè, che solo l’ascolto della Parola di Dio condiviso in modo semplice, ma pieno di fede, ci aiuterà ad uscire dai nostri modelli e dai nostri pensieri e progetti pastorali triti e ritriti, e ci aiuterà a convertirci personalmente e a discernere le forme e i modi della pastorale che lo Spirito ci chiama ad attuare, affinché anche oggi e per mezzo nostro possa essere accesa quella scintilla che fa arrivare il Vangelo proprio a tutti.

Non mancate!

Don Davide




San Valentino

Una festa non solo degli innamorati… 

La presenza delle reliquie di S. Valentino, sacerdote romano e martire del III secolo, nella piccola e suggestiva chiesa “alla Grada” a lui dedicata è ricca di significati. 

Tradizionalmente, la devozione a S. Valentino è legata soprattutto alla preghiera e alla cura degli ammalati. 

Ovviamente, celebrandosi la memoria liturgica il 14 febbraio, la devozione a S. Valentino è legata anche alla popolare festa degli innamorati 

Per il terzo anno, il vescovo ha chiesto di fare una grande convocazione di tutti gli innamorati, per ringraziare e gioire insieme di questa esperienza fondamentale della vita, che è anche rivelativa: “Chi ama ha conosciuto Dio”, dice la Prima lettera di S. Giovanni, apostolo. È un momento decisamente festoso, a cui sono invitati, secondo il desiderio del vescovo, letteralmente tutti coloro che vogliono celebrare l’amore. 

Quest’anno, però, le celebrazioni vogliono porre un’attenzione anche sulle altre dimensioni che riguardano l’amore, affinché nessuno si senta trascurato e non pensiamo – con una fastidiosa retorica – solo alle cose zuccherose. 

Per questo motivo, le tre giornate che precedono la festa di S. Valentino, saranno dedicate ad altrettante attenzioni particolari. 

Nella prima, lunedì 11, vogliamo invitare i single, che magari sono dispiaciuti per non avere una persona da amare e da cui essere amati. Dietro a queste situazioni ci sono spesso storie di delusioni o sofferenze, e qualche sfiducia. Vorremmo pregare per loro, dar loro coraggio, e passare anche una bella serata a cena in un buon ristorante. 

Nella seconda, martedì 12, invitiamo tutti i fidanzati, specialmente quelli che si sposano nell’anno 2019, e le coppie di sposi, in modo particolare chi desidera celebrare il proprio anniversario di matrimonio. 

Nella terza, mercoledì 13, invitiamo tutti coloro che hanno vissuto il divorzio o la separazione, e tutte quelle coppie che vivono un momento di difficoltà: può essere una crisi di coppia, una preoccupazione legata ai figli, un problema dato dalla malattia. 

Confidiamo che non solo le persone particolarmente invitate in queste occasioni siano presenti, ma in qualche momento anche gli altri, proprio per esprimere la vicinanza, la preghiera insieme e quella comunione che edifica la comunità cristiana e consola.




Chi ama conosce Dio (1Gv 4,7)

Che l’amore è tutto / È tutto quello che sappiamo sull’amore.

Così recita uno dei versi più famosi di Emily Dickinson. Nella semplicità quasi ovvia di questa affermazione, la grande poetessa coglie l’essenza dell’amore: la sua forza totalizzante e le sue dimensioni misteriose; il fascino dell’esperienza amorosa che ci rapisce e la sua complessità; il duello di luci e ombre inspiegabili, che ci può procurare tantissima gioia tantissima sofferenza.
Andando dietro a questa intuizione, il nostro vescovo Matteo, tre anni fa, ha voluto che si celebrasse in occasione di S. Valentino e nella piccola chiesa a lui dedicata qui nella nostra parrocchia, la Festa degli Innamorati, per condividere la bellezza dell’amore e ricordarci che sta al centro anche della vita di fede: “Chi ama conosce Dio” (1Gv 4,7).
Amare è la strada per vivere.
Amare è la via per diventare santi.
In questa consapevolezza, siamo in compagnia con la grande tradizione della Chiesa. Tutti i più importanti documenti della Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi (e anche prima!) lo affermano e lo ribadiscono: dalla Lumen Gentium alla Gaudete et Exultate di papa Francesco, passando per il magistero di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Quest’anno, però, abbiamo voluto ricordarci anche di tutte quelle situazioni di chiaroscuro, per stare vicini a chi vive o ha vissuto l’amore non solo in quel clima tutto zucchero e fiorellini a cui, magari, la festa laica di San Valentino vorrebbe farci pensare. Vorremmo farlo, però, in clima di comunione e di condivisione. Così, anche se abbiamo dedicato delle giornate con intenzione particolare, l’idea è che chi è sereno preghi per e sostenga chi non lo è; chi è affaticato, possa uscire da se stesso e rallegrarsi con chi invece, in questo momento è particolarmente felice.
Gli uni per gli altri, a sostenersi, camminando insieme e senza dimenticare nessuno: questa vorrebbe essere l’intenzione della festa e di questa intensa settimana che ci apprestiamo a celebrare.

Amore Fusionale

Amore fusionale: scultura di Giulietta Gheller

Per arricchire la riflessione e il clima festoso, sarà presente nella chiesa grande (per ragioni di spazio) un’esposizione di quattro complessi di sculture che hanno come soggetto l’amore, grazie alla collaborazione dell’artista Giulietta Gheller, che – a partire dall’utilizzo di materiali naturali – ha riflettuto sul tema delle metamorfosi, ossia della trasformazione che l’amore è in grado di operare. La mostra si intitola Amar perdona, citando il celeberrimo verso di Dante, che evoca la forza invincibile dell’amore, ma che – nella sua ambivalente potenzialità di significato – richiama la capacità dell’amore di riconciliare, costruire vicinanza e comunione. Le sculture ci accolgono nella navata della chiesa, quasi per coinvolgerci nello sguardo di amore che si sviluppa tra loro e riempire lo spazio sacro di questo richiamo all’amore umano e divino allo stesso tempo.
La solennità di San Valentino, però, nella nostra parrocchia è anche e soprattutto caratterizzata da una preghiera speciale e per gli ammalati e dalla benedizione per la loro guarigione, legata al culto delle reliquie presenti in chiesa. Quest’anno, poi, anche la memoria di S. Bernadette e della Beata Vergine di Lourdes rientrano nell’ambito della festa, così che celebreremo lun. 11 la messa con il Sacramento dell’Unzione degli Infermi (in S. Maria, ore 16) e gio. 14 le messe di S. Valentino con la speciale benedizione per gli ammalati (in S. Valentino).
Un programma ricco e intenso per la nostra comunità, che spero veda una grande partecipazione, caratterizzata soprattutto da questa attenzione: di pregare gli uni per gli altri. Non solo, quindi, di vivere i momenti a noi dedicati o che sentiamo più consoni, in base alla situazione che stiamo vivendo, ma di condividere anche gli altri con la nostra partecipazione e, laddove non sia possibile essere sempre presenti, comunque con la nostra vicinanza, amicizia, stima e intercessione.

Don Davide




Cana di Galilea

Particolare delle Nozze di Cana di Giotto

Particolare delle Nozze di Cana di Giotto

Le domeniche del Tempo Ordinario riprendono da Cana di Galilea: una festa di nozze. Quando due amici si sposano, sappiamo che giunge al termine una fase della loro vita, ma contestualmente ne inizia un’altra, più bella e preziosa.

Nella nostra zona pastorale abbiamo dato l’annuncio della prima assemblea di zona il giorno dell’Epifania. Ora ci incamminiamo verso quell’appuntamento, che sarà il 17/03, prendendo lo spunto simbolico delle nozze di Cana.

C’è un tempo che si chiude, una fase della vita pastorale della Chiesa che cambia. È stato un periodo bello, caratterizzato da un vero e proprio “innamoramento” quando in ogni parrocchia ci potevano essere uno o due preti, parroco e cappellano, e tutta la loro vita era un bellissimo intrecciarsi di relazioni e di dedizione con la gente di quella comunità. Un ministero ben definito, un ruolo chiaro tanto ai preti quanto alle persone e gli incarichi unificati in quel tipo di servizio.

È stata un fase bella, niente da dire, ma adesso bisognerà cambiare, come una coppia di fidanzati amorevoli deve comunque cambiare passo una volta celebrato il suo matrimonio.

Mi ha sempre dato grande speranza l’immagine dell’acqua cambiata in vino alle nozze di Cana, questo simbolo che il meglio deve ancora venire, che il gusto migliore e più pregiato ci sta davanti e non alle spalle. Voglio pensare che l’esperienza delle zone pastorali sia così. Ci spero e sono fiducioso.

Ci sarà bisogno di riconoscere insieme come si configura il ministero, quando vissuto da più preti alla pari su uno stesso territorio e quando sia molto più esposto su tanti e diversi fronti. Ci sarà bisogno di scoprire come si può gioire della presenza dei gruppi giovanili in parrocchia quando non saranno più i “tuoi” o i “nostri” giovani, se non in senso molto più ampio. Ci sarà bisogno di sviluppare quella sensibilità che permette di percepire la comunione nella liturgia, nei progetti comuni, anche quando le cose non potranno essere fatte tutte e tutti insieme come accadeva in una normale parrocchia a guida unitaria.

Sarà fondamentale, in tutto questo processo, riconoscere non solo che Gesù ci dona un vino sorprendentemente migliore, ma che dobbiamo metterlo in un decanter adeguato (se è rosso), o in un cestello col ghiaccio (se è bianco) per valorizzarlo al meglio, perché non basta il vino buono e nuovo, ma il vino nuovo va messo in otri nuovi. Se invece noi lo volessimo appiccicare a schemi vecchi, dice Gesù, romperemmo gli otri e perderemmo il vino.

Il vangelo delle nozze di Cana conclude ricordando che quello fu il primo miracolo di Gesù. Chissà che anche per noi, quello delle future zone pastorali, non sia il primo miracolo che lo Spirito Santo e Gesù compiono per una Chiesa rinnovata e verso una nuova comunione?

Don Davide