Germoglio di luce

Guardo al meraviglioso trittico sull’Eucaristia di Ettore Frani e penso al buio e alla lucealla cecità e a quale forma abbia la luce, che ci permette di vedere. 

È un’opera che ho fortemente voluto nella nostra chiesa, e in questi giorni l’ho contemplata molto: il calice e il pane sembrano anch’essi solitari, offerti su una tavola dove c’è solo la tovaglia, una mensa non imbandita, in attesa che a qualcuno sia lecito avvicinarsi, voglia prenderli e possa riceverli. Sono circondati di buio, eppure su di loro c’è una luce: li definisce, rischiara la solitudine e ne interrompe la forza. Questa luce, che viene dall’alto, offre al calice e al pane una promessa per l’avvenire. 

Al centro questo sipario di luce, ormai amico, che ci invita a salire e ad entrare. Salire, nella Bibbia, è il segno della fine dell’esilio. Entrare è il gesto dei cercatori di Dio. Si sale a Gerusalemme e si entra nel Tempio.  

Che cosa ci chiede il Signore in questi giorni? 

Che cosa vuole dire che apre i nostri occhi? 

Leggendo il vangelo di questa domenica, il racconto del cieco guarito (Gv 9), troviamo subito la domanda che tenta tutti, persino i discepoli di Gesù: chi ha peccato perché lui si trovi nel buio? 

Ascolto, innanzitutto, la dichiarazione forte del Signore che le cose non stanno così: né lui, né nessun altro; bisogna invece guardare a Dio che compirà la sua opera. Una cosa molto importante da ascoltare in questi giorni, in cui – anche se siamo nel 2020, anche se papa Francesco ci invita a parlare della misericordia – si trova ancora qualcuno che dice che l’epidemia potrebbe essere interpretata come il giudizio di Dio sulla storia, come se il fatto che alcune opere degli esseri umani appaiono in qualche caso perverse, dovesse indurre anche Dio ad essere malvagio. Non è così. 

Gesù in persona ci dice che non è così. 

Io sono quel cieco. Io ho bisogno di vedere. Ma so che le cose non stanno nel segno di una maledizione. Io devo vedere la luce che si apre la strada, che sfavilla in mezzo al buio; questa luce viene sempre dall’alto, è la luce di Dio: questa è la verità. Non la maledizione, ma c’è una luce che Dio manda nel buio come benedizione: questa è la cosa che fa Dio e questa io devo ricercare.  

Nel capolavoro di Michael Ende La Storia Infinita, c’è una scena meravigliosa, quando il Nulla sembra avere prevalso su tutto. Rimane solo la relazione di amicizia tra i due protagonisti, Fiordiluna – la Regina dei Desideri – e Bastian. Essi sono come sospesi, senza spazio né tempo. “Dove siamo Fiordiluna?” domanda Bastian. E la regina risponde: “Io sono con te, tu con me”. Nel buio più completo, Fiordiluna tiene in mano un germoglio di luce. “Vorrei tanto rivedere il tuo volto” dice Bastian. Da questo desiderio il germoglio di luce si accende, illumina i due protagonisti, che si scoprono vicinissimi, e inizia a creare il nuovo regno di Fantàsia. 

Entrambe queste cose servono per ri-vedere: l’ascolto – anche nel buio – e il desiderio di vedere un volto.  

Il cieco nato, ormai guarito, si trova di fronte a Gesù, il suo taumaturgo, eppure non lo riconosce per chi veramente è. Chi è il Messia, perché io possa credere in lui?” domanda. E Gesù: “Sono io che parlo con te”.  

Abbiamo desiderio di vedere il volto di Dio e di vedere la sua opera che ricrea il mondo, un mondo meraviglioso e lussureggiante, più bello e più sano di quello precedente. Lo ascoltiamo anche nel buio, anche senza vederlo, nella fede. Sappiamo che lui è con noi, e noi insieme a lui.  

Lo stesso, vale, per ogni nostro fratello e sorella: l’ascolto, la relazione che ci fa scoprire vicinissimi e il desiderio di rivedere il volto. 

E il germoglio della luce divina darà origine a un mondo rinnovato. 

Don Davide 




Al pozzo

Una favola per tempi difficili

Non si andava al pozzo a quell’ora, per l’arsura di mezzogiorno. Ma lui, sfidando il caldo, si era diretto verso quel centro, come mosso da un richiamo invisibile, come se avesse il presagio di dovere incontrare qualcuno.
Aveva sete. Non aveva preso con sé la borraccia e adesso le sue forze stentavano. Che imprudente era stato!
Vide un uomo passargli accanto con una mascherina bianca sul volto, una cosa strana che non aveva mai visto. L’uomo lo superò, frettolosamente, modificando leggermente la traiettoria per stargli alla larga.
Non fece in tempo a voltarsi, per capire meglio chi fosse e da dove venisse, che subito quel pellegrino mascherato di bianco era scomparso. Un’allucinazione, pensò.
Finalmente arrivò al pozzo; bramava di attingere acqua, ma scoprì che qualcuno aveva rubato il secchio. Rimaneva solo la corda, come un pigro serpente annodato alla carrucola. Sconsolato, si chiese come mai qualcuno prevarica sul bene comune.
“Hai sete?” Una voce di donna lo richiamò dai suoi pensieri.
“Sì, ma hai più sete tu.”
La giovane lo guardò, perplessa, senza dire nulla. Attaccò il suo secchio alla corda e calò la carrucola. Prima di attingere, però, dispose a terra vari orci, tipo borracce, che aveva portato in un sacco.
“Perché fai così? Non verrà nessuno. Non è l’ora, e poi c’è la quarantena.”
La giovane donna lo fissò ancora di più di sottecchi. I nostri padri – pensò – sono stati quarant’anni nel deserto… ma non ho mai sentito parlare di quarantena…
“Scherzi, vero?! Verranno in tanti, invece. Hanno molta sete e una gran voglia di stare un po’ insieme.”
“Io non vedo nessuno.” Rispose l’uomo, infastidito.
“Guarda là, alla porta della città! Vedi? Sta arrivando Gianni, il panettiere…”
In effetti, una sagoma si profilava, oscurando il Sole meridiano.
“E poi di là arriva Ludovica, che ha la locanda; e Girolamo, del negozio di stoffe. Ah, buongiorno Direttore!” disse poi rivolgendosi al capo della banca “La trovo benissimo, nonostante questi giorni.”
In breve, attorno al pozzo si radunò tantissima gente. C’erano proprio tutti: gli anziani, i giovani, i bimbi del catechismo… il coro.
“Beh, allora?! Siamo qui per la messa!” dissero all’uomo nei pressi del pozzo. Sembrava stordito da tutta quella ressa intorno.
La messa? – pensò lui – Ma la devo ancora inventare!
“Allora la messa?” gli chiese uno. Una donna si avvicinò, scuotendolo un poco sulla spalla. Ehi – pensò l’uomo – non ci si può toccare…
“Don Giacomo? Don Giacomo, mi fai spaventare!”
Don Giacomo aprì gli occhi, cercando di mettere a fuoco. La Bibbia era tutta stropicciata. Accanto a lui Gloria, la responsabile della Caritas.
“Scusa, devo essermi addormentato” ammise, quasi vergognandosi.
“Oh don, non ti preoccupare, capita! A vederti così, si direbbe che sei un uomo spirituale… ma non ci crediamo, stai tranquillo!” disse ridendo. “Sono passata a prendere una sportina per i poveri, perché qui anche se siamo tutti in prigione, i poveri continuano ad avere bisogno! Vado a prepararla!”
“Sai, ho fatto un sogno strano: ho sognato che al pozzo… volevo dire, a messa… che dicevamo la messa e che c’erano tutti.”
“Su su, coraggio! – ribatté Gloria con il solito fare spiccio e sicuro – Presto torneremo a messa tutti insieme. Intanto, stiamo uniti volendoci bene. C’è un’acqua che non finisce mai e ci dà sempre la forza: il pozzo che disseta è se ci vogliamo bene.“

Don Davide




La consistenza delle parole

Morte, bene, casa, cristiani

In questi giorni abbiamo ascoltato tantissime parole. Quelle che venivano da lontano, confuse e quasi incredibili, che parlavano di un nemico con il nome, ma senza volto, che speravamo di non dovere combattere. Poi quelle autorevoli, di chi è deputato a prendere le decisioni: parole pesanti, che hanno necessitato la nostra obbedienza e di modificare la nostra vita. Infine, anche le parole sciocche, urlate, scomposte e stolte. Per fortuna, quest’ultime non erano da sole: cercavano di oscurare le belle testimonianze, le parole tenere e incoraggianti, quelle di amicizia e di solidarietà, ma hanno perso. 

Per chi si dichiara discepolo del Verbo fatto Carne, è necessario essere attenti alla consistenza delle parole. 

Tra queste, quattro in modo particolare: morte, bene, casa, cristiani. Le prime tre sono sulla bocca di tutti. L’ultima di nessuno, ma non è meno importante. Anzi, proprio il fatto che non venga pronunciata, la rende ancora più preziosa. 

Tante persone morte: “Oggi sono morte n. persone.” In questo caso, la consistenza della parola morte ci rimanda dal numero alle persone. Non c’è un numero di morti; ci sono degli uomini e delle donne morti. “Chi ha pianto per quelle persone?” chiese papa Francesco nella famosa omelia di Lampedusa (08-07-2013). Insieme a quelle persone ci sono delle storie, qualcuno che piange (in quasi tutti i casi senza potere nemmeno celebrare il funerale) che, nella difficoltà, sarà persino segnatda un trauma. 

Dietro a quelle esistenze c’è anche un’infinita bellezza di cura: la fatica e la dedizione del personale sanitario, la solidarietà, la gentilezza di chi accudisce i malati, il gesto di chi ha offerto loro un telefono per chiamare chi non si poteva vedere, magari per l’ultima volta. 

Ogni volta che pronunciamo la parola “morte” dobbiamo sentire un vissuto e tutta la sua consistenza. 

E poi il pensiero della morte. Che arriva invisibile, improvvisa. Che colpisce mentre si pensava di essere invincibili che i nostri stili di vita e la nostra economia fossero immodificabili. La possibilità della morte che terrorizza perché non sai da dove arriva il tocco. 

Il pensiero alla morte, concreta, reale, plausibile, vicina, invadente, è sempre stato, nella tradizione cristiana, una meditazione sapienziale utile per acquistare saggezza. Attenzione, non si intende l’essere avvoltoi o sciacalli in una situazione di sventura: tutto il contrario. Il pensiero alla morte è stato un modo di neutralizzarne la forza orrorifica, per fare diventare la sua considerazione un esercizio per valorizzare e custodire la vita e le sue bellezze nel più puro dei modi.  

“Tutto andrà bene” è la frase che ci si consegna come augurio e come incoraggiamento; lo slogan che si scrive sui post-it attaccati ai campanelli o sulle vetrine dei negozi, o come stickers di Instagram e Facebook. È un pensiero bellissimo, per la tenerezza che esprime e quel senso di cura con cui ci si vorrebbe rassicurare gli  uni gli altri. 

Qui, riscoprire la consistenza della parola bene, significa riconoscere l’appello che ne deriva. 

Per qualcuno, purtroppo, non sta andando tutto bene. Ma questo non toglie la bontà dell’augurio o dell’incoraggiamento. Solamente, ci chiede di comprenderlo meglio e di farne buon uso: non per rassicurarci a basso prezzo o per metterci la coscienza a posto, ma per farci sentire la responsabilità per i fratelli e le sorelle. 

Tutto andrà bene, se ci aiutiamo. Tutto andrà bene, se siamo solidali. Tutto andrà bene, se ciascuno si sforza di fare la propria parte, senza dimenticarsi degli altri. E quando tutto sarà andato bene, non disperdere il tesoro dei legami. 

Non solo restate a casa”, anche nella sua versione #iorestoacasaQuesto restare può essere interpretato più che altro come un tornareCerto, ci siamo sempre stati a casa, ma non con quella sfumatura di intensificazione che è data dal restare e dalla consapevolezza di non avere alternative. 

Le autorità ci hanno portato piano piano ad accettare di stare a casa e non senza qualche resistenza; proprio perché “starci” significava, in realtà, tornarci stabilmente, in modo fisso, creando una consuetudine che non lo era affatto. Gli stessi governanti hanno avuto bisogno – come noi tutti – di focalizzare la necessità di fermarsi davvero. Quindi, tornare a casa anche nel senso di intraprendere quel cammino a ritroso dalla nostra dispersione al luogo domestico, alla permanenza prolungata, a una obbligata riduzione del nostro efficientismo, alla riscoperta del tempo. Per alcuni (chi vive insieme o in famiglia) è tempo di legami strettissimi; per altri (chi vive individualmente) è tempo di grande solitudine. Non dimentichiamoci che “restare a casa” ha tutta la consistenza anche di queste sfide non facili, talvolta difficilissime.  

Tornare a casa è sempre anche metafora di salvezza, come per il figliol prodigo, come per il tanto agognato Giardino di Eden, che aspetta un ritorno e che, paradossalmente, alla fine della Bibbia viene trasformato in una città, una città aperta, dove tutti si possono incontrare senza paura. Tornare a casa è la fine dell’esilio della nostra dimensione spirituale, contemporaneamente è la promessa/premessa della vittoria contro l’emergenza sanitaria, uscita dal nostro spaesamento e prospettiva di un avvenire sereno e pieno di incontri. 

Questa parola nessuno la dice, eppure stiamo assistendo a un evento epocale e fino a solo pochi giorni fa inimmaginabile, il fatto – cioè  che le comunità religiose di tutta la nazione sospendano i loro riti. Non solo i cristiani, ma tutti. Qui, però, parliamo di noi, della consapevolezza di noi cristiani. 

Le campane che si fanno vicine a un popolo che non può muoversi; le candele spente; le chiese vuote. La messa non partecipata. Le preghiere, però, niente affatto mute. 

Chi l’avrebbe detto che ne avremmo sentito la mancanza? Ecco, dirci: “sono cristiana, sono cristiano” ci deve richiamare alla consistenza della nostra fede, a che cosa è importante e decisivo, a cosa ci caratterizza. Proprio questo silenzio grida alla nostra coscienza e consapevolezza. Ci fa compiere una specie di salto evolutivo sulla comprensione dei nostri gesti religiosi e nella qualità della nostra fede.  

Di questi giorni dirsi: “sono cristiana, sono cristiano” ha tutto un altro sapore: ha il sapore amaro di una mancanza difficile; ha il sapore dolce di una sete che sa dov’è la sorgente. 




La partenza e la meta

Nella liturgia di questa domenica, c’è l’invito a partire per un viaggio inedito e inatteso, lontano dai propri riferimenti e dalle proprie sicurezze (prima lettura), per arrivare a una vetta di trasformazione incredibile, in cui in una persona Dio e il mondo si toccano (vangelo). Il contesto di questo traguardo prodigioso è descritto come un mistero: una nube luminosa. È una nubeperché c’è qualcosa che sfugge alla possibilità di spiegare tutto; è luminosa, perché in questo evento si manifesta qualcosa di sorprendente e bellissimo. 

Cammino

Vorrei che tutti, con la nostra personale sensibilità, potessimo sentire l’invito a partire in un cammino di cui non sappiamo i contorni e i riferimenti, ma con l’unica certezza che la storia è saldamente nelle mani di Dio e che, se intraprendiamo questo viaggio con fiducia, saremo un luogo – un luogo fisico e spirituale al contempo – in cui Dio e il mondo si toccano. 

Vorrei che ciascuno di noi potesse sentire questo “inizio”: sia chi è disperato perché non si celebra la messa domenica, sia chi è più timoroso e prudente; sia chi è più scettico e sospettoso, sia chi si affida più serenamente alle indicazioni che sono state date… per tutti vorrei che risuonasse un invito personale: non rimanere ancorato a quello che sai già, ai tuoi schemi, alle tue certezze, ai tuoi orizzonti di riferimento. Prova a metterti in ascolto delle ragioni dell’altro, a entrare in sintonia con la paura o col coraggio, con la fede o con la mancanza di fede, con lo sgomento o la serenità. Prova a cogliere le possibilità che questo viaggio ti offre. Sarà un cammino pazzesco, roba da fare venire le vertigini; talvolta ti chiederai se ci sia un sentiero o se sia tutta una follia.  

Potrebbe succedere che nelle cose più terribilmente umane, siamo condotti a toccare delle vette di grandezza spirituale: dalla paura del contagio alla generosità del proprio lavoro; dal sospetto all’amicizia solidale; dal disagio per la privazione delle nostre routine allo spazio per un incontro spirituale. 

Non mancheranno il disorientamento e la sete, questa “sete” così al centro dei nostri cammini pastorali; non mancherà la paura e lo sconforto e lo scontro con il nostro limite. Ma ci saranno anche momenti di esaltazione, un cielo sopra di noi colmo di infiniti punti di luce.  

È importante che lo facciamo con Gesù, questo cammino. Ognuno lo tenga vicino a sé con la lettura del Vangelo, con la preghiera personale, con il ricordo, mettendo in pratica l’amore concreto. 

Con lui, saremo trasfigurati. Cambieremo. 

Cambierà il nostro modo di essere chiesa, forse più consapevole delle cose preziose che abbiamo? 

Cambierà il nostro modo di vivere, segnato da una riscoperta di ciò che davamo clamorosamente per scontato? 

Forse ci sorprenderemo, ma quando ricorderemo i momenti di svolta della nostra vita annovereremo anche questo, scaturito dalla disponibilità a “partire”, fissando la meta di una montagna lontana. 

È meraviglioso e incoraggiante ricordare che quel primo passo di Abramo è stato l’inizio del cammino della fede e il seme della storia di un popolo. 

È meraviglioso credere che questo nostro primo passo possa essere altrettanto. 

Don Davide 

 




Una prova, tre tentazioni

“Prova” e “tentazione” nella lingua del Nuovo Testamento potrebbero essere considerati come sinonimi. Nella prima domenica di Quaresima si parla delle tre tentazioni di Gesù. Anche noi, a partire dalla prova che stiamo subendo, potremmo subire alcune tentazioni. Vale la pena metterle in luce, per non essere sedotti e lasciare che una prova si trasformi in peccati ben più gravi di quello di saltare il “precetto festivo” che sembrava preoccuparci tanto.

La prova è quella, ovviamente, del virus che all’inizio ha spaventato tutti e ora, dopo che abbiamo conosciuto il nemico, sembra essere un po’ meno mostruoso.

Come atteggiamento quaresimale di solidarietà con i più deboli e poveri, dobbiamo innanzitutto riconoscere come questo virus, che ha colpito l’Occidente, abbia gettato l’allarme, mentre quelli che generano vere e proprie epidemie nei paesi poveri del mondo ci lascino sostanzialmente indifferenti. C’è un elemento di serietà e di fratellanza da riscoprire e che ci interpella come condizione necessaria della nostra sensibilità cristiana.

tre tentazioni

La prima tentazione è di farci prendere dal panico, e di dimenticare le dinamiche più ovvie di comunione fraterna. “Non di solo pane vive l’uomo” risponde Gesù nella prima tentazione. L’uomo ha un alimento per la sua intelligenza e per il suo spirito: la reazione di accaparrarsi le scorte di fronte alla prima minaccia, assomiglia tanto al dare sfogo al criterio: mors tua vita mea, come se uno si dovesse preoccupare solo di sé e non del fatto che c’è un legame sociale da mantenere. “Non di solo pane” ci ricorda anche che alcune dinamiche del convivere che diamo per scontate, in realtà devono essere custodite proprio dalla nostra vigilanza spirituale, oserei dire dalla nostra magnanimità, una virtù di cui tutti dovremmo avere più cura. Nelle situazioni di vera crisi, solo donne e uomini dalla grande anima hanno offerto risposte e soluzioni significative.

La seconda tentazione, che è molto connessa alla prima, è di confondere lo spirituale con il mondo fisico. “Buttati – dice il diavolo – gli angeli ti custodiranno!” Quasi come a dire: “Vai nudo al centro dell’epidemia, se hai fede non ti accadrà nulla!” Gesù risponde con grande precisione che non è così che funzionano le cose. Lo spirituale si è incarnato nelle dinamiche fisiche e creaturali del mondo: questo è lo specifico cristiano. Non serve dire: “Se noi preghiamo, l’epidemia non arriverà!” e tutto il corollario di analoghe frasi spiritualistiche. Tutto il buono, invece, passa dal legame di alleanza con Dio e con i fratelli. Dobbiamo chiederci: cosa posso fare per custodire la presenza di Dio in me e l’amore per i fratelli a partire dall’amore di Dio? Porsi questa domanda significa stare nel faticoso lavoro della vita spirituale e dell’apprendimento della sapienza cristiana e della saggezza pastorale della chiesa.

La terza tentazione è quella del potere. È ben più che una tentazione ed è sotto gli occhi di tutti: attraverso i social o lo scempio che fanno alcuni politici, l’inclinazione a sfruttare una situazione grave a proprio vantaggio, l’occasione di volere avere ragione o di dire l’ultima parola, o di essere più forti degli altri. Gesù ci mostra, senza mezzi termini, che questa tentazione può solo essere scacciata: “Vattene!” dice al diavolo, mostrando che dobbiamo avere un’opposizione radicale a questi atteggiamenti che risvegliano in noi il desiderio sottile di dominare, di avere potere, di essere migliori degli altri. “Vattene!” è l’unica parola da opporre: l’unica forza che ci permette di non mettere una barriera tra noi e gli altri e di non allontanarci irrimediabilmente da Dio.

Don Davide




Sotto le ceneri l’incendio

Dalle Ceneri alla Veglia di Pasqua

«Non può essersi spento / o languire troppo a lungo / sotto le ceneri l’incendio. / Siamo qui per ravvivarne / col nostro alito le braci, / che duri e si propaghi, / controfuoco alla vampa / devastatrice del mondo.» (M. Luzi)

Bernardo Gianni, monaco olivetano, abate di S. Miniato al Monte (FI), cita questa poesia all’inizio della sua predicazione degli esercizi spirituali al Papa, nel 2019.

Si parla di un fuoco, come di braci, che non può rimanere ancora soffocato sotto la cenere. È il fuoco dello Spirito e di un risveglio della fede. La cenere è prodotta dalla “vampa devastatrice del mondo”, che sia il clima di un pianeta che sta bruciando a causa del nostro peccato ecologico, o la follia delle guerre e dell’odio, o del nostro peccato che ci allontana dall’amore di Dio.

È come il bombardamento di una guerra spirituale, al quale bisogna opporre una contraerea. “L’alito” della poesia è metafora del soffio vitale. Siamo chiamati a suscitare questo fuoco nuovo con la nostra vita, ma tutti sappiamo che non basta soffiare sulle braci per arrossarle. Perché si rigeneri il fuoco ci vuole altra legna: dobbiamo portare ancora qualcosa della nostra esistenza, altri cuori che ardano.

In questi pochi versi, così, il poeta disegna l’itinerario quaresimale: dalle Ceneri al fuoco nuovo della Veglia Pasquale, pronto ad ardere con l’offerta della nostra vita, ravvivata dallo Spirito.




Fuggi, fai silenzio e…sii felice

Tutta l’attenzione della settimana entrante è volta all’inizio della Quaresima, anche se – in realtà – c’è un’ultima piccola grande cosa che ci rallegra prima della preparazione alla Pasqua: si tratta del primo esperimento della danza liturgica. Alcune bimbe si sono preparate in questi mesi con Anna Maria, una brava maestra, per dare vivacità alla liturgia ed esprimere una partecipazione ancora più attiva. Alla messa delle 11, animando uno dei canti, porranno questo primo segno, a cui speriamo se ne aggiungano altri. Mi piacerebbe che in qualche occasione festosa, potessero essere accompagnati con il coinvolgimento di ragazzi e ragazze la processione introitale, il Gloria, la processione offertoriale e il Santo.

Tornando alla Quaresima, siamo invitati a iniziare questo tempo speciale prendendo parte alla Celebrazione delle Ceneri. Il Mercoledì delle Ceneri non è di precetto, ma proprio per questo dovrebbe manifestare il desiderio di un autentico cammino di vita cristiana e non dovrebbe mancare nessuno.

Piante australiane dopo gli incendi

Nella tragica circostanza dei recenti incendi in Australia, ho letto che ci sono alcune specie di piante, in quel paese, che si sono adattate a quest’eventualità e sono diventate capaci di rinascere anche in mezzo a una terra completamente bruciata. Esse sono fondamentali nell’ecosistema australiano e sono in grado di rinnovare la vegetazione devastata. Mi piace pensare che i cristiani siano come queste piante: capaci di riportare un verde brillante nel grigio delle ceneri e a partire da esse.

L’inizio della Quaresima, poi, è caratterizzato da giorni di preghiera raccolti davanti all’Eucaristia. Quelle che erano le tradizionali “Quarant’ore” adesso sono alcuni giorni di spiritualità vissuta comunitariamente, per accompagnarci l’un l’altro dentro a questo itinerario di purificazione di quaranta giorni, che ci permetterà di celebrare la Pasqua con gioia rinnovata.

Non si dovrebbe sottovalutare l’importanza di purificarci! Nel nostro mondo ci intossichiamo allegramente in molti modi… con una superficialità a volte raccapricciante. Siamo diventati più sensibili per le dimensioni fisiche e biologiche, ma siamo molto meno vigilanti contro l’intossicamento spirituale. Volgarità, violenza verbale e di ogni tipo, ingiustizia, mancanza di verità, superficialità… inquinano l’aria spirituale che respiriamo, le cose che vediamo e che udiamo. Sono tossine che entrano e ci condizionano senza che ce ne rendiamo conto. La Quaresima non è un pio esercizio cristiano: è una medicina spirituale molto seria, per reagire a questa epidemia che danneggia la nostra vita.

In quest’ottica, ci sono due appuntamenti preziosi, che ci aiutano a sentirci comunità in cammino e di cui siamo grati.

Il primo è la serata promossa da Alice, Laura e Suor Aurora neo-professa, giovedì 27-02, sul campo Caritas che hanno vissuto l’estate scorsa. Per l’importanza di questo racconto e di condividere coi giovani le loro esperienze migliori, penso che sia un’occasione da non perdere.

Il secondo è l’incontro con Vito Mancuso (sabato 29-02), teologo e scrittore, filosofo e saggista, uno degli autori più letti e seguiti in Italia. Abbiamo la fortuna di poterlo ospitare e ascoltare in parrocchia, anche per legami di amicizia, e a lui abbiamo affidato la riflessione cruciale di questo ingresso nella Quaresima, sul silenzio e il recupero della vita interiore. Anche in questo caso, per il tema e l’occasione più unica che rara, mi auguro che facciamo squadra e sentiamo la responsabilità di non perdere l’opportunità di fare il primo passo insieme, e in maniera così significativa, nel dono quaresimale.

Don Davide




Sempre in cammino verso l’amore

Abbiamo celebrato in questa settimana i giorni dell’amore, che sono stati una grazia per i tanti incontri e per il coinvolgimento della nostra comunità.

È un dono poter coronare le celebrazioni di San Valentino con un evento importantissimo (è proprio il caso di usare il superlativo) e che ci rallegra.

Infatti, c’è un altro amore oltre a quello tra le persone che è in grado di entrare nelle nostre vite, ed è l’amore per Dio, vissuto in una dimensione particolare e specifica.

Non è il caso di fare delle gerarchie come se valesse più l’uno o l’altro, né di farne una questione di quantità, come se ce ne fosse uno che è più totalizzante.

Si tratta di rispondere alla personale vocazione all’amore, nel modo che ci permette di vivere al meglio il Battesimo, la dignità del nostro essere cristiani e la chiamata alla santità.

Ci rallegriamo sinceramente e come una vera famiglia con Aurora, novizia delle Suore Francescane di Palagano, che oggi fa la sua prima professione e diventa suora. Aurora ha vissuto un pezzo della sua formazione nella nostra parrocchia, servendo la comunità come catechista (quest’anno della 4° elementare) con entusiasmo e singolare creatività. Col suo fare semplice, amichevole e giovanile, è diventata anche un punto di riferimento per alcuni giovani e, direi di più, un’amica.

Cammino

Questo giorno, quindi, che celebra l’amore di una ragazza moderna e brillante dato a Dio e alla Chiesa, attraverso la sua famiglia religiosa (sembra scontato, ma c’è ancora chi pensa che le suore siano esseri strani…) è davvero per noi la degna conclusione di questa settimana di doni semplici e belli.

Ripartiamo da qui, gioiosi e incoraggiati perché Gesù continua a ravvivare la Chiesa e col desiderio di farne parte sempre più responsabilmente e da protagonisti, anche in vista della seconda Assemblea della Zona Pastorale, che si terrà domenica 23 febbraio e che ha bisogno dell’entusiasmo e della partecipazione di tutti.

 Don Davide




I giorni dell’amore

San Valentino 2020

Amore atteso (video) – San Valentino 11 febbraio

Amore accolto (video) – San Valentino 12 febbraio

Amore ferito (video) – San Valentino 13 febbraio

Amore celebrato (video) – San Valentino 14 febbraio

Dopo l’accoglienza entusiasta dell’anno scorso, ritornano le celebrazioni di S. Valentino, che quest’anno saranno caratterizzati come: “Giorni dell’amore”. Ciascuno sente il bisogno di celebrare e condividere il suo vissuto legato all’amore, perché è l’esperienza più importante dell’essere umano; questo fatto genera interesse, partecipazione e senso di vicinanza. 

L’obiettivo di quest’anno è coinvolgere un numero ancora maggiore di giovani e sottolineare che non vogliamo pregare solamente “per” le persone nei loro differenti stati di vita, ma vogliamo soprattutto pregare “con”: esprimere cioè empatia, amicizia, rallegrarci o farci forza insieme. 

Le celebrazioni inizieranno in compagnia dei single, che potrebbero vivere la ricorrenza di S. Valentino con un po’ di nostalgia o di dispiacere. Abbiamo conservato il momento di preghiera, per affidare al Signore la ricerca vocazionale, ma snellito le modalità della cena, per avere più possibilità di incontro e di dialogo, per fare un gioco insieme ed avere un bel clima di festa.  

Ci sarà poi l’incontro dei fidanzati con il cardinale arcivescovo. Per favorire il coinvolgimento dei giovani, le modalità saranno molto smart e il dialogo con il vescovo avverrà in un bel locale nel mezzo dell’aperitivo. A questo appuntamento, che privilegia intenzionalmente la partecipazione dei giovani fidanzati, si affiancherà quello della celebrazione degli anniversari (non solo quelli speciali, ma tutti!) proprio il giorno di S. Valentino. 

Tra questi due appuntamenti, un’attenzione privilegiata e affettuosa per chi ha vissuto o vive tutt’ora una sofferenza causata dall’amore. Abbiamo pensato a chi ha vissuto la separazione o il divorzio, ma anche a chi è ferito per un tradimento o una fatica nella relazione, oppure a chi ha subito una grande sofferenza o una delusione amorosa che fa fatica a passare. Vorremmo che tutti si sentissero coinvolti per essere tutti consolati e incoraggiati.  

Ogni uomo e ogni donna desiderano, in fondo, soltanto amare ed essere amati. Speriamo che questi giorni ci possano fare conoscere la strada per questa felicità che Dio vuole per tutti e ce ne indichino il sentiero migliore.  




L’anno che verrà

La prima domenica dell’anno civile e la Festa dell’Epifania ci spingono a guardare avanti, a quello che accadrà in quest’anno.

Abbiamo di fronte a noi un momento molto importante, la visita pastorale del Vescovo alle zone del Vicariato Centro, a partire da ottobre 2020, in modo particolare quella alla nostra Zona S. Felice dal 3 al 6 dicembre 2020.

Sembrano appuntamenti lontani, addirittura dopo l’estate, ma in realtà nei tempi “pastorali” sono vicinissimi e bisognerà incominciare a prepararli fin da subito, a gennaio.

Intanto, ci avvicineremo a questo grande appuntamento, con i momenti che il vescovo ci ha indicato per il cammino di quest’anno:

  1. la preghiera meditata sul racconto della Samaritana, domenica 19 gennaio, alle ore 18, presso la Chiesa di Sant’Isaia;
  2. la seconda assemblea di zona, domenica 23 febbraio, alle ore 16, presso la Parrocchia dei SS. Filippo e Giacomo.

Queste saranno le occasioni per cominciare a incontrarci e a riflettere su come accogliere il vescovo nella visita alla nostra zona pastorale.

Vorremmo inoltre vivere un momento di particolare accoglienza per tutte le famiglie che hanno battezzato i figli negli ultimi tre anni, in occasione della Domenica della Samaritana (3° domenica di Quaresima, il 15 marzo, alle ore 11).

Infine, ma non da ultimo in ordine cronologico, grazie all’interessamento di alcuni parrocchiani, della Caritas parrocchiale e dei giovani, ci attende anche una serie di incontri molto importanti sui grandi temi delle migrazioni, dell’ospitalità e delle questioni connesse, decisive per il nostro modo di essere uomini e cristiani.

Ci attendono grandi cambiamenti, perché la trasformazione della chiesa è in atto. Dovremo avere come riferimenti per accogliere questi cambiamenti ed esserne protagonisti proprio i tre elementi che emergono dagli appuntamenti ricordati:

  1. il desiderio di comunione e di uscita dal campanilismo parrocchiale;
  2. la parola di Dio come guida, letta e pregata non solo nella liturgia comunitaria, ma sempre di più anche nella dimensione personale e intima di ciascuno;
  3. il Battesimo, come sorgente della nostra vocazione a essere protagonisti e responsabili della vita della Chiesa, facendocene carico perché è “nostra”.
  4. L’attenzione ai poveri e alle sfide del tempo, come criterio della nostra capacità di interpretare e discernere la realtà e l’edificazione del Regno di Dio nel mondo.

 

Don Davide