Chi abita nel tempio?

Il brano di questa terza domenica di quaresima, preso dal vangelo di Giovanni (2,13-25), narra del famoso episodio in cui Gesù scaccia i mercanti dal Tempio. E’ il momento in cui la modalità di Gesù ci sorprende per la decisa scelta di campo: il Tempio è stato invaso. C’è uno spazio da ricreare, in cui vivere la presenza di Dio ad un livello ancora più profondo e sorprendente.
L’evangelista lo pone tra l’episodio delle nozze di Cana e quello di Nicodemo e della sua rinascita necessaria. Perché? E perché la liturgia ci propone questo episodio dopo averci fatto contemplare la Trasfigurazione?
L’umanità è in cammino verso il suo essere nuova: il rapporto con le cose e gli avvenimenti del mondo, il modo di intendere le relazioni umane, la nuova essenza della relazione con Dio, attraverso la predicazione di Gesù del Regno che viene, ci dona prospettive nuove, di rinascita appunto.

 

È la buona novella

Con Gesù, il Tempio (e soprattutto quel tempio divenuto mercato!) diventa un segno e un simbolo: “distruggetelo e io lo ricostruirò in tre giorni”. Lo dice di se stesso, della sua morte e della sua resurrezione, scrive Giovanni. Ma ci ricorda anche che noi stessi siamo tempio dello Spirito proprio per mezzo del mistero pasquale (1Cor 6,19-20).

 

Quali sono dunque i nostri mercanti?

Interiormente produciamo ‘transazioni’ dagli interessi molteplici e forse ne diventiamo sempre più dipendenti. I meccanismi sembrano proprio quelli del Tempio di Gerusalemme: compra-vendite per le offerte al tempio, dimenticando che Dio ci ha fatto ‘uscire dalla condizione servile’ (v. prima lettura della liturgia odierna Es 20,1) per allontanarci dalla condizione dello scambio.

Proprio come si dice per questi tempi che stiamo vivendo, forse è un’altra l’economia su cui basare i nostri sistemi di vita: dalle schiavitù alla libertà. Sì, perché Gesù ci ha liberati dal sistema del do ut des, aprendo definitivamente la via del dono, che è gratuito.

Ognuno può conoscere i propri banchi ben posizionati da tempo e i cambiavalute interiori in un tempio sì intimo, ma senza vitalità divina. C’è un prezzo che si paga nel non riconoscersi tempio dello Spirito. Ma c’è una novità: Gesù con la sua Pasqua ci dice che noi siamo il Tempio nuovo di Dio e la quaresima è il tempo in cui ci alleniamo a rinascere a vita nuova.

Lasciare entrare Gesù nel Tempio della nostra vita, significa lasciare a lui anche la briga di spazzare via gli usurpatori di un posto che spetta a Cristo soltanto. Ritagliamoci dunque tempi di preghiera, minuti di silenzio, semplici meditazioni, durante questi giorni; liberiamo lo spazio interiore dalle cose meno utili e accogliamo il Maestro buono, gratis. E dal gratis arriveremo alla necessità di esprimere gratitudine piena e sincera, senza banchi e cambiavalute.

Anna Maria e Francesco




Immersi nella luce

Il vangelo di questa seconda domenica di quaresima ci porta su di un alto monte, in disparte, dove attraverso Gesù traspare la luce di Dio. Nel suo trasfigurarsi Gesù appare conversare con Elia e Mosè. Di contro, Pietro Giacomo e Giovanni rimangono silenti e impauriti. Possiamo immaginare come Pietro abbia detto di fare tre tende: forse tremante? O col desiderio di essere ospitale con queste figure celesti? O addirittura così felice ed infervorato da voler restare in quella condizione più tempo possibile? … chissà … e noi cosa avremmo detto o cosa avremmo fatto?

Ma ancor prima, ci saremmo fatti portare su un alto monte?

 

L’alto monte e i crocifissi lungo la strada

La quaresima è anche un itinerario verso l’‘alto monte’, è un’esperienza di un cammino a tappe verso una visione luminosa del Cristo risorto. Troppo spesso ci fermiamo all’uomo inchiodato che vediamo benissimo, complici anche tutti i crocifissi che ci circondano. Forse ci siamo pure abituati a tutti i crocifissi del Covid, i numeri impietosi delle vittime quotidiane e dei loro familiari, e sempre più spesso, purtroppo, rimangono soltanto cifre e noi, quasi necessariamente anestetizzati dal dolore dei loro vissuti per non rimanere impietriti nel nostro quotidiano.

 

In alto c’è più luce da far entrare dentro

Per questo, nella nostra quaresima, nei nostri giorni, è necessaria una sosta sull’alto monte per fare un’esperienza della Luce di Dio, il Gesù trasfigurato che anticipa il volto del Cristo risorto. Farci portare sul monte è trovare un luogo adeguato e conversare noi stessi con Gesù, trasfigurando almeno per un istante la nostra quotidianità.
Ma attenzione: non è necessario mettere lì le nostre tende. Torniamo a valle perché è lì invece che ci si misura la nostra vita. Possiamo portare giù dal monte alto l’esperienza senza parlarne perché essa ci invita sì a salirci sempre, ma con lo scopo di diventare sempre più trasparenti portatori della luce di Dio in mezzo ai fratelli, alle persone che avviciniamo in tutti i nostri ambienti.

 

Lo scopo della Luce è illuminare, riscaldare, creare nuova vita per tutti

Platone nel Mito della Caverna ci consegna un’immagine della nostra vita molto stimolante. Ci descrive uomini all’interno di una caverna, legati e obbligati a vedere ombre proiettate come su uno schermo. Per essi quella è la vita. E se anche qualcuno cerca di far capire loro che c’è altro, perché uscendo con fatica da quell’ambiente, ha visto la luce del sole, e per solidarietà é tornato a raccontarlo, viene addirittura malmenato perché ritenuto un imbroglione visionario. Sì, c’è anche questo rischio, ma l’esperienza della luce del sole è troppo forte per non essere condivisa.
Egli è luce ed è presente su ogni alto monte dove ci faremo condurre, come a dire: “torna a te stesso e scopri che sei davvero a mia immagine”. E così, ritorna dai fratelli e dillo anche a loro: sarà allora che scoprirai la forza della luce a valle, nel silenzio della tua stanza e nei vicoli bui del quotidiano. Nulla potrà spegnerla. Mai.

Anna Maria e Francesco




Ricordati, Dio

Quaresima

La Quaresima si apre con Dio stesso che ci conferma nel legame benevolo di alleanza con lui: «Io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri cari e con ogni essere vivente che è con voi» (Gn 9,10). Ogni impegno, ogni sacrificio, sta lì dentro. È un’alleanza che coinvolge tutti gli esseri viventi: tutte le persone che mi vogliono bene, tutte le persone a cui sono in qualche modo legato, persino gli animali che mi fanno compagnia e la natura che amo e in cui mi ristoro.

Con tutti siamo in comunione e viviamo l’inizio di questo impegno quaresimale in questo abbraccio non fisico, ma reale, che ci rinvigorisce.

Siamo protetti da te, Padre e da una corona di fratelli e sorelle, di amici, pure in mezzo a mille difficoltà.

Arcobaleno

Quando Dio giura: «Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra» (Gn 9,11) intercetta la paura più recondita e mostruosa dell’animo umano: che la nostra vita sia distrutta, che noi siamo disprezzati, che la nostra esistenza cada in rovina come se non avesse valore.

L’alleanza di Dio ci garantisce che non sarà così, che anche quando nella sua immensa onnipotenza Dio potesse prendere la risoluzione di “distruggerci”, lui non lo farà. C’è un verso bellissimo nel profeta Osea che ci spiega perché: «Perché sono Dio e non un uomo, sono “Diverso” in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (Os 11,9).

È tenerissimo Dio, che mette un segno perché sa che “nel tempo” siamo inclini a cambiare le nostre risoluzioni e i nostri proponimenti, e sembra essere preoccupato di questo anche lui.

Così, quando dovesse essere “tentato” si fermerà davanti all’arcobaleno. Anzi, come un divino Cupido, scocca la freccia del suo amore e della sua pace e ci colpisce al cuore. Come un vaccino portato dal cielo, come un vaccino contro ogni male: «Io ricorderò» (Gn 9,15), dice. Ricorda il primo proposito, il momento di chiarezza in cui si è capaci di proiettarsi nel futuro, per sempre, nella luce di quella decisione iniziale, come ci si ricorda dell’innamoramento.

Preghiera

«Ricordati, Dio…» è la preghiera che accede al tuo cuore. Anche nel salmo di oggi la diciamo due volte (Sal 24/25,6-7). Come potresti dimenticarti?! Questa preghiera è la chiave che apre sempre il tuo cuore. Forse è la parola migliore che possiamo dirti, mentre preghiamo, perché se tu non ti ricordassi di noi, se il tuo pensiero non fosse rivolto alla nostra esistenza, noi – semplicemente – spariremmo. Invece, siamo sempre nei tuoi pensieri. Tu ci vegli sempre. E nel momento in cui ti ricordi, ci avvolgi subito con il tuo amore e ci rendi splendenti; non pensi a come siamo nelle difficoltà o a quando siamo tentati, ma ci aiuti ad essere migliori, a trasfigurarci.

Così, è solo nel tuo ricordo che anche noi – come Gesù – possiamo stare con le fiere e allo stesso tempo sperimentare la vicinanza degli angeli. Sì, perché noi siamo tentati, ci lasciamo disorientare, siamo sempre prossimi a imbruttirci, ma poi siamo nel tuo pensiero, anche noi ci ricordiamo di ricordartelo, e scopriamo che tu ci avvolgi con quella benevolenza che fu il tuo primo proposito, come quando ti innamorasti di noi e noi di te, e ci vedi belli e ci fai essere migliori, perché ci ami, e noi siamo ammantanti di luce: da materiali diventiamo spirituali, da uomini vecchi diventiamo nuovi. Stiamo con le fiere e gli angeli ci fanno compagnia.




Un cammino per la vita

Allo start della Quaresima

Il Mercoledì delle Ceneri è il giorno più penitenziale dell’anno (insieme al Venerdì Santo), ed è importante non trascurare questa dimensione; nel sacrificio e nel digiuno ci obblighiamo a considerare la nostra caducità: non siamo infallibili, non siamo sempre forti, non siamo immortali.

Mettersi davanti al simbolo delle Ceneri non è masochismo: significa invece essere saggi. Solo chi esamina se stesso, può camminare verso la vita.

Infatti, questo giorno è come la linea di start di un cammino per la vita.

Con il rito delle Ceneri iniziamo un percorso per liberarci da tutto ciò che ci fa percepire come insopportabile la nostra finitezza e ce la fa riscoprire come un’apertura al compimento: ci libera dalle paure, dall’insoddisfazione e dalla smania di avere tutto; ci insegna invece ad apprezzare chi siamo, l’amore che sentiamo, quello che abbiamo costruito, poco o tanto che sia.

Ci sono tre vie concrete per fare questo, che possiamo seguire insieme alla nostra comunità:

1) Riscoprire la vita interiore (vd. l’iniziativa proposta dall’AC parrocchiale).

2) Vivere le celebrazioni con la comunità (il mercoledì delle Ceneri, le messe delle domeniche di Quaresima, il Triduo Santo).

3) Amare i nostri compiti e le nostre responsabilità in questi 40 giorni, con serenità e con pace.

Allora pronti allo start? Invece di indossare abbigliamento tecnico e di mangiare barrette energetiche, però, solo per un giorno, ci vestiamo di sacco e ci disponiamo al digiuno.

Suggerimenti per dialogare con il Signore ispirati alle celebrazioni di San Valentino




San Valentino e la pandemia

La ricorrenza di San Valentino segna un anniversario importante, per la nostra comunità. Un anno fa, subito dopo gli incontri festosi e le celebrazioni solenni, iniziavano a diffondersi le prime notizie sulla presenza del Coronavirus, che avrebbero portato il 23 febbraio alla decisione di chiudere le scuole, inizio ufficiale della pandemia in Italia.

Il doloroso anniversario di tutto il nostro paese risuona con echi specifici per noi: di fatto, la Festa di San Valentino dell’anno scorso è stata l’ultimo momento di grande partecipazione comunitaria – insieme all’Assemblea della Zona Pastorale del 23-02-2020 – con le chiese piene e gli incontri amichevoli fitti. Dopo, tutto è stato fatto a singhiozzo e con mille limitazioni.

In questo anniversario io voglio leggere un nitido segno di fiducia e desidero infondere in tutti un grande incoraggiamento.

A distanza di un anno, magari bassa sull’orizzonte, brilla la speranza.

Dobbiamo affrontare ancora tutto quello che manca e sostenerci vicendevolmente per costruire. Non è solo il tema di “non abbassare la guardia”, per me è molto di più: fare crescere la solidarietà e l’amicizia; guardare a quanto di buono possiamo e potremo fare insieme; continuare ad essere esemplari e ad aiutarci tutti, finché non racconteremo di questi anni nei libri di storia. Poi ci saranno altre difficoltà e cercheremo di essere pronti.

Mi sembra bello ascoltare proprio in questo giorno di San Valentino la liturgia domenicale, in cui si staglia la parola di Gesù: “Lo voglio, sii purificato!”. Nessun cedimento al fideismo o a un’interpretazione magica come se Gesù – improvvisamente – da domani facesse andare bene tutte le cose. Quello che ascoltiamo nella fede, invece, è la conferma che la volontà buona di Dio è che l’uomo viva in un modo sano; Gesù non dice: “Sii guarito”, ma: “Sii purificato”.

Guariti nel corpo, quindi, ma soprattutto sanati e purificati da tutte quelle cose che potrebbero avere fatto male all’anima, allo spirito e alle relazioni.

Gesù, con la sua parola ci fa questo regalo e lascia alla nostra fraternità e alla nostra capacità di comunione il compito di saperlo accogliere e farne tesoro.

Don Davide




Sentirsi vicini

Appuntamenti di San Valentino per single, fidanzati e giovani coppie

La festa di S. Valentino, patrono della nostra parrocchia, ci dà l’occasione di meditare sull’amore umano e di vivere momenti di condivisione, ed è diventata in poco tempo un appuntamento atteso.

Anche quest’anno, nonostante le mille limitazioni, abbiamo deciso di proporre alcuni momenti di incontro, in presenza per quanto riguarda le celebrazioni liturgiche, sfruttando la tecnologia per gli altri appuntamenti.

Tema di quest’anno sarà: “Sentirsi vicini”.

9 febbraio ore 21 (su Zoom): Serie di vita

Nel primo incontro dialogheremo con Maurizia Sereni, Story Editor di professione, cioè una che ha le mani in pasta in molte delle serie che ci incollano agli schermi. Le serie ci hanno fatto compagnia durante il lockdown, sono una passione con cui trascorrere il tempo insieme alle persone che amiamo, e ci tengono uniti anche a distanza, quando si guardano magari a ripetizione, per scambiarsi opinioni e confrontarsi su ciò che è accaduto ai nostri personaggi preferiti. Inoltre, le serie sono sempre anche un’esplorazione dei sentimenti e delle emozioni dell’animo umano, delle modalità in cui reagiamo nelle varie situazioni e un messaggio che ci viene comunicato e che vuole fare cultura. Attraverso la condivisione delle nostre serie preferite, vogliamo rivisitare con uno sguardo positivo l’esperienza degli ultimi mesi e creare anche un’occasione di amicizia.

Per partecipare rivolgersi alla segreteria parrocchiale (051554256 o parrocchia@parrocchiasamac.it).

Non mancate! #sv21online #parrocchiasamac

12 febbraio ore 21 (su Zoom): Distanti ma uniti

Nel secondo incontro pregheremo insieme, gli uni per gli altri, meditando su questo mistero dell’amore che vuole superare le distanze, sia quando siamo lontani, ma anche quando siamo vicini. L’amore è bisogno di intimità. Chi ama vuole essere unito/a alla persona amata. Guida la riflessione don Roberto Mastacchi, parroco di S. Martino di Casalecchio, già Vicario episcopale per la Famiglia.

Per partecipare rivolgersi alla segreteria parrocchiale (051554256 o parrocchia@parrocchiasamac.it).

Non mancate! #sv21online #parrocchiasamac

14 febbraio ore 18 (su Zoom): incontro con il Cardinale Zuppi e la scrittrice Silvia Vecchini

Nell’ultimo incontro dedicato ai fidanzati e ai giovani sposi (domenica 14, ore 18, piattaforma da definire) il Vescovo Zuppi e Silvia Vecchini, scrittrice, poetessa e autrice per ragazzi (www.silviavecchini.it), mescoleranno spiritualità ed esperienza umana per fare rivivere alle coppie l’intensità del loro amore, quando non ti senti mai abbastanza vicino e sempre troppo lontano dalla persona amata.

Per partecipare all’incontro con il Cardinale Zuppi scrivere all’Ufficio Famiglia diocesano: famiglia@chiesadibologna.it (il link per partecipare verrà inviato dopo l’iscrizione).

#sv21online #chiesadibologna




Guarire la solitudine

Il Vangelo di Marco ci presenta un’umanità afflitta da molti mali, alcuni più simbolici come una febbre che non ci fa essere attivi, altri più seri come delle vere e proprie malattie mortali. La parola, i gesti e la presenza stessa di Gesù vengono indicati come una liberazione da tutto ciò: appena uscito dalla sinagoga, si sprigiona da lui la potenza del Regno di Dio.

Ascoltando l’amara riflessione di Giobbe nella prima lettura, siamo spinti a riconoscere che c’è un male attuale più di ogni altro: la fatica del vivere, lo smarrimento del senso, la solitudine.

Anche chi – per fortuna o per merito – non conosce queste esperienze e le opprimenti situazioni emotive che provocano deve fare spazio nel proprio intimo e ascoltare il grido di chi ne soffre. È un’empatia necessaria. Ci sono tanti nostri fratelli e sorelle che gemono schiacciati da difficoltà troppo grandi per loro, che si chiedono come Giobbe che senso abbia esistere ed esistere così, e che sanguinano per la solitudine.

L’espressione più estrema di questa esperienza, qualcosa di analogo alle dimesse parole di Giobbe di oggi, è descritta da un grande scrittore e filosofo, che indica senza individuarlo il punto di rottura, quello che lascia molti essere umani come naufraghi solitari nel mondo:

«Ci dev’essere stato un momento di comunione in cui non avevamo alcuna obiezione da fare al mondo; com’è allora che la nostra solitudine è così profonda?

Dev’essere successo qualcosa, ma le radici della deflagrazione ci restano impenetrabili.

Noi ci guardiamo attorno, ma più nulla ci sembra concreto, più nulla ci pare stabile.» (Houellebecq, Cahier).

Oggi la Chiesa Italiana celebra la 43° Giornata per la Vita. A ben guardare, tutte le situazioni difficili o addirittura tragiche per la Vita hanno a che fare con la solitudine e con la fatica del vivere. Assumere la propria responsabilità per la Vita e per aiutare chi è in qualsiasi tipo di crisi significa soprattutto soccorrere questa solitudine, alleviare con dolcezza, amicizia e ogni premura quella sensazione che l’esistenza sia troppo grande e difficile da affrontare.

Il Vangelo risuona come una medicina alla malattia mortale di questo tempo: la solitudine. È importante ricordare che questa cura non avviene solo con l’annuncio della parola, ma anche con gesti concreti e con la presenza, proprio come faceva Gesù.

Per questo l’apostolo Paolo, nella seconda lettura, scrive che annunciare il Vangelo è una necessità che si impone: per quel desiderio di soccorrere coloro che hanno bisogno di essere aiutati a riconoscere o a riscoprire la Vita, propria o altrui, come una benedizione.

Don Davide




Gesù insegna anche oggi

«Entrato di sabato nella sinagoga, Gesù insegnava» (Mc 1,21).

L’esperienza di Israele di ritrovarsi nel giorno del riposo ad ascoltare la Parola di Dio e l’insegnamento dei maestri, è slittata per i cristiani al primo giorno dopo il sabato, quello della resurrezione, il primo giorno della Nuova Creazione.

In questa domenica, vorrei cogliere proprio un’analogia tra questo entrare di Gesù nella sinagoga e quello che accade dopo, in giorno di sabato, e quello che potrebbe accadere nell’entrare nostro, di domenica, nell’assemblea liturgica per la celebrazione eucaristica.

Gesù, in questa scena iniziale della predicazione del vangelo carica di simboli e di significati, viene descritto come il Messia che porta a compimento il Sabato, cioè la bontà della Creazione. Dio, infatti, nel racconto della Creazione, aveva creato il mondo in sei giorni, sigillando la sua opera con una sentenza che era anche una benedizione: «vide che era cosa molto buona» (Gn 1,31). E il settimo giorno, aveva perfezionato il suo operato concedendo a se stesso e al mondo di riposare in questa bontà.

Ora – in questo episodio – c’è qualcosa che non va: c’è un uomo posseduto da uno spirito «impuro». Attenzione: non è necessariamente un “indemoniato” come lo intendiamo noi. Il vangelo ci parla di «impuro», cioè di qualcosa che nulla può avere a che fare con la sinagoga, un luogo sacro, e soprattutto con il Sabato, che è il “sacro” per eccellenza.

Tuttavia, lo «spirito impuro» che si è impadronito di quel pover’uomo, se ne sta zitto e beato in sinagoga tra gli altri, senza che nessuno si accorga di quella presenza illegittima. È solo quando Gesù entra e comincia ad insegnare che si scatena, comincia a saltare sulla sedia, non può più starsene tranquillo, perché la parola di Dio giunge con un’autorevolezza ripristinata, nella voce del Maestro.

La parola di Dio, che risuona finalmente senza limitazioni attraverso Gesù, vuole ricostituire la Creazione nella sua bontà, e dunque non c’è più spazio per gli spiriti «impuri», per le cose che non corrispondono alla santità di Dio. Tutto questo è celato nella semplice affermazione che «Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava […] e uno spirito impuro cominciò a gridare…» (Mc 1,21.23).

Il paragone che vorrei proporre, forse un po’ azzardato, è semplicemente questo. Noi veniamo da un lungo periodo, quasi un anno, in cui un virus impuro – qualcosa che non corrisponde per nulla alla bontà della Creazione di Dio – ha trattenuto molti di noi dalla partecipazione alla messa. Questo virus si è annidato tra di noi, ha instillato la paura, ci ha appesantito, ci ha spinto alla rassegnazione. In più, abbiamo sentito tante parole logore, tanto “berciare” poco autorevole, che invece di dare coraggio, speranza e direzione, hanno creato confusione e ci lasciano disorientati.

La parola di Dio e la celebrazione liturgica, invece, hanno il potere di scavare nel nostro spirito e di andare a stanare tutti gli spiriti impuri che vorrebbero nascondersi ed opprimerci, cercando di non farsi scoprire.

Non vorrei essere frainteso. La mia non è solo un’esortazione interessata a serrare le fila e ritornare a messa; certamente è anche un incoraggiamento in quel senso, ma è molto di più. È la considerazione che proprio questo tempo potrebbe essere l’occasione inaspettata per riscoprire la forza di quello che accade nella messa festiva, il motivo principale per cui noi celebriamo la domenica. Non è certamente per timbrare il cartellino di un precetto e meno che mai per metterci la coscienza a posto. Il punto cruciale è avere un appuntamento con una parola che ha il potere di ricostituirci nel bene, di mettere a posto quello che non va, anche quello che facciamo fatica a percepire.

Certo, direte voi, l’autorevolezza di noi poveri preti che facciamo l’omelia non è la stessa di Gesù che insegna, e avete ragione. Ma l’insegnamento di Gesù, nella messa, avviene in modo molto più ampio. La sua parola viene proclamata al di là di chi la commenta. La sua voce risuona nelle preghiere liturgiche. È lui stesso che ci raduna, ci costituisce in unità e si offre a Dio Padre mostrandoci l’esempio.

Insomma, quando accediamo all’assemblea liturgica, di domenica, è Gesù stesso che insegna e non permette più a nessuno dei nostri spiriti impuri di stare tranquilli, e così ricrea in noi il bene, ci fa ottenere quella pace del cuore che tanto desideriamo e ci fa riposare.

Don Davide




Omelia per i bimbi del 24-01-2021

TESTIMONIANZA DI ZEBEDEO

Quando Gesù chiamò i miei figli Giacomo e Giovanni, capii che era giunto un momento decisivo anche della mia vita.

Conoscevo quel Maestro particolare; era da qualche giorno che insegnava lungo le coste del Lago e lo faceva in modo diverso da tutti gli altri: era più autorevole e più convincente, e le cose che diceva si capivano bene, come se facessero parte della nostra vita. E poi nelle sue parole c’era una dolcezza, come se parlasse con affetto a persone a cui voleva bene, e quando lo ascoltavi provavi un senso di urgenza e di pace allo stesso tempo.

Avevo voluto molto bene ai miei figli e avevo insegnato loro tutto quello che sapevo, soprattutto il mestiere di pescatore. Ormai, erano molto più bravi di me.

Ma sapevo che quel lavoro gli stava stretto. Erano sempre stati irrequieti, con un’energia che sembrava che dovessero spaccare il mondo e certamente quei piccoli villaggi sulle sponde del Lago non erano abbastanza per loro.

Pensate che una volta si erano conquistati il soprannome di Figli del Tuono.

Il giorno che Gesù li chiamò, li avevo visti particolarmente spenti. Stavano aggiustando le reti, ma si vedeva che erano tristi, annoiati e con poca motivazione.

Così fui contento che fosse proprio Gesù a chiamarli. La sua voce risuonò come un tuono: “Ehi, voi due, venite dietro di me!” Notai che c’erano già Andrea e Simone al seguito: sembravano due pulcini spaventati dietro a Gesù, eppure erano due omoni, con le mani indurite dal tanto lavoro.

Quando Gesù li chiamò, sentii che si realizzava anche la mia vocazione di padre, come la vocazione di ogni genitore, di ogni mamma e di ogni papà.

Sì, perché quando sei genitore ai tuoi figli insegni tutto, dai loro il meglio di te… ma poi arriva il momento in cui devono seguire la loro strada, ed è giusto che lo facciano, che loro partano e che tu rimanga lì sulla tua barca, da solo.

È difficile, ma è giusto.

La vocazione dei genitori si compie proprio quando sanno lasciare spazio ai figli, perché seguano la loro vocazione.

Giacomo e Giovanni, all’udire quella voce di tuono, si risvegliarono. I loro lineamenti si distesero e si accesero, come se fossero di fuoco. Si voltarono verso di me, facendomi un sorriso, io con la testa feci cenno di sì e loro si incamminarono verso Gesù, lasciando tutto lì sulla barca.

E io sono contento che abbiano risposto con l’entusiasmo che li caratterizzava. E sono contento che lo abbiano fatto subito. Perché un padre è felice quando i figli sono felici.

Sono i miei figli e io li amo.

 

INTERVISTA AI DISCEPOLI

Giacomo e Giovanni, raccontateci come è stato l’inizio.

Quando Gesù comparve per la prima volta e cominciò a predicare, non ci facemmo neanche caso. Non era certo il primo e non sarebbe stato l’ultimo.

I personaggi come lui iniziavano a predicare alla mattina presto, quando noi pescatori avevamo quasi finito di lavorare, dopo una notte passata a pescare. Eravamo stanchi e non avevamo certo voglia di stare lì ad ascoltare!

E poi cosa successe?

Prima che ci chiamasse, eravamo passati accanto a Gesù un paio di volte, mentre tornavamo dal lavoro. Ricordo che la prima volta che incrociai il suo sguardo, non riuscii a sostenerlo.

Così, cominciammo a fare attenzione a quello che diceva. Quando finivamo di pescare, trovavamo sempre la scusa di intrattenerci sulla barca, per ascoltare qualche insegnamento di Gesù, senza farci notare.

Ma credo che lui si fosse accorto che eravamo interessati.

Cosa avete provato?

Cavolo, noi eravamo giovani e vivevamo in un mondo legato alle tradizioni! Sembrava che non si potesse fare niente di nuovo, non era ammesso nulla ente che non fosse stato già fatto o già vissuto dai tuoi genitori, dai tuoi nonni e dai tuoi bisnonni.

Invece noi eravamo curiosi. Volevamo vedere Gerusalemme… e Atene… e magari anche Roma! Anzi, volevamo sconfiggere l’Imperatore! Sì, pensavamo di poterlo fare!

E ci siete riusciti?

Beh, quando Gesù ci chiamò pensammo che fosse la nostra grande occasione.

Ha funzionato?

In realtà, dopo abbiamo scoperto che non avevamo capito niente.

Ci disse che saremmo stati “pescatori di uomini” e noi ci lasciammo prendere dall’entusiasmo… ma, a pensarci bene, non avevamo idea di cosa volesse dire!

L’avete imparato?

Sì. Abbiamo imparato che la cosa più grande che si può fare è migliorare se stessi, allenandosi ad amare, a voler bene e a servire.

E che essere pescatori di uomini, significa che se tu ti lasci amare, dopo gli uomini si avvicinano a Dio quasi da soli.

Grazie del vostro tempo, alla prossima intervista!
Grazie a voi, arrivederci a tutti!

 

LETTERA DI GESÙ

Care bimbe, cari bimbi,

rispondo volentieri per raccontarvi cosa mi ha spinto, quel giorno a chiamare i primi discepoli… i primi di una lunga lista in cui, oggi, ci siete anche voi.

Io abitavo a Nazareth, sui monti, ed ero stato a Gerusalemme e a Betlemme… ma il Lago era il mio posto preferito. Così, quando volevo annunciare l’amore di Dio… decisi di partire da lì.

Mi sembrava il luogo adatto per sentirsi amati da Dio, come quando anche voi siete nel vostro luogo preferito. Qual è il vostro luogo preferito?

Lì incontrai tanti uomini e tante donne indaffarati. Erano giovani e meno giovani… e studiandoli, capii subito una cosa.

Tutti, ma proprio tutti, avevano nel cuore un desiderio: quello di essere amati e di amare, insieme a quello di fare qualcosa di buono.

Sono sicuro che anche voi ce l’avete! È quel sentimento che ci fa sentire la gioia, quando accade qualcosa di bello.

Allora cominciai semplicemente a dire a tutti che era vero.

E loro mi domandavano: “Che cosa è vero?!”

E io: “Che siete amati! Che Dio vi ama!”

E aggiunsi che tutti potevano farlo.

E loro mi domandavano: “Che cosa possiamo fare?!”

E io: “Potete amare anche voi! E fare tante cose buone!” E li incoraggiavo.

E vedevo che era come se si risvegliassero: avevano più energia ed erano più gioiosi.

Avete presente, bimbi, quando incontri qualcuno che capisci che può essere tuo amico? Ecco, quando vidi i primi discepoli, io provai quella sensazione. Capii che saremmo stati amici per sempre e che io non li avrei lasciati mai più.

Fu come un’ispirazione e li invitai a seguirmi e a stare con me. Loro vennero subito, non indugiarono neppure un secondo, e così facendo, mi hanno insegnato loro una cosa che io non avevo ancora imparato.

Che il momento buono per fare il bene è adesso, subito!

Iniziate dal vivere bene la giornata di oggi: fate un complimento per il pranzo buono che mangerete, mettete un po’ più di impegno del solito a fare i compiti di oggi, quando giocate inventatevi qualcosa di speciale… e andando a dormire, stasera, date un abbraccio più forte ai vostri genitori.

E anche voi scoprirete, che l’amore di Dio è vicino, vicinissimo.

Con affetto,
il vostro Gesù




Subito

Quel giorno sul lago

Cosa successe, quel giorno, sul Lago di Tiberiade?

Accadde che, per la prima volta, un uomo sentendosi chiamato scelse liberamente di seguire Gesù. In realtà non si trattava di un solo uomo, ma erano due fratelli. Li chiamò – ci dice il Vangelo – ed essi subito lo seguirono.

Immediatamente, a quanto pare dal racconto, Gesù notò altri due fratelli, impegnati nello stesso mestiere. Li chiamò subito.

C’è una duplice catena in questo racconto, come quando due bimbe si tengono per le mani con le braccia distese e fanno il girotondo con il corpo all’indietro; o una ballerina che disegna un semicerchio intorno ai danzatori, scambiandosi da uno all’altro in successione.

Sembra che la chiamata di Gesù non possa risuonare per uno solo, ma che valga sempre anche per un “fratello”. E addirittura, oltre a una prima coppia, ne viene coinvolta repentinamente un’altra. Questo passaggio di testimone sembra innescato dalla prontezza alla risposta dei primi: essi SUBITO lo seguirono. E Gesù SUBITO chiamò gli altri due.

La voce di Gesù che raggiunge la vita delle persone è come una scintilla nella stoppia. Nel momento in cui si accende, fa divampare un incendio… ma dipende dalla prontezza con cui chi si sente chiamato risponde.

 

Oggi qui

Ci possiamo chiedere, allora, cosa succede, oggi, nella nostra Bologna o, più specificamente, su Via San Felice, attorno al Palazzo dello Sport, a ridosso dei Viali di Circonvallazione o tra le vie del Centro?

Queste parole valgono per chi, fra di noi, riconosce la propria fede, ne è grato e se ne sente orgoglioso. Chi fra di noi sente la chiamata di Gesù, che risuona personale, con la sua tonalità e l’inflessione della sua voce. Avete mai immaginato come doveva parlare Gesù? Io sì, tante volte.

Chi, fra di noi, desidera ancora essere suo discepolo risponda presto! Non indugi affatto, neanche per un secondo! Avrà appena aperto gli occhi, per capire da che parte Gesù lo stia chiamando, che scoprirà accanto a sé un fratello, una sorella, che hanno ascoltato la stessa chiamata come lui. Entrambi ascoltino e gli rispondano: grazie Gesù! Vogliamo essere pescatori di uomini!

E Gesù, vedendo quest’entusiasmo chiamerà subito degli altri, come se anche lui scoprisse la sete dell’umanità. C’è bisogno di incamminarsi su sentieri luminosi e c’è bisogno di “agguantare” tutti gli esseri umani.

 

Quello che puoi fare tu

Tu rispondi subito. Lui subito chiamerà altri.

Ed essi risponderanno.

Pensavi di udirla solo tu, quella chiamata.

Appena ti volti attorno, scopri altri tre fratelli e sorelle.

Don Davide