Olimpiadi della vita (Under 20 testo+video)

Mikaela ha 26 anni e con gli sci ai piedi è la migliore.

La fuoriclasse delle fuoriclasse, quella che nella storia del suo sport sta nel gradino più alto del podio.

Se non ci credete, guardate questa manche(QUI)  in cui, a 20 anni, stabilì il record di vantaggio sulla seconda.

A 22 anni ha conquistato per la prima volta la Coppa del Mondo generale e l’ha vinta per tre anni di fila.

A inizio febbraio 2020, è morto improvvisamente il suo papà, mentre lei era in Europa per le gare. Pensate cosa significhi per una ragazza di 24 anni perdere il padre, essere in un altro continente, tornare con l’ansia che ti consuma. In un’intervista in cui le hanno chiesto cosa volesse ricordare di lui, ha risposto: “Ha insegnato a me e mio fratello di essere gentili con tutti.”.

Mika ha saltato alcune gare, poi è arrivato il Covid. Le competizioni sono state interrotte con anticipo e la Coppa del Mondo l’ha vinta per la prima volta Federica Brignone, stabilendo l’impresa di essere la prima donna italiana a farlo nella storia dello sci femminile.

Quest’anno Mikaela era tornata se stessa, guidando di nuovo la classifica di Coppa del Mondo e arrivando alle Olimpiadi di Pechino da favorita. Invece…

Invece ha sbagliato, uscendo, in tutte e tre le gare in cui è la dominatrice. Una foto l’ha immortalata ai bordi della pista di slalom speciale, rannicchiata in pianto, prima che un’amica arrivi a consolarla.

Per questo fallimento delle aspettative è stata insultata in modo ignobile sul suo profilo Instagram.

Tra tutte le offese tremende e volgari, mi ha colpito quella che le dice: “Stupida bionda”. Non c’è bisogno di commenti; dico solo che l’unica cosa stupida, in questo caso, è l’odio, che è la medesima radice di chi giudica e di chi fomenta le guerre.

Quello che merita un commento, invece, è la risposta di Mikaela a questa vicenda (QUI). Non una risposta agli haters, ma un messaggio a tutte le vittime di odio sui social, di bullismo e di ogni altra forma di cattiveria.

Sarebbe da mettere nei programmi ministeriali delle scuole, andrebbe meditato in parrocchia e in chiesa, e fatto ascoltare da ogni genitore ai propri figli. Dura meno di tre minuti e c’è la traduzione. Non perdetevi per nulla al mondo il finale!

Ritornando sull’argomento in questi giorni, la campionessa ha detto:

Ho vinto nella mia carriera, vincerò di nuovo e, ironia della sorte, vincerò anche grazie a ciò che ho imparato da queste due settimane. Si può fallire senza essere dei falliti.

Scrivetevelo sui muri.

Grazie Mika.




Il setaccio

“Cos’è successo?” continuava a ripetere Frey.
Siv non era certa di saperlo. Un semplice diverbio era sfociato in un viaggio folle e in un ancora più incredibile genocidio. Come poteva dire alla bambina che tutte le persone che conosceva erano morte perché Phasma e Keldo avevano fallito come leader? Non poteva.

(Delilah S. Dawson, Phasma, Mondadori 2018, pp. 299-300)

Quando la realtà è folle, l’unica cosa a cui si può ricorrere per descriverla è la fantascienza o il fantasy. Sono andato, perciò, a ripescare il ricordo di una storia di Star Wars, perché la guerra che ancora macchia il nostro continente mostra un clamoroso fallimento della leadership, che si manifesta tra chi fa il duro, chi ostenta i muscoli e chi spreca l’opportunità di aggregare l’Europa come grande soggetto politico e comunitario.

Già da tempo noi europei avremmo dovuto imparare la lezione delle altre guerre; al contrario, abbiamo dato spettacolo ignobile nella non accoglienza dei migranti e su scaramucce economiche, invece di sfruttare un immenso potenziale per un’utopia di bene.

Mentre papa Francesco da anni parla di Terza Guerra mondiale combattuta a pezzi (che prima o poi, se si continua così, si ricomporranno), proliferano le chiese nazionaliste, che sono cosa ben diversa dalla realtà teologica e spirituale della Chiesa locale definita dal Concilio Vaticano II, e si fatica ad assumere la sfida di una testimonianza veramente evangelica, non esaurita nell’inseguimento della visibilità o nello svuotamento dei segni e del loro significato.

“Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti” (Sir 27,5-8) ci ammonisce il Siracide. E Gesù: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” (Lc 6,39).

Chi porta i popoli dentro la guerra è un setaccio pieno di rifiuti e un pretenzioso che conduce nella fossa della morte.

Chi vuole seguire Gesù può assumersi la responsabilità di non essere un cieco che accetta di lasciarsi guidare da ciechi.

Abbiamo davanti a noi l’opportunità della Quaresima.

Significa, prima di tutto, riconoscere la trave pesante che è nel mio occhio, quella che non solo non mi fa vedere e discernere, ma che mi porta anche a scontrarmi con gli altri.

Posso percorrere questo tempo di conversione come una supplica di illuminazione interiore e una disponibilità a farmi rischiarare i pensieri, le azioni pastorali e il modo di comportarmi con gli altri, con carità e lasciandoli liberi. Vorrei tornare a parlare seriamente di disarmo, anche nelle parole, nelle metafore che uso e nei gesti che compio.

Infine, devo fare i conti con il potere – con tutti i poteri di cui disponiamo – e rifiutarne le seduzioni e le affiliazioni.

Sento che è una responsabilità innanzitutto mia, qui nel mio contesto, compiendo il mio dovere e disponendomi a entrare con onestà nel digiuno quaresimale.

Don Davide




Nicodemo e la nuova vita

La parola autorevole di Gesù

Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». (Gv 3,3)

La solennità di questa frase è un’autorevole dichiarazione a partire dal suo incipit.

Nicodemo aveva solo iniziato ad argomentare quello che voleva dire a Gesù pensando come ogni buon fariseo, di sapere con chi aveva a che fare. Ma non ha ancora abbastanza luce: è nella notte ed è appena iniziato il suo percorso di vera conoscenza di questo uomo. Dovrà ricredersi subito delle sue convinzioni, mentre il Maestro avvia con lui un processo educativo.

È necessario rinascere, nascere nuovamente anche al sapere. L’incontro con Gesù non può lasciarci come prima. Questa esperienza può mettere ognuno in condizione di vedere il regno di Dio in maniera completamente differente. Ma rinascere da solo non basta. La novità viene concepita dall’alto e accolta nel profondo della propria vita.
All’ascolto della Parola, alla sua scuola, si rinnova la vita di ciascuno e solo così riusciremo a vedere cieli nuovi e terra nuova (2Pt 3,13).




Wrinkle

Under 20, testo+video

Il 21 febbraio ricorre il secondo anniversario dal primo focolaio della pandemia registrato in Italia.

Di Gesù il Nuovo Testamento dice che divenne “spirito datore di vita”. Spirito nelle lingue classiche è anche respiro.

Dopo due anni di pandemia Gesù ci “ispira” – guarda caso – su due modi di stare nel mondo: vivere e basta, oppure essere respiro che dà la vita.

Abbiamo imparato che possiamo essere respiro per chi fa fatica, proprio nel tempo di una malattia che colpisce i polmoni.

Per non rendere il discorso troppo solenne o serioso, vi propongo un esempio buffo. È la storia di Wrinkle, un’anatra da supporto emotivo (certificata!) che nel 2021 ha corso la maratona di New York, con delle scarpette palmate create apposta, rimanendo accanto al suo padrone fino al traguardo, per sostenerlo in tutti i 42 km del tragitto.

QUI il video di Wrinkle.

Se non è ispirazione questa!




Due anni

Il 21 febbraio 2020 si è registrato il primo focolaio di Covid-19 in Italia, a Codogno, con 16 persone colpite. Nei giorni seguenti sono scattate le misure d’emergenza, sempre più restrittive.

Sono due anni che conviviamo col Covid.

Dobbiamo fare memoria di questi anni, senza dimenticarci delle strade vuote e delle città mute, della paura, delle case diventate un bosco da cui era difficile uscire. Sento un calore riconoscente per chi ha lavorato in condizioni di pericolo: non solo il personale sanitario, ma tutti coloro che hanno garantito i servizi che sono sempre continuati.

Due anni, per i nostri “Under 20” sono minimo un decimo delle loro giovani vite. Per molti, di più. Penso a chi ha iniziato ad essere adolescente, in questi due anni; a chi si era appena innamorato, magari per la prima volta, all’inizio della pandemia, nei mesi in cui veniva la paura persino ad avvicinarsi. Penso a chi ha festeggiato i 18 anni in lockdown o con il coprifuoco e a chi – quella domenica 23 febbraio in cui fu decisa la chiusura delle scuole – si trovava in quinta superiore e ha iniziato l’università a casa, davanti al suo computer.

Do un cinque (a mano aperta, con un bel contatto) a chi ha attraversato tutto col sorriso, ma sono anche sinceramente vicino a chi ha sofferto, a chi ha subito, a chi ha accusato il colpo.

Voglio ricordare, però, che in questi due anni c’è stata anche luce.

Tanta luce. Penso ai bimbi che hanno meno di due anni, che loro sono dei supereroi che il Covid se lo sono bevuti nel biberon, così piccolini, torri e alfieri nella partita a scacchi della Vita. Vedo i sorrisi: anche nascosti dalle mascherine, nessuno è sfuggito allo sguardo di Dio. Percepisco cuori pulsanti, e sappiamo che baci sono stati dati, a dispetto delle distanze, e carezze e abbracci. Mi rallegro con chi si è sposato, facendo slalom tra assembramenti e divieti. Omaggio i nostri amici che a febbraio 2020 si trovavano al primo anno di specializzazione nei pronto soccorso, a medicina d’urgenza, nelle terapie intensive, in pneumologia e infettivologia. Ringrazio, infine, chi ha tenuto la barra dritta, aiutando sé e gli altri.

Da questo ricordo impariamo che si può essere uomini e donne in due modi: si può essere “viventi” o si può essere “spirito datore di vita”, come Gesù (1Cor 15,45).

Spirito nelle lingue antiche è respiro. In altre parole si può “vivere e basta”, o si può essere “respiro che dà la vita”, proprio nel tempo di una malattia che colpisce i polmoni.

Si può essere respiro per chi fa fatica.

In questa scelta c’è la possibilità di sconfiggere la pandemia, sia negli ospedali che a partire dalle nostre vite.

Don Davide

 

*Elisa Biagini, Nel bosco, Einaudi, Torino 2007, p. 118.




Lungo un corso d’acqua (Under 20 testo+video)

È la festa di San Valentino, una bella festa per la nostra parrocchia e per tutti voi, che siete innamorati.

Oggi ci consegniamo un bel video, ispirato da un’immagine del profeta Geremia: “È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici” (Ger 17,8). Questi obsoleti personaggi che sono i profeti… hanno ancora qualcosa da dire sull’amore!

Che cosa c’entra il versetto col video?

Entrambi, insieme, ci insegnano alcune regole preziose dell’amore.

Non regole “da osservare”, ma tesori per vivere.

1)L’amore ha bisogno di sorgenti.

2)L’amore ha bisogno di radici, che permettano di attingere alle sorgenti. Il modo, i pezzi e i passaggi con cui voi costruite la vostra storia sono queste radici.

3)L’amore ha bisogno di tempo. Potrebbe accadere tutto subito, ma quando si dà tempo all’amore ci sono sorprese.

4)L’amore ha bisogno di molta comunicazione.

5)Comunicare è ben più che parlare.

6)Comunicare è condividere i sentimenti e le emozioni.

7)Amarsi è sempre comunicare e sentirsi vicini.




A noi lasciate l’amore

L’intervista concessa da Papa Francesco a Fabio Fazio, domenica scorsa, è arrivata a tantissime persone e ha suscitato molti commenti e opinioni.

Certo è che ascoltare le Beatitudini una settimana dopo, nella versione del Vangelo di Luca, con l’aggiunta di quei terribili “Guai” rispetto alla redazione di Matteo, ci obbliga a entrare nella prospettiva che ci ha indicato Papa Francesco: a considerare la Terza Guerra mondiale che si combatte a pezzi, le ingiustizie, la continua violazione dei diritti umani e le sofferenze degli innocenti.

Non c’è beatitudine senza la dimensione concreta della fratellanza, della giustizia e del sostegno reciproco.

Anche la celebrazione di San Valentino, nella nostra parrocchia, unisce due aspetti che potrebbero apparire contrastanti, per non dire antitetici: quello della sofferenza e quello dell’amore romantico. Potremmo pensare che l’amore è eccessivamente spiritualizzato e che la sofferenza ci riporta in modo crudo alla realtà. È bello, invece, che custodiamo entrambe queste attenzioni: la preghiera per chi sta male e la preghiera per essere capaci di amare.

In una scena di Suite Francese – un film bellissimo e struggente tratto dal romanzo di Irene Némirowsky – i due protagonisti si amano, pur essendo lui un ufficiale dell’esercito tedesco e lei una donna francese del paese occupato durante la Seconda Guerra Mondiale.

All’apice della loro storia d’amore clandestina, lei esclama: “Che altri facciano la guerra, a noi lascino l’amore!”. Nel contesto del film è una sequenza molto efficace per dire la follia della guerra, che divide chi ama, eleva la violenza a regola, l’odio o principio delle relazioni, l’ingiustizia come libero arbitrio e il male come condizione dell’esistenza.

È tutto l’opposto dell’amore e della cura.

Celebrando San Valentino come guaritore delle sofferenze e patrono dell’amore, quindi, non siamo portati a pensare cose zuccherose e melense, bensì ad andare al cuore della concretezza evangelica.

È il contenuto più semplice del Nuovo Testamento che ce lo ricorda, tramite l’apostolo Giovanni: “Chi ama ha conosciuto Dio” (1Gv 4,7) e “Nessuno può amare Dio che non vede, se non ama il proprio fratello che vede” (1Gv 4,20).

Don Davide




La vita in ballo (Under 20)

L’inizio.

C’è qualcosa che ha più fascino degli inizi?

Vi ricordate le vostre prime volte? La prima volta sulla bicicletta, il primo giorno di scuola, la prima volta che avete praticato lo sport che vi appassiona, il primo amore, il primo bacio?

Quando siamo stati chiamati all’esistenza, ci è stato dato un inizio che non avrà più fine: non con le esperienze che si aprono e si chiudono, non con il trascorrere del tempo, non con la morte.

Oggi vi porto a quel tipo di inizio lì: quando qualcuno ti ha comunicato la resurrezione di Gesù (e la tua) o quando tu hai sentito che, nonostante tutte le apparenze e contraddizioni, era vera.

In quel momento una luce è andata a ritroso all’inizio della tua esistenza e ti ha detto: tu esisti.

Prima non c’eri, e adesso sì. Ed è un gran bene che sia così e che questo bene non finisca più.

Non c’è interruzione che possa essere decisiva. “Questa è la fine?” dice il protagonista di uno dei miei libri preferiti, in un dialogo indimenticabile con la ragazza che ama. “No, è l’inizio” risponde lei.

Tu ci sei, la tua esistenza è una stella irreversibile accesa nell’universo. Splendi, a partire dal nucleo per irraggiare all’esterno, per rendere bellissimo e nuovo, con la tua sfumatura, l’eterno.

Don Davide




Pescare gli uomini

“Pescatore di uomini”.

Io questa trovata di Gesù, tra tutte, gliel’ho sempre invidiata.

Sono stati versati fiumi di inchiostro su questo versetto: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10).

Tuttavia, la sensazione è che sfugga sempre qualcosa nella profondità abissale di questa sentenza, e che il suo significato sia allo stesso tempo più semplice e più inafferrabile di quanto non riusciamo a immaginare.

È una parola simultaneamente consolatrice ed esigente, incoraggiante e da fare venire i brividi, e perentoria.

Chiude il dialogo e tutta la scena. Produce immediatamente l’effetto decisivo.

Non voglio perciò azzardarmi io a proporne un’interpretazione. Preferisco lasciare aperta la domanda, scatenare la perplessità e la curiosità di tutti e stimolare la sensibilità di qualcuno.

Nella Giornata della Vita, sento che questa frase di Gesù è il modo corretto di entrare nel tema e nelle questioni.

I pesci, se li peschi, muoiono. Gli uomini, se li peschi, vivono, ma solo se lo fai con Gesù, altrimenti rimangono attaccati all’amo, prigionieri delle seduzioni umane e di altri mille uncini.

“Pescatori di uomini” mi sembra anche l’atteggiamento giusto per vivere la settimana di San Valentino.

Ci sono tante iniziative che sono state organizzate insieme a vari soggetti diocesani. Mi piacerebbe che tutti ci sentissimo partecipi gli uni degli altri.

Si tratta di testimoniare la chiamata che Gesù rivolge a ciascuno: una chiamata ad emergere verso l’Amore e aprire i polmoni, perché noi siamo uomini, non pesci; non respiriamo sott’acqua, ma nell’aria pura dello Spirito di Dio.

Don Davide




Le notti di Nicodemo

Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno, infatti, può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui» (Gv 3,1-2).

Che cosa smuove, di notte, Nicodemo?

Dal testo di Giovanni, a Nicodemo sembra apparire un Gesù conosciuto. Nicodemo, infatti, riconosce con certezza dai segni compiuti da Gesù che Dio è con lui e lo interpella come maestro. È facile pensare che sapesse della presenza di Gesù tra le strade di quel territorio e che Nicodemo conoscesse anche la provenienza di Gesù dalla Galilea, da dove – secondo la convinzione dei farisei del tempo – ‘non poteva venire niente di buono’ (cf. Gv 1,46).

Nicodemo evidentemente aveva fiducia di poter condividere con Gesù tutte queste certezze; va da lui di notte, con accortezza e prudenza, senza dare nell’occhio e si avvicina a Gesù per dirgli che ha capito tutto o, forse, che in realtà non aveva capito niente, dopo tanti anni di studio delle scritture. Dal testo è certo che non ha ancora fatto la domanda e Gesù già gli risponde e, probabilmente, alla domanda più profonda che non riusciva ad esplicitare nemmeno a se stesso.

Questo vale anche per ciascuno di noi.

Anche se pieno di certezze ti avvicini a Gesù almeno per farne una piccola esperienza, nelle notti della vita e sempre, egli ti accoglie come sei, per aiutarti a rinascere, come se quell’esperienza di amore vivo ti rendesse migliore a prescindere e per la sola tua disponibilità.

Proviamoci, come Nicodemo.