Cara Suor Aurora…

…non so se scrivo a te per ringraziarti o per i ragazzi e le ragazze che, soprattutto quest’estate, hanno goduto della tua amicizia.

Anche se mi dispiace tanto, anche se non potremo più contare sulle tue preziose qualità e il tuo aiuto, nel tuo doverti trasferire repentinamente c’è qualcosa di profondamente bello, su cui vorrei concentrare la mia attenzione, senza badare al resto.

È la bellezza di essere liberi: da parte nostra, liberi come comunità di beneficiare della tua presenza che non era dovuta, che è arrivata gratuitamente ed è sempre stata custodita come un dono di cui non era bene “appropriarsi”; da parte tua, libera di servire là dove il Signore (che molto spesso si nasconde abilmente dietro le circostanze) ti manda, con il cuore leggero, lo sguardo riconoscente e il piede veloce.

Noi siamo grati e contenti di potere incoraggiarti e condividere tutto ciò che può essere per il tuo bene.

A te, e a tutti i ragazzi e le ragazze che hai “conquistato” voglio lasciare una perla di saggezza di Paolo Coelho, che vale sempre: valeva quando abbiamo salutato Chiara Limperio, quando abbiamo salutato Marco Ciabini e Giulia Casadei, e ora te… accompagnando tutti nel vostro cammino di vita.

“Quando arriva l’ordine di trasferimento, la guerriera guarda tutti gli amici che si è fatta durante il cammino. Ad alcuni ha insegnato a udire le campane di un tempio sommerso, ad altri ha raccontato storie intorno al fuoco.

Il suo cuore si rattrista, ma ella sa che la sua spada è sacra, e che deve obbedire agli ordini di Colui al quale ha offerto la sua lotta.

Allora la guerriera della luce ringrazia i compagni di viaggio, trae un profondo respiro e va avanti, portando con sé i ricordi di un viaggio indimenticabile.” (dal Manuale del Guerriero della Luce – Ed. Bompiani)

Don Davide




Come in famiglia (per gli Under 20)

Mi sono ripromesso di scrivere ogni domenica poche righe per voi. So che dovrei usare Instagram, o addirittura Tik Tok, ma non voglio essere ridicolo, e questo dello scrivere è lo strumento che so usare meglio.

In questi giorni è morta una persona cara a me e a tutta la parrocchia. In questi ultimi anni abbiamo salutato molte persone deliziose che nel corso del tempo hanno letteralmente edificato la nostra parrocchia, la nostra chiesa e la nostra comunità.

Sono un po’ triste, anche se credo nella resurrezione. Lo sono tutte le volte che saluto qualcuno a cui ho voluto bene, o un mio parrocchiano o una mia parrocchiana. È un’emozione più forte di più di quando sento parlare di morti lontane, perché le relazioni contano.

Lo condivido con voi perché in una famiglia si fa così: ci si dicono le cose e poi sta ai grandi sostenere i pesi e ai più giovani, sapere che ci sono, ma anche portare quella spensieratezza e serenità che fa bene a tutti.

È ripresa la scuola e spero che sia stato un buon inizio per ciascuno e ciascuna di voi. La prossima settimana vorrei scrivervi una cosa in proposito. Un caro saluto.

Don Davide




Risorgerà

Gesù parla ai discepoli della sua morte e profetizza, in base alla fede dei profeti e del suo popolo, il suo destino di resurrezione. “Ma i discepoli non capivano, e avevano timore di interrogarlo…” (Mc 9,31-32).
La nostra comunità, in questi ultimi anni, ha affrontato la morte di tante colonne della nostra parrocchia, intendo cioè molte persone che in vario modo hanno messo a servizio in maniera particolare la loro vita per tutti noi e per la Chiesa.
Questo ci avvicina a tutti coloro che fanno l’esperienza dolorosa di salutare una persona cara, vicini o lontani, credenti o no, della nostra comunità o di altre appartenenze. Non importa. Non vi è alcuna classifica e vogliamo solo allargare il cuore alla compassione, alla condivisione e alla bontà reciproca.
Questa esperienza ci fa sentire vicini tutti e tutte.

“Dopo tre giorni risorgerà” sentiamo dalle labbra stesse di Gesù.
Ma noi facciamo fatica a capire cosa questo significhi veramente. Vorremmo comprendere meglio… e allo stesso tempo temiamo di interrogare lui su questo, come se avessimo paura di accostarci a un mistero troppo grande, complesso e spaventoso.
“Risorgerà”: è una parola che si erge statuaria, come una torre sull’esistenza. Tante volte Gesù lo dice agli altri e di se stesso, del Figlio dell’Uomo: risorgerà.
Questa parola, al futuro, ci chiede un atto di fiducia che è come quando, sulla cima di un monte, ammiri il panorama bellissimo e ti senti certo che Qualcuno tiene tutto il mondo nell’esistenza e pensi che la vita sia possibile, nonostante tutte le brutture, cattiverie e violenze che da tante parti cercano di avvelenarla.
“Risorgerà…” è bene sussurrarla, come se fosse la preghiera del cuore.

Ma noi, oggi, Signore, vogliamo anche provare a raccogliere lo spunto del Vangelo e “interrogarti”. Non per questionare, che finiremmo confusi come Giobbe; non per protestare, ma per avere una luce, per sentire il calore dello Spirito, come una carezza sulla spalla fatta da un amico, come un bacino sulla guancia.
Prima di tutto, capiamo che dobbiamo domandare a te, Gesù. È nel rapporto con te che prendono forma le risposte, i sentieri, le prospettive e la speranza. In secondo luogo – penso – dobbiamo esplorare la vita, seguire le tracce come dei Sherlock Holmes dello Spirito, cogliere tutti i segni di vita concreta che sono infiniti e sono mille volte al giorno sotto gli occhi di ciascuno e ciascuna di noi, collegare le tracce, indagare al di là dell’ovvio e non accontentarci delle evidenze, ma usare la logica del Regno… e magari capirne qualcosa di questa vita, vedere dove si addentra, quali sono le sue strade per attraversare la morte.

Veniamo da te, Gesù, a tirarti il lembo del mantello, non solo come quella donna che era sicura di venire guarita, ma anche come quei bimbi che tirano la giacca del papà o della mamma, perché hanno qualcosa da chiedere, col desiderio di capire, certi di imparare.

Don Davide




L’amicizia che ci lega nel Vangelo

Abbiamo da poco celebrato la Solennità di tutti i Santi che ci ha aiutato a ricordare che i santi sono coloro che, con la loro vita, hanno voluto dissetare la sete di Dio.

Dio aveva sete di uomini e donne che, nei primi decenni dopo la resurrezione di Gesù, testimoniassero questo evento che ha cambiato la storia del mondo. Dio aveva sete di studiosi colti che traducessero nella grande cultura dei primi secoli il messaggio cristiano. Dio aveva sete di sognatori che immaginassero e mettessero in pratica la vita evangelica nella maniera più fedele possibile. Dio ha avuto sete di profeti che nei cambiamenti del mondo avessero lo zelo per continuare ad annunciare il nome di Cristo. Dio ha avuto sete di persone che si prendessero cura dei poveri, e ha suscitato i grandi santi della carità. Ancora oggi, e sempre, Dio ha sete di uomini e donne che portino la speranza nel mondo e siano un segno dell’Amore, che abbraccia tutti.

Con questa meravigliosa schiera di santi noi viviamo in amicizia. La solennità è un modo di ricordare la comunione che ci lega.

Ora, noi vogliamo che questa celebrazione ci aiuti a vivere ancora più intensamente i legami spirituali che legano noi, chiesa in cammino nel mondo, e tutti quelli che vorremmo vicini.

È per questo che ci prepariamo a vivere la II Festa dell’Incontro, domenica 17 novembre, un momento di fraternità insieme alle tante persone a cui come parrocchia siamo vicini per sostenerle e per vivere l’amicizia.

Ci prepareremo, prendendo spunto dalla memoria di uno dei grandi santi della carità: San Martino. Il giorno di San Martino, cioè l’11 novembre, durante la messa delle 19, al posto dell’omelia, commenteremo il messaggio del papa per la Festa dell’Incontro, il quale messaggio sarà distribuito a tutti, la domenica precedente.

Chiediamo la grazia di vivere la santità non soltanto come impegno morale, ma come esperienza piacevole di comunione, che ci avvicina gli uni gli altri e ci aiuta a camminare verso il vangelo.

Don Davide




La Festa dell’Incontro

Se c’è una possibilità buona per il nostro mondo è quella di incontrarci amichevolmente, almeno tra quelle persone che – pur essendo diverse per qualsiasi motivo – hanno i presupposti della fiducia per avvicinarsi, condividere e diventare persone che si appartengono.

Ci saranno tante altre frontiere di vicinanza da attraversare, forse persino più importanti, come ad esempio quando la fiducia e il rispetto sono da costruire quasi da zero, ma sarà impossibile farlo se non incominciamo dal primo passo possibile: quello, cioè, di avvicinarci a coloro con cui c’è già un piccolo rapporto.

Nel suo piccolo, sono le premesse di un mondo nuovo. Il mondo che non erige muri, ma ponti e che dalla divisione di Babele costruisce la comunione della Gerusalemme celeste.

È questo l’intento che si prefigge papa Francesco, invitando tutte le parrocchie a organizzare una giornata di festa con le persone che si aiutano e con cui si entra in relazione nel territorio.

Festa dell'incontro

Noi l’abbiamo chiamata “La Festa dell’Incontro”, una giornata da trascorrere insieme a tutte le persone e le famiglie con cui entriamo in contatto e che aiutiamo come parrocchia, attraverso la San Vincenzo e la Caritas, o che incontriamo nelle nostre strade, davanti ai supermercati, o per rapporti di amicizia personali.

Vogliamo diventare amici, conoscerci meglio, condividere le nostre povertà e scambiarci le nostre ricchezze.

Per questo abbiamo fatto una veglia per meditare sulle povertà che ci caratterizzano tutti: povertà di cultura, povertà di relazioni e povertà di affetti. Per lo stesso motivo invitiamo a una messa particolarmente curata, in questa domenica, le famiglie cristiane e poi trascorriamo qualche ora conviviale insieme.

Oltre la messa e il pranzo offerto agli ospiti, l’appuntamento per tutti è domenica 24 marzo, alle ore 14.30 nel cortile della parrocchia, per mangiare un dolce e prendere il caffè insieme, e poi per intrattenerci con un gioco molto divertente fin verso le 16.00.

Con questa giornata si conclude l’itinerario della nostra comunità pensato per iniziare la Quaresima con il piede giusto, fatto degli Esercizi Spirituali, dell’Assemblea di Zona e di questo giorno di festa.
Come segno esteso di questa amicizia dilatata, essendo oggi anche la Giornata di solidarietà diocesana con la Chiesa di Iringa, tutte le raccolte delle messe saranno devolute per la costruzione della chiesa di Mapanda, in Tanzania, dove c’è la missione fidei donum della Chiesa di Bologna.

Da domenica prossima vorrei invece proporre qualche riflessione e indicazione per orientarci nelle celebrazioni del Triduo Pasquale, per leggere le scelte celebrative che vorremmo fare e così vivere consapevolmente e con grande intensità spirituale il momento più importante della nostra esistenza cristiana.

Don Davide




L’amicizia nel nome di Dio

La parabola del fariseo e del pubblicano tocca uno degli aspetti più importanti in assoluto per i discepoli di Gesù e per chi voglia costruire la Chiesa così come lui l’ha voluta.

Gesù si confrontava spesso con i farisei, proprio perché il suo stile era quello di proporre un’autentica interpretazione della Legge; lui stesso, mentre prendeva radicalmente le distanze dai sadducei (i capi del popolo, la classe sacerdotale legata al culto del Tempio), si inseriva piuttosto nello stile dei grandi maestri e interpreti della Torà. Per questo prende un tema fondamentale come quello della santità di vita, che era fortemente legato al bisogno di non “mischiarsi” a chi aveva una condotta lontana dalla Legge, per riorientarlo al suo significato originale, più vero e più giusto.

Il pubblicano sta di fronte a Dio con l’intima presunzione di essere giusto, e disprezzando l’altro. Innanzitutto Gesù vuole correggere questa comprensione della fedeltà ai precetti della Legge come possibilità di autogiustificazione. La fedeltà e la condotta morale, infatti, neanche nelle Scritture di Israele sono un modo per rivendicare dei diritti di fronte a Dio, o per mettersi al pari di lui. Al contrario, se pensiamo al Decalogo e alla promulgazione della Legge a Mosè, sono una via concreta per cercare di custodire l’amore che Dio ha rivelato per il suo popolo e la libertà che gli ha donato. Questa tipica sensibilità risuona, aggiornata, nelle parole di San Paolo ai Galati: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi! State dunque saldi e non lasciatevi dunque imporre il giogo della schiavitù!» (Gal 5,1). Si cerca di fare il bene, dunque, perché siamo consapevoli che questa è una via per custodire quanto di meglio la vita ci può offrire.

In secondo luogo, Gesù ci dice che non si può stare di fronte a Dio da antagonisti con il nostro fratello. È il peccato originale di Caino, che il Signore vuole redimere. La storia di Israele, che attraverso l’Elezione è certamente anche una vicenda di separazione e di scelta, è finalizzata alla comunione di tutti i popoli. Questo esito è precisamente l’evento scatenato dal Messia. Non c’è alcuna possibilità quindi, di schierarci orgogliosamente tra le fila di Dio, quando questo atteggiamento è accompagnato dal disprezzo per chi è “fuori”. Non possiamo presumere che Dio stia dalla nostra parte, se in noi non c’è quell’acuta sensibilità che ci fa sentire partecipi della storia e del destino dei nostri fratelli e sorelle, e voler bene a ciascuno senza limiti né giudizio.

La cosa è tanto più forte in quanto il pubblicano era veramente un peccatore. Commetteva un’azione spregevole conosciuta da tutti, sbagliava pubblicamente. Proprio per questo Gesù dice che bisogna essergli ancora più vicino.

Ma chi è il vero pubblicano? È colui che sta in fondo al tempio battendosi il petto. Non c’è tracotanza, in lui. Solo la conoscenza dei propri limiti, la consapevolezza della contraddizione, l’amara esperienza di sbagliare. Ecco: a tutti costoro, che bevono ogni giorno il calice amaro della propria ingiustizia, Gesù è inequivocabilmente vicino. Ma chiunque non si pente, chi opera il male con superbia, chi pensa di ingannare Dio così come inganna gli uomini, costoro sono come il fariseo. Hanno la presunzione di potere stare davanti a Dio pensando di legittimarsi, invece se ne torneranno umiliati.

Don Davide