Il Matrimonio

Che bellezza i matrimoni! 

Mi piace molto andarci fin da piccola: sei insieme a tante persone a cui vuoi bene, c’è solo da festeggiare e perdi la cognizione del tempo mangiando come se non ci fosse un domani! 

Solo cose belle, solo sorrisi, solo sogni realizzati e sogni realizzabili grazie a quella scelta così incoraggiata e condivisa.

La felicità è possibile, almeno quel giorno. 

Nella parabola del Vangelo di oggi c’è uno Sposo e ben dieci ragazze che possono presentarsi tutte all’appuntamento.  

Ma è di un matrimonio che stiamo parlando? O di qualcosa che gli somiglia, ma è ancora di più? 

In questa storia c’è più di una stranezza:  

è lo Sposo che tarda ad arrivare e si fa aspettare anche a lungo; 

– inspiegabilmente la metà delle giovani si comporta come se non si fosse preparata PRIMA a tutto ciò che può succedere. 

Queste cinque donne cosa avevano di più importante da fare quando stavano preparandosi per andare alla celebrazione? Cosa le ha distratte nel momento in cui non hanno portato con sé tutto il necessario, tanto da rischiare di rimanere fuori da quella che poteva essere la festa della vita? 

Queste vergini, come le chiama il Vangelo, sono una metafora della sposa, cioè persone che hanno nel loro futuro la possibilità di incontrare lo Sposo; ma una donna diventa sposa solo quando si innamora. 

Le vergini sono dieci, che è un simbolo di pienezza, perché questo incontro gioioso è come un matrimonio tra Dio e ognuno di noi, tra Dio e l’intera umanità. 

L’olio delle vergini vigilanti non rappresenta un dettaglio: è l’Amore, frutto dell’esercizio dell’amare, giorno dopo giorno. 

Per questo quell’olio non si può prestare e non può mancare nelle mani di una promessa sposa, perché rappresenta l’amore che ti ha portato fin lì. Se hai solo quello all’interno della tua lampada, tra poco finirà; e se non hai altro carburante che scaldi il tuo cuore e illumini la tua strada con Lui, allora vuol dire che per te quello è soltanto un incontro come tanti e fra poco qualcos’altro prenderà la tua attenzione, la tua passione e la tua volontà. Ti presenti all’appuntamento, ma in realtà stai ancora decidendo se lo Sposo è la persona giusta a cui affidarsi, se è davvero quello che vuoi. Lo Sposo tarda ad arrivare perché non vuole che sia già tutto stabilito, ma fa in modo che l’attesa e la notte rivelino a noi stessi quanto desideriamo essere davvero felici e quanto siamo disposti a prepararci, ad essere pronte e pronti per questo. 

Il vero Amore non capita, si sceglie in mezzo alle mille altre cose che succedono nella vita:

Dio ci dice che il tempo delle lacrime finirà e che, scegliendo Lui, il nostro destino è una festa senza fine in cui godere la piena felicità. 

Anna Maria D’Antona




Abbeverarsi, in cima

“Tutti siamo stati dissetati a un solo Spirito” (1Cor 12,13).

Siamo arrivati in cima. L’ascensione è stata bella, ma faticosa (chiedetelo a chi ha riportato la B.V. di S. Luca al santuario, in un torrido e improvviso pomeriggio estivo dopo giorni di freddo e di pioggia!).

Come la Pentecoste è la pienezza della Pasqua, perché lo Spirito rendere sempre presente il Risorto, così raggiungere la meta di una gita dà un senso di compiutezza, anche se rimane tutto il ritorno!

Riposo

Ora, però, è il momento di mangiare e di dissetarsi.

Non importa se durante il cammino abbiamo finito l’acqua: c’è una fonte, a cui riempire le nostre borracce.

È acqua di sorgente, fresca, perfetta per accompagnare un buon panino, un frutto e un dolcetto.

Tutti sanno, in realtà, che quando arrivi al traguardo di un bel sentiero, quello che ti ristora veramente è la vista del panorama aperto, la policromia della roccia, dei prati e dei laghetti.

Eravamo idealmente rimasti al Rifugio Locatelli… perciò attingiamo forza ed entusiasmo dalla maestosità delle Tre Cime di Lavaredo.

Le Tre Cime come la Santissima Trinità, spero che mi perdonino i teologi…

ma lo scrive anche Paolo nella Lettera ai Romani: l’amore di Dio viene versato nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo che ci è stato dato, grazie a Gesù (cf. Rm 5).

Ritorno

Nei momenti in cui ti senti rincuorato dallo Spirito, ti verrebbe voglia di fermarti in quel calore, di goderti tutta quella pace. Ma i discepoli avevano imparato la lezione sul Tabor. E ora dal Cenacolo, vengono spinti fuori, come quando, dopo il riposo, ti senti ricaricato di energie e sei pronto a scendere a valle e a completare il tuo itinerario.

Non c’è in gioco solo una gita, ma il terminare un’impresa.

Ci sono ancora molti e nuovi paesaggi da contemplare. Gli itinerari belli, sono quelli che ritornano “per un’altra strada” come i Re Magi.

Ho ancora negli occhi, scendendo dal famigerato anello delle Tre Cime, un tappeto di prati irrigati da piccoli ruscelletti, una copia del Paradiso Terrestre – o forse l’originale? – ricamato da una miriade di fiori bianchi e lievi come piccoli batufoli di cotone. Mi fecero pensare alla manna nel deserto: doveva proprio essere così!

Ogni ritorno è caratterizzato da un dono di forze che sostiene il cammino: può essere la meraviglia negli occhi, il cuore grato, una parola che ricevi e che ti accompagna, le gambe – anche quelle spirituali – che ormai vanno da sole o qualsiasi altro segno di bellezza.

Il ritorno è sempre segnato dalla gratitudine per il cammino alle spalle, e dal fatto che non cessano nuove scoperte.

Racconto

Infine, il racconto. Quando hai fatto un’esperienza così bella, non puoi fare a meno di condividerla. Qualcosa racconti, qualcosa rimane nel tuo intimo. Di un paesaggio puoi fare una descrizione, ma alcune emozioni sono come una cassaforte personale, perché non si possono tradurre a parole.

Così è la testimonianza dell’amore di Dio nello Spirito Santo. Non puoi tenerla con te, non per fare proseliti, ma perché semplicemente è impossibile non condividere tanta bellezza. Eppure, l’ampiezza, la profondità e la luce di quel paesaggio incantato, così come gli orizzonti molteplici definiti dalle catene montuose che si inseguono e sovrappongono, possono essere raccontate solo per approssimazione.

Così è anche l’esperienza spirituale.

Qual è la vastità e il miracolo dell’opera di Dio nella vita di una persona, magari di un giovane nei passaggi decisivi della sua esistenza? Che cosa accade, davvero, tra Dio e ciascuno di noi?

Raccontare è come scrivere la pagina della Pentecoste. E tuttavia, quello che è successo avrà sempre il “di più” che trabocca in ogni storia d’amore.

 

Don Davide




Abitati da Dio

Se leggiamo nei libri di storia o negli annali, troveremo il racconto delle guerre e della modifica dei territori legati al potere di chi governava e le cronache di come le condizioni economiche hanno inciso sulla vita pubblica e sociale, il disagio dei poveri, insieme ai grandi eventi atmosferici o situazioni come le malattie o qualche altra disgrazia; in alcuni casi scopriremo chi ha vinto il premio Nobel, qualche fondamentale scoperta scientifica o, più popolarmente, chi ha vinto i Mondiali di Calcio come riscatto di un popolo o qualche altra impresa sportiva… ed è esattamente quello che è accaduto anche nel 2022 se lo guardiamo macroscopicamente, perché il tempo è così. Percepiamo una saggezza disillusa nel libro del Qoelet che descrive questa situazione: “Non c’è niente di nuovo sotto il sole, gira e rigira il vento coi suoi giri. Tutto è vano” (cf. Qo 1,1-11).

Certamente però, in questo 2022, nascosti agli occhi dei grandi eventi, ci sono stati momenti straordinariamente felice e affettuosi e, per qualcuno, momenti terribilmente tristi e dolorosi; anche queste cose si ripetono con una certa ciclicità, di cui

la sapienza cristiana suggerisce di apprezzare le cose belle,

di goderne il più possibile appieno con la consapevolezza che possono presto lasciare il passo alle cose dell’altro segno.

Però, differentemente da quello che si può osservare con uno sguardo solamente umano, il nostro spirito sa che tutto questo tempo è abitato da Dio e, se lo scrutiamo spiritualmente, leggiamo la fedeltà di Dio che mi ha fatto grazia con la sua visita.

In questo giorno celebriamo Maria, Madre di Dio. Nella sua espressione paradossale questo titolo ci ricorda che

tutte le volte che ci rivolgiamo a Maria, Dio viene generato in noi,

possiamo riconoscerne appunto la sua presenza e ricordare che il nostro tempo e la nostra vita, se vogliamo, possono essere abitati da Dio.

Don Davide




Morirò da Re (Under 20 testo+ video)

Cosa c’entrano i Måneskin?!

Il significato di questa loro canzone è: “Se muoio accanto a te, morirò da re”, oppure: “Accanto a te io muoio da re”. È il culmine di una dichiarazione d’amore folle e grintosa allo stesso tempo.

La domenica di Cristo Re, con altre parole, celebra la stessa dichiarazione d’amore di Gesù ad ogni uomo e ad ogni donna: accanto a te, per amore, morirò da re, anche se vengo ucciso sulla croce come un criminale.

È singolare che un gruppo travolgente come i Måneskin esprima spontaneamente il senso di una cosa universale e verissima: morire per amore è un atto regale, che trasforma una croce in un trono.

È un amore che salva e che ci fa capire cosa significa essere salvati. È un’emozione che tutti e tutte riconosciamo immediatamente, come dice Rose nella battuta finale di Titanic.

La canzone dei Måneskin, ovviamente, la sapete a memoria meglio di me. La scena di Titanic, se non l’avete vista o non ve la ricordate, la trovate QUI.

Ah, quasi dimenticavo, qualcuno mi deve l’iscrizione al canale Instagram della Parrocchia… 😉




Pace, dono dell’amore

Il primo giorno dopo il sabato, quello della resurrezione, quello della nuova creazione, quello della vita nuova, oltre le porte chiuse, Gesù stette con loro. Rimase con i discepoli impauriti ancora dai Giudei e, nonostante l’annuncio della resurrezione, si sentivano ancora sopraffatti dal mondo intorno a loro.

Pace a voi, disse Gesù.

Fino a quando c’è bisogno delle ferite per risvegliarci?

E’ necessario far vedere loro le ferite (e a Tommaso chiede anche di toccarle) perché loro possano gioire. Hanno ancora bisogno in qualche modo di un corpo per poter credere in lui. E’ un’infinita incarnazione per tutti i credenti perché non possiamo pensare la vita, le parole e le opere di Gesù, come una mera ideologia. Il suo essere nella carne, lo collega a quella dei poveri del mondo: ecco perché ci sono ancora le ferite in un corpo (che noi chiamiamo glorioso) che riesce a passare per porte e pareti.

Ora, finalmente, i discepoli gioiscono nel vedere il Signore che ripete: Pace a voi.

Un nuovo sguardo e un nuovo stato del cuore

Ansie e paure non gli avevano permesso di ricevere la ‘prima’ pace. Hanno avuto bisogno ‘di vedere’ oltre per accogliere la pace offerta dal Risorto. State in pace e portatela al mondo come un per-dono, un dono per tutti, un dono perfetto. La pace per voi è uno stato interiore grazie alla Sua presenza nuova, quella che riconcilia gli uomini e il mondo ricapitolando tutte le cose in Lui (v. anche Ef 1). Ecco, adesso è il momento di condividerla con chi incontrate. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Mt 10,8). Il mondo cerca la pace e io la offro non solo come assenza di guerra, ma come qualcosa di più (Gv 14,27).

Questo ‘di più’, è quella pace che a volte ci sfugge proprio mentre siamo affaccendati nelle vicissitudini quotidiane, nelle storie delle nostre relazioni, in quelle pause che meglio potrebbero offrici e dare per-dono.

Per-Dono = Dono Perfetto

Perdonarci i sensi di colpa, ad esempio, o perdonare le dimenticanze altrui, è un ottimo inizio. E quando avviene, non siamo forse in pace? Non sentiamo nel nostro corpo una speciale armonia con il nostro cuore e la nostra anima: tutto suona all’altezza giusta della medesima nota.

Di più’ è quel dono gratuito, senza un perché apparente, che ci arriva quando ci facciamo raggiungere dal respiro di Cristo, il suo soffio. Fare all’unisono, almeno un respiro al giorno con lui, specialmente nei momenti più difficili, per ricordarci che Lui è con noi sempre.

Lo Spirito ci guiderà. Noi siamo il suo tempio (1Cor 6,19), quello della nuova creazione, quello ‘ri-fatto’ proprio grazie alla Pasqua di Cristo.

Pace a voi. La pace è in voi.

Anna Maria e Francesco




Una scena mozzafiato

Lettera aperta quasi alla fine dell’anno liturgico

C’è un versetto da infarto nel vangelo di questa domenica, quando il terzo protagonista della parabola mette il tesoro che gli è stato consegnato in una buca e lo sotterra.

Se lo immagini interpretato da un bravo attore, in un film al cinema, sul grande schermo, dove potresti cogliere l’atmosfera, i movimenti impercettibili e le emozioni disegnate sul volto, è una scena mozzafiato, ma nel senso da fare paura.

Vorrei farti notare che il racconto della parabola (anche se la versione liturgica ha tolto una parola) inizia così: “Avverrà infatti…”. Questo esempio di Gesù esplicita l’insegnamento della parabola delle vergini. Là la vigilanza era l’impegno di imparare ad amare per andare incontro allo sposo. Qui, i talenti, prima di essere doni specifici come l’essere intelligenti o l’essere bravi in uno sport, sono un simbolo dell’amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo che ci è stato donato.

Ecco allora, la nostra scena terribile: questo uomo seppellisce il suo amore, quello ricevuto e quello che avrebbe da dare e, così facendo, in realtà seppellisce se stesso. Decidendo di non amare decide di morire.

Decidendo di non amare giungerà alla conclusione di non essere stato mai amato, fin dall’inizio: “Ecco qui il tuo talento” dirà alla fine della storia al suo padrone. Come se dicesse: “Io non ho niente da darti, riprenditi ciò che è tuo e che non è mai stato mio.” È la stessa posizione del figlio maggiore nella famosa parabola: “Tu non mi hai mai dato un capretto per fare festa con i miei amici…”

Ma non vero! Nella parabola raccontata da Gesù non c’è nessuna intenzione di riflettere su un’eventuale ingiustizia da parte di Dio che amerebbe qualcuno più di qualcun altro. Semmai è tutto il contrario. La storia si concentra sul fatto che tutti, da qualsiasi posizione partano, hanno la possibilità di ricevere la stessa ricompensa, facendo esperienza dei doni del Signore: “Prendi parte alla gioia del tuo Signore” viene detto a entrambi i primi due, nello stesso modo, indipendentemente dal fatto che uno abbia altri cinque talenti e l’altro altri due. Anzi, c’è una corrispondenza fra cinque dati e cinque ottenuti; due dati, due ottenuti. Nulla di più!

Allo stesso modo, il Padre misericordioso dell’altra parabola svelerà come stanno le cose veramente: “Tutto ciò che è mio è tuo!”.

Perciò – ecco la lettera aperta – chiunque tu sia: non sotterrare il tuo amore! Non morire in anticipo. Tu hai l’amore di Dio. Qualunque sia stata la tua storia nell’infanzia, nella giovinezza o nella tua vita attuale, da Dio tu sei amato/a e tu puoi amare.

Ama. Sii generoso. Se devi amare, corri anche qualche rischio come un saggio investitore: per l’amore ne vale la pena. È un bel modo per portare a conclusione il bilancio di un anno, non credi?

Il testo ci racconta che quel servo si è sotterrato “per paura”. Prova a non ascoltare le tue paure: le paure sono come un fantasma di fumo che si condensa sempre di più, ma se tu gli corri incontri si dissipa in un istante. Prova ad ascoltare, invece, la voce del Signore che ti dice: “Non temere! Non avere paura! Sei invitato alla festa della vita! Non sottrarti!”.

Tutto ciò che è di Dio e di Gesù, è anche tuo. Sì, Gesù ha messo il suo cuore nel tuo perché tu possa amare come lui. Non rimanere come il servo pauroso con il soldino in mano. Non rimanere come il fratello maggiore sulla soglia.

Davvero, per le tue paure non vorrai fare quel passo?

Non entrerai?!

Don Davide




Sono qui accanto a te

La pratica dell’Amore

In questa domenica le letture rinnovano le prime declinazioni pratiche dell’amore. Nascono banalmente da una provocazione a cui ci hanno abituato i farisei in queste ultime domeniche: «Qual è il comandamento massimo?» gli chiede un dottore della legge. Gesù non si sottrae alla domanda e richiama lo Shemà’, la preghiera più ripetuta in Israele: il Signore è uno, lui solo ama con tutto te stesso. Poi integra questo comandamento dicendo anche il come, perché non rimanga solo uno slogan, cui tanto siamo ormai abituati. Similmente, ama te stesso e così gli altri. Ama Dio, allo stesso modo, ama te stesso e, così, anche gli altri.

Sono qui accanto a te

Dice Dio, parafrasando la prima lettura: io ti amo quando ti senti forestiero nel mondo e nelle tue giornate, quando ti senti orfano, quando ti senti maltrattato dagli eventi. Ti amo in modo gratuito, senza interessi e così sei ricco abbastanza. Usa la stessa misura verso chi ti è accanto: questo è il massimo per te e per chi ti è vicino. Amati senza giudizio e con generosità. Sii grato per ciò che ricevi e allo stesso modo relazionati con chi incontri. Questo è il massimo che è difficile inserirlo nella categoria dei comandi poiché trabocca di solo amore. L’esercizio è teoricamente semplice: ricevo da Dio che mi colma di grazia eccedente che straripa al mondo.

Nessuno si salva da solo

Il mondo ha bisogno di cristiani così. Ad esempio, l’ultimo rapporto Caritas del 17 ottobre u.s., ‘Gli anticorpi della solidarietà’, ci parla, tra l’altro, di “nuovi poveri” con un’incidenza che passa dal 31 al 45% tra quelli che si rivolgono alla Caritas. Ci sono anche circa 62mila volontari che cercano di amare se stessi amando queste persone, in cui amano Dio.

Non siamo poi così lontani se guardiamo alle carezze che offriamo in casa, agli sguardi sorridenti che regaliamo per strada, dietro le nostre mascherine, ai pensieri/preghiere che pronunciamo per gli altri. Se Dio è così per noi, possiamo esserlo anche noi per gli altri.

Essere coerenti ci rende certi della testimonianza

Nella seconda lettura san Paolo ci dice proprio questo: abbiamo seguito l’esempio del Signore e noi possiamo diventare modelli per la nostra comunità di questo nuovo modo; la nostra comunità stessa diventa modello di accoglienza dello straniero nei prossimi giorni. Si diffonde con l’esempio oltre le parole.

Fatti amare da Dio e ama i tuoi fratelli, come sei e come puoi.

Francesco Paolo e Anna Maria




Estate 21-06-2020

Inizia l’estate e Gesù nel vangelo di oggi usa l’immagine dei passerotti, anche loro custoditi dal Padre di tutti, che è nei cieli.

Dovrebbe essere lo spunto per una sorta di mindfulness cristiana: fermarsi a guardare il volo dei passerotti. Essi volano allegri, non un gesto solenne ed estremo come quello dei rapaci, ma un movimento più semplice, dedito alla ricerca di cibo e alla libertà dell’aria. Dio si prende cura di questa loro esistenza umile.

Allo stesso modo, possiamo immaginare di fermarci con il volto rivolto verso il sole e, senza mascherina, inspirare l’aria d’estate. Ascoltare il canto degli uccelli e, quando arriverà il caldo vero, il frinire dei grilli e delle cicale. E pensare che come il Sole, così splende su di noi l’amore del Padre. È possibile che ogni tanto non si veda il Sole, che sia oscurato dalle nuvole: nondimeno, sappiamo che è la sua energia che sostiene il mondo, anche nella peggiore giornata d’inverno, e che, se per qualche ragione il Sole smettesse di emanare i suoi raggi sulla Terra, il pianeta collasserebbe all’istante. Ma, in realtà, nessuno dubita che il Sole continuerà a bruciare e a emanare il suo calore per svariati miliardi di anni.

Così è l’amore di Dio. Anche quando appare nascosto, mantiene tutto nell’esistenza. Anche se non lo vediamo è lui che continua a dar vita al nostro cuore.

La luce, il calore e i colori dell’estate ci servano a richiamare quest’energia sovrana, che è tanto vasta da abitare il globo, e tanto personale da essere premurosa per ciascuno di noi.

È grazie a questa conferma di quanto sia voluta e preziosa la nostra esistenza per Dio – conferma che ci ricorda Gesù in ogni sua parola e in ogni suo gesto – che possiamo non vivere nel buio e nel nascondimento, ma cercare di essere autentici.

Per lo stesso motivo, siamo incoraggiati a non lasciarci coinvolgere nelle trame nascoste, ma ad essere solari e limpidi, come una giornata tersa d’estate.

Infine, è il ricordo del volo dei passerotti che ci fa sentire liberi da ogni paura. Nessuno ci potrà fare del male, anche chi volesse farcelo davvero. La nostra vita è ancorata ad un’esistenza più profonda, più radicale e più libera.

Vorrei che per tutti il tempo dell’estate fosse l’occasione di coltivare un po’ questa sorgente spirituale.

Vi propongo, quando andrete al mare o in montagna, o in un viaggio nella nostra bella Italia, di sostare su qualche piccolo sguardo dove il particolare tocca l’universale: il moto delle onde, un bambino che gioca con la sabbia, la croce sulla cima di una montagna, il pascolo delle mucche, il cameriere che versa un buon vino toscano, i cipressi in contrasto su un campo di girasoli… tutto ci può confermare dell’energia dell’amore di Dio che sostiene il mondo.

Lasciamo che questa consapevolezza entri in noi e permei il nostro spirito e – come quando rimaniamo esposti al sole e ne sentiamo il calore sulle guance – cerchiamo di percepire Dio stesso che ci accarezza.

Don Davide