Il Corpo del Signore

Il corpo sono io. Io non esisto senza il mio corpo.

Attraverso il corpo io esprimo la mia vicinanza alle persone che amo, il desiderio di stare loro accanto, magari per tutta la vita.

Così Gesù ci ha lasciato il suo corpo, per dirci: Voglio stare con te, sempre.

Come nel video che vi propongo (è stupendo, non perdetevelo per nulla al mondo!), questo corpo è testimonianza di un amore che vince il tempo che passa, che cambia il nostro sguardo e ci aiuta a scoprire che, allo sguardo dell’amante, il corpo dell’amato – l’amato stesso – è sempre splendido.

Il Corpo del Signore esiste per dire che ai suoi occhi tu rimani sempre splendido.




SS.ma Trinità

Così tante cose belle

da vivere,

così tante persone

da amare,

e così poco tempo

per farlo.

Tuttavia voglio vivere

accordato alla Tua provvida

Provvidenza,

come semicroma agganciata

al suo pentagramma.




“Vuoi uscire con me?” (Under 20 video+testo)

Prima di tutto, ti invito a guardare questo video.

Lo Spirito Santo è una persona silenziosa, che sta accanto a noi anche quando non ce ne accorgiamo. Possiamo essere pensierosi, distratti, ogni tanto avvertiamo la sua presenza, ogni tanto percepiamo la sua assenza. Lui ci osserva rispettosamente e intanto prepara una storia.

Fino al momento in cui soffia il suo vento, solo per chiederti di “uscire” con lui.

“Tu hai fatto tutto questo solo per chiedermi di uscire?” potresti dire anche tu.

Lui, lo Spirito, potrebbe fare diverso, ma gli interessa la tua libertà.

Su questo punto è delicatissimo. Può accettare un rifiuto.

Il giorno di Pentecoste si è fatto sentire eccome! Dirai…

Ma è più vero che il giorno di Pentecoste ha soffiato il vento, per fare scorrere le pagine di quel taccuino e farti intravedere una storia di vita. Il rombo di tuono è ciò che ha provato la ragazza del video, nel cuore.

 

Post scriptum

È finita la scuola, sei più libero. Ti propongo una piccola magia spirituale.

Pensa alla tua vita fino a qui, e focalizza cinque passaggi o momenti che ritieni decisivi. Mi raccomando: cinque, né di più, né di meno. Puoi anche scriverveli, a mo’ di diario, oppure selezionare cinque foto che li rappresentano o li simboleggiano e incollarle su un foglio di carta o metterle in una storia del social che utilizzi.

Poi, pensando a quei passaggi/momenti, chiediti: che cosa significa, per me, oggi, che questa storia mi ha portato fin qui?

Potrebbe darsi che la domanda diventi: “Vuoi riuscire con me?” 😊




Preghiera piccola

Spirito Santo,

donaci una fede piccola non nel senso di poca, ma nel senso di semplice, umile. Quella fede così piccola da sradicare le montagne. Una fede “minore” come avrebbe detto San Francesco, che non vuole essere “superiore” agli uomini, ma sotto la luce di Dio.

Una fede così aderente alla tua manifestazione, da essere franca nella sua pacatezza, tale da non avere preoccupazioni né pretese di sorta nemmeno davanti a un governatore romano o a un sommo sacerdote: “Se sia giusto, davanti a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,19-20).

Una fede che cerchi l’intelligenza nella sapienza e la ragionevolezza nella matrice della Croce.

Una fede che non voglia avere ragione, ma sentimento; e che alla rassicurazione protettiva del dogma, cerchi preferibilmente l’emozione e l’inquietudine dell’incontro vivo con Cristo. Una fede che riconosca la Verità, che è Gesù Risorto, e la rispetti nella sua autenticità sempre inaccessibile alle nostre parziali e imperfette verità, piene di egoismo.

Spirito Santo,

che ci lasci la Croce come memoria del Risorto, donaci un ancoraggio essenziale non ai fondali degli abissi, ma al cielo, perché tu non sei etereo, sei concreto come un osso, sei l’essenziale di tutte le cose, spogliate da volontà di potenza, spogliate da trionfalismi, spogliate da rivendicazioni, rivalse e competizioni.

Tu, Spirito Santo,

sei la fede pura, perfetta come l’oro, limpida come un diamante e semplice come un granello di roccia; fede che si realizza quando ci affidiamo all’amore e riconosciamo che Dio è più grande di tutto e possiamo consegnarci a voi, Santissima Trinità, e custodire l’amicizia, l’affetto e il dono della Parola che illumina il nostro cammino.

Spirito Santo,

in questo giorno di Pentecoste, ti supplichiamo il dono della pace non come la dà il mondo, che sono sempre piccole ancorché utili paci, ma come la dà il Risorto, che la crea, laddove noi non siamo capaci di farla.

Infine, Spirito Santo,

ti chiediamo una fede essenziale, non affannata, ma piena di cura e di sorrisi, di legami rispettati e di alleanze mantenute o ritrovate, anche grazie al perdono.

Una fede non competitiva, né tra noi né col mondo, ma trasformante, sia di noi che del mondo.

Una fede buona e amorevole come una nonna con i suoi nipoti.

Don Davide




Salire di livello (Under 20 testo+video)

Collego l’Ascensione di Gesù al tema vocazionale.

Non alla vocazione nel senso di diventare prete, religioso o religiosa, e neppure penso al sacramento del Matrimonio, ma alla vocazione che riguarda le decisioni nei passaggi importanti della vita dei giovani: tipo la scelta dell’università, o del lavoro, o dove andare a vivere e se sposarsi oppure no.

In questa settimana un’amica mi ha chiesto: “Don, ma come si fa ad essere felici? E come si fa a essere sicuri di fare la scelta giusta?”. Ecco, questo è precisamente il tema vocazionale.

Ascendere significa salire in virtù di una capacità o una forza che si possiede.

La questione è proprio salire di livello nella partita della vita.

È come un videogame: prima giocavi al livello 1, adesso devi sapere che, inevitabilmente, è più difficile, però è anche più bello, la sfida si fa più stimolante, puoi scoprire cose molto più interessanti.

Il problema è che nella vita non hai le vite infinite, o comunque possibilità illimitate di giocare ancora e questo può fare molta paura.

Anche ai discepoli è successo questo. Quando Gesù è asceso, sono anche loro saliti di livello. Cavoli, già si erano presi un bello spavento dopo la sua morte, poi erano stati consolati, ma adesso lui li aveva lasciati di nuovo soli… e, beh l’esperienza dello Spirito Santo che gli avrebbe dato la carica a Pentecoste non l’avevano ancora fatta e… insomma… non deve essere stato per niente facile neanche per loro.

Tra l’Ascensione e la Pentecoste ci sono dieci giorni. Ho molte domande: Cosa hanno fatto in quei dieci giorni? Come hanno vissuto?

Come hanno imparato ad essere felici e come hanno imparato qual era la scelta giusta da fare?

Cosa hanno provato e quali emozioni hanno vissuto?

E che cosa hanno capito dell’esistenza?

Il racconto degli Atti ci dice solo che sono stati insieme, hanno curato la dimensione interiore, e hanno guarito una ferita profonda del passato.

Questa potrebbe essere una risposta. Ma voglio dedicarvi invece una canzone: “Up&Up” dei Coldplay , in modo particolari i versi che dicono: “Sì voglio crescere, / sì voglio sentire, / sì voglio conoscere, / mostrami come guarire. […] Vedi la foresta in ogni seme, / angeli nel marmo in attesa di essere liberati. / Ho solo bisogno d’amore…”

Don Davide




Prepararsi allo Spirito

In questa domenica, in cui facciamo festa alla B.V. di S. Luca in città e onoriamo S. Rita, la liturgia comincia a prepararci ad accogliere lo Spirito Santo.

Egli è il Maestro interiore.

Ci aiuta a ricordare, custodire, meditare e comprendere le parole di Gesù, come una luce chiara sul nostro cammino.

In parrocchia c’è un quadro dedicato a S. Rita, recentemente è stata cambiata l’illuminazione, ma rimane poco visibile.

Ho pensato a quanto abbiamo scritto nella versione che abbiamo elaborato di quel quadro per la cosiddetta arte digitale, nella serie Leadership contemporanea: Clarity-A-… NFT for sale at Mintable.app

“Santa Rita è in estasi sostenuta da angeli. […]

In un mondo in cui l’estasi è associata alla sotto-cultura del disordine e della trasgressione, una vera guida sa che l’estasi è invece legata alla chiarezza mentale e si concentra su ciò che è realmente a servizio degli altri.

La leadership è un dono d’amore ed è sacrificio, carità e dedizione.

Una guida esce da se stessa, ma non si smarrisce. Mentre va verso gli altri è animata da una chiarezza assoluta: sa chi è, perché lo fa e come lo fa. E non perde mai di vista il Bene.”

Quando Gesù comincia ad ammaestrarci sul mistero dello Spirito Santo e dice: “Lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto” (Gv 14,26), pensa esattamente a una persona spirituale capace di essere padrona di se stessa e riferimento sicuro per gli altri.

Don Davide




Noi e il Risorto (Under 20 testo+video)

L’apostolo Tommaso è stato cristallizzato come quello cocciuto e incredulo, ma in fondo desiderava solo avere un incontro vero e personale con Gesù risorto, come tutti gli altri.

Per questo, in realtà, mi sta simpatico: perché non si accontentava per sentito dire, perché cercava qualcosa di autentico.

Un incontro così è descritto meravigliosamente nell’inizio del Libro dell’Apocalisse. Uno pensa a una cosa spaventosa, che precede catastrofi degne di un disaster movie americano…

Gesù risorto, invece, ci incoraggia con una mano sulla spalla.

“Egli, posando su di me la sua destra, disse: Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente!” (Ap 1,17-18).

Lui è vittorioso sulle forze inquietanti della nostra esistenza e della storia che viviamo.

Però non pensate a un Gesù risorto come a una specie di supereroe religioso inquietante… immaginatelo piuttosto come Baymax quando consola Hiro (VIDEO).

Come dice il dialogo, potrebbe accadere che non ci siano evidenze di mali fisici, ma non conta.

Alcune volte può far male in un modo diverso.

In quei momenti, siamo tentati di pensare che non ci sia nessuno capace di aiutarci.

Per superare questi pensieri, abbiamo bisogno di un incontro vero, di rassicurazione e di contatto fisico, come Tommaso. Ecco, allora, la mano di Gesù su di noi: “Non temere, io sono il Vivente!”.

 




I luoghi vivi

Mi è stato chiesto di scrivere l’omelia della Veglia di Pasqua. Ho trascritto gli appunti che avevo, nel modo meno schematico possibile, consapevole che rimane un testo che avrebbe ancora bisogno di molte rifiniture.

Introduzione. Il fuoco.

La Veglia di Pasqua inizia con il fuoco dello Spirito, come simbolo di un nuovo vigore e di una luce calda e piena di energia nella notte e, nella liturgia, non si sa se prepari la resurrezione di Gesù (perché serve per accendere il Cero Pasquale) o ne sia il frutto (perché è il segno che rinnova tutto), ma divampa!

Questo vigore, che Dio immette nella storia e con cui rinnova il mondo, è espresso nella potenza con cui Dio ha liberato il suo popolo dalla schiavitù (I lettura: Es 14), nella tenerezza che Dio esprime al suo popolo (II lettura: Is 54), nella forza con cui trasforma continuamente il nostro cuore indurito, lo intenerisce e ci rende più capaci di amare (III lettura: Ez 36), infine, nella vita nuova che ci fa vivere, anche quando meno ce l’aspettiamo (Epistola).

Sono convinto che se noi pensiamo al punto in cui siamo arrivati adesso nella vita, scopriremmo con meraviglia tanti traguardi, tante cose buone che ci troviamo a vivere, magari continuamente nascosti o offuscati dalle fatiche e dalle cose che non vanno, che però non devono coprire tutta la prospettiva.

Ma, in concreto, che cosa significa tutto questo per noi?

Il Vangelo ci fa ascoltare la domanda dei testimoni della resurrezione alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,5).

Ci chiediamo: che cosa è vivo? Che cosa trasmette vita?

Che cosa, quindi, da vita alla Chiesa? Che cosa dobbiamo praticare, lasciando indietro quello che non dobbiamo più cercare?

Seguendo il racconto del Vangelo possiamo raccogliere tre indicazioni.

Primo. La tenerezza.

Le donne vanno al sepolcro, non perché sono animate dalla fede nella resurrezione, ma perché sono mosse dalla tenerezza: vogliono compiere un gesto buono nei confronti del Maestro. Non possono fare più niente per lui, ma hanno ancora affetto, e lo vogliono esprimere con l’azione di sciogliere le bende e ungere il suo cadavere, come segno di rispetto ai morti. È un gesto e un pensiero che ci riempie il cuore di tenerezza.

Paradossalmente, questa tenerezza è in grado di riscattare anche le dimensioni abitate dalla morte. I testimoni dicono che non bisogna cercare tra i morti, ma loro – andando a compiere un gesto tenero per un defunto – scoprono la via della vita.

Poco prima della Quaresima abbiamo celebrato il funerale di una bimba. In quel momento drammatico possiamo raccogliere tutte le fatiche della vita e gli orrori che si consumano, anche nelle guerre presenti, che si esprimono nella loro forma più acuta, ingiusta, dolorosa e radicale nella morte di una piccolissima bimba. Oggi pomeriggio, nel silenzio del Sabato Santo, i suoi genitori sono venuti a dire una preghiera per lei.

Una delle profezie più intense della resurrezione, nel profeta Isaia, recita così: “Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni; né un uomo che dei suoi anni non giunga alla pienezza” (Is 65,20).

Mi tengo queste attese e queste speranze nel cuore.

Vedo, però, che in qualche modo misterioso, quando tu esprimi tenerezza, una vicinanza sincera, amicizia, lì c’è il Signore risorto che si fa raggiungere e si svela.

Secondo. Alleanza.

Nel Vangelo di Luca, per esprimere la passione, morte e resurrezione di Gesù, si usa di continuo il campo semantico del “dovere”: bisogna, bisognava, doveva… I testimoni richiamano le parole di Gesù quando era ancora in Galilea “e diceva: Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato…” (Lc 24,7).

È uno dei concetti più difficili del Nuovo Testamento e del mistero della vita di Gesù, ma sicuramente esprime il fatto che Dio, attraverso Gesù, si impegna con l’umanità. Non difende la sua libertà assoluta, si prende un impegno per salvarlo, per liberarlo dal peccato e dalla violenza che lo attanaglia, si condiziona, anche a costo di morire in croce.

Questo esempio di Dio, ci dice che l’Alleanza, allearsi, è un luogo della vita

Io mi impegno con te. Mi lego. Tu sei una cosa che mi riguarda. Ci tengo, non cambio alla prima fatica, lavoro sul nostro legame. Se serve, chiedo scusa e lo faccio prontamente.

Ho voglia di lavorare con te, pensare con te, costruire con te.

Per creare un’alleanza vera, secondo la testimonianza del Vangelo, ci vuole sacrificio, questa parola obsoleta e rifiutata, ma che è legata alla consegna che Gesù fa di se stesso. E insieme al sacrificio ci vuole condivisione: le donne che andarono al sepolcro, secondo il racconto di Luca, erano molte e compirono quella piccola spedizione insieme.

Terzo. Mediazione.

È opinione condivisa che la nostra è l’epoca delle non mediazioni, quella che non solo le ha rifiutate, ma abbattute. C’è un fondo di verità, in questo, ma adesso ci si scopre ad andare a cercare altre mediazioni, diverse da quelle precedenti, nuove, ma utili e necessarie.

Possiamo accedere a qualunque notizia, ma se ti vuoi informare decentemente, ti affidi ad un aggregatore, a un giornale o a una rivista di cui ti fidi, che faccia un po’ di mediazione dello scibile, per te. Puoi ascoltare tutta la musica che vuoi, ma utilizzi le playlist per conoscere quella più di tendenza, in mezzo alla vastità di tutto quello che è disponibile. Si potrebbero fare tanti altri esempi.

L’idea di una mediazione è fondamentale perché nel Vangelo di Luca, per comprendere la resurrezione ci vuole sempre una mediazione: dei testimoni al sepolcro (Lc 24,1-7), del pellegrino misterioso (Lc 24,13-35) o del Risorto stesso, che palesato, spiega ai suoi discepoli il mistero della resurrezione (Lc 24,36ss.).

Mi sembra che questo valga soprattutto per la responsabilità degli adulti nei riguardi dei ragazzi e dei giovani.

Per comprendere la vita, ci vuole qualcuno che medi l’esperienza, che sia capace di darne un’interpretazione significativa, che ti restituisca il vissuto e poi che sappia ad un certo punto sparire, farsi da parte, sottrarsi.

I testimoni della resurrezione nel Vangelo di questa notte spariscono dalla scena e dalla narrazione senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Il pellegrino misterioso scompare dalla vista dei discepoli non appena lo hanno riconosciuto. Il Signore risorto ascende al cielo.

Questa è davvero l’opera decisiva: la capacità di offrire una mediazione, per comprendere la vita, e poi lasciare sgombro il campo di gioco.

Conclusione. “Porrò il mio spirito” (Ez 36,27)

Il profeta Ezechiele, nella lettura che porta il percorso dell’Antico Testamento fin sulla soglia del Nuovo, parla di un’effusione dello Spirito nell’intimo di ogni essere umano, come gli inizi di una Creazione Nuova (cf. Gn 1,2).

È solo l’inizio, dunque.

Al sepolcro noi abbiamo gli attrezzi del mestiere di vivere, come si diceva una volta andiamo a imparare a bottega.

Nella celebrazione di questa Pasqua, allora, possiamo tenere una preghiera nel cuore che suona così:

Su di lui, su di lei si posi lo Spirito del Signore.

Su questi miei fratelli e sorelle, su queste mie amiche ed amici si posi lo Spirito del Signore.

Sulla mia famiglia, su mia moglie, mio marito, su questo mio figlio e questa mia figlia si posi lo Spirito del Signore.

Su questa comunità posa, Signore, il tuo Spirito.

 

Don Davide




Sulla soglia

La resurrezione è una soglia.

Non c’è più un sasso duro a chiudere il passaggio, ma una porta aperta, che si può varcare.

Questa soglia apre una ricerca, obbliga a fare ipotesi, suscita pensieri nuovi. Più che fare un giretto nel sepolcro, le discepole non possono fare altro.

Che cosa c’è altrove?

Lì, sulla soglia, incontrano degli uomini, forse degli angeli mascherati. Sono un confine di passaggio tra il mondo di Dio e il nostro: messaggeri che con la loro parola ci portano continuamente alla sorgente dell’annuncio: “Non è qui, è risorto!” (Lc 24,6).

Anche nella versione di Giovanni c’è un gioco liminare.

Persino il tempo è una soglia: letteralmente “il primo dei sabati” (Lc 24,1 e Gv 20,1), il primo giorno di una Creazione rinnovata, l’universo nuovamente ricco di promesse di bene.

Gesù queste soglie le varca tutte.

Per lui non c’è più distinzione tra l’essere in life e on line, nel mondo ma non del mondo. Si rende presente entrando nelle stanze anche a porte chiuse, mangia con noi nell’Eucaristia, ma appena i nostri occhi cominciano a riconoscerlo e noi ad abbracciarlo, ecco che lui si sottrae e ci lascia di nuovo su quella soglia a provare nostalgia per il mondo della resurrezione.

Sulle Dolomiti c’è la via ferrata “delle Trincee”, che si sviluppa spostandosi continuamente da una parte all’altra del crinale di Porta Vescovo, affacciandosi sulla Marmolada o sulla valle di Arabba e Livinallongo. Lassù, con una buona dose di vertigini, varchi continuamente la soglia da cui ammiri uno spettacolo incredibile, di cui eri a conoscenza, ma che era quasi impossibile immaginare prima.

Uno dei salmi più belli del salterio recita letteralmente così: “Un giorno nei tuoi spazi / ne vale mille! / Ho scelto / abito sulla soglia di Dio” (Sal 83,11).

La resurrezione non è, dunque, abitare stabilmente in un luogo risolto, dove tutto è chiaro e sereno. È sempre un cominciamento, il tornare a vedere orizzonti possibili, prospettive nuove e un panorama che ti fa vivere.

Anche se questa soglia è sempre da recuperare, finché siamo qui, è importante raggiungerla.

Avere anche solo la possibilità di stare per il tempo di un battito nel cuore di Gesù che torna a vivere, e pulsa nelle vene della storia la vita divina, e srotola sotto i miei piedi un universo che si rinnova, questo vale più di ogni altra cosa.

Don Davide




Lamicizia (Under 20)

“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi” (Lc 22,15).

Condividere qualcosa di importantissimo.

Anche Gesù ne ha bisogno nel momento più difficile della sua vita. E noi impariamo quanto sia importante stare insieme.

Stare insieme quando Gesù ci insegna l’amore. Stare insieme allo stesso modo in cui lui ha vissuto l’amicizia. Stare insieme ad affrontare la morte, quella di un amico, di un nonno o persino di un genitore.

La chiamerei Lamicizia, senza l’apostrofo, con l’iniziale maiuscola e tutta attaccata.

In questi giorni si celebra qualcosa di molto importante.

I tre giorni del “Triduo Pasquale” hanno al centro l’amicizia, l’amore e la vita, così come queste tre realtà possono essere illuminate da Dio.

Anche se fate fatica a credere, anche se in qualche occasione la Chiesa vi ha deluso, cogliete l’occasione di festeggiare e magari di celebrare qualcuno di questi momenti.

Sono certo che ne ricaverete qualcosa di buono.

Ci sono delle persone e una comunità che hanno voglia di festeggiare anche con voi.