Un Re speciale

Il nostro Re è speciale.
E’ proprio “dell’altro mondo”, quello migliore.
Sì, perché un altro mondo è possibile e possiamo dirlo dopo questi ultimi tre passi che la comunità dell’evangelista Matteo ci ha fatto fare in queste ultime domeniche che concludono l’anno liturgico.
Alle vergini è data la possibilità di agire con amore verso se stesse, lo Sposo, il mondo.
L’amore è dato dal Signore gratis; è dato in modo smisurato nella metafora dei talenti da investire. E’ dato senza timori e ci invita a non dichiararci inabili, come spesso facciamo addirittura prima ancora di iniziare ad agire.

Il nostro Re è davvero speciale.
Viene come un pastore per le sue pecore, compie il suo lavoro (ed è un grande lavoratore)
E’ un grande re che si prende le sue responsabilità, con cura e fino in fondo. Se non lo avessimo ancora capito, ce lo ripete ancora, fino alla fine. Vuole dirti: “Se non agisci con amore e per la giustizia ti perdi. Il tuo orizzonte, la tua finalità è il prendere parte con lui, il re pastore, del regno nuovo già qui, ora, in questa vita. Se non prendi l’olio, se sotterri il talento, se non ti ami e non investi nell’amore verso chi è più in difficoltà, te per primo, ti perdi qualcosa, ti escludi da questo regno, ti sei già separato dal resto”.

Il nostro Re è più di una parte, è universale.
Vuol dire che è per tutti e che non esclude nessuno. Chi si tira fuori, lo fa per sua scelta o forse solo per triste, drammatica inconsapevolezza di quanto Amore e non Giudizio, ci sia nello sguardo del Padre. Solo nelle relazioni sane ci si salva. Il Re universale vuole portare tutti alla vita vera e, fino alla fine, è con te, per non farti essere il ‘solito caprone’, potremmo dire con il sorriso sulle labbra. Con William Blake comprendiamo meglio il senso di questa ultima parabola: “Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e lì ho trovato tutti e tre”.

Chi vuole prendere parte al regno universale di questo Re più che speciale, lo segue nella via che egli stesso ha segnato e si riconosce come essere umano in relazione. Ciò dice-bene (bene-dice) la propria vita. Chi si chiude in se stesso, si sotterra, dice-male (male-dice), bruciando rovinosamente i propri giorni.

Il mio Re è un pastore amorevole.
Mi custodisce insieme ai fratelli più invisibili al mondo.
Dio mi ama, prezioso ai suoi occhi come prezioso per il Pastore è tutto il gregge e che tutto offre per l’unicità di ciascuno. E proprio quando divento stracolmo, debordante di gratitudine e meraviglia, vedo che non c’è più separazione tra me e gli altri, non c’è nulla di più naturale che sostenere gli altri, perché ciò che dono, migliora gli altri e me all’istante.
Quella che ci fa soffrire di più la pandemia, per esempio nel distanziamento tra noi, ci fa desiderare di più il suo contrario, perché così si propagherà l’amore di Dio, anche nelle forme che possiamo trovare comunque possibili oggi.

Non potremmo essere più sollecitati di così: ciò che ci viene tolto, ci faccia sentire il fuoco della mancanza così forte da renderci inquieti e arditi, per ritornare lì dove il Re vive già per costruire il Regno di Amore e di Pace, oggi.

Anna Maria e Francesco Paolo




“Mi hai sedotto”

Avete presente quando due persone molto innamorate si scambiano un gesto di affetto, o quando uno non ha paura di dire all’altra (o viceversa) che è stato conquistato? Avete mai sentito due fidanzati che raccontano la loro storia e uno dei due dice: “E pensare che io all’inizio non ne volevo sapere! Mi ha dovuto conquistare!”.

Di questa esperienza parla il profeta Geremia: “mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre…”

Così è l’esperienza spirituale. Qualcuno sente il richiamo del divino e lo segue e non ha paura di riconoscere che è diventato così prezioso che non vorrebbe mai perderlo nella vita. Altri riscoprono come un tesoro preziosissimo qualcosa che non avevano mai considerato prima, o che addirittura rifiutavano.

Succede anche quando la vita di una persona cresce fino a rivelarne il senso pienamente, o una persona si appassiona a un lavoro che pensava di detestare, o quando un servizio che si assume si rivela una benedizione (come chi fa volontariato o accetta qualche incarico per gli altri).

Ma chi di noi può dire a Dio, o più personalmente a Gesù: “Mi hai sedotto, Signore, e mi sono lasciato sedurre?”.

Vorrei suggerire qualche piccolo esercizio spirituale.

Il primo. Per un momento, senza considerare le contrarietà o le fatiche, oppure pensando: “Proprio in mezzo a queste contrarietà e fatiche…” per quali motivi sento di potere benedire il Signore? Nonostante tutto, qual è un motivo di beatitudine, come un innamorato che stia in compagnia di una persona amata, in questo preciso momento della mia vita?

Il secondo. Quando mi ha sedotto Gesù? Quand’è stato il preciso momento, in cui Gesù mi ha coinvolto? Magari allora non me ne rendevo conto, ma ora lo riconosco con precisione.

A partire da questi piccoli esercizi di meditazione, sono sicuro che potremo anche noi riconoscere, come Geremia, che dentro di noi c’è un fuoco che non può essere sopito, che quella scintilla della fede non possiamo perderla e che abbiamo sperimentato l’amore di Gesù come qualcosa di imprescindibile.

Don Davide




Sempre in cammino verso l’amore

Abbiamo celebrato in questa settimana i giorni dell’amore, che sono stati una grazia per i tanti incontri e per il coinvolgimento della nostra comunità.

È un dono poter coronare le celebrazioni di San Valentino con un evento importantissimo (è proprio il caso di usare il superlativo) e che ci rallegra.

Infatti, c’è un altro amore oltre a quello tra le persone che è in grado di entrare nelle nostre vite, ed è l’amore per Dio, vissuto in una dimensione particolare e specifica.

Non è il caso di fare delle gerarchie come se valesse più l’uno o l’altro, né di farne una questione di quantità, come se ce ne fosse uno che è più totalizzante.

Si tratta di rispondere alla personale vocazione all’amore, nel modo che ci permette di vivere al meglio il Battesimo, la dignità del nostro essere cristiani e la chiamata alla santità.

Ci rallegriamo sinceramente e come una vera famiglia con Aurora, novizia delle Suore Francescane di Palagano, che oggi fa la sua prima professione e diventa suora. Aurora ha vissuto un pezzo della sua formazione nella nostra parrocchia, servendo la comunità come catechista (quest’anno della 4° elementare) con entusiasmo e singolare creatività. Col suo fare semplice, amichevole e giovanile, è diventata anche un punto di riferimento per alcuni giovani e, direi di più, un’amica.

Cammino

Questo giorno, quindi, che celebra l’amore di una ragazza moderna e brillante dato a Dio e alla Chiesa, attraverso la sua famiglia religiosa (sembra scontato, ma c’è ancora chi pensa che le suore siano esseri strani…) è davvero per noi la degna conclusione di questa settimana di doni semplici e belli.

Ripartiamo da qui, gioiosi e incoraggiati perché Gesù continua a ravvivare la Chiesa e col desiderio di farne parte sempre più responsabilmente e da protagonisti, anche in vista della seconda Assemblea della Zona Pastorale, che si terrà domenica 23 febbraio e che ha bisogno dell’entusiasmo e della partecipazione di tutti.

 Don Davide




I giorni dell’amore

San Valentino 2020

Amore atteso (video) – San Valentino 11 febbraio

Amore accolto (video) – San Valentino 12 febbraio

Amore ferito (video) – San Valentino 13 febbraio

Amore celebrato (video) – San Valentino 14 febbraio

Dopo l’accoglienza entusiasta dell’anno scorso, ritornano le celebrazioni di S. Valentino, che quest’anno saranno caratterizzati come: “Giorni dell’amore”. Ciascuno sente il bisogno di celebrare e condividere il suo vissuto legato all’amore, perché è l’esperienza più importante dell’essere umano; questo fatto genera interesse, partecipazione e senso di vicinanza. 

L’obiettivo di quest’anno è coinvolgere un numero ancora maggiore di giovani e sottolineare che non vogliamo pregare solamente “per” le persone nei loro differenti stati di vita, ma vogliamo soprattutto pregare “con”: esprimere cioè empatia, amicizia, rallegrarci o farci forza insieme. 

Le celebrazioni inizieranno in compagnia dei single, che potrebbero vivere la ricorrenza di S. Valentino con un po’ di nostalgia o di dispiacere. Abbiamo conservato il momento di preghiera, per affidare al Signore la ricerca vocazionale, ma snellito le modalità della cena, per avere più possibilità di incontro e di dialogo, per fare un gioco insieme ed avere un bel clima di festa.  

Ci sarà poi l’incontro dei fidanzati con il cardinale arcivescovo. Per favorire il coinvolgimento dei giovani, le modalità saranno molto smart e il dialogo con il vescovo avverrà in un bel locale nel mezzo dell’aperitivo. A questo appuntamento, che privilegia intenzionalmente la partecipazione dei giovani fidanzati, si affiancherà quello della celebrazione degli anniversari (non solo quelli speciali, ma tutti!) proprio il giorno di S. Valentino. 

Tra questi due appuntamenti, un’attenzione privilegiata e affettuosa per chi ha vissuto o vive tutt’ora una sofferenza causata dall’amore. Abbiamo pensato a chi ha vissuto la separazione o il divorzio, ma anche a chi è ferito per un tradimento o una fatica nella relazione, oppure a chi ha subito una grande sofferenza o una delusione amorosa che fa fatica a passare. Vorremmo che tutti si sentissero coinvolti per essere tutti consolati e incoraggiati.  

Ogni uomo e ogni donna desiderano, in fondo, soltanto amare ed essere amati. Speriamo che questi giorni ci possano fare conoscere la strada per questa felicità che Dio vuole per tutti e ce ne indichino il sentiero migliore.  




Chi ama conosce Dio (1Gv 4,7)

Che l’amore è tutto / È tutto quello che sappiamo sull’amore.

Così recita uno dei versi più famosi di Emily Dickinson. Nella semplicità quasi ovvia di questa affermazione, la grande poetessa coglie l’essenza dell’amore: la sua forza totalizzante e le sue dimensioni misteriose; il fascino dell’esperienza amorosa che ci rapisce e la sua complessità; il duello di luci e ombre inspiegabili, che ci può procurare tantissima gioia tantissima sofferenza.
Andando dietro a questa intuizione, il nostro vescovo Matteo, tre anni fa, ha voluto che si celebrasse in occasione di S. Valentino e nella piccola chiesa a lui dedicata qui nella nostra parrocchia, la Festa degli Innamorati, per condividere la bellezza dell’amore e ricordarci che sta al centro anche della vita di fede: “Chi ama conosce Dio” (1Gv 4,7).
Amare è la strada per vivere.
Amare è la via per diventare santi.
In questa consapevolezza, siamo in compagnia con la grande tradizione della Chiesa. Tutti i più importanti documenti della Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi (e anche prima!) lo affermano e lo ribadiscono: dalla Lumen Gentium alla Gaudete et Exultate di papa Francesco, passando per il magistero di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Quest’anno, però, abbiamo voluto ricordarci anche di tutte quelle situazioni di chiaroscuro, per stare vicini a chi vive o ha vissuto l’amore non solo in quel clima tutto zucchero e fiorellini a cui, magari, la festa laica di San Valentino vorrebbe farci pensare. Vorremmo farlo, però, in clima di comunione e di condivisione. Così, anche se abbiamo dedicato delle giornate con intenzione particolare, l’idea è che chi è sereno preghi per e sostenga chi non lo è; chi è affaticato, possa uscire da se stesso e rallegrarsi con chi invece, in questo momento è particolarmente felice.
Gli uni per gli altri, a sostenersi, camminando insieme e senza dimenticare nessuno: questa vorrebbe essere l’intenzione della festa e di questa intensa settimana che ci apprestiamo a celebrare.

Amore Fusionale

Amore fusionale: scultura di Giulietta Gheller

Per arricchire la riflessione e il clima festoso, sarà presente nella chiesa grande (per ragioni di spazio) un’esposizione di quattro complessi di sculture che hanno come soggetto l’amore, grazie alla collaborazione dell’artista Giulietta Gheller, che – a partire dall’utilizzo di materiali naturali – ha riflettuto sul tema delle metamorfosi, ossia della trasformazione che l’amore è in grado di operare. La mostra si intitola Amar perdona, citando il celeberrimo verso di Dante, che evoca la forza invincibile dell’amore, ma che – nella sua ambivalente potenzialità di significato – richiama la capacità dell’amore di riconciliare, costruire vicinanza e comunione. Le sculture ci accolgono nella navata della chiesa, quasi per coinvolgerci nello sguardo di amore che si sviluppa tra loro e riempire lo spazio sacro di questo richiamo all’amore umano e divino allo stesso tempo.
La solennità di San Valentino, però, nella nostra parrocchia è anche e soprattutto caratterizzata da una preghiera speciale e per gli ammalati e dalla benedizione per la loro guarigione, legata al culto delle reliquie presenti in chiesa. Quest’anno, poi, anche la memoria di S. Bernadette e della Beata Vergine di Lourdes rientrano nell’ambito della festa, così che celebreremo lun. 11 la messa con il Sacramento dell’Unzione degli Infermi (in S. Maria, ore 16) e gio. 14 le messe di S. Valentino con la speciale benedizione per gli ammalati (in S. Valentino).
Un programma ricco e intenso per la nostra comunità, che spero veda una grande partecipazione, caratterizzata soprattutto da questa attenzione: di pregare gli uni per gli altri. Non solo, quindi, di vivere i momenti a noi dedicati o che sentiamo più consoni, in base alla situazione che stiamo vivendo, ma di condividere anche gli altri con la nostra partecipazione e, laddove non sia possibile essere sempre presenti, comunque con la nostra vicinanza, amicizia, stima e intercessione.

Don Davide




Omelia 6° domenica di Pasqua

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.” (Gv 15,12)

Esistiamo, perché un atto d’amore ci ha preceduti.

Veniamo generati da un atto d’amore.

Fino dal primo istante della nostra esistenza terrena, è lo sguardo d’amore e di tenerezza che si posa su di noi che ci mantiene integri e ci fa crescere.

Dopo, tutto facciamo nel bene e tante volte anche nel male, col desiderio di ricevere amore. Cerchiamo di compiacere i nostri genitori, di essere simpatici coi nostri amici, di lusingare chi stimiamo per stare nella dimensione rassicurante del loro amore. Oppure, viceversa, siamo ribelli e cerchiamo il nostro spazio, facciamo magari i bulletti e siamo fastidiosi, facciamo finta di disinteressarci dei nostri insegnanti, dei nostri maestri e dei nostri educatori perché speriamo che qualcuno riesca a convincerci che siamo amati così come siamo, che la grande ribellione può finire, che abbiamo trovato casa.

Poi ci si innamora per la prima volta, da ragazzi, e tocchiamo il cielo con un dito. Ogni cosa ci parla, ci parlano i fiori, gli uccellini, una bella canzone, il sole nella nostra città. Ci sentiamo avvolti e coinvolti in una comunione quasi cosmica, universale. Per quel breve e fugace attimo in cui il primo amore si manifesta, così immediato, genuino ancora non corrotto e non sovrastrutturato, con la persona amata siamo le persone migliori del mondo: ogni conflitto sembra risolto, ogni equilibrio ricostituito. Se idealmente potessimo dilatare quel momento per ogni persona, estenderlo, condensarlo in una pozione o formula magica, forse non ci sarebbero più le guerre.

Poi subentra il primo disincanto, a cui ne seguiranno mille altri, che possono o sorprendere la nostra percezione buona dell’esperienza dell’amore, disilluderci – come si dice – oppure confermare le nostre paure, le nostre fatiche, la percezione di non essere noi i fortunati destinatari dell’amore del mondo, e quindi, in ultimo, subentra la rabbia, il rancore.

Cominciamo a scoprire che l’amore è un lavoro faticoso, di ogni giorno, che può partire solo da noi stessi. Se abbiamo la fortuna di incontrare qualcuno che ci guida in questa consapevolezza, nella vita, siamo salvi.

Quando otteniamo un traguardo sperato – una vittoria sportiva, la maturità, la laurea, una professione che ci soddisfa – ci sembra di potere porre finalmente una parola di riscatto definitiva. Ci sembra di poter dire: “Finalmente le cose stanno così: posso essere amato”, ma poi ci dobbiamo subito mettere a lavorare di nuovo a tessere con l’ago e con il filo la nostra capacità di amare e la gratitudine totalmente libera da pretese di essere amati.

Quando incontriamo l’amore della vita e decidiamo di portarlo all’altare, oppure di consacrarlo, intuiamo sì qualcosa di definitivo. Io ti voglio amare e mi sento amato o amata nel modo giusto così, nel modo che mi fa bene e che ti fa bene. C’è una scintilla di verità profonda in quella scelta. A questa verità bisognerebbe cercare di stare ancorati e di essere fedeli.

Ma anche in questo caso, il lavoro dell’amore è solo all’inizio.

Sentiremo che ci alterniamo fra il desiderio di essere amati e il bisogno di amare, e che quando riusciamo a fare vincere il bisogno di amare, sul desiderio di esserlo, viene svelato un segreto nascosto, tocchiamo un mistero e scopriamo tesoro. Quando veniamo all’esistenza, l’amore ci precede e ci segue e ci circonda, ma in realtà non abbiamo tanto bisogno di essere amati, quanto di amare. Essere amati è una pedagogia per amare. Essere amati è l’inizio, amare è la meta.

Quando staremo per chiudere gli occhi, non ci rimarrà più niente a rassicurarci, se non questo conforto: “Ho amato”, oppure questo dramma: “Non ho amato”.

Se le cose stanno così, perché allora facciamo così tanto – talvolta in maniera scomposta – per essere amati e così poco per amare?

Il comando di Gesù va a intercettare questo punto onnicomprensivo dell’esistenza umana. Non è un comando oppressivo, sconveniente e privativo. La parola decisiva è ridotta all’essenziale, l’unica cosa necessaria: amate, amatevi! È un comando per la vita.

Lo Spirito Santo spinge la Chiesa ad assumersi nessun altro compito che tenere viva la memoria di questa via. Anche superando barriere o convenzioni che ci autoimponiamo.

Beata Vergine della Salute, Maria, nell’attimo in cui ti sei sentita amata e hai deciso di amare, non solo hai avuto la vita, ma l’hai generata. Sei stata costituita come donna completa: ragazza, giovane, adulta, donna, madre, anziana. Dona a ciascuno di noi, quasi come una fata delle favole, il tocco dell’amore che ci indica il tuo figlio, Gesù.

Don Davide




L’amore per Gesù

Devo dire che il Vangelo di questa domenica mi ispira in modo particolare. Forse, anche perché sento più intensamente il bisogno di convertirmi nella direzione che ci propone.

A dispetto della formalità e della sontuosità della cena organizzata da Simone il fariseo, la scena è dominata dal gesto di amore di una donna. Un gesto di amore schietto, spudorato, completamente focalizzato sulla persona di Gesù.

Questa donna non dice una parola, non sappiamo neanche i suoi pensieri; quello che possiamo dedurre di lei lo impariamo solo dai suoi gesti. Eppure, dal momento che entra in quella sala (con quale autorevolezza!) è come se riducesse tutti gli altri personaggi – che pure parlano, interagiscono, sembrano protagonisti della scena – a dei semplici comprimari.

Quanto sarebbe bello se noi fossimo capaci di sentire Gesù così al centro, di volergli bene non come a un’idea, ma come a una persona concreta, un amico con cui abbiamo tessuto anni e anni di relazioni e di avventure insieme, uno che ha fatto strada con noi!

Quando penso all’educazione che offriamo ai nostri ragazzi, mi chiedo se, in tutte le cose che facciamo, noi li aiutiamo a conoscere meglio Gesù e a volergli bene: se la nostra pastorale trova le vie giuste per farglielo frequentare e sentire vicino.

Quanto volte, anche nelle nostre liturgie, noi rispettiamo le formalità, e poi – come rivendica Gesù in questa meravigliosa scena – non gli diamo un bacio, non lo abbracciamo, non ci affidiamo a lui con tutto il nostro essere?!

La misericordia di cui parla tanto papa Francesco dipende proprio da questo rapporto con Gesù: in questa pagina del Vangelo è evidente. Chi ama tanto Gesù conosce il perdono e sarà spinto dalla misericordia. Chi non lo ama, e si ferma alle regole formali, non farà mai l’esperienza di sentire il cuore sciolto, lo slancio che non ti fa avere paura, lo sguardo che ti fa cogliere ciò che di bello accade nella tua vita.

Don Davide