L’uomo del deserto e il portavoce

Giovanni il precursore è il più grande fra i nati da una donna. Lo Spirito Santo in lui si manifesta ancora prima della sua venuta al mondo, quando è nel grembo materno.

E l’epoca di Giovanni vide un fiorire di gioventù radicalmente votata al Signore. Il luogo della meditazione scelto da Giovanni e da quelli come lui è il deserto.

Persino Gesù si recherà nel deserto per pregare, digiunare e, nell’assoluto silenzio, nella più alta solitudine, unirsi a Dio nella contemplazione.

E nella perfetta solitudine del mistico Gesù verrà tentato dal demonio in quella lotta terribile che pone l’uomo, persino il figlio di Dio nella sua natura umana, innanzi alla scelta suprema fra Dio e i beni mondani. Il mistico rinuncia al caos mondano, si ciba di locuste e miele selvatico, diviene anche nella sua figura corporea un essere potentemente spirituale. La sua opera è invisa ai sacerdoti del tempio, poiché coloro che da lui vengono purificati dai peccati mediante il battesimo non sentono più l’esigenza di offrire olocausti. E allora i sommi sacerdoti mandano degli emissari a chiedergli chi egli sia.

Alla domanda Giovanni non si sottrae. Risponde di non essere il Cristo, rivela la sua identità triplice di testimone, profeta e sommo sacerdote del Messia che viene. Di se stesso Giovanni ha tutto: egli è una voce che grida nel deserto. Il deserto che è il luogo fisico e psichico nel quale si è ritirato affinché questa voce, profetica e sacerdotale, non potesse essere confusa con il clamore mondano: grida l’ultimo dei profeti e il primo di una nuova stirpe di sacerdoti, si presenta come il primo uomo chiamato da Dio a seguire una voce, Abramo. Giovanni il precursore, ha dentro di se la parola di quella voce che chiama Abramo, incarna quella voce di totale cambiamento che avrà l’apice del suo compimento in Gesù.

Giovanni sente dentro di sé la voce: “Vattene”. Sono uomini che sentono quel “Vattene nel deserto” esci dalla tua consuetudine, dal rumore mondano, vattene nel luogo del perfetto silenzio della contemplazione dove è Dio.

Chi è oggi l’uomo del deserto?

È quella scandalosa creatura che, con le parole del poeta Massimo Morasso, può essere chiamata “il portavoce”.

Qual è il deserto nel quale l’uomo del nostro tempo può ritirarsi per incontrare Dio?

Nel raccoglimento dentro se stesso, nell’attenzione che è un’attitudine in prima istanza interiore possiamo udire la voce che parlò ad Abramo, identica, nei millenni. L’anima è la depositaria della chiave, è la protagonista onnipotente della chiamata perché è divina. Un’anima digiuna di cibo terreno e per questo più affamata e delle parole dell’Eterno delle verità gloriose dei Cieli. Una volta tornati dal deserto con questo tesoro intangibile di cui l’anima è custode siamo chiamati a diventare, in quanto eredi di Giovanni, il portavoce. Questo è rendere testimonianza alla luce nel nostro tempo. “Vattene nel deserto, abbandona le tue comodità, conoscimi, custodiscimi, diventa il mio portavoce”.

Il Magnificat, la risposta data a Maria a sua cugina Elisabetta che salutandola ha sentito esultare dentro il suo grembo Giovanni: le prime protagoniste e depositarie del più grande mistero che Dio condivide con l’umanità sono due donne in gravidanza. Esse sono la radice della regalità e del sacerdozio, sono portatrici carnali del sacro. Il salmo ci parla di una totale adesione, la totale adesione di Maria al disegno divino che la riguarda. Un’adesione che non chiede garanzie, come è quella di Giovanni. L’uomo che sa affidarsi alla sua anima è, come ricorda san Paolo, un uomo intero. Il dio che chiama Abramo, Giovanni, Elia, Maria, non mente, non è una voce falsa, è una voce affidabile che promette la santificazione dell’uomo in spirito, anima e corpo, nella sua interezza e chiede solo in cambio di astenersi dal male: di amare.

Sarah Tardino

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Il Matrimonio

Che bellezza i matrimoni! 

Mi piace molto andarci fin da piccola: sei insieme a tante persone a cui vuoi bene, c’è solo da festeggiare e perdi la cognizione del tempo mangiando come se non ci fosse un domani! 

Solo cose belle, solo sorrisi, solo sogni realizzati e sogni realizzabili grazie a quella scelta così incoraggiata e condivisa.

La felicità è possibile, almeno quel giorno. 

Nella parabola del Vangelo di oggi c’è uno Sposo e ben dieci ragazze che possono presentarsi tutte all’appuntamento.  

Ma è di un matrimonio che stiamo parlando? O di qualcosa che gli somiglia, ma è ancora di più? 

In questa storia c’è più di una stranezza:  

è lo Sposo che tarda ad arrivare e si fa aspettare anche a lungo; 

– inspiegabilmente la metà delle giovani si comporta come se non si fosse preparata PRIMA a tutto ciò che può succedere. 

Queste cinque donne cosa avevano di più importante da fare quando stavano preparandosi per andare alla celebrazione? Cosa le ha distratte nel momento in cui non hanno portato con sé tutto il necessario, tanto da rischiare di rimanere fuori da quella che poteva essere la festa della vita? 

Queste vergini, come le chiama il Vangelo, sono una metafora della sposa, cioè persone che hanno nel loro futuro la possibilità di incontrare lo Sposo; ma una donna diventa sposa solo quando si innamora. 

Le vergini sono dieci, che è un simbolo di pienezza, perché questo incontro gioioso è come un matrimonio tra Dio e ognuno di noi, tra Dio e l’intera umanità. 

L’olio delle vergini vigilanti non rappresenta un dettaglio: è l’Amore, frutto dell’esercizio dell’amare, giorno dopo giorno. 

Per questo quell’olio non si può prestare e non può mancare nelle mani di una promessa sposa, perché rappresenta l’amore che ti ha portato fin lì. Se hai solo quello all’interno della tua lampada, tra poco finirà; e se non hai altro carburante che scaldi il tuo cuore e illumini la tua strada con Lui, allora vuol dire che per te quello è soltanto un incontro come tanti e fra poco qualcos’altro prenderà la tua attenzione, la tua passione e la tua volontà. Ti presenti all’appuntamento, ma in realtà stai ancora decidendo se lo Sposo è la persona giusta a cui affidarsi, se è davvero quello che vuoi. Lo Sposo tarda ad arrivare perché non vuole che sia già tutto stabilito, ma fa in modo che l’attesa e la notte rivelino a noi stessi quanto desideriamo essere davvero felici e quanto siamo disposti a prepararci, ad essere pronte e pronti per questo. 

Il vero Amore non capita, si sceglie in mezzo alle mille altre cose che succedono nella vita:

Dio ci dice che il tempo delle lacrime finirà e che, scegliendo Lui, il nostro destino è una festa senza fine in cui godere la piena felicità. 

Anna Maria D’Antona




La Parola di Dio che si fa carne

La dimensione spirituale, nella vita cristiana, viene spesso descritta da un’esperienza fisica. Si parla della sete, della fame, della fatica, della lotta… Lo Spirito, infatti, non è un fantasma svolazzante, né qualcosa di semplicemente invisibile… Lo Spirito è la forza di Dio Padre, che rende la presenza del suo Figlio in mezzo a noi tangibile, reale.  

Così, la Parola di Dio che si è fatta carne nella storia, vuole farsi carne nella nostra vita. 

Il tempo dell’Avvento è il tempo di questa gestazione. Un tempo di ascolto rinnovato della Parola di Dio scritta; quella raccolta nelle Sacre Scritture, che sono pagine da leggere, da amare e da custodire. Una parola che Dio ci vuole rivolgere personalmente, quindi da meditare nel silenzio, con il proprio metodo e la propria sensibilità. 

In Avvento cerchiamo un rifugio dalla dispersione: al mattino quando i termosifoni non hanno ancora scaldato pienamente la casa, o alla sera nell’atmosfera ovattata delle luci di Natale, mettiamo gli occhi su quelle parole – possono essere il Vangelo del giorno, o un testo dei profeti – parole umanissime, eppure divine, e lasciamo che venga plasmata in noi la stessa umanità di Gesù.