Vertigine

“Pur essendo nella condizione di Dio
[…] svuotò se stesso,
[…] umiliò se stesso
fino a una morte di croce…” (Fil 2, 6-9).

Impressiona questo antico inno ripreso da San Paolo, perché sembra di essere in una cengia di montagna e guardare giù nel burrone.

Così è il Dio di Gesù Cristo.

Ancora più vertiginosa è la considerazione che l’apostolo collega questo testo – precedentemente tramandato oralmente – non alla pagina principale della sua teologia più complessa, ma in un ambito di riflessioni affabili e di indicazioni quotidiane sui rapporti personali nella vita comunitaria.

In altre parole, sono le relazioni più quotidiane e concrete che ci portano sul bordo vertiginoso del Vangelo.

Vertiginosa è anche l’affermazione di Gesù: “I pubblicani e le prostitute vi passano davanti nel regno di Dio” (Mt 28,30). Il Maestro la dice in faccia ai sacerdoti e ai capi del popolo, dopo avere fatto un esempio del tutto comprensibile. Per tornare alla metafora precedente, è come se Gesù avesse accompagnato i suoi interlocutori attraverso un bel prato verde di montagna, scosceso, e poi svoltata la curva improvvisamente li avesse lasciati lì sopra una cengia degna dell’uscita dalla via ferrata Tommaselli sul Lagazuoi e avesse detto loro:

“Sperimentate l’abisso. Ma contemplate anche la vastità e la bellezza. Questo è il Vangelo di cui io sono profeta.”

Ma perché è così?

Perché proprio queste persone così compromesse ci sorpassano come una Formula 1 sul rettilineo, mentre noi, attoniti, guidiamo la nostra Panda?

Perché costoro sono sempre a contatto, volenti o nolenti, con l’amore spregiudicato e misericordioso di Dio.

Egli, pur essendo nella condizione divina, non considera nessuno indegno di sé, e si abbassa lui, salta nel vuoto pur di offrirgli vicinanza, consolazione, riscatto, condivisione, tenerezza, perdono e salvezza.

Questo fa la differenza. Dovremmo essere sempre consapevoli della bontà misericordiosa del Padre, che si manifesta in Gesù. Sempre sentire il suo amore. Sempre sapere che ci vuole bene e che apre per noi qualche possibilità. Mai pensare che ha chiuso con noi, o che ci considera distanti: lui addirittura scende dal Cielo e raggiunge il punto più basso della terra pur di trovarci e di stare vicino a noi.

Gesù conclude il suo insegnamento dicendo: “Avete viso queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti, così da credergli” (Mt 21,32).

Voglio trasformare quest’ultima considerazione in una preghiera per l’inizio dell’anno pastorale.

Per tutti i gruppi, per le persone che collaborano nella nostra comunità e per quelle che la incontreranno, anche attraverso di noi: che il Signore ci purifichi gli occhi, perché possiamo toccare con mano questo riconoscimento incondizionato e trasformante del Padre, che ci ama e del suo Figlio che ci si fa vicino. Sempre.

Don Davide




Stare in ciò che è bello

È da alcuni anni, sicuramente dall’inizio della pandemia, che desideriamo più consapevolmente “stare in ciò che è bello”. Prendiamo atto che ci sono dei popoli, tantissime persone, uomini, donne e bambini veri, che vivono in condizioni di stenti, tra un’epidemia e una guerra la maggior parte della loro vita.

Questa considerazione ci spinge alla solidarietà, ad essere compassionevoli e anche più umili e meno lamentosi quando le cose che ci riguardano non vanno come vorremmo.

Ma abbiamo più che mai la possibilità di rispondere a questa domanda: Che cosa significa: “Stare in ciò che è bello”? Intendo starci stabilmente, non solo come un residuo nelle nostre giornate, quando finalmente abbiamo smaltito tutte le incombenze e ci possiamo ritagliare un momento per fare ciò che ci piace, o per stare con chi amiamo.

La vita non può essere un residuo.

Ci sono due movimenti nel Vangelo di questa domenica, che mi fanno pensare a una risposta.

Riguardo a Gesù si parla del suo “esodo” che si stava per compiere a Gerusalemme. Del suo esodo, cioè della sua strada verso la libertà. Forse che Gesù non era un uomo libero? Lo era certamente, ma qui si parla di una libertà più radicale: della libertà di interpretare la propria vita come un atto d’amore.

Riguardo ai discepoli si dice che, pur avendo paura, entrarono nella nube, cioè nel mistero in cui si può udire la voce di Dio.

Dunque, che cosa significa “stare in ciò che è bello” sempre?

Per me significa vivere la propria vita come un unico grande gesto d’amore libero e comunque grato, riconoscendo che il mistero e le nubi in questa vita ci sono e possono farci anche tanta paura, ma può capitare che attraverso di esse o dentro di esse udiamo chiaramente la voce di Dio.

Don Davide




Portare bellezza (Under20 testo+video)

Ho riflettuto a lungo se scrivere ancora della guerra.

Ci sono varie cose terribili che mi hanno colpito: il distorcere la verità, il bombardamento di un ospedale pediatrico, l’uso di armi speciali. La cosa più terribile di tutte sono state le parole del patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, che ha sovvertito il Vangelo asservendolo al potere omicida.

Ho pensato, però, che nella vita ci sono momenti in cui si vedono le cose come dovrebbero essere.

Desidero riconsegnarvi quel chiarore che trasfigura le cose: che le prende brutte e le fa diventare belle, che mette l’energia buona nel mondo per fare cessare le guerre e farne sbocciare la pace.

Lo faccio consegnandovi la canzone di Ultimo 7+3.  L’avevo già usata anche l’anno scorso nell’omelia, proprio nella domenica della Trasfigurazione, e continuo a pensare che il testo sia praticamente perfetto, un’intuizione spirituale.

Lo dedichiamo a ciascuno e a ciascuna di voi: “Tu porti bellezza dove prima non c’era… soltanto perché, semplicemente porti te.”

Se non cedi alla distorsione della verità, all’odio e all’orrore, e se porti bellezza dove prima non c’era…

…sei tu la vera risposta a questi giorni oscuri.