L’esempio di Gesù

Nella Chiesa siamo tutti pecorelle del gregge di Dio, dove il Pastore supremo è Gesù, pieno di cura affettuosa per ciascuno di noi. In questo averlo come punto di riferimento e guida sicura, inoltre, anche noi riceviamo l’incarico di essere pastori, come accade per un atleta che si metta ad allenare i più piccoli, o viceversa come ogni fanciullo di Estate Ragazzi che sogna di imitare il suo animatore o la sua animatrice preferita.

È l’esempio di Gesù, da mettere in pratica in molte forme, gli uni per gli altri.

Questo pastore ho quattro tratti, che lo descrivono, ci affascinano e ci incoraggiano ad imitare il suo esempio:

1)ha cura delle sue pecore, non è un mercenario, non fugge di fronte al pericolo, se serve dà la vita per loro;

2)conosce ed è conosciuto, ha stabilito una relazione consueta, potremmo dire che “ha una casa, ha un ovile”;

3)ha il cuore aperto, non coltiva i suoi in modo chiuso, soffocante, ma sente un istinto di bene magnanimo e verso tutti;

4)fa della sua vita un dono, non solamente “da morirne”, ma vive la sua esistenza con animo generoso. Non è un oppresso, ma è libero di dare.

Questa bellissima sequenza del buon Pastore, dunque, ci permette di fare un intenso esame di coscienza.

Tutti siamo suoi agnellini, ma tutti siamo anche pastori di altre pecorelle: possono essere la nostra famiglia, i nostri studenti, i ragazzi e le ragazze del gruppo di cui siamo educatori, i giovani, i dipendenti del mondo del lavoro; i pazienti, gli anziani, coloro che aiutiamo.

Senza volere affrontare ciascuno di questi tratti, desidero coglierli complessivamente e chiedere a me stesso che cosa ne è stato, sperando che altri abbiano voglia di mettersi in trasparenza di fronte a questa parola.

Sento in me la domanda: quando è venuto il lupo di questa pandemia, mi ha trovato mercenario o pastore? Riconosco le mille tentazioni di fuggire di fronte al pericolo, all’eccesso di impegno e di responsabilità. Ho cercato di mantenere le attenzioni, di fare una telefonata a chi non sentivo da tempo, di informarmi sulla salute degli ammalati e di accogliere chi desiderava parlare, ma… quanto si poteva fare di più, e con il cuore più sensibile e lieto?

E poi so che c’era bisogno di parole molto più illuminate dalla fede. Quante volte mi sono fatto chiudere in discorsi solo umani, in ragionamenti di buon senso o poveri di approfondimento, mentre sarebbe stato utile accogliere una luce profetica, penetrante, che squarciasse il buio e indicasse sentieri?

E infine, rimane la vocazione delle vocazioni: non c’è un tempo migliore di un altro per vivere il Vangelo, per fare della propria vita un dono. Ripenso a tutte le volte, in quest’anno e mezzo, in cui ho pensato: “Che sfortuna vivere un periodo così!” e, con le parole del Pastore nelle orecchie, capisco: “Ci sarebbe stato un tempo migliore, per fare della propria vita un dono? Ha più valore quando è facile o quando è difficile?”.

Sento rivolte l’appello ispirato di Pietro, nella prima lettura, quando interpella riguardo a Gesù chi dovrebbe essere pastore e saggio. Ecco: la sequenza del buon Pastore mi mette in rapporto a Gesù. Forse, più nitidamente che in altri tempi, riconosco che un lupo è passato e che ancora si sentono gli ululati del branco.

Fisso il buon Pastore, risorto, e ascolto la sua voce ripetere quello che ha detto a ciascuno solo pochi giorni fa: “Vi ho dato un esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi, gli uni per gli altri” (cf. Gv 13,15).

Don Davide




La chiamata del buon pastore

La Chiesa dedica questa Domenica, IV dopo Pasqua, alla “Giornata di preghiera per le vocazioni”.

La figura che emerge dalle letture odierne è quella del buon (o bel) Pastore, già presente nei graffiti e negli affreschi delle Catacombe, effigiato con sulle spalle l’agnello più giovane o più debole del suo gregge.

Questa immagine è stata efficacemente ripresa da Papa Francesco, che ha sottolineato come il vero pastore si riconosce dall’odore del gregge che guida distinguendosi dal mercenario che non sta con le sue pecore, quindi non le conosce. Nel momento del pericolo, infatti, le abbandona al lupo, che le “rapisce e le disperde”. Non a caso i due verbi, nella Scrittura, sono usati per descrivere l’agire di Satana o Diavolo ( da “dia-ballo” = separo).

Il vero pastore non fugge, rimane ed è pronto a dare la vita per il gregge, che gli è stato affidato come, fuor di parabola, ha fatto Gesù per i suoi e per tutti noi.

In questo brano il verbo “conoscere” (che sappiamo avere addirittura un significato di intimità nuziale: “Adamo conobbe Eva”; Maria: “Non conosco uomo . . .”) è citato ben quattro volte e la conoscenza avviene attraverso la “voce“ del Pastore che unisce il gregge e lo porta in salvo.

Nelle letture di questi giorni, soprattutto nei Vangeli, si è spesso usato il Verbo “dimorare, rimanere”: noi in Lui, Egli in noi. E’ il verbo del Battesimo di Gesù quando si dice che lo Spirito “si ferma, rimane” su Gesù che dal Padre è chiamato “il diletto”.

La prima lettera di Giovanni, seconda lettura, inizia con un “carissimi” che letteralmente significa “diletti”, la stessa parola usata dal Padre nei confronti del Figlio sempre durante il Battesimo nel Giordano.

Il testo afferma che “fin d’ora siamo figli di Dio” e fratelli di Gesù che ancora vediamo come in uno specchio (1 Cor 13,12) mentre “quando si sarà manifestato lo vedremo così come Egli è”.

L’immagine che Pietro, negli Atti, mostra agli abitanti di Gerusalemme e ad ognuno di noi è quella di un uomo infermo, di un “ecce homo”, risanato nel nome di Gesù Cristo il Nazareno “che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti”.

Gesù rivive ed opera negli apostoli che hanno incontrato, guardato con amore e preso per mano quell’uomo, lo hanno “toccato” come faceva Gesù che agiva con “viscere di misericordia” come il prossimo giubileo invita ogni cristiano a fare.

Il cristiano non è uno a cui è andato bene o deve andare bene tutto, ma è uno che “vi sta innanzi risanato”.

Anche per noi non c’è altro modo di essere salvati che essere guardati, toccati dall’amore.

Il Salmo ripete, per due volte, “il suo amore è per sempre” ed “eterna è la sua misericordia” come ripeteremo con Papa Francesco nell’anno del giubileo straordinario: “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre”.

Don Davide