Il potere delle parole (per gli Under 20)

Quanti sordi e muti ci sono nel nostro mondo! Non le persone che hanno difficoltà fisiologiche, che spesso comunicano addirittura meglio degli altri. A loro va tutto il rispetto dovuto.

Ci sono tanti muti di fronte alle ingiustizie, giovani che non difendono i loro amici e le loro amiche, responsabili che non parlano della crisi climatica o, peggio, ne distorcono la percezioni, presunte autorità le cui parole sono così insulse che anche il loro suono risulta vuoto oppure stonato.

E poi ci sono i sordi che non vogliono ascoltare, chi non fa lo sforzo di mettersi in relazione, i peggiori sono quelli che non si meravigliano più e che non vogliono imparare.

Ma voi no, ragazze e ragazzi! Cogliete oggi l’invito di Gesù che guarisce un sordomuto dicendo: “Apriti!”. Doveva avere risuonato con un tale carisma, quel comando, che i narratori lo riportano ancora nella lingua originale: “Effatá”, come quando una parola è talmente forte che ti rimane in mente per sempre.

Io vi dico: leggete libri, guardate film e serie tv, ascoltate la musica, non rinunciate mai a parlare dopo avere pensato con un po’ di saggezza cosa comunicare. E se la gente si stupirà, come accadeva con Gesù, meglio così! Scoprirà che siete recettivi e sarà costretta a riconoscere che avete qualcosa da dire.

Don Davide




Visioni di coraggio

Riprendono la pastorale più attiva, la scuola e l’università, il lavoro e gli impegni personali e la prima parola che risuona in questa domenica è: “Coraggio! Non temete!” (Isaia 35,4-7). I profeti hanno sempre la capacità di infondere speranza e di rigenerare la forza di guardare al futuro, e se pensiamo agli anni di pandemia da cui veniamo e alla crisi della pastorale, che sembra essersi ormai rassegnata a delle chiese semivuote e alla difficoltà di appassionare e coinvolgere i giovani, pare che ce ne sia proprio bisogno.

Accogliamo volentieri perciò lo sguardo dei profeti, che penetrano prospettive che è difficile persino intuire. Concretamente, nel contesto in cui risuona l’oracolo del profeta Isaia, il regno di Israele era sotto l’assedio delle truppe di Sennacherib, imperatore d’Assiria. Sembrava non ci fosse speranza alcuna. Invece il profeta – contro il parere di tutti e fronteggiando contrarietà e umiliazioni – non offre solo un oracolo di vittoria, ma la prospettiva di un mondo nuovo. L’esito della vicenda darà ragione al profeta.

Per vedere la realizzazione delle profezie, però, bisogna credere alla Parola di Dio. Da questa domenica, allora, cogliamo due suggerimenti a cui aderire con fede.

Per prima cosa dobbiamo riconoscere di essere sordi e muti proprio di fronte alla Parola di Dio. Sembra un’affermazione ripetuta banalmente, ma occorre prendere atto che non abbiamo una consuetudine significativa con la Parola di Dio, non l’ascoltiamo (siamo sordi) e ancora meno siamo capaci di testimoniarla in maniera affascinante (siamo muti): in verità, sembriamo sempre dei principianti nella vita spirituale, che invece è necessaria per orientare le nostre scelte di vita, per rafforzare la nostra personalità e le nostre relazioni, e per osservare un rigore morale che riguarda prima di tutto la nostra dignità.

In secondo luogo possiamo cercare di vivere una carità più limpida, non tanto nelle cose eclatanti, quanto negli atteggiamenti fraterni, nel vivere con più cordialità i rapporti in parrocchia e fuori, essere gentili, non discriminare, non dare giudizi affrettati, impegnarsi a volere bene, gioire di condividere la fede con la propria comunità.

C’è un grande desiderio, in fondo, in ciascuno dei credenti, di una fede viva e di una comunità così amorevole e propositiva, da rallegrare persino il deserto e la terra arida.

Don Davide




Ti ho posto come sentinella

“Ti ho posto come sentinella.” (Ez 33,7)

Sento forte la suggestione di questa immagine. Il testo pensa al ruolo della sentinella nell’ambito della correzione fraterna, che è il vero tema delle letture di questa domenica.

Tuttavia, vorrei dilatare questo spunto in rapporto alle settimane e ai mesi che ci attendono. La sentinella, infatti, è colei che fa la guardia, cioè vigila che non ci sia un’effrazione e che non accada qualcosa di brutto, ma – in tutta la Scrittura – è anche colei che sta di vedetta, cioè attende l’alba.

Da domani (lunedì 7 settembre) riprenderà l’orario normale delle messe feriali e festive e della segreteria (mattina e pomeriggio) che è il segno del ritmo ordinario della vita della parrocchia e delle attività pastorali.

Significa “iniziare di nuovo” o meglio, come abbiamo scritto sul sito nei giorni subito dopo la quarantena collettiva, significa “rinascere dall’alto”, farsi rigenerare dallo Spirito. È comunque uno scatto in avanti, dopo mesi così particolari e per certi versi assurdi, che ci hanno messo alla prova, ma anche forgiato; che avremmo volentieri evitato, ma da cui abbiamo anche imparato.

Sappiamo che l’emergenza sanitaria non è finita, quindi rimettersi in gioco richiede un surplus di attenzione e di impegno, e anche una certa capacità di adattamento e di fare fronte a una preoccupazione latente che accompagna ogni progetto. Tuttavia non se ne può fare a meno, non tanto per questioni economiche – come tutti dicono – ma perché abbiamo bisogno di vita autentica e di comunione.

In quest’ottica l’immagine della sentinella diventa per ciascuno di noi una vocazione e un incoraggiamento.

“Io ti ho posto come sentinella” significa che ciascuno di noi è chiamato “a fare la guardia” perché non succeda qualcosa di brutto, e anche a “scrutare le prime luci del mattino” e preparare attivamente l’attesa dell’alba… quando potremo dire che l’emergenza sanitaria è finita, sperando di avere imparato tutto quello che c’era da imparare.

Dobbiamo vigilare e vegliare sui nostri fratelli e sorelle, non solo perché non si ammalino di Covid-19, ma anche perché non si ammalino d’ansia, di demotivazione, di solitudine. Allo stesso tempo dobbiamo rimboccarci le maniche, per preparare una vita più sana, non solo dalle malattie del corpo, ma anche da quelle dello spirito, che avvelenano le relazioni e la nostra fede.

Prudenza e intraprendenza sono due parole che potrebbero guidarci.

Vedo un particolare tipo di “carità fraterna” proprio in questa capacità di aiutarci gli uni gli altri e sostenerci, affinché possiamo vincere le ansie da contagio, sostenerci nel riprendere i progetti belli e le attività positive, con le attenzioni necessarie a gestire le difficoltà, ma senza paure.

Dobbiamo aiutarci, perché qualcuno ha bisogno di essere rassicurato, qualcuno ha bisogno di essere più coraggioso e qualcuno più prudente. Tutti dobbiamo avere in mente di edificare la nostra comunità, consapevoli dei limiti imposti dalla situazione, delle nostre debolezze, ma anche della chiamata all’amore che non viene mai meno.

Infatti, come scrive san Paolo nella seconda lettura: «Qualsiasi comandamento si ricapitola in questa parola: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. La carità non fa nessun male al prossimo…” (Rm 13,9-10).

Don Davide




Come la pioggia e la neve

Siamo in piena estate e la liturgia della Parola, in questa domenica, inizia evocando la pioggia e la neve. Sembrano immagini lontane, ma proprio nei mesi più caldi e secchi dell’anno siamo aiutati a considerare la preziosità dell’acqua che disseta la terra e del ciclo delle stagioni.

La pioggia e la neve – dice il profeta Isaia – scendono dal cielo e irrigano e fecondano la terra, perché germogli, dia il seme e poi il raccolto. È una metafora stupenda e celebre, usata sempre per indicare l’efficacia della Parola di Dio, che non torna al cielo senza avere irrigato la vita di chi raggiunge.

Oggi, però, pensando all’estate, in questo paragone vorrei cogliere la dilazione del tempo. Tra l’autunno e l’inverno che preparano la terra irrigandola e la gioia del raccolto, passa un tempo lungo, di attesa, in cui l’agricoltore può curare un po’ il campo, ma non può operare più di tanto.

Mi sembra che nella pastorale delle nostre comunità, dovremmo riscoprire e coltivare il tempo lungo. La semina della parola – come ben manifesta la parabola evangelica, che pare esprimere un aspetto complementare a quello della prima lettura – è difficile. Nonostante l’abbondanza e la generosità del seminatore, che non è uno sprovveduto, c’è una difficoltà intrinseca in questa seminagione.

Lo dico in modo provocatorio, ma ho l’impressione che nel tempo che viviamo, invece, per evitare il rischio della dispersione dei semi e del periodo lungo per vedere il frutto, preferiamo fare come l’esperimento scientifico per eccellenza di tutti i bimbi, cioé mettere il semino in un bicchiere con un po’ di cotone, per vedere il germoglio e la piantina e dire: “Wow!”. I bimbi, giustamente, ne rimangono meravigliati, ma gli adulti sanno che non si raccoglierà nulla da quella piantina… ma è come se ci rassicurasse vedere qualcosa.

Lo si fa con il catechismo, in cui ci rassicura vedere i bimbi nei quattro anni del catechismo, ma sapendo che poi – sia per loro che per le loro famiglie – rimane ben poco di quella esperienza.

Lo si fa con i ragazzi e i giovani, con i quali usiamo quasi sempre il criterio del “così vengono”, ma alla fine non insegniamo loro a pregare, la vita spirituale, il valore dei sacramenti, di avere una guida. Fare queste cose “spirituali” è difficile: è impopolare, non interessano, ci vuole tempo… mi chiedo, però, se non siano proprio questi percorsi difficili a manifestare l’efficacia di cui parla il profeta Isaia. Quando questi ragazzi saranno diventati uomini e donne, che cosa li aiuterà?

Anche la carità corre lo stesso pericolo. Sembra che sia l’unica cosa che conti nella Chiesa, agli occhi del mondo: della fede cristiana non interessa più niente, anzi, non di rado si manifesta un certo fastidio, però la Chiesa che fa tanta carità piace a tutti: “Così dovrebbe essere!” si dice. Ma cosa sostiene la carità? Tutte le persone che animano in maniera non improvvisata, costante e con sapiente dedizione la carità, sono persone che sanno precisamente il motivo per cui lo fanno: per Gesù. Gli altri ci girano attorno, ma se non ci fossero i primi, l’immenso impianto della carità nella Chiesa semplicemente crollerebbe.

seminaAllora, cosa dobbiamo fare? La semina della Parola di Dio è difficile e, diciamolo senza mezzi termini, è fuori moda. Ma pare che Gesù non abbia escluso questa eventualità, citando il profeta Isaia.

“A chi ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza, ma a colui che non ha sarà tolto anche quello che ha.” È una delle frasi più scandalose e irritanti del Vangelo, a fronte di un certo modo di pensare in termini di aurea mediocritas. Ma quello che vuole dire Gesù, parlando della Parola di Dio, è che la Parola è legata a un desiderio e la ricchezza cristiana a un’adesione. Chi rifiuta questo tesoro, si troverà sprovvisto e non ne rimarrà nulla. Chi invece lo cerca e vi si apre, a prezzo di fatica e pazientando nel tempo lungo, non avrà nemmeno bisogno di scoprirlo, ma sarà ricolmato di ricchezza.

Don Davide




La carità non avrà mai fine

Le storie belle nei giorni brutti

Una cosa evidente nei giorni della pandemia da Covid-19 è stata che lo Spirito Santo ha toccato i cuori di molte persone, rendendole protagoniste di una resilienza ai disagi provocati dall’emergenza sanitaria in modo tanto bello, quanto umile e nascosto.

Qualcuno si era chiesto, in effetti: perché Dio non fa qualcosa per rimediare a questa situazione? Ma Dio – spesso chiamato in causa a sproposito in queste occasioni – non agisce in modo clamoroso, aprendo i cieli e con miracoli eclatanti. Lo farà un giorno, ma quando accadrà sarà la fine della Storia. Normalmente Dio suscita la forza di vita che si sprigiona da Gesù Risorto, toccando la libertà di tanti uomini e donne con la presenza del suo Spirito.

Lo Spirito Santo interagisce con la sensibilità, l’apertura del cuore, la gentilezza, la premura, la compassione, la solidarietà e il realismo dei fedeli che lo invocano e desiderano essere con lui responsabili di altri fratelli e sorelle, consapevoli che viviamo insieme, ospiti comuni del mondo.

Così abbiamo registrato gesti di carità pura, incisivi e invisibili ai più. In questi giorni abbiamo ricevuto tante offerte sul conto corrente della Caritas, anche da persone lontane o esterne alla nostra comunità; il Cesto della Carità in chiesa non è mai rimasto vuoto, neanche nei giorni della chiusura più radicale, quando non girava nessuno, come se un angelo o più angeli portassero la spesa in volo dalle mani di tante persone gentili. I servizi di carità dei nostri volontari e delle nostre associazioni parrocchiali sono sempre stati attivi, e anche tanti giovani sono stati coinvolti, alcuni anche in servizi semplici come aiutare chi aveva bisogno per un po’ di pulizie in casa o qualche commissione. E questo discorso non vale solo in ambito ecclesiale: la beneficienza non ha confini o confessioni di appartenenza ed è stata tanto in tutti gli ambiti.

CaritasChi ha vissuto così, non ha certo la preoccupazione di essere “riconosciuto”, perché sa bene che queste cose hanno valore davanti a Dio e non c’è bisogno di altro, tuttavia Gesù dice che “non c’è nulla di nascosto che non sarà manifestato” (Mt 10,26). Gesù lo usa in un contesto negativo, ma vale anche per le cose positive.

A tutti costoro, A TUTTI VOI, la nostra comunità parrocchiale e la Chiesa desidera che arrivi un grazie sentito, sincero ed essenziale. GRAZIE.

La carità non avrà mai fine. Anche nei giorni brutti, c’è stato e ci sarà sempre qualcuno a spezzare il buio con atti di bontà pura: è il sistema immunitario del mondo.

Il desiderio è che il tanto di queste persone ispiri tutti, affinché con il poco di tutti possiamo fare, soccorrere, curare, confortare ancora di più.

Don Davide




Natale è vicino…

Natale è vicinissimo.

Raccogliamo qualche breve indicazione per vivere bene e spiritualmente la festa.

UNA BUONA CONFESSIONE

Fate una buona Confessione. Raccoglietevi qualche minuto in preghiera silenziosa e pensate all’arco di tempo che volete considerare, poi rispondetevi a queste domande:

  • Per quali cose/motivi voglio ringraziare il Signore in questo tempo? (Attenzione, valgono le piccole cose, come le grandi!).
  • Tenendo in mente queste cose belle, a che cosa il Signore mi chiama? (Forse a migliorare in un atteggiamento? Forse a radicarmi in qualche virtù? Forse a vivere la carità?)
  • Dov’è che non ho risposto con amore a queste chiamate? Quello che individuo, può essere oggetto della mia confessione.

SPERIMENTATE L’AMORE DI GESÙ

Sentitevi amati dalla Parola di Dio. In che senso “amati dalla Parola di Dio”, non si dovrebbe dire piuttosto “amate la Parola di Dio”? No no, vuole dire proprio così: amati dalla Parola di Dio! Prendetevi cioè, un piccolo momento di sosta prima della grande festa e… (lo so, lo so… bisogna preparare i tortellini, e l’arrosto… e il centro tavola….), dicevo: prendetevi un momento di sosta (stabilite con precisione quanto: 5 minuti, 10 o quello che volete. L’importante è che siate precisi nelle intenzioni!) e pregate su una pagina del vangelo che vi è cara. Il racconto della nascita di Gesù è perfetto per l’occasione, se volete. Non sforzatevi di capire di più, di studiare il testo, di fare una particolare meditazione. Cercate solo di soffermarvi su qualche punto in cui la parola risuona con la vostra vita, attraverso cui molto semplicemente vi sentite confortati, amati e incoraggiati ai sentimenti migliori. Lasciate che questa consolazione spirituale vi penetri e riempia tutto il vostro essere. Quando concluderete questa preghiera, scoprirete che tutto sembra avere una nuova armonia.

UN GESTO DI CARITÀ

Scegliete un gesto di carità. Quando andate a fare la spesa per le feste, potreste scegliere di fare un po’ di spesa anche per chi è povero; oppure fermarvi da una persona che chiede l’elemosina e chiedergli come si chiama, scambiare due parole e magari offrirgli la colazione condividendola con lui, oppure un buon toast caldo. Oppure potreste andare a trovare quella persona sola del vostro condominio, o fare un gesto generoso e inatteso per qualcuno. È un modo per rendere di più il nostro cuore di carne e per fare risuonare quel bellissimo consiglio che, fin dalla prima riunione degli apostoli, è rimasto come un criterio assoluto e imprescindibile: “Solo li pregammo di non dimenticarsi dei poveri.”

Buon Natale!

Don Davide




Il Centro di Ascolto

L’anno pastorale inizia con una realtà tanto preparata e attesa. Questa settimana, infatti, incomincia il Centro d’ascolto della Caritas parrocchiale.

Si apre così uno spazio per accogliere le persone in maggiore situazione di bisogno, mettendo le condizioni per non rifiutarle e non farle sentire come “qualcuno che dà fastidio”, ma anzi permettendo la conoscenza, poi l’amicizia e, di seguito, di costruire qualche percorso di aiuto significativo.

Il Centro d’ascolto non ha tutte le soluzioni e non eroga soldi – se non dopo un lungo e attento vaglio delle situazioni e dell’opportunità, e comunque solo in maniera finalizzata a una concreta autonomia – tuttavia è il luogo migliore per fare fronte alle tantissime richieste di aiuto che arrivano quotidianamente in parrocchia, ed è un segno squisitamente evangelico della comunità cristiana.

L’ascolto, in moltissime forme, è la più grande urgenza del mondo di oggi, che si consuma nella fretta e nell’autoreferenzialità e non lascia alcuno spazio a un ascolto cordiale, disinteressato e gratuito.

Non a caso, il Centro d’ascolto è la prima cosa richiesta alle parrocchie da parte della Caritas diocesana.

A dispetto delle apparenze, fare partire un Centro d’ascolto è un’impresa titanica. A questo proposito, dobbiamo ringraziare calorosamente i responsabili della Caritas parrocchiale, Antonella Munari e suo marito Paolo Nipoti, insieme a tutti coloro che si sono impegnati per questo obiettivo, con una menzione di merito alla segreteria parrocchiale, che ha svolto tantissimo lavoro.

Un ringraziamento specialissimo unito a un attestato di stima che si consolida sempre di più, va alla San Vincenzo parrocchiale, in modo particolare a Gabriella Falavigna, Nino Salici e sua moglie Fiorella, e tutti i membri collaboratori, che per decenni hanno portato avanti l’ascolto, l’assistenza e l’aiuto a tante persone e famiglie della nostra parrocchia, con lo stile inconfondibile di impegno e responsabilità personale proprio della San Vincenzo.

La San Vincenzo continuerà la sua opera, con il suo carisma specifico, in collaborazione, sostegno e reciproca partecipazione con la Caritas, che sempre di più svolgerà un ruolo di coordinamento delle varie anime caritative della parrocchia, cercando di aumentare la sensibilità di tutti.

A questo proposito, si ricorda che c’è bisogno di tanta collaborazione a vari livelli. Chi voglia dedicare un po’ di tempo, dalle cose più pratiche a quelle meno, può certamente contattare i responsabili.

Siamo orgogliosi – di un orgoglio bello, non vanitoso! – di iniziare l’anno pastorale con questo segno concreto. La nostra parrocchia, si chiama “della Carità” ed è bello pensare che, così, cerchiamo di essere sempre più fedeli alla nostra vocazione comunitaria.

Don Davide




Quaresima, tempo di elemosina e carità

Elemosina

La Quaresima è caratterizzata, nella grande tradizione della Chiesa, da tre opere, che sono opere di conversione, per lasciare spazio alla grazia di Dio nella nostra vita: l’elemosina (o carità), la preghiera, il digiuno.

In questa e nelle prossime due domeniche, vorrei dare alcuni suggerimenti per vivere ciascuna di queste opere, per chi senta il bisogno di farlo e voglia provare a vivere la Quaresima con intensità.

Iniziamo, in questa domenica, con l’elemosina, che vorremmo tradurre come aiuto concreto nella dimensione caritativa.

 

La carità in parrocchia

Ci sono due modi di aiutare la carità fattiva e la Caritas parrocchiale: uno è molto pratico, l’altro riguarda il proprio tempo.

Come molti sanno, tutti i martedì la parrocchia fornisce un po’ di spesa (la “sportina”) a circa 70/80 nuclei famigliari. In più, grazie alla S. Vincenzo, vengono aiutate altre 25/30 famiglie. Quando si tratta di alimenti, questi aiuti vengono dati:

  1. Con l’approvvigionamento mensile al Banco Alimentare
  2. Con il contributo della raccolta al Conad
  3. Acquistando i generi che mancano

La parrocchia vorrebbe “arricchire” la sportina che diamo alle famiglie. Il modo concreto di vivere l’elemosina nel tempo di Quaresima, dunque, potrebbe essere quello di collaborare, mettendo nel cesto della Carità i generi più essenziali. A questo scopo, chiediamo solo:

  • PASTA
  • TONNO
  • LATTE
  • PASSATA O SUGO DI POMODORO

 

Ci può essere, poi, un modo legato alla disponibilità del proprio tempo. Oggi siamo tutti molto impegnati, quindi molte persone pensano di non potere aiutare, anche se magari lo desiderano, a causa della mancanza di tempo. Ma non è necessario avere sempre tanto tempo e costante a disposizione. Per alcune cose, si può fare tantissimo, con il pochissimo tempo di tanti. È un principio molto contemporaneo: con moltissime persone che danno pochissimo, si può accumulare un enorme capitale. In questo caso non parliamo di capitale monetario, ma del capitale del tempo!

Ecco perciò, alcuni spunti per aiutare la Caritas, facendo l’elemosina – letteralmente con pochi spiccioli – del proprio tempo. Qui vi scrivo che cosa accade e di cosa si tratta; rispetto a questo, ciascuno potrebbe dire anche: io do la mia disponibilità in questa cosa, anche solo una volta al mese, oppure una volta ogni due mesi… ecc. ecc. È come un mosaico: con tante minuscole tesserine, si può fare un disegno bellissimo!

  1. Lunedì pomeriggio, 1 volta alla settimana, 1 ora: è necessario trasferire le cose che verranno distribuite il martedì mattina, dal magazzino della Caritas alla sala dove vengono servite le persone.
  2. Giovedì mattina, 1 volta al mese, di mattina: per collaborare, a seconda della disponibilità, all’approvvigionamento al Banco Alimentare (guidare il pullmino con patente B2; aiutare nello scarico delle merci; accompagnare nel viaggio alla sede del Banco a Imola)
  3. 1 volta al mese, dopo il Banco Alimentare: per aiutare a preparare le sportine per le famiglie assistite dalla S. Vincenzo
  4. Sabato mattina, 1 volta al mese, 2 ore: per aiutare nella raccolta al supermercato Conad.
  5. 1 volta alla settimana, 1 ora: per aggiornare i registri degli alimenti distribuiti (AGEA)

 

Tanto con poco

Come vedete, dietro alla apparentemente semplice attività caritativa della parrocchia, anche considerando soltanto gli aiuti alimentari (ricordo che le persone della parrocchia fanno tanto altro…) c’è un’organizzazione considerevole, ma anche con un piccolo contributo di tempo di un grande numero di persone, possiamo fare tanto.




Natale 2016. Il presepe e la carità

Lui non vorrebbe mai che io lo dicessi, ma il presepe che vedete sotto l’altare l’ha disegnato don Valeriano.
A sinistra vediamo il bue, che guarda verso di noi quasi per incoraggiarci. Nonostante la sua mole maestosa, non fa paura a nessuno, nemmeno a un piccolo uccellino che si posa sulla sua schiena. Se ne sta lì acquattato con l’occhio languido a svolgere placidamente il suo compito, non di scaldare il bambino, ma di indicarlo: «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone» (Is 1,3).
Così anche l’asino sembra accorrere come se fosse in ritardo, affaticato dopo l’ultimo carico e quasi in procinto di inchinarsi con lo sguardo umile al piccolo bimbo.
Appena sullo sfondo, Giuseppe. Sta sempre un passo indietro lui, non ruberebbe mai la scena a Maria e al bambino. Da dietro, veglia su tutti: sulla sua famiglia, ma anche sugli animali. Ha troppa cura della creazione, lui che ha imparato l’arte creativa del falegname. Alle sue spalle, un germoglio, a ricordarci la stirpe regale. E la casa del re, in questa forma semplice, non è dismessa, ma al suo massimo splendore.
Infine, al centro, Maria. Il suo viso emerge dall’oscurità, è definito dalla trasparenza, dalla luce che l’attraversa (questo, a mio parere, è il piccolo grande capolavoro di don Valeriano). È come se tutto il suo essere prendesse sostanza da un’altra sorgente. Mentre ti fissi su lei cerchi il bambino e lo trovi – se guardi bene – fra le sue braccia.

Mi fermo qui, e passo a un altro presepe, diverso, molto meno “tradizionale” ed evidente.

Ci sono le scorte del Banco Alimentare, le sportine ricevute alla Conad per la generosità di tanti, le offerte del cesto della Caritas, i biscotti dei bimbi, i cioccolatini del mercatino; e poi ci sono i pandori e i panettoni e le bottiglie di vino “perché anche le persone che ne hanno bisogno devono fare festa”, e le offerte nelle buste “che mi raccomando, padre, devono andare per la carità e per i poveri…”.
Non è che si voglia ostentare. «Non sappia la tua sinistra quello che fa la tua destra, dice il Signore» (Mt 6,3), ma non è questo il punto.
Non mi ero mai soffermato su questa enorme corrente tesa ad invertire la percezione di un diffuso senso di disinteresse. Non so per quale “oscuro” (è proprio il caso di dirlo) motivo, qualcuno ci vuole convincere che sia così: che la gentilezza sia persa, la gratuità smarrita, e che l’interesse e la solidarietà non stiano più di casa fra noi. Ma non è così.
Forse tutto il bene che circola grazie al Natale è molto perfettibile. Forse non è ancora tantissimo. Forse è ancora poco costante e troppo saltuario. Ma mi sono chiesto: e se non ci fosse? Se non ci fosse tutto questo concreto bene che accade, e non quello ideale, come starebbero le cose?

Sopra tutte queste braccia generose e attraversate in maniera onesta da una sorgente di luce, trovi Gesù. Basta solo cercarlo. Come nel presepe di don Valeriano.

Un affettuoso augurio di buon Natale.

Don Davide




Fede o non fede? Questo è il problema

«La fede ci fa essere credenti, la speranza ci fa essere credibili, ma è solo la carità che ci fa essere creduti».

Purtroppo, questa bella sentenza non è mia. L’ho sentita dalla testimonianza dei ragazzi di Castenaso, sabato scorso, durante la consacrazione della loro nuova chiesa, e ho notato con gusto che aveva colpito tutti. La sfrutto, in occasione di questa riflessione domenicale, perché mi sembra una buona sintesi delle letture della liturgia.

Al centro del vangelo c’è la questione della fede. I discepoli chiedono a Gesù di averne un po’ di più, ma lui corregge la loro domanda, ricordando che la fede non è una questione di misura. La fede o c’è o non c’è. Tanto che ne basterebbe la “misura” più piccola che l’occhio nudo riesce a vedere, per vedere la potenza della fede stessa. Invece noi diciamo sempre: “Mi fido, ma non abbastanza”… “Ci credo, ma mi comporto come se non ci credessi fino in fondo”… “So che il Signore è vicino, ma penso che tutto dipenda da me”… Dobbiamo ammetterlo: in questi casi, in realtà, la fede non c’è, perché la fede è un’esperienza sintetica della nostra esistenza, e non può essere vissuta se non integralmente. Diverso è il caso del dubbio, che sta sul piano del razionale, e certo può toccare anche qualche nostra paura. Però io posso avere qualche dubbio, e allo stesso tempo consegnarmi con fiducia, quasi facendo una scommessa.

Nella stupenda prima lettura del profeta Abacuc, invece, siamo incoraggiati ad avere speranza: «E’ una visione che attesta un termine, se indugia attendila…» e subito prima: «Scrivila bene e incidila sulle tavolette…». Il profeta vede l’intervento del Signore a sollevare una condizione difficile come imminente. L’atteggiamento di chi non dispera, di chi guarda al futuro con serena fiducia e con abnegazione per il suo lavoro, è la condizione necessaria perché qualcuno possa cogliere un segno significativo a partire dalla nostra testimonianza.

Infine, la seconda lettura ci ricorda di ravvivare il dono che ci è stato dato, quel dono che caratterizza e orienta la nostra vocazione. Il primo di questi doni è lo Spirito Santo ricevuto nel Battesimo; poi ogni persona sposata e ogni persona che ha dato un orientamento definitivo alla propria vita ha ricevuto questo dono. Per “carità” si intende questo: vivere con amore e con determinazione la nostra chiamata particolare. Non abbiamo ricevuto uno spirito di timidezza, ma di forza! Questo dono lo custodiamo soprattutto donandolo agli altri, mettendolo in circolo e trasmettendolo ai più piccoli, perché davvero se la fede non può non esserci, e la speranza sostiene il nostro sguardo fiducioso al futuro, è solo la carità che condensa il senso della nostra esistenza.

Don Davide