Grandi e gentili

Nelle letture di oggi ammiriamo il Signore della Creazione, che mette un argine ai flutti del mare e che intima al vento di cessare e alla tempesta di calmarsi.

Queste prime due settimane di Estate Ragazzi – la prima solo con gli animatori, la seconda anche con i bambini – sono state esattamente come dice la liturgia di questa domenica. È stato proprio come vedere il Signore della Creazione che, attraverso i ragazzi, diceva all’epidemia: “Taci, calmati!” (Mc 4,39).

Non nel senso che siano passati tutti i pericoli o che non bisogna più tenere alta la guardia contro la possibilità di contagio… ma nel senso che è stato come vedere un forte argine alle forze negative dell’epidemia, mentre si riaffermava la vitalità dei bimbi e dei giovani animatori.

C’è stato, forse, nei mesi passati un momento in cui si pensava: “Maestro, non ti importa che siamo perduti?” (Mc 4,38), sia per la paura di ammalarsi, sia perché sembrava paralizzata la pastorale e appesantita ogni possibilità di incontro e di edificazione fiduciosa.

Invece, grazie alla tenacia iniziale di Alice e Francesca, che hanno scelto con caparbietà di radunare un gruppetto di coordinatori, unitamente alla disponibilità di tempo e all’esperienza di Michele e Suor Aurora e alla collaborazione di Laura e Silvia, sono stati attivati i responsabili degli animatori e tutti loro insieme hanno dato vita a un’esperienza che – nel vero senso della parola – è stata come una boccata di ossigeno dopo il soffocamento di questa epidemia.

Inoltre, è stata ancora più sorprendente di una normale Estate Ragazzi, perché le limitazioni imposte ci hanno permesso di ritrovare il vero senso pastorale di questa iniziativa.

Il numero non tanto elevato di bambini, il momento del pranzo riservato agli animatori e le iniziative per loro nel pomeriggio e, soprattutto, la prima settimana di preparazione fatta con calma e serietà dopo la scuola per preparare al meglio le attività dei piccoli, ci hanno fatto capire meglio che il nostro obiettivo non deve essere di avere il numero più grande possibile, a costo di non riuscire a fare una proposta di valore, e col rischio di esaurire le energie dei ragazzi. L’obiettivo pastorale dell’Estate Ragazzi, invece, deve essere offrire un’esperienza di comunità piena di cura ai bimbi e del tempo di qualità per coltivare la relazione con gli adolescenti animatori.

Da questa impostazione non torneremo più indietro e spero che tutta la parrocchia diventi consapevole che queste sono le scelte che devono guidare l’edificazione della nostra comunità, non dei presunti atti di servizio al limite dell’eroismo, che però non favoriscono la qualità della proposta formativa e la cura (anche in termini di tempo dedicato) che dobbiamo ai più giovani, non solo ai bambini.

Siamo soltanto al giro di boa. Ci aspetta un’altra settimana, in cui speriamo che tutto continui a procedere al meglio, ma anche se dovesse esserci qualche inconveniente, non negherebbe la bellezza di quanto fatto finora e la fiducia che grazie ai ragazzi abbiamo ritrovato e che possiamo continuare ad avere.

Queste righe, cari coordinatori e coordinatrici, responsabili, animatori e animatrici sono esplicitamente un omaggio per voi. Probabilmente, il Grande Gigante Gentile ha soffiato nelle vostre vite un sogno che nemmeno osavate sperare. Tutta la comunità vi ringrazia per il vostro impegno e perché, anche senza pensarci e forse senza saperlo, siete stati grandi e gentili e avete messo un argine all’epidemia, molto più potente di qualunque vaccino.

Don Davide




Corpus Domini: il Corpo del Signore

Il Mistero

Cogliamo l’occasione di questa festa per fare amicizia con un aspetto della nostra fede che, per molti versi, rimane un mistero. Possiamo fare delle considerazioni in maniera umile riguardo alla complessa presenza di Dio nel mondo: fra l’essere umano e la divinità si conserva uno spazio impenetrabile. Proviamo così a leggere il mistero del ‘Corpo del Signore’ analogamente al fenomeno fisico della diffrazione della luce, sapendo che rimane una differenza davanti alla quale non c’è che da rimanere in silenzio.

La relazione con Lui

Il principio della relazione con Lui è un incontro, così come continuamente indicato nei vangeli, dove viene manifestato che la relazione con il Risorto è personalevera, nel senso che non è solo frutto di una percezione del soggetto, ma ha una componente oggettiva nel fatto che Gesù si mostra ai suoi discepoli. L’incontro con Lui si verifica per ciascuno di noi nel tempo presente, in questo nostro corpo e, mediante lo Spirito (infatti ‘il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo, 1Cor 6, 19), veniamo condotti e invitati a pienezza fino a dire con Paolo ‘non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’ (Gal 2,20).

La Comunità come corpo

Tutti i battezzati sono poi uniti nel corpo ecclesiale, come dice Gesù: ‘dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro’ (Mt 18,20).
La presenza di Cristo diviene così reale nella comunità, mediante i segni del pane e del vino, il ‘corpo del Signore’ che ci permette di alimentarci del suo Amore. Noi lo crediamo vivo e vero nelle specie più povere e anche più alla nostra portata (come appunto il pane e il vino) per divenire noi stessi pane d’amore per il mondo, allo stesso modo di Cristo.

Nel corpo dei fratelli, dissetandoli, accogliendoli, trovate me

Vi è poi infatti, un ‘corpo del Signore’ più diffuso: ‘tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’. È sempre Gesù che parla in prima persona nel vangelo di Matteo (25,40) invitandoci ad avere cura dei più piccoli della terra, come se fossero lui stesso.

Per lui apriamo il nostro cuore e le nostre vite a chi è in difficoltà e lì ritroviamo anche noi stessi nel meraviglioso mistero del Corpo di Cristo. Siamo esseri personali e comunitari e, nel Risorto, lo saremo in pienezza.

La prospettiva che ci attende è quella di riconoscere ‘Dio tutto in tutti’ (1Cor 15,28). Non tutto si può comprendere, ma si può già pienamente gioire.
Godiamoci, dunque, ciò che ci è stato rivelato: impariamo ad amare noi stessi, a vivere come fratelli nelle nostre comunità, a nutrirci dei sacramenti facendo ‘eucarestia’ e servendo i più piccoli.
Questo significa celebrare  il Corpus Domini.

Anna Maria e Francesco




Una Pasqua ormai vicina

Ci prepariamo a celebrare la Pasqua, perché siamo alla 4° domenica di Quaresima: ci sarà ancora solo un’altra domenica, poi entreremo già nella Grande Settimana, attraverso la porta di ingresso della Domenica delle Palme.

Celebrare la Pasqua non è solo fare dei riti particolari, ancorché suggestivi.

Celebrare la Pasqua è un’esperienza di comunità, che percepisce l’amore del Padre e la vita di Gesù che entra nelle nostre vite.

La Quaresima è un cammino di umiltà e purificazione. Pensavamo di avere toccato il fondo l’anno scorso, con il lockdown, invece ci troviamo quest’anno a dovere essere ancora più umili: per la stanchezza di questa situazione che ci attanaglia ancora dopo un anno; e perché anche se potremo almeno vivere le celebrazioni, dovremo farlo con molta attenzione, con un rigore esemplare e rinunciando a tanti segni che rendevano speciali questi giorni: la processione degli ulivi, la lavanda dei piedi, il bacio della croce, la processione con il cero pasquale.

Personalmente, anche se potrà sembrare sproporzionato, ritengo che ci voglia molta umiltà per accettare di privare le liturgie pasquali della forza dei loro segni specifici. Tuttavia, siamo chiamati a farlo, consapevoli che il protagonista ancora una volta sarà il Signore e non noi.

 

CELEBRARE LA PASQUA TUTTI INSIEME

Allora ecco che la Pasqua si presenta come un’esperienza di comunità. Siamo spaventati e disorientati dal riaggravarsi della situazione pandemica, tuttavia dobbiamo cogliere la Pasqua come un’occasione di rilancio della nostra vita comunitaria.

Chiedo concretamente ed esplicitamente che chi pensa di essere presente alla Domenica delle Palme e al Triduo Pasquale segnali la sua disponibilità in anticipo, per dare una mano. Servono tante cose: l’accoglienza in chiesa, un po’ di servizio d’ordine, l’aiuto a distribuire l’ulivo, l’igienizzazione alla fine delle celebrazioni, le letture, le preghiere dei fedeli, la disponibilità per cantare, l’aiuto a preparare e organizzare tutte le cose pratiche e tanto altro. Per favore, partecipate da protagonisti e corresponsabili, non da spettatori.

E anche se qualcuno di noi – legittimamente – non si sentirà di prendere parte alle celebrazioni, prendiamoci tutti l’impegno di celebrare la Pasqua insieme alla nostra comunità: unendosi spiritualmente in preghiera, scrivendo un biglietto, facendo una telefonata, e avendo ben chiaro che c’è bisogno che torniamo tutti ad essere presenti e ad incontrarci, che ci diamo un appuntamento, non importa quanto vicino o lontano sia.

Vorrei anche che avessimo una preghiera incessante e una vicinanza reale, nei modi che ci sono possibili, per chi è molto preoccupato per il lavoro e la propria condizione economica, per chi è più solo e per gli ammalati gravi.

 

PERCEPIRE L’AMORE DI DIO

I prossimi giorni siano però anche i giorni in cui ci concentriamo a percepire l’amore di Dio.

Come quando vai a un concerto di un cantante preferito o dell’opera che conosci a memoria, che tendi l’orecchio a cogliere le sfumature e ti entusiasmi durante i motivi prediletti… così dobbiamo tendere a riconoscere l’amore di Dio che si manifesta in tante forme vitali. Gli affetti, gli amici, le cose belle, i traguardi, le ripartenze… la Primavera stessa. C’è un verso bellissimo nel Cantico dei Cantici che dice: “Ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, i fiori sono apparsi nei prati e la voce della rondine ancora si fa sentire nella campagna…” Ogni risveglio di vita ci parla dell’amore di Dio per noi.

 

LA PASQUA DELLA FEDE

Infine, la Pasqua è soprattutto un evento della fede. È l’evento in cui professiamo che la nostra vita, come quella di Gesù, non verrà semplicemente consumata. È l’evento in cui rinnoviamo la consapevolezza del valore della nostra esistenza, e magari ci rimettiamo in un cammino di bene e costruttivo per noi: possiamo riacquisire fiducia in noi stessi, fare qualcosa di buono e di bello che desideravamo fare da tanto, imparare a pregare, stare un po’ di più con la nostra famiglia e con le persone che amiamo, dedicarci a fare qualcosa che ci piace davvero.

Siamo ancora in cammino nella Quaresima, ma come un maratoneta che dopo tanti chilometri vede il traguardo, invece di rallentare, si carica di adrenalina e accelera, così anche noi, avvicinandoci alla Grande Settimana, facciamo ardere ancora di più il desiderio della nostra fede.

Don Davide




Gesù insegna anche oggi

«Entrato di sabato nella sinagoga, Gesù insegnava» (Mc 1,21).

L’esperienza di Israele di ritrovarsi nel giorno del riposo ad ascoltare la Parola di Dio e l’insegnamento dei maestri, è slittata per i cristiani al primo giorno dopo il sabato, quello della resurrezione, il primo giorno della Nuova Creazione.

In questa domenica, vorrei cogliere proprio un’analogia tra questo entrare di Gesù nella sinagoga e quello che accade dopo, in giorno di sabato, e quello che potrebbe accadere nell’entrare nostro, di domenica, nell’assemblea liturgica per la celebrazione eucaristica.

Gesù, in questa scena iniziale della predicazione del vangelo carica di simboli e di significati, viene descritto come il Messia che porta a compimento il Sabato, cioè la bontà della Creazione. Dio, infatti, nel racconto della Creazione, aveva creato il mondo in sei giorni, sigillando la sua opera con una sentenza che era anche una benedizione: «vide che era cosa molto buona» (Gn 1,31). E il settimo giorno, aveva perfezionato il suo operato concedendo a se stesso e al mondo di riposare in questa bontà.

Ora – in questo episodio – c’è qualcosa che non va: c’è un uomo posseduto da uno spirito «impuro». Attenzione: non è necessariamente un “indemoniato” come lo intendiamo noi. Il vangelo ci parla di «impuro», cioè di qualcosa che nulla può avere a che fare con la sinagoga, un luogo sacro, e soprattutto con il Sabato, che è il “sacro” per eccellenza.

Tuttavia, lo «spirito impuro» che si è impadronito di quel pover’uomo, se ne sta zitto e beato in sinagoga tra gli altri, senza che nessuno si accorga di quella presenza illegittima. È solo quando Gesù entra e comincia ad insegnare che si scatena, comincia a saltare sulla sedia, non può più starsene tranquillo, perché la parola di Dio giunge con un’autorevolezza ripristinata, nella voce del Maestro.

La parola di Dio, che risuona finalmente senza limitazioni attraverso Gesù, vuole ricostituire la Creazione nella sua bontà, e dunque non c’è più spazio per gli spiriti «impuri», per le cose che non corrispondono alla santità di Dio. Tutto questo è celato nella semplice affermazione che «Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava […] e uno spirito impuro cominciò a gridare…» (Mc 1,21.23).

Il paragone che vorrei proporre, forse un po’ azzardato, è semplicemente questo. Noi veniamo da un lungo periodo, quasi un anno, in cui un virus impuro – qualcosa che non corrisponde per nulla alla bontà della Creazione di Dio – ha trattenuto molti di noi dalla partecipazione alla messa. Questo virus si è annidato tra di noi, ha instillato la paura, ci ha appesantito, ci ha spinto alla rassegnazione. In più, abbiamo sentito tante parole logore, tanto “berciare” poco autorevole, che invece di dare coraggio, speranza e direzione, hanno creato confusione e ci lasciano disorientati.

La parola di Dio e la celebrazione liturgica, invece, hanno il potere di scavare nel nostro spirito e di andare a stanare tutti gli spiriti impuri che vorrebbero nascondersi ed opprimerci, cercando di non farsi scoprire.

Non vorrei essere frainteso. La mia non è solo un’esortazione interessata a serrare le fila e ritornare a messa; certamente è anche un incoraggiamento in quel senso, ma è molto di più. È la considerazione che proprio questo tempo potrebbe essere l’occasione inaspettata per riscoprire la forza di quello che accade nella messa festiva, il motivo principale per cui noi celebriamo la domenica. Non è certamente per timbrare il cartellino di un precetto e meno che mai per metterci la coscienza a posto. Il punto cruciale è avere un appuntamento con una parola che ha il potere di ricostituirci nel bene, di mettere a posto quello che non va, anche quello che facciamo fatica a percepire.

Certo, direte voi, l’autorevolezza di noi poveri preti che facciamo l’omelia non è la stessa di Gesù che insegna, e avete ragione. Ma l’insegnamento di Gesù, nella messa, avviene in modo molto più ampio. La sua parola viene proclamata al di là di chi la commenta. La sua voce risuona nelle preghiere liturgiche. È lui stesso che ci raduna, ci costituisce in unità e si offre a Dio Padre mostrandoci l’esempio.

Insomma, quando accediamo all’assemblea liturgica, di domenica, è Gesù stesso che insegna e non permette più a nessuno dei nostri spiriti impuri di stare tranquilli, e così ricrea in noi il bene, ci fa ottenere quella pace del cuore che tanto desideriamo e ci fa riposare.

Don Davide




Riprendere

Quattro parole per darci fiducia:
presenza – comunità – coraggio – ascolto

Cosa significa riprendere?

Che valore ha e che cosa mette in gioco riprendere la vita ordinaria, inevitabilmente caratterizzata dalla riapertura delle scuole e delle università; riprendere la vita lavorativa, dopo la pausa estiva; riprendere la pastorale, che praticamente si è arrestata a inizio marzo, con qualche eccezione che però non può surrogare l’incontro tra le persone?

E cosa chiede a ciascuno di noi lo sforzo di riprendere dopo la terribile esperienza della pandemia e della “chiusura”, consapevoli tuttavia che l’emergenza sanitaria non è alle spalle?

Abbiamo bisogno di incontrarci, di dare ritmo quotidiano alle nostre esistenze e di avere cura dei bimbi, ragazzi e giovani, che sembrano i più colpiti da questa situazione, come se li avesse sfiduciati ancora di più; dobbiamo assolutamente permettere che le loro energie rifioriscano.

La sfida è più che mai impegnativa, perché richiede alcune attenzioni, che decliniamo in quattro parole.

    1. PRESENZA. Non bisogna perdere l’importanza di quella dimensione di meno frenesia di cui l’emergenza ci ha fatto rendere conto, e che ci ha resi più presenti a noi stessi, come quando ci si riprende dopo un risveglio.
    2. COMUNITÀ. Non dobbiamo rinunciare all’incontro con la nostra comunità, per quanto piccola e scalcagnata che sia, e non possiamo accontentarci. Vibra l’urgenza di rianimare la vita di una comunità cristiana in senso evangelico, sfrondando le tante cose inutili e cercando di radicarsi in ciò che fa davvero bene alla vita delle persone.
    3. CORAGGIO. La pandemia non ha avuto solo degli effetti negativi visibili e quantificabili. In molti ha lasciato un senso interiore di disagio, di paura e di ansietà. Non dobbiamo pensare che siano esagerati o che non conti questa dimensione psicologica non conti eccessivamente. È preziosissimo anzi, accorgerci di chi è in difficoltà e aiutarlo, incoraggiarlo, stargli vicino, infondere una nuova fiducia. Possiamo e dobbiamo aiutare tutti a rifare i propri passi sentendosi sicuri, quindi si tratta di garantire la serenità di incontrarsi e fare le cose anche a chi è stato più turbato in questi mesi.
    4. ASCOLTO. Nel silenzio della pandemia, spesso la Parola di Dio ha brillato come luce e risuonato come lettura del nostro vissuto. La comunità cristiana, che ambisce ad incontrarsi dopo una simile terribile esperienza, si deve confrontare all’altezza delle sfide, senza ripiegarsi sulle abitudini e la tradizione.

A tutte e a tutti coloro che si sentiranno motivati a “riprendere”, anche in mezzo a tutte le fatiche e paure, va il nostro autentico grazie.




“Discepolimissionari” dello Spirito

La solennità di Pentecoste porta a compimento quest’anno intensissimo per la Chiesa di Bologna, che è stato proprio guidato dal desiderio di lasciarci ispirare e condurre dallo Spirito Santo per rendere la nostra Chiesa sempre più conforme alla volontà di Dio. 

Il vescovo ci aveva affidato l’icona della Pentecoste per rispondere alla vocazione di essere chiesa in uscita, chiesa missionaria e anzi, noi tutti discepolimissionari. Per sentire, cioè, di nuovo la responsabilità urgentissima di essere una comunità cristiana vitale e che porti il primo annuncio del Vangelo a tutti.

Accanto ai bimbi della nostra comunità, abbiamo cercato di tradurre questa indicazione nello slogan: “Ci provo gusto!” esprimendo così il desiderio di vivere la nostra fede con passione e in modo piacevole. I momenti belli sono stati tanti e ci proponiamo di continuare ad arricchirci vicendevolmente con l’entusiasmo di tracciare una rotta per i più piccoli. 

Abbiamo vissuto l’inizio delle Zone Pastorali, che compiranno un anno il 1 luglio 2019: compleanno assolutamente da festeggiare! Nella Zona è sorto il desiderio di convocare nuovamente i giovani in un cammino di formazione e di esperienza cristiana a maglie allargate, dopo che quest’anno è stato un anno di transizione, perché i loro educatori “storici” hanno iniziato percorsi di vita nuovi e c’è stato bisogno di pensare e di discernere cosa potesse essere opportuno fare. 

Sono state tante le famiglie giovani che si sono avvicinate alla nostra parrocchia per chiedere il Battesimo e va fatto un vero e proprio monumento al gruppo incaricato per la catechesi battesimale, che hanno saputo interpretare a nome di tutti quello stile di accoglienza e di famigliarità che spesso è la prima interfaccia per chi incontra una comunità cristiana. 

Su questo saremo chiamati a lavorare ancora di più l’anno prossimo, perché il cammino della Chiesa di Bologna si concentrerà sull’Iniziazione Cristiana e su come la Chiesa, attraverso l’annuncio, genera alla fede. 

È un’esperienza che continua: incontriamo tanti adulti che chiedono la Cresima, giovani fidanzati che si appassionano durante gli incontri in preparazione al loro Matrimonio e altre persone che, nonostante tutto, riprendono un cammino di fede. 

È la conferma che siamo chiamati ancora ad ascoltare lo Spirito profondamente, perché l’ispirazione del Signore soffia dove vuole ed è potente, e noi – come discepolimissionari – abbiamo l’onere e l’onore di rendere l’amore del Signore riconoscibile e vicino a tutti. 

Don Davide 




Lettera ai Magi

Carissimi Magi,

siete personaggi così affascinanti che vi rivolgo la parola come ad amici, col desiderio di accompagnare il vostro viaggio, di partecipare al vostro incontro e di seguire il vostro ritorno, come quando da bambino partivo insieme a voi dall’altra parte della casa, verso la capanna del presepe.

Vedo nel vostro seguire la stella, tre caratteristiche che ispirano anche il nostro itinerario.

La prima: il viaggio della pace. Dalle vostre terre, avete attraversato moltissime regioni del mondo, le più “calde” in termini di povertà e tensioni religiose e sociali. Se ancora oggi ripeteste il vostro itinerario, vedreste ogni forma di guerra e di violenza. Eppure, in qualità di adoratori di Dio e esperti della saggezza e delle scienze, avete solcato quei territori come costruttori di pace. Ci dite che è possibile, nella diversità di culture, razze, religioni e forme di governo, vivere ed edificare la pace.

La seconda: avete fatto il vostro percorso insieme. La tradizione ci obbliga a ritenere che non siate partiti tutti nello stesso momento e dallo stesso luogo, ma a un certo punto le vostre strade si sono unite, per tantissimi chilometri, fino all’incontro con Gesù bambino. Non deve essere stato facile sincronizzarsi con i ritmi dell’altro, aggiustare il passo, accettare le usanze, condividere il tempo. Mi piace immaginarvi a commentare le tradizioni culinarie, gareggiando e prendendovi in giro, come si fa tra emiliani e romagnoli. Voglio credere che siate un esempio e un modello per noi, che abbiamo iniziato quest’anno il cammino delle zone pastorali: abbiamo punti di partenza molto diversi, ma ad un certo momento siamo stati chiamati a fare la nostra strada insieme e a scoprire che questo lungo cammino, ci porterà con doni diversi ad adorare Gesù.

La terza: lo sguardo durante il vostro ritorno. Siete tornati indietro per un’altra strada: penso significhi che avete avuto altri occhi, il cuore trasformato e categorie nuove per interpretare le cose. Mi auguro che la stessa cosa possa succedere per noi, per la nostra pastorale. Che dopo un incontro vissuto intensamente con Gesù, e proprio grazie a quell’incontro, sappiamo avere una saggezza pastorale più adeguata alle sfide che i tempi ci pongono.

Don Davide




La Preghiera, per dare voce allo Spirito

Tutti affannati ad esistere, ma c’è qualcosa che ci fa vivere davvero?

La presenza delle chiese di S. Maria della Carità e di S. Valentino della Grada, affacciate sulle strade che tutti i giorni percorriamo, sembra porre continuamente questo interrogativo.

Siamo presi dalle nostre incombenze, lo facciamo cercando di essere fedeli alle nostre responsabilità – e questo ci fa onore – ma c’è qualcosa che unifica tutto questo, conferendogli senso? C’è uno Spirito che anima il nostro vivere, facendo diventare ogni nostra relazione, ogni nostro impegno e il tempo che scorre inesorabile, sorgente di vita?

Una chiesa se ne sta lì – come nel caso delle nostre, da secoli – aperta la maggior parte delle ore del giorno, umile, silenziosa, accogliente. Non strepita, non dice: “Ehi, venite qui a trovare ristoro!” ma c’è.

La preghiera, per dare voce allo spirito

Qualcuno attende le sette di mattina per entrare puntuale, ad accendere una candela. Qualcuno, nelle mattine d’estate, non vede l’ora di ammirare il portone principale spalancato. Qualcuno, passando davanti, si fa il segno della Croce… Qualcuno non ci fa nemmeno caso che ci sia una chiesa. Si gode la protezione del portico che si confonde con gli altri di Bologna, ed è bello anche così: che ci sia una chiesa che vuole essere pienamente “dentro” la sua città.

La comunità cristiana gode della presenza di questi luoghi, dove dare voce allo Spirito, per sentirsi amati e imparare ad amare.

Vorrei che pensassimo ai molti gesti umili di preghiera che si compiono, quotidianamente, nelle nostre chiese. Certo, non si esauriscono in esse: si prega anche a casa, a scuola, nel luogo di lavoro, mentre viaggia… ma quello che avviene nelle chiese è simbolico e rappresentativo di tutto il resto.

Chi entra nelle nostre chiese ha la percezione di essere in un’altra dimensione: a S. Maria viene accolto dall’abbraccio della penombra e da un’aula maestosa, che ci fanno sentire allo stesso tempo umili e custoditi dalla maestà del Signore. Siamo come quei poveri che vengono accolti sotto il mantello di Maria, nell’antica immagine della Madonna della Carità. A S. Valentino, invece, si viene accolti da un abbraccio affettuoso e intimo, protetti in una piccola aula, dove sentiamo di potere dire ogni confidenza a Gesù.

Poi, si consumano tanti riti e pensieri. Le candele accese, le preghiere in ginocchio, il ricordo per una persona cara, le preoccupazioni per i figli, l’affidamento della propria salute, la tenerezza per la persona amata, le speranze per il lavoro o gli esami dell’università, le preoccupazioni della vita.

Tutto questo viene raccolto nella liturgia, che è la preghiera della chiesa, perché la raccoglie tutta, ogni parola detta, ogni pensiero elevato a Dio, in ogni parte del mondo. Nulla viene lasciato fuori.

Così il nostro spirito si dilata. C’è come un grande alito di vita che attraversa la nostra esistenza, la unifica, la rende coerente nei mille gesti quotidiani con cui cerchiamo di dare la vita per le persone che amiamo.

Ogni cristiano è testimone di questo: pregare è il primo atto dell’esistenza cristiana e, ancorché trascurato, è il più importante.




“Venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv. 1, 14)

Il senso dell’intera storia della parrocchia è la sua capacità di “abitare” un territorio

È una frase bellissima, quella del Prologo del Vangelo di Giovanni, che letteralmente dice: “Ha messo la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1,14). In un testo che vuole richiamare l’Esodo di Israele nel deserto, in una cultura che ha radici nomadi, questa affermazione potrebbe essere tradotto ai nostri giorni scrivendo: “Ha messo la sua casa tra le nostre case” o, ancora meglio: “Ha preso il suo appartamento nel nostro condominio.” Ve lo immaginate, Gesù, il Verbo Incarnato, alla nostra riunione di condominio?

Venne ad abitare in mezzo a noi

Gesù fa proprio così! Partecipa alle nostre cose, discute con noi, non vuole imporre la sua, collabora a ciò che è necessario per migliorare la nostra casa.

Così deve fare anche una comunità cristiana. La parrocchia non è la chiesa, o la canonica, o i cosiddetti “locali parrocchiali”. La parrocchia è la capacità della comunità di abitare il territorio. In un certo senso, potremmo dire che i nostri locali parrocchiali devono essere i nostri bar, i parrucchieri, gli uffici, la farmacia, i ristoranti, i negozi… insieme alle nostre abitazioni.

Paradossalmente, uno dovrebbe poter dire: “Vado in parrocchia” e poi uscire fuori. Questo è il sogno di Papa Francesco, il sogno di una “Chiesa in uscita”, il sogno di discepoli-missionari.




Il whatsapp di Dio

Rilanciamo, in questa domenica, l’impegno comunitario di ascolto della parola di Dio. La liturgia odierna ci favorisce enormemente in questo intento, così come la sospensione delle attività pastorali ordinarie (eccezion fatta per l’Estate Ragazzi) ci permette di concentrarci tutti insieme su questo progetto.

Come sappiamo, il Vescovo ci ha chiesto di mettere al centro la riflessione sull’ascolto della parola di Dio: un ascolto personale e pregato, non tecnico e non riservato agli esperti, ma condiviso e capace di coinvolgere tutti.

In Quaresima avevamo proposto e offerto a tutti un foglio blu, in cui si trovava un invito, un suggerimento per la riflessione e alcune indicazioni di metodo. Vogliamo continuare nello stesso stile, ma in forma più articolata e moderna.

Viene riproposto un foglio, sulla copertina del quale troverete un evidente richiamo agli strumenti della tecnologia. Tale foglio, come già quello precedente, serve per riprendere il proprio confronto con la parola di Dio insieme alla comunità e può essere usato così com’è. Oltre a questo, però, chi vuole può lasciare la sua mail o il suo numero di cellulare e ricevere quotidianamente una frase del Vangelo del giorno su Whatsapp o l’intero brano sulla propria mail. La frase viene selezionata da una persona della commissione parrocchiale che ha preparato questa iniziativa e verrebbe spedita tutti i giorni circa alla stessa ora, in modo che ci sia un appuntamento comunitario attorno alla stessa Parola, per offrire uno spunto di meditazione condiviso nel trambusto frenetico delle nostre vite.

La parola di Dio come faro, dunque, secondo la grande tradizione della Chiesa, ma anche come messaggio di Whatsapp… perché no? Ai nostri giorni, forse, la voce di Dio ci raggiunge anche meglio così, con discrezione e con l’autorizzazione a violare la nostra privacy, piuttosto che con una luce accecante.

Questa proposta è un test iniziale. Vorremmo provarla, con chi ci sta, per il tempo dell’estate, poi a settembre aggiornarla e adeguarla se necessario. Quindi i suggerimenti o i riscontri di tutti sono necessari e preziosi.

L’obiettivo è segnatamente coinvolgere anche i più giovani nell’ascolto della parola di Dio e in un’esperienza comunitaria che possa essere meglio vissuta nei loro linguaggi, ma al Consiglio Pastorale questa idea ha riscosso l’entusiasmo dei più, anche fra i meno giovani.

La liturgia di oggi, dicevo, è un saggio perfetto di quanto possa essere ricca la parola di Dio per la nostra vita. La prima lettura ci propone la vicenda del peccato di Adamo ed Eva: ben oltre le banalizzazioni ignoranti della profondità di questi testi, in poche righe si descrive con precisione e dovizia di particolari la condizione umana segnata da un rapporto corrotto con l’esistenza. Una parola che, senza usare tante parole, ci legge nel modo più profondo possibile.

Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo afferma: “Ho creduto, perciò ho parlato” (2Cor 4,13). Se vogliamo nutrire la nostra fede ed esserne testimoni, se vogliamo essere discepoli missionari come ci chiede Papa Francesco, non possiamo che ascoltare assiduamente la parola di Dio e lasciare che essa generi in noi la fede e la testimonianza.

Infine, nel vangelo, di fronte all’apparente potere del Male, Gesù ribadisce che solo l’ascolto che si traduce con pratica della parola di Dio ha il potere di sconfiggere le dinamiche maligne che si annidano nell’esistenza e che ci fanno allontanare dalla famiglia di Dio; mentre chi fa la volontà del Padre e mette in pratica i suoi inviti all’amore, al servizio e alla gioia, riacquista la dignità di fratello, sorella e madre per Dio, attraverso Gesù.

 Don Davide

 

Gli interventi di don Davide riprenderanno dopo la pausa estiva.