Il Corpus Domini e l’Estate Ragazzi

Ho cominciato ad andare a messa molto presto nella mia vita, a 14/15 anni circa. Non parlo della messa festiva, ma di quella feriale. Andavo in parrocchia o, alcune volte, per alcuni incastri di orari, nella chiesa di S. Maria Goretti vicino al Fermi, prima di entrare a scuola.

Non ero un mistico, o un marziano e neppure “bravo”; furono una serie di fortunati eventi a farmi prendere questa buona abitudine, che mi ha completamente cambiato la vita. Non saprei dire perché, ma so precisamente che cosa ha mosso tale cambiamento.

È stato l’incontro con il Corpo e il Sangue del Signore Gesù.

Durante gli studi di teologia lessi una frase di Sant’Ignazio di Antiochia, uno dei primi padri della Chiesa: “Questo calice è la carità di Cristo”.

Questa affermazione mi svelò che cosa avevo nel cuore: il desiderio di volere bene – che ora riconosco come la scelta fondamentale nella vita – e la scoperta che potevo farlo imparando da Gesù.

Ero sicuro di potere prendere ispirazione da lui e allo stesso tempo che non avrebbe condizionato la mia libertà, anzi che mi avrebbe reso più me di me stesso.

Per domenica prossima 11 giugno abbiamo invitato alla messa delle 10 gli animatori dell’Estate Ragazzi.

Sono particolarmente contento che sia la domenica del “Corpus Domini” (anche se detta così ha reminiscenze da compito di Latino, che appena finita la scuola potrebbero essere un deterrente…) perché spero che anche per loro possa essere un nuovo incontro con Gesù e che possano essere aiutati a trovare il sé più vero di loro stessi.

In realtà, non ho proprio idea di quanti animatori e animatrici verranno, perché d’accordo con la coordinatrice e le responsabili di Estate Ragazzi abbiamo deciso di fare un invito veramente libero. Con chi ci sarà, fossero anche due o tre animatori/animatrici, faremo un rito di presentazione, accoglienza e mandato.

Di questa cosa – di chiedere cioè un impegno serio per l’Estate Ragazzi, e allo stesso tempo di fare loro una (piccola) proposta di fede, che sembra anacronistica ed estranea alle loro abitudini, ma che possono educarsi a scegliere liberamente – ne facciamo un punto di onore.

Non è sempre stato così. Se qualche animatore o animatrice ci sta leggendo (sarebbe un primo miracolo!) sappia che don Davide, nelle due parrocchie dove ha fatto il cappellano, chiamava solo gli animatori e le animatrici che venivano al gruppo regolarmente e a messa tutte le domeniche!

Ma la pastorale non è un dogma: è un’arte fatta di discernimento, di condivisione, di sensibilità e di rispetto per i cammini concreti che ci sono in atto.

Perciò questa è la scelta pastorale che abbiamo preso in questo tempo, nella nostra parrocchia, e la cosa che ci fa più contenti è la possibilità di condividere l’Estate Ragazzi con tanti animatori e animatrici e di fare un pezzo del cammino della loro giovinezza insieme.

L’importante è che trovino la loro via personale e speriamo che di questi giorni possano lasciare un ricordo così bello, da portarlo con gratitudine persino davanti a Gesù.

Don Davide




Corpus Domini: il Corpo del Signore

Il Mistero

Cogliamo l’occasione di questa festa per fare amicizia con un aspetto della nostra fede che, per molti versi, rimane un mistero. Possiamo fare delle considerazioni in maniera umile riguardo alla complessa presenza di Dio nel mondo: fra l’essere umano e la divinità si conserva uno spazio impenetrabile. Proviamo così a leggere il mistero del ‘Corpo del Signore’ analogamente al fenomeno fisico della diffrazione della luce, sapendo che rimane una differenza davanti alla quale non c’è che da rimanere in silenzio.

La relazione con Lui

Il principio della relazione con Lui è un incontro, così come continuamente indicato nei vangeli, dove viene manifestato che la relazione con il Risorto è personalevera, nel senso che non è solo frutto di una percezione del soggetto, ma ha una componente oggettiva nel fatto che Gesù si mostra ai suoi discepoli. L’incontro con Lui si verifica per ciascuno di noi nel tempo presente, in questo nostro corpo e, mediante lo Spirito (infatti ‘il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo, 1Cor 6, 19), veniamo condotti e invitati a pienezza fino a dire con Paolo ‘non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’ (Gal 2,20).

La Comunità come corpo

Tutti i battezzati sono poi uniti nel corpo ecclesiale, come dice Gesù: ‘dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro’ (Mt 18,20).
La presenza di Cristo diviene così reale nella comunità, mediante i segni del pane e del vino, il ‘corpo del Signore’ che ci permette di alimentarci del suo Amore. Noi lo crediamo vivo e vero nelle specie più povere e anche più alla nostra portata (come appunto il pane e il vino) per divenire noi stessi pane d’amore per il mondo, allo stesso modo di Cristo.

Nel corpo dei fratelli, dissetandoli, accogliendoli, trovate me

Vi è poi infatti, un ‘corpo del Signore’ più diffuso: ‘tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’. È sempre Gesù che parla in prima persona nel vangelo di Matteo (25,40) invitandoci ad avere cura dei più piccoli della terra, come se fossero lui stesso.

Per lui apriamo il nostro cuore e le nostre vite a chi è in difficoltà e lì ritroviamo anche noi stessi nel meraviglioso mistero del Corpo di Cristo. Siamo esseri personali e comunitari e, nel Risorto, lo saremo in pienezza.

La prospettiva che ci attende è quella di riconoscere ‘Dio tutto in tutti’ (1Cor 15,28). Non tutto si può comprendere, ma si può già pienamente gioire.
Godiamoci, dunque, ciò che ci è stato rivelato: impariamo ad amare noi stessi, a vivere come fratelli nelle nostre comunità, a nutrirci dei sacramenti facendo ‘eucarestia’ e servendo i più piccoli.
Questo significa celebrare  il Corpus Domini.

Anna Maria e Francesco




Conoscere il cuore

Cosa c’è nel nostro cuore?
È una risposta difficilissima da dare, perché spesso amiamo rappresentarci meglio di quello che siamo o tendiamo ad essere più severi del dovuto.
Inoltre, per capire cosa ha il potere di rimanere saldo, di esserci, anche di fronte alle difficoltà e ai momenti in cui non tutto viene naturale, abbiamo bisogno di metterci alla prova. Come uno sciatore che verifica le sue abilità quando la pista diventa più ripida o uno studente che voglia concentrarsi in mezzo alla confusione.
Vivere una pandemia è stata ed è tuttora sicuramente una prova, non voluta da Dio, non da leggere con qualche strana interpretazione. Ma durante l’epidemia abbiamo avuto modo di verificare cosa c’era nel nostro cuore.
Chi erano le persone che ci mancavano di più? A chi vogliamo più bene? Quali sono le nostre priorità? Siamo abbastanza forti da tenere il timone delle nostre giornate o ci abbandoniamo allo scorrere casuale del tempo? Che rapporto abbiamo con la malattia e la morte? Ci teniamo al Signore? Siamo riusciti a ritagliare un po’ di tempo per l’incontro con Gesù, oppure abbiamo scoperto che “non abbiamo tempo” è una scusa per mascherare che non ci teniamo abbastanza?
Tutte queste domande appartengono alla riflessione del Deuteronomio, nella prima lettura: il tempo della prova ci svela, prima di tutto a noi stessi.
In questa meditazione si dice a un certo punto: “Non dimenticare il Signore”. La sapienza biblica è – come sempre – meravigliosa. Non si dice qui: “Metti il Signore al primo posto!” oppure: “Ti devi dedicare solo al Signore!”. Più saggiamente si dice: “Non dimenticare!”, ossia: “Tra le altre cose che fanno parte della vita, tu non trascurare di dare il posto giusto al Signore…”
Sul modello dell’Esodo viene riletta ogni esperienza umana: è lui che ci libera dalle schiavitù, molte anche quelle che ci auto imponiamo. È lui che ci aiuta ad attraversare momenti di deserto, di solitudine e di spavento, come ad esempio la quarantena. È sempre lui che in un mondo dove i serpenti e gli scorpioni non mancano guida i passi per non essere avvelenati a morte. È ancora lui che nelle solitudini che proviamo quando il senso delle cose si dissolve, ci disseta con una prospettiva, una speranza. È lui, infine, che è in grado di sondare il nostro cuore a delle profondità che nessuna parola umana può raggiungere e fare sgorgare l’acqua “dalla roccia durissima”: ossia, guarire ciò che sembra irraggiungibile, irrigare ciò che è sempre arido, scavare la roccia impenetrabile.
In questa domenica del Corpus Domini vorrei allora proporvi una serie di domande ispirate dalle letture di questa solennità, come strumento per verificare cosa c’è nel nostro cuore. Per chi verrà alla messa, la useremo come Professione di Fede da fare insieme.

Credete nel primato della Parola di Dio,
da ascoltare, leggere, meditare e pregare frequentemente,
personalmente e nell’assemblea liturgica,
che ha il potere di toccare le parti più profonde di noi e di irrigare il nostro cuore?

Credete nell’Eucaristia,
come comunione reale al sangue delle vittime,
condivisione delle sorti di tutti gli uomini, specialmente i più poveri e affaticati,
e custodia dell’unico corpo che abbiamo tutti insieme: il nostro pianeta?

Credete che Gesù è il lievito della nostra vita,
colui che ci fa crescere come uomini e come donne
e ci chiama ad essere suoi testimoni nel mondo,
e che il modo migliore di impastarci con lui
è di prendere parte attivamente alla celebrazione eucaristica?

Questa è la nostra riposta di fede all’ascolto della tua parola, Signore.
Crediamo in te, Signore Gesù
e con te, desideriamo tendere verso la pienezza di vita. Amen.




Gratitudine

Eucarestia vuole dire ringraziamento.

Sono molte le ragioni per ringraziare oggi, nel giorno in cui la tradizione della Chiesa mette al centro l’Eucarestia, il Corpus Domini.

Non so se sia usuale dire a una comunità quanto le si vuole bene, però è così: in questa giornata io voglio dire alla mia comunità quanto le voglio bene, perché l’ho vista in gran spolvero in occasione della Coppa ACR – quest’anno OlimpiACR – e nella serata di festa, dove tutti hanno collaborato e si sono aiutati, e abbiamo gestito l’organizzazione con grande disinvoltura, valorizzando il protagonismo dei bimbi, dei ragazzi e dei giovani. Una comunità che cresce è il corpo di Cristo che si edifica, quindi siamo in perfetta sintonia con la festa di oggi.

In realtà, la gratitudine si estende alla considerazione di tutto l’anno e ai tanti obiettivi raggiunti, da ultimo anche il sito internet della parrocchia www.parrocchiasamac.it che, dopo un lungo e delicato lavoro, è ufficialmente pronto. Visitatelo!

Alle persone a cui si vuole bene e che si vogliono ringraziare si fanno regali, si fanno volentieri e belli, perché si possano sentire valorizzate. Mi stava a cuore che in questa solennità del Corpus Domini la nostra comunità potesse ricevere e custodire il trittico dal titolo In memoria di me di Ettore Frani: è un regalo che ci facciamo a vicenda, per valorizzarci, per rendere lo spazio delle nostre celebrazioni ancora più ispirato e per lasciare ai giovani una promessa di futuro importante.

Davanti ai nostri occhi stanno un calice e un pane semplicissimi, materici. Illuminati da una luce gentile sono esposti, ma non fragili, vigorosi di una concretezza che li rende veri. Inizialmente sembrano essere offerti, ma la posa garbata in cui emergono dall’oscurità si rivela insistente, attrae, pretende il coinvolgimento. C’è un momento sospeso, un’attesa, in cui prendiamo contatto con la materia, con le cose più umane nei simboli del vino e del pane: l’amicizia, l’amore di qualcuno che li ha preparati, la fame, la sete, il profumo, il gusto e i desideri, portando nella mente e nel cuore parole di benedizione. Allora accade qualcosa di misterioso e indicibile. È una luce che prende tutta la nostra realtà e la trasfigura e disegna la nostra esistenza come una mensa.

Don Davide




La parola che svela Dio

Dopo la solennità di Pentecoste, l’anno liturgico propone ancora due feste, prima di riprendere effettivamente il ritmo delle domeniche del Tempo Ordinario: la SS. Trinità e il SS. Corpo e Sangue di Gesù (il Corpus Domini).

La Trinità è il mistero di Dio che si svela nella Pasqua di Gesù: un Dio che tutto insieme soffre e che tutto insieme si riappropria della vita e la rigenera.

Il Corpus Domini ci aiuta a ricordare che il sacramento dell’Eucaristia, inteso come celebrazione della comunità cristiana, è il gesto concreto con cui viviamo quella Pasqua nel tempo, è la celebrazione della Pasqua settimanale.

Queste due feste sono intese, quindi, come un compendio della vita cristiana: viviamo nell’amore di un Dio-comunione e facciamo esperienza di questo amore, per metterlo in pratica, nell’Eucaristia.

Nell’anno dedicato dal vescovo all’attenzione per la Parola di Dio, la festa della SS. Trinità, che arriva a conclusione dell’anno pastorale, ci richiama ancora una volta al dono di questa parola che ci viene rivolta, come la parola di una mamma e di un papà, che pian piano svegliano la coscienza della propria bambina.

Dio ci parla proprio così: come due giovani genitori, che parlano alla figlia appena nata, le chiedono le cose, la rassicurano quando piange… anche se sanno che lei (ancora) non può capirli. Non importa. Pian piano, di quelle parole la bimba riconoscerà la voce, il tono… forse anche il profumo che le accompagna, quel senso di essere rassicurati nell’esistenza che i bimbi percepiscono quando sono in braccio ai genitori.

Poi diventeranno parole di amore e di tenerezza, e anche comandi a cui obbedire, non perché la bimba cresciuta si senta schiava, ma perché ha imparato che nel rispetto di quelle parole è rincuorata e protetta e può esplorare la vita con confidenza.

Dopo viene il tempo della ribellione, il processo dell’autonomia, ma poi quando c’è una cosa difficile, o un bisogno di aiuto, o una cosa che fa paura… anche i ragazzi e le ragazze più ribelli si rivolgono a mamma e papà. Tipicamente, gli adolescenti si muovono dentro a questo contrasto: il desiderio di indipendenza e il bisogno che papà e mamma siano lì sempre, a loro servizio. Dio che è padre e madre, lo Spirito Santo che in ebraico è un nome di genere femminile (tipo: “la Forza”) e Gesù, che è maschio, ma soprattutto “uomo” nel senso di modello per ogni persona del genere umano, non disdegnano nemmeno questa posizione nei confronti della propria figlia divenuta adolescente: accettano che si faccia strada da sola e, quando chiama, ci sono.

Infine, la parola che i genitori hanno a lungo rivolto e scambiato diventerà per la figlia il punto di riferimento del proprio sistema valoriale ed emotivo; sarà strumento di dialogo e confronto… e poi anche cura nei confronti dei genitori divenuti anziani, quando si arriva a quell’età in cui si invertono le parti, e mentre non cessa la premura dei genitori, in realtà sono i figli che si prendono cura di loro. Allo stesso modo, arriva anche un’età umana e spirituale in cui “ci si prende cura di Dio”, con una sapienza della vita e una maturità del rapporto che permette di trasmetterne l’esperienza anche alle nuove generazioni.

È la parola accompagnata dai gesti concreti che la realizzano, che anima tutto questo sviluppo.

Il mistero insondabile e vertiginoso della Trinità si fa conoscere così: “si è mai udita una cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio?” (1° lett.). Questa parola risveglia in noi la Forza spirituale che ci fa dire “Papà” ma anche “Mamma” (2° lett.), e agisce con essa. Infine, ci spinge a trasmettere l’amore di Dio, divenuti adulti nella fede, insegnando a conoscere questa parola, dimorare in essa, amarla e sentirsene custoditi.

Don Davide




Discorso del Vescovo

Cogliendo la ricorrenza del Corpus Domini, nell’anno del Congresso Eucaristico, vorrei proporre in queste domeniche la lettura di alcune parti del discorso del Vescovo al termine dell’Assemblea Diocesana dell’08/06/2017.

IL CORPUS DOMINI E LA CHIESA IN USCITA

Oggi abbiamo allargato ancora di più il nostro dialogo. E questo è oggi il grande valore di questa Assemblea! Farlo è faticoso, ma è l’unico modo perché cresca tra noi qualcosa di vero e che ci unisca nel profondo.

La comunione è fondamentale per la Chiesa e per la città. Non vogliamo sia solo in alcuni momenti straordinari, come per esempio avvenne nel terremoto o di fronte a tragedie incancellabili come le ferite delle stragi che la nostra città porta.

Siamo nel pieno del Congresso eucaristico, un momento importante, con il quale misuriamo il nostro cammino. Siamo aiutati a contemplare il mistero della presenza di Cristo nell’eucaristia, di Dio che si offre, pane di amore, di vita che non finisce e che insegna a vivere, presenza che orienta e rafforza. Riscopriamo lo stesso corpo nei suoi fratelli più piccoli. Condividiamo il pane del cielo e questo ci aiuta a condividere quello della terra. Nella città si nasconde la presenza di Dio. I cristiani aiutano a svelare questa presenza e la cercano perché quella che contemplano nel mistero del Corpus Domini la riconoscono concreta nel Corpus pauperum e nel prossimo.

San Petronio è il nostro protettore. Di chi? Di tutti! L’amore dei cristiani non filtra mai gli interlocutori, non pone condizioni, fa sempre il primo passo verso il prossimo, non considera nessuno straniero. Tutta Bologna si identifica con lui e con questa sua casa da sempre civica, in un’appartenenza che unisce profondamente la Chiesa e la città degli uomini. La Chiesa non può pensarsi senza la città degli uomini. È il luogo in cui essa vive, potremmo dire, dove trova se stessa. Tutti, anche la Chiesa, capiscono chi sono solo incontrando l’altro e uscendo all’aperto.

Perché Petronio protegge? Non era certo il più potente secondo la logica di forza degli uomini! San Petronio protegge perché discepolo di Cristo, aiuta tutti, non si preoccupa di difendere il suo ma si preoccupa del noi e trasmette quella forza e quella intelligenza di amore che lo Spirito ha donato. Il cristiano non possiede la città, la serve.

[…]

Questa assemblea contiene le piazze di tutte le nostre città e paesi, anche i più piccoli. Tutte le comunità sono importanti e amate. A Gerusalemme i discepoli uscirono sulla piazza ed iniziarono a parlare e rendendosi così conto che sapevano parlare a tutti, che tutti ascoltavano e soprattutto capivano. Certo, all’inizio avevano paura, tanto che stavano chiusi, tra loro. Ci sarà stato chi pensava inutile uscire, che farlo li avrebbe confusi tanto che non avrebbero più saputo chi sono. Qualcuno avrà elencato tutti rischi possibili, i pericoli, invocando la necessità di restare al chiuso come se sono i muri a proteggere e non l’amore. Qualcun altro voleva un programma dettagliato, chiaro, definitivo, sicuro, per paura dell’imprevisto. Qualcuno pensava che il mondo non si meritava nulla, studiava solo le parole per spiegargli gli errori perché andava punito per quello che aveva fatto a Gesù. Qualcuno sperava di continuare le discussioni tra loro, perché prima bisognava finire quell’interminabile ma appassionante confronto su chi fosse il più grande oppure imparare bene quello che è necessario per affrontare la piazza. Qualcuno avrà pensato che tanto tutto era inutile, che non sarebbe cambiato nulla, che era meglio pensare banalmente a quello che li riguardava. Qualcuno si era attrezzato bene dalla finestra e osservava e giudicava tutto e tutti dalla sua stanza.

Lo Spirito, che è l’amore, spinge invece ad uscire. La Chiesa non vuole guardare da lontano, paurosa e orgogliosa allo stesso tempo. Anche se avessimo le idee giuste, senza l’incontro non nasce nulla. E l’incontro riguarda ognuno e tutte le nostre comunità. Se non siamo per strada, se non visitiamo, se non ascoltiamo, se non guardiamo negli occhi, se non tocchiamo, se non ci facciamo carico, non capiamo per davvero, il prossimo non ci capisce. Prossimità per riconoscere l’altro. E perché accada bisogna uscire da quelle mura che sono i pregiudizi, le abitudini, la scontatezza, il narcisismo religioso. Il luogo della comunità è la strada. Lì dobbiamo affrontare gli imprevisti, ma anche troviamo la nostra vera forza, quella per cui ogni incontro diventa grande se siamo piccoli, cioè umili.

Matteo Maria Zuppi,

Arcivescovo di Bologna

 

Continuiamo a proporre il discorso del Vescovo a conclusione dell’Assemblea Diocesana del Congresso Eucaristico, che ha un forte sapore programmatico per la pastorale della Chiesa di Bologna.

DUE NEMICI: INDIVIDUALISMO E INDIFFERENZA

Il nemico è l’individualismo

ll cristiano vuole combattere il vero nemico che è l’individualismo, il demone che ci mette gli uni accanto agli altri, ma senza gli altri. L’individualismo rende lontano o addirittura pericoloso quello di cui abbiamo tutti bisogno, il prossimo; oppure ce lo fa accettare solo come lo vogliamo noi e quindi ci fa allontanare chi non conosciamo, facendo crescere l’inimicizia.

Non vogliamo nemmeno un individualismo di campanile o di gruppo, che ci fa credere sufficiente alzare un muro per risolvere i problemi, che non accetta la complessità e la sfida di un mondo che è davvero piccolo e che entra anche nel nostro giardino. Il campanile ci aiuta a collocarci nel grande mondo, ma senza questo ci isola! Quanto sono prive di senso le beghe da campanile! E che responsabilità abbiamo, invece, verso i tanti che soffrono nel mondo! Solo imparando a stare assieme la città degli uomini vive e gli uomini con lei.

«L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari. L’azione pastorale deve mostrare ancora meglio che la relazione con il nostro Padre esige e incoraggia una comunione che guarisca, promuova e rafforzi i legami interpersonali. Mentre nel mondo, specialmente in alcuni Paesi, riappaiono diverse forme di guerre e scontri, noi cristiani insistiamo nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire ponti, stringere relazioni e aiutarci “a portare i pesi gli uni degli altri”» (EG 67).

L’individualismo produce nella città degli uomini tante patologie di solitudine. Basti pensare alle dipendenze. Uno degli inganni dell’individualismo è che illude di potere vivere bene da soli. Invece senza la comunità non c’è individuo. E la comunità non è una somma di individui! Non stiamo bene quando siamo isolati. La persona, l’uomo è relazione. Il male ci vuole divisi, magari con tutti i confort, ma individualisti. Anzi. Perché l’uomo è relazione e senza questa si perde, si dispera, si chiude. La Chiesa non vuole una città di individui senza il noi, ma una piazza dove impariamo tutti a riconoscerci ed aiutarci.

Indifferenza, sorella dell’individualismo

L’individualismo ha una sorella: l’indifferenza. Si trucca molto bene. Non la si distingue subito. Anzi. Qualcuno pensa che non la ha «perché soffro tanto» o che basti un po’ di bonomia per dimostrare interesse verso l’altro. L’indifferenza si rivela nel non fare, nell’accontentarsi (per gli altri!), nel difendersi con la logica di Caino: «A me che importa?», «io che c’entro?», «non è possibile!». Non fare niente, anche se con eleganza, fa sempre male!

A volte insinua il banale assuefarsi al dolore degli altri. «Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cf. Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, “zoppi, storpi, ciechi, sordi” (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo» (Discorso di Papa Francesco a Firenze). Piazze e ospedali da campo. C’è bisogno. La folla non può aspettare, ha bisogno di pane.

 Matteo Maria Zuppi,

Arcivescovo di Bologna

 

Continuiamo a proporre il discorso del Vescovo a conclusione dell’Assemblea Diocesana del Congresso Eucaristico, che ha un forte sapore programmatico per la pastorale della Chiesa di Bologna. – 3° parte.

 ACCOGLIENZA E CONDIVISIONE

Questa sera abbiamo ascoltato anche tanti problemi. Sono sempre nuovi. Noi non vogliamo affatto immaginare una città che non esiste e pensiamo che ogni città degli uomini può cambiare! E parlare dei problemi che ci sono non significa mai minimizzare le cose che facciamo già! Anzi. Siamo consapevoli di appartenere ad una delle regioni del nostro paese e dell’Europa con tantissima storia e più in crescita. L’accoglienza è la nostra forza e ereditiamo tanta sapienza umana e spirituale! […] Questo è il metodo con cui si possono affrontare i problemi. Finite le ideologie non vogliamo inizino i personalismi! E dobbiamo anche dire: quante occasioni sprecate, quando non dialoghiamo e sciupiamo i tanti mezzi per “scarsi e rachitici fini”.

Per noi la città degli uomini non potrà mai essere un luogo anonimo. Al contrario! (EG 210). «Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!».

Bologna e tante nostre città, scusate se insisto ancora su questo, da sempre hanno avuto, anche nella loro stessa caratteristica architettonica, il gusto di essere accoglienti e protettive per tutti, ad iniziare dal forestiero. Humanitas e Dignitas fanno tanto parte di essa. I portici altro non sono che i corridoi di questa casa comune.

Ecco cosa vuole la Chiesa, con fermezza e con tanta vicinanza. Perché Dio è nella città. (EG 71). «La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso».

Le nostre città sono cambiate. Per certi versi dobbiamo scoprirle di nuovo e interrogarci sul loro futuro e che cosa questo ci chiede! A Bologna ogni dieci anni cambia uno su cinque dei suoi abitanti! Quasi la metà degli appartamenti è abitata da un single. A Bologna risiedono 60.000 stranieri, che lo sono come definizione, ma non possono esserlo per i discepoli di Colui che si riconosce nei forestieri e dice che qualsiasi cosa abbiamo fatto a uno di loro la abbiamo fatta a lui. Ottomila ci sono nati e speriamo abbiano presto regole chiare per diventare anche di diritto quello che sono già, italiani.

C’è tanta mobilità. Ogni anno da Bologna vanno nell’area metropolitana più di 4.000 persone. La mobilità spesso significa anonimato.

Non possiamo accontentarci di risposte burocratiche. Queste sono le più pericolose, perché danno la convinzione, la presunzione, di avere fatto. C’è tanta sofferenza nascosta. La vediamo solo se ci fermiamo, se andiamo vicino, se non la accettiamo come normale o se non aspettiamo solo che passi.

Quante sfide! Quanta insopportabile ineguaglianza. Sentiamo la passione che nasce dalla sofferenza di tanti!

Matteo Maria Zuppi,

Arcivescovo di Bologna

 

Continuiamo a proporre il discorso del Vescovo a conclusione dell’Assemblea Diocesana del Congresso Eucaristico, che ha un forte sapore programmatico per la pastorale della Chiesa di Bologna. – 4° parte.

IL VANGELO CHE POSSIAMO ESSERE NOI

Oggi diciamo che le risposte dipendono anche da noi! L’invito di dare da mangiare è rivolto a “voi”. Cioè “noi”. «Voi stessi date loro da mangiare». In un momento in cui è facile credere che il problema non ci riguarda o che debbo pensare a me, la Chiesa vuole dire che sente tutta la responsabilità di trovare il pane per chi ha fame e che lo offre gratuitamente.

La gratuità è una dimensione fondamentale per vivere bene nella città, soprattutto quando sembra che tutto abbia un prezzo e il consumismo ci ha reso tutti più diffidenti e calcolatori. La gratuità non è un problema di mezzi! Mi ha sempre sorpreso l’avarizia dei ricchi! La Chiesa ha sempre solo cinque pani e due pesci, ma crede che solo dividendo il pane si moltiplica. Vorremmo che tutti possano contemplare nelle nostre comunità e nelle nostre persone quel volto di una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza che papa Francesco ha indicato come programma alla Chiesa italiana.

Lo aspettiamo qui a Bologna, in quella che sarà la prima giornata della Parola e la conclusione del nostro CED. La Parola da cui nasce e si ricrea tutto, voce di quel Corpo che contempliamo! Vorremmo che il 1° ottobre ci confermi in questa scelta e vogliamo presentargli una Chiesa così. «Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura», ci chiedeva a Firenze. Farlo inizia da chi resta ai margini. Le nostre comunità possono essere ancora di più una geografia affettiva nella città per tanti che hanno bisogno di protezione e relazione. La Chiesa non pensa affatto in termini buonisti, come quelli che in nome di falsa misericordia fasciano le ferite senza prima curarle; che assistono, ma senza capire e combattere le cause e senza trovare le soluzioni, anche a costo di sacrificio.

Abbiamo bisogno di vere belle notizie! Non sono quelle che hanno gli onori della cronaca, ma quelle che cambiano la vita per davvero. Tutti possiamo dare questa bella notizia. Infatti c’è in ogni uomo il desiderio di essere accolto come persona e considerato una realtà sacra, perché ogni storia umana è una storia sacra, e richiede il più grande rispetto.

Diceva papa Benedetto: «La città, cari fratelli e sorelle, siamo tutti noi! Ciascuno contribuisce alla sua vita e al suo clima morale, in bene o in male. Nel cuore di ognuno di noi passa il confine tra il bene e il male e nessuno di noi deve sentirsi in diritto di giudicare gli altri, ma piuttosto ciascuno deve sentire il dovere di migliorare se stesso!

I mass media tendono a farci sentire sempre “spettatori”, come se il male riguardasse solamente gli altri, e certe cose a noi non potessero mai accadere. Invece siamo tutti “attori” e, nel male come nel bene, il nostro comportamento ha un influsso sugli altri. Spesso ci lamentiamo dell’inquinamento dell’aria, che in certi luoghi della città è irrespirabile. È vero: ci vuole l’impegno di tutti per rendere più pulita la città.

E tuttavia c’è un altro inquinamento, meno percepibile ai sensi, ma altrettanto pericoloso. È l’inquinamento dello spirito; è quello che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia… La città è fatta di volti, ma purtroppo le dinamiche collettive possono farci smarrire la percezione della loro profondità. Vediamo tutto in superficie. Le persone diventano dei corpi, e questi corpi perdono l’anima, diventano cose, oggetti senza volto, scambiabili e consumabili. La più bella notizia per noi è Gesù. Lui ci insegna a credere e ad essere noi stessi, tutti, una buona notizia di amore per gli altri, per i tanti che abitano la città degli uomini.

Abbiamo bisogno di buone notizie, vere, per combattere la paura e per prevenire il male. Non vogliamo restare prigionieri della disillusione che porta ad accontentarsi e a non cercare il futuro. Siamo in un tempo di paura. I rischi, le minacce, la crisi, i mutamenti. Noi vogliamo costruire oggi quello che saremo domani.

Matteo Maria Zuppi,

Arcivescovo di Bologna

 

Siamo arrivati alla conclusione del discorso del Vescovo all’Assemblea Diocesana del Congresso Eucaristico, che ha un forte sapore programmatico per la pastorale della Chiesa di Bologna. – 5° parte.

 SIAMO SOLO ALL’INIZIO

Il cristianesimo è vicinanza, comunità, popolo, insieme. La missione è incontro e costruzione di amicizia su scenari del mondo che si scoprono nuovi o almeno rinnovati. Vogliamo trasformare deserti in foreste! Quanti deserti nelle città. Avvicinarsi a qualcuno è sempre un rischio, ma anche un’opportunità: per me e per la persona alla quale mi avvicino. Facciamo che non manchi mai la relazione, la prossimità, cioè l’amicizia sociale. Il nostro parlare sia semplice e amico verso tutti. Apriamo il cuore.

La prima bella notizia possiamo essere ognuno di noi, con il nostro sorriso, con la nostra gentilezza, con la visita, con l’ascolto, con l’elemosina, con l’aiuto concreto. Non restiamo sempre ad aspettare, non calcoliamo tutto, non restiamo diffidenti e non ci arrendiamo alle prime difficoltà. Vogliamo città degli uomini dove tutti si comprendano e nessuno sia straniero.

I prodigi della Pentecoste che si possono realizzare sono una solitudine sconfitta, l’abbandono riempito, lo scarto che diventa al centro delle attenzioni, lo straniero che diventa un fratello, un disilluso che rinasce. Questo non è il libro dei sogni, ma proprio i cinque pani che già abbiamo, che non dobbiamo andarci a cercare e possiamo distribuire a tutti.

Niente è impossibile a chi crede! Apri le porte del cuore e il mondo si aprirà all’amore. Non avere paura di sbagliare, non fare nulla è il vero sbaglio. Non cercare subito i risultati. Farlo è già la risposta e l’efficacia! Noi non siamo dei volontari che si sacrificano, ma operai di umanità toccati dall’umanità di Gesù.

Chiesa e città sono compagni di viaggio, che tendono alla stessa meta di salvare la persona. Il dialogo di oggi non è una tattica o una strategia. È la visione del futuro e la scelta di iniziare a costruirlo. Sento la consolazione di vedere già tanti frutti, la conferma del talento che abbiamo e anche di come i cinque pani regalati sfamano tanti e producono frutti di accoglienza, di solidarietà.

Sento l’urgenza di farlo per i tanti che aspettano. Sarà la sfida del nostro futuro. Sento anche la gioia di poterlo fare e di poterlo fare assieme, anche se a volte la fatica e la stanchezza ci invitano a chiuderci. Diceva spesso mons. Capovilla: «Tantum aurora est». Sì, siamo solo all’inizio.

Matteo Maria Zuppi,

Arcivescovo di Bologna




Corpus Domini. Pane e vino

La liturgia in cui tradizionalmente si celebra in modo particolare la grazia dell’Eucaristia, ricorda l’episodio di Melchisedek, che compare fugacemente nel racconto biblico, come simbolo di Cristo. La caratteristica di questa figura è che la sua offerta è semplice: pane e vino, come segni di ciò che è essenziale per vivere (pane) e per rendere gioiosa la vita (vino).

La solennità del Corpus Domini, che una volta esprimeva la fede della chiesa con una certa sfarzosità, oggi ci richiama piuttosto a questo essenziale-per-vivere. Di che cosa abbiamo bisogno realmente? Di nutrirci, perché il nostro organismo cresca; di curarci quando si ammala e di tenerlo un po’ allenato perché il corpo si irrobustisca. Poi abbiamo bisogno di amore, di sentirci protetti e di poter essere istruiti, per dare ricchezza anche al nostro animo. Infine abbiamo bisogno di sentirci utili, di sapere che la nostra vita ha un senso e che la nostra presenza è preziosa.

Lo stesso vale certamente anche per la vita dello Spirito in noi. Se non ci nutriamo degli insegnamenti di Gesù non possiamo crescere e affrontare con sapienza le responsabilità della vita. Se non ci curiamo con la misericordia, le malattie rischiano di infettare il nostro organismo. Se non ci alleniamo con la preghiera, il nostro spirito rimane flaccido, come un corpo senza muscoli. La comunità cristiana è il luogo dove concretamente sperimentiamo l’amore di Dio che ci protegge, e dove possiamo essere istruiti per conoscere meglio Gesù. Infine abbiamo il compito di capire qual è la nostra vocazione, quale sia il nostro compito nel mondo, perché non manchi alla costruzione del regno di Dio il nostro prezioso contributo.

Gesù invita i suoi discepoli, di fronte al bisogno di nutrimento delle folle, di essere loro stessi a provvedere da mangiare. Suona come un grande incoraggiamento, a ciascuno di noi, affinché celebrando la solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, noi possiamo essere richiamati a ciò che conta veramente, e allo stesso tempo fare di tutto perché a nessuno manchi ciò che è essenziale, non solo materialmente, ma anche spiritualmente.

Devo dire che in questo giorni ho visto questo impegno, sia in occasione dei sacramenti dei nostri ragazzi, sia in occasione dell’organizzazione della festa della parrocchia: ho visto tante persone, catechisti, ragazzi e volontari dare il proprio servizio e il proprio tempo, perché questo Corpo di Cristo che è la Chiesa possa essere un luogo pieno di vita per tutti, e noi dobbiamo esserne riconsocenti.

Don Davide