L’editto del Re

Perché Gesù, il Signore, è Re dell’Universo?

Perché passa in rassegna il suo regno. E cosa vi trova?

Vi trova guerre, attentati, carestie, inondazioni, pestilenze, violenza. Roba da fare venire i brividi. Sono “giorni nuvolosi e di caligine” (I lettura: Ez 34,14) per il suo regno.

Ma vi trova anche delicatezza, gesti di cura impareggiabili, mani che asciugano lacrime e terreni, mense condivise, costruttori di giustizia e di pace.

Per ogni vita violata, il Signore sa che ce ne sono dieci particolarmente accudite.

L’opposto della perversa logica della vendetta.

In questi casi, cosa fa un re corretto e responsabile, un re buono? L’apostolo Paolo, nella seconda lettura, risponde: “È necessario che egli regni, finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi” (II lettura: 1Cor 15,25).

Perciò il re proclama un editto per sostenere e difendere tutto il bene che c’è e avversare il male con tutti i suoi eserciti, che non sono armati, ma assomigliano più a coloro che fanno le missioni di pace, alla protezione civile, ai volontari che vanno sui luoghi dei disastri ad aiutare a mani nude e cuori pieni.

Questo editto suona così:

  • A chi ha fame, offriamo da mangiare
  • A chi ha sete, diamo da bere
  • Chi è forestiero sia accolto
  • Se ha bisogno di vestiti, diamogli quello che serve (anche dei nostri, che ne abbiamo sempre troppi)
  • Chi ha bisogno di vestiti riceva quelli che necessita (anche dei nostri, che ne abbiamo sempre troppi) 
  • A chi è in carcere, diamo l’opportunità di riscattarsi 

Non appare un decreto impraticabile.

Sicuramente non è difficile da capire, non ci sono ambiguità. Inoltre, mentre il re emana questo editto, ci dà lui stesso un esempio, perché come fa lui, facciamo anche noi: pasce il suo gregge, la pecora affaticata e quella forte, non lascia indietro nessuna.

In questo modo Gesù, mentre scende in mezzo al suo regno, sale sul suo vero trono, per concedere a tutti la grazia della vita.

Don Davide




Un Re speciale

Il nostro Re è speciale.
E’ proprio “dell’altro mondo”, quello migliore.
Sì, perché un altro mondo è possibile e possiamo dirlo dopo questi ultimi tre passi che la comunità dell’evangelista Matteo ci ha fatto fare in queste ultime domeniche che concludono l’anno liturgico.
Alle vergini è data la possibilità di agire con amore verso se stesse, lo Sposo, il mondo.
L’amore è dato dal Signore gratis; è dato in modo smisurato nella metafora dei talenti da investire. E’ dato senza timori e ci invita a non dichiararci inabili, come spesso facciamo addirittura prima ancora di iniziare ad agire.

Il nostro Re è davvero speciale.
Viene come un pastore per le sue pecore, compie il suo lavoro (ed è un grande lavoratore)
E’ un grande re che si prende le sue responsabilità, con cura e fino in fondo. Se non lo avessimo ancora capito, ce lo ripete ancora, fino alla fine. Vuole dirti: “Se non agisci con amore e per la giustizia ti perdi. Il tuo orizzonte, la tua finalità è il prendere parte con lui, il re pastore, del regno nuovo già qui, ora, in questa vita. Se non prendi l’olio, se sotterri il talento, se non ti ami e non investi nell’amore verso chi è più in difficoltà, te per primo, ti perdi qualcosa, ti escludi da questo regno, ti sei già separato dal resto”.

Il nostro Re è più di una parte, è universale.
Vuol dire che è per tutti e che non esclude nessuno. Chi si tira fuori, lo fa per sua scelta o forse solo per triste, drammatica inconsapevolezza di quanto Amore e non Giudizio, ci sia nello sguardo del Padre. Solo nelle relazioni sane ci si salva. Il Re universale vuole portare tutti alla vita vera e, fino alla fine, è con te, per non farti essere il ‘solito caprone’, potremmo dire con il sorriso sulle labbra. Con William Blake comprendiamo meglio il senso di questa ultima parabola: “Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e lì ho trovato tutti e tre”.

Chi vuole prendere parte al regno universale di questo Re più che speciale, lo segue nella via che egli stesso ha segnato e si riconosce come essere umano in relazione. Ciò dice-bene (bene-dice) la propria vita. Chi si chiude in se stesso, si sotterra, dice-male (male-dice), bruciando rovinosamente i propri giorni.

Il mio Re è un pastore amorevole.
Mi custodisce insieme ai fratelli più invisibili al mondo.
Dio mi ama, prezioso ai suoi occhi come prezioso per il Pastore è tutto il gregge e che tutto offre per l’unicità di ciascuno. E proprio quando divento stracolmo, debordante di gratitudine e meraviglia, vedo che non c’è più separazione tra me e gli altri, non c’è nulla di più naturale che sostenere gli altri, perché ciò che dono, migliora gli altri e me all’istante.
Quella che ci fa soffrire di più la pandemia, per esempio nel distanziamento tra noi, ci fa desiderare di più il suo contrario, perché così si propagherà l’amore di Dio, anche nelle forme che possiamo trovare comunque possibili oggi.

Non potremmo essere più sollecitati di così: ciò che ci viene tolto, ci faccia sentire il fuoco della mancanza così forte da renderci inquieti e arditi, per ritornare lì dove il Re vive già per costruire il Regno di Amore e di Pace, oggi.

Anna Maria e Francesco Paolo




Bisogno di silenzio

La scena del vangelo della solennità di Cristo Re, fa da cerniera tra l’anno appena concluso sotto il segno della misericordia e il nuovo anno liturgico, che riprende con l’invito a una maggiore attenzione alla presenza di Gesù tra noi nell’eucaristia.

Oggi contempliamo Gesù sulla croce, nell’ennesimo atto di misericordia regale, con cui si fa precedere dal suo amico ladro – nuovo amico ed ex ladro – in Paradiso. È come se il suo sguardo, dall’alto, spingesse il nostro e ci invitasse a non dimenticare questo stile di misericordia, e a portarlo ancora e sempre di più nelle nostre vite, perché l’Eucaristia è il modo di Gesù di continuare la sua incarnazione tra noi.

L’apertura del Congresso Eucaristico diocesano è un richiamo a migliorare la qualità delle nostre celebrazioni e farne una sorgente per incarnare l’amore di Gesù nelle nostre giornate.

Sono da poco stato qualche giorno in un eremo camaldolese, dove la preghiera è sobria e raccolta, e la messa estremamente essenziale. In quel contesto privilegiato, ho potuto apprezzare quanto il silenzio fecondi la celebrazione.

Con questo ricordo ancora nell’animo, fermandomi questa domenica davanti alla scena della crocifissione di Gesù, la cosa che più mi colpisce è questa situazione caotica, di grande chiasso e confusione. Le persone che gridano, i sacerdoti che lo provocano, la voce sgraziata del ladro impenitente.

Oggi guardiamo alla croce come a un trono regale, e mi sono chiesto chi mai entrerebbe nel salone del trono di un grande re, con urli e schiamazzi. Di fronte a questo contrasto sentiamo la supplica del ladro pentito elevarsi da un silenzio che, evidentemente, gli ha permesso in un ultimo istante di grazia di capire quello che stava avvenendo. Lì sorge l’atto di fede, lì sorge una preghiera di salvezza, una preghiera che guarisce.

Se dovessi esprimere qual è il senso delle nostre liturgie direi proprio questo: che da un silenzio (prima ancora intimo, che esteriore) posto di fronte a Gesù, sorga un atto di fede schietto, e si possa elevare una preghiera di salvezza che ci cura e conforta in tutti i nostri bisogni.

La gioia della vita cristiana, il senso di comunione e fraternità, l’incoraggiamento a vivere la carità risultano da quel primo e più fondamentale passaggio.

Ho notato con piacere che anche il sussidio liturgico proposto dalla CEI per vivere l’Avvento nelle nostre comunità, fa leva su questa attenzione al silenzio.

Mi propongo, allora, che le celebrazioni dell’Avvento siano uno spazio privilegiato per il silenzio, con alcuni piccoli accorgimenti liturgici che vanno nell’ordine di togliere, e di sottolineare alcune attenzioni, per poi godere della pienezza nella celebrazione del tempo di Natale. In un foglietto a parte da queste brevissime riflessioni, indico quali sono le attenzioni che vorrei provare ad avere, per ora solo per il tempo di Avvento, con il proposito di verificare su quale stile migliore possono istruirci.

Se mi si passa l’esempio, è la differenza tra entrare in vecchio negozietto stile bazar e in un moderno Apple Store. Nel negozio moderno non troverai niente di superfluo, perché possa risaltare ciò che è prezioso. Ecco, nella liturgia noi abbiamo qualcosa di molto più importante che un iPhone o qualche altro strumento. Noi abbiamo qualcosa che non è da usare, ma da godere. E dobbiamo testimoniarlo come il nostro più grande tesoro.

Don Davide