L’abito nuziale

Se tutti desideriamo il bene, perché non l’accogliamo?

La domanda mi sorge così, ma poi mi accorgo che non è posta bene. In tanti l’accolgono, e sono grati di ogni segnale di bene sulla strada. Ma molti, invece, no.

C’è un’inclinazione ingannevole nell’uomo a desiderare il bene che si vorrebbe e a fare ciò che ce ne allontana.

Perché?

Rimane uno dei misteri più difficili dell’esistenza.

Io credo che sia la questione dell’abito nuziale.

Nella parabola di Gesù, la reazione del padrone è del tutto spropositata. Prima chiama la gente dai crocicchi, poi va in escandescenze per un uomo che non ha il vestito adatto.

È evidente che qui Gesù vuole attirare la nostra attenzione.

Che cos’è questo abito nuziale? È qualcosa che si prepara.

Quando dobbiamo andare a un matrimonio controlliamo se abbiamo qualcosa da metterci. Anche chi sceglie un registro informale, è sicuro di avere qualcosa da indossare di conveniente. Altrimenti lo prepariamo, o lo andiamo a comprare.

L’essenza del bene sfugge a tutti, perciò è una conquista che va preparata. Più precisamente, è un dono che bisogna essere disposti da lungo tempo ad accogliere, come la partita o la gara della vita, che finalmente affronti nella tua condizione atletica migliore.

Nessuno giunge a un appuntamento importante come il matrimonio, improvvisato.

Ogni atleta che stupisce il mondo con un gesto atletico memorabile lo ha lungamente preparato nel nascondimento.

Ogni studioso che raggiunge un traguardo ha speso ore per avvicinarsi a quella conquista.

Questo, purtroppo, vale anche al contrario: quando, ad esempio, si accende una polveriera nel mondo e poi si rimane sgomenti di fronte alla violenza che deflagra.

È per questo motivo che in parrocchia crediamo ancora nel catechismo anche se sembra obsoleto. E per la stessa ragione prepariamo per i bimbi che lo chiedono il doposcuola. Ugualmente curiamo i gruppi degli adolescenti e dedichiamo attenzione ai giovani, e poi a tante famiglie e a tanti amici e amiche della Caritas S. Vincenzo.

Qualcuno potrebbe dire: e gli anziani?

Mi pare che in questo caso gli anziani abbiano più il compito di fungere da saggi, da mentori, da coloro che possono raccontare che un albero buono produce buoni frutti.

Crescere un albero buono non è un gesto unico o un’impresa solitaria. Bisogna avere cura del terreno, ci vuole lo spazio giusto, una collocazione favorevole, il rapporto biologico con le altre piante e il resto della natura circostante, la competenza di potarlo quando necessario, infine, più di ogni altra cosa, ci vuole tempo.

L’abito nuziale è una metafora del tempo.

Può capitare di essere chiamati all’improvviso alla festa del bene: può darsi che sia un invito subitaneo, inedito, del tutto aspettato o immeritato come quello di Matteo, di Zaccheo, la donna samaritana, ma quello che conta è avere preparato il cuore, in recessi magari profondissimi, che solo il Signore conosce.

Penso al ladro sulla croce: una vita di malefatte sfociate in una violenza terribile, probabilmente un omicidio che gli valse la pena di morte, ma forse con quel desiderio di bene e di riscatto che per tutta la sua esistenza non aveva più trovato la strada, fino a quell’ultimo incantevole: “Ricordati di me”. Il ladro – divenuto buono – era sulla croce con l’abito nuziale.

Don Davide




Conoscere il cuore

Cosa c’è nel nostro cuore?
È una risposta difficilissima da dare, perché spesso amiamo rappresentarci meglio di quello che siamo o tendiamo ad essere più severi del dovuto.
Inoltre, per capire cosa ha il potere di rimanere saldo, di esserci, anche di fronte alle difficoltà e ai momenti in cui non tutto viene naturale, abbiamo bisogno di metterci alla prova. Come uno sciatore che verifica le sue abilità quando la pista diventa più ripida o uno studente che voglia concentrarsi in mezzo alla confusione.
Vivere una pandemia è stata ed è tuttora sicuramente una prova, non voluta da Dio, non da leggere con qualche strana interpretazione. Ma durante l’epidemia abbiamo avuto modo di verificare cosa c’era nel nostro cuore.
Chi erano le persone che ci mancavano di più? A chi vogliamo più bene? Quali sono le nostre priorità? Siamo abbastanza forti da tenere il timone delle nostre giornate o ci abbandoniamo allo scorrere casuale del tempo? Che rapporto abbiamo con la malattia e la morte? Ci teniamo al Signore? Siamo riusciti a ritagliare un po’ di tempo per l’incontro con Gesù, oppure abbiamo scoperto che “non abbiamo tempo” è una scusa per mascherare che non ci teniamo abbastanza?
Tutte queste domande appartengono alla riflessione del Deuteronomio, nella prima lettura: il tempo della prova ci svela, prima di tutto a noi stessi.
In questa meditazione si dice a un certo punto: “Non dimenticare il Signore”. La sapienza biblica è – come sempre – meravigliosa. Non si dice qui: “Metti il Signore al primo posto!” oppure: “Ti devi dedicare solo al Signore!”. Più saggiamente si dice: “Non dimenticare!”, ossia: “Tra le altre cose che fanno parte della vita, tu non trascurare di dare il posto giusto al Signore…”
Sul modello dell’Esodo viene riletta ogni esperienza umana: è lui che ci libera dalle schiavitù, molte anche quelle che ci auto imponiamo. È lui che ci aiuta ad attraversare momenti di deserto, di solitudine e di spavento, come ad esempio la quarantena. È sempre lui che in un mondo dove i serpenti e gli scorpioni non mancano guida i passi per non essere avvelenati a morte. È ancora lui che nelle solitudini che proviamo quando il senso delle cose si dissolve, ci disseta con una prospettiva, una speranza. È lui, infine, che è in grado di sondare il nostro cuore a delle profondità che nessuna parola umana può raggiungere e fare sgorgare l’acqua “dalla roccia durissima”: ossia, guarire ciò che sembra irraggiungibile, irrigare ciò che è sempre arido, scavare la roccia impenetrabile.
In questa domenica del Corpus Domini vorrei allora proporvi una serie di domande ispirate dalle letture di questa solennità, come strumento per verificare cosa c’è nel nostro cuore. Per chi verrà alla messa, la useremo come Professione di Fede da fare insieme.

Credete nel primato della Parola di Dio,
da ascoltare, leggere, meditare e pregare frequentemente,
personalmente e nell’assemblea liturgica,
che ha il potere di toccare le parti più profonde di noi e di irrigare il nostro cuore?

Credete nell’Eucaristia,
come comunione reale al sangue delle vittime,
condivisione delle sorti di tutti gli uomini, specialmente i più poveri e affaticati,
e custodia dell’unico corpo che abbiamo tutti insieme: il nostro pianeta?

Credete che Gesù è il lievito della nostra vita,
colui che ci fa crescere come uomini e come donne
e ci chiama ad essere suoi testimoni nel mondo,
e che il modo migliore di impastarci con lui
è di prendere parte attivamente alla celebrazione eucaristica?

Questa è la nostra riposta di fede all’ascolto della tua parola, Signore.
Crediamo in te, Signore Gesù
e con te, desideriamo tendere verso la pienezza di vita. Amen.