Esisto e vivo

Gli occhi di una neonata si spalancano e sembrano grandissimi. Ci si chiede cosa guardi, così meravigliata, mentre comincia a contemplare il mondo, fino a quando non intercetta il viso amato della mamma e del papà. Non li percepisce solo con lo sguardo, ma attraverso una simbiosi con il corpo della madre, e una sintonia con il padre che l’ha amata, prima ancora che venisse alla luce. Sono esperienze prenatali, sfumature della luce, vibrazioni del suono, profumi, movimenti, inflessioni della voce che le permettono di riconoscersi immersa in quell’amore presente fin da quando è stata generata.

È la meraviglia dell’esistere, con cui una bimba, un bimbo prende confidenza.

Può non succedere, purtroppo, ed è il motivo per cui è tanto drammatico che un essere umano non sia amato, perché questo sviluppo è il funzionamento di base della chiamata dell’Essere.

Io esisto. È la sorpresa delle sorprese. Non finirò mai di stupirmi di questa collocazione nella vita.

Cinquant’anni fa, esattamente il 4 giugno del 1973, i miei genitori si sono sposati qui in questa chiesa di S. Maria della Carità. Da quella semplice storia d’amore sono nati i miei fratelli e io. Come succede per ciascuno e ciascuna di noi.

Esistiamo, come frutto traboccante dell’amore.

La Trinità è incomprensibile, ma forse riusciamo a coglierne il mistero come una neonata che apre gli occhi al mondo e intuisce l’origine del suo essere nel volto amato della mamma e del papà.

Dio è un amore fecondo, di cui troviamo riscontro in tutte le cose create.

Genera vita al suo interno, come una madre che porta in grembo il bimbo; è il cielo che alimenta i fiumi, i fiumi che portano acqua al mare e il mare che ritorna alla terra senza mai fermarsi; è un albero frondoso o pieno di frutti e una pianta che gemma, che nutrono senza rivendicazione ogni essere vivente e che spandono i loro semi. Dio è un fiore che sboccia, che lieto accoglie le api che si arricchiscono del suo profumo per produrre la dolce sostanza del miele.

In ognuna di queste analogie scopriamo che ogni realtà che scaturisce dall’Amore è inserita nell’origine che l’ha generata, tutta appartenente a quella medesima origine, e simultaneamente qualcosa di separato.

Siamo immersi in Dio e esistiamo al di fuori di lui.

Abbiamo la vita, l’essere e l’amore come soggetti liberi, persino autonomi se lo vogliamo, con una dignità che ci è conferita totalmente e che non dobbiamo a nessuno.

Sembra strano affermarlo, quasi contrario alla nostra fede. Ma è il vero significato di un Dio che – come leggiamo nelle letture della Santissima Trinità – non rinnega nulla dell’amore con cui ci ha voluto e spontaneamente generato all’esistenza; un Dio che ha voluto e chiamato il suo popolo alla vita.

Su di esso, come su tutto il creato, Dio dichiara la sua tenera fedeltà per sempre.

Tutto quello che noi possiamo fare – e in verità siamo davvero chiamati a farlo: se c’è un dovere morale è proprio questo! – è custodire questa dignità di creature libere e chiamate ad esistere, senza volgarizzarla, senza farne uno strumento per limitare la libertà degli altri o – peggio – di violenza.

Forse questa riflessione risulta un po’ difficile. Molte delle cose che volevo comunicare sono espresse meglio nel linguaggio della poesia e della musica in una canzone degli One Republic, che mi ha fatto conoscere una ragazza della nostra parrocchia che ringrazio.

Nella festa del Dio Amore che ci ha tutti chiamati alla vita, insieme a mio fratello e a mia sorella e a voi che siete la mia famiglia, al mio papà che celebra con noi dal Regno della Vita e alla mia mamma che ricorda i cinquant’anni dal giorno in cui si è sposata con lui, voglio dedicare questa canzone: “I Lived”.

Qui c’è la musica con il testo.

Qui c’è il video ufficiale, con qualcosa in più.

Don Davide




Il privilegio di Dio

Tu sei magnifico e onnipotente, Signore. Nella tua dimora regale, seduto sul trono di gloria, come ogni sovrano, chissà quanti privilegi hai!

Eppure, sei sceso ad abitare in mezzo a noi e non hai scelto un hotel a 5 stelle, ma il retro di un’abitazione, e anche i cherubini e i serafini – che di solito popolano il tuo palazzo – non hanno disdegnato, come te, la compagnia di qualche animale: un asino, un bue – chissà – forse anche due conigli, una capretta, qualche gallina e tre pecorelle.

L’apostolo Paolo ha preso pezzi di una canzone orale del tempo e ne ha composto un inno, su questo viaggio che hai compiuto, Gesù, dall’alto al basso e poi di nuovo verso l’alto, in un livello intermedio tra la terra il cielo, quello della croce. Noi l’abbiamo un po’ ammansita questa meditazione, ma potremmo renderla così: “Pur essendo Dio, non ritenne un privilegio essere Dio, ma svuotò se stesso” (Fil 2,6-7).

Cosa si può pensare di più atroce della situazione degli uomini e donne che vengono venduti, ancora oggi, in molte parti del mondo?

La fine del tuo viaggio – di questa discesa dal trono del cielo, al pagliericcio della terra, fino al giaciglio della croce a mezz’aria – inizia proprio così: sei venduto, per farti morire. Come gli schiavi, come le vittime dei trafficanti di organi, come i giovani e inesperti soldati mandati al macello da chi ha le ville con la piscina.

Qual è dunque il privilegio di Dio?

Qual è il tuo privilegio, Gesù?

Che cosa ritieni degno, tu, dell’esistenza di Dio?

Per rispondere a questa domanda, i narratori del tuo ultimo tratto sulle nostre strade, elencano una serie di situazioni vertiginose.

Sentirsi ingiustamente motivo di scandalo, solo per essere stato testimone di un Dio libero, mite e amorevole; fare parte dei rinnegati, i dissidenti dalla loro patria, gli omosessuali dalle loro famiglie, gli inefficienti dalla società dei consumi, i malati e gli anziani lasciati soli, chi si sente cacciato e rifiutato dagli affetti più cari.

Inoltre, il privilegio che scegli per te è, Gesù, condividere la sorte di quelli che vengono bullizzati, sostituirti ai prigionieri e ai carcerati, giungere perfino ad affiancarti nel dolore di chi viene torturato.

Infine, fermare il braccio di chi usa la violenza nel nome Dio.

Tutto questo è il privilegio di cui ti fregi, proprio perché sei Dio.

Ed ora, camminare di nuovo in quello che era il Paradiso Terrestre deturpato dal peccato, senza più fare paura agli esseri umani, anzi, facendoti vicino ad ogni uomo e ogni donna soli, che soffrono in terra, in mare e in ogni luogo, per consolarli come una madre che prende in braccio il suo bambino, per alleviare il dolore, perché nessuno abbia più paura del buio e degli orchi.

Il privilegio che rivendichi, Gesù, è entrare in tutte le sofferenze e coccolarle d’amore.

Ma il privilegio di Dio è anche sedere a tavola con gli amici, benedire il pasto e i doni della terra, scoprire – meraviglia inattesa – che ci sono fratelli e sorelle sconosciuti, pronti ad asciugarti il sangue e il sudore dal volto, disposti ad aiutarti a portare la croce.

Alla fine di questa contemplazione, ti preghiamo Signore Gesù – noi che siamo guardinghi e prudenti, e magari un po’ timorosi – insegnaci ad essere “invidiosi” dei tuoi privilegi, anzi a “morire di invidia” per te, nella Settimana Santa.

Don Davide




SS.ma Trinità

Così tante cose belle

da vivere,

così tante persone

da amare,

e così poco tempo

per farlo.

Tuttavia voglio vivere

accordato alla Tua provvida

Provvidenza,

come semicroma agganciata

al suo pentagramma.




Oltre (Under 20)

Ricordo perfettamente il giorno in cui per la prima volta ho letto di Mosè.

Prima era il nipote del Faraone, ma nella parte iniziale del racconto, non gli viene dato nessun risalto. A un certo punto uccide un egiziano, la sua famiglia gli si ritorce contro e lui scappa.

Torna ad essere uno qualunque. Trova moglie, fa il pastore.

Pensate: dalla famiglia del Faraone a pecoraio nel deserto.

Tutto ha inizio dal suo osare di guardare di nuovo “oltre”.

Cosa c’è ancora da scoprire? Come va avanti la storia?

Non ve lo dico, spero che la andiate a leggere (Esodo 3, per i lettori) o che veniate a messa (trucchetti da prete).

Forse l’avevo ascoltato mille volte e quel giorno l’ho solo focalizzato. Ricordo l’anno, il mese, il giorno della settimana, l’orario del mattino, i luoghi, la luce, i profumi, gli amici con cui ero.

Ma voi direte: “Ok, don Davide…” e perché, di preciso, me ne dovrebbe fregare qualcosa?

Perché è importante il fatto che possa accadere: che una cosa, all’improvviso, ti possa cambiare la vita, senza che tu te ne stia rendendo conto.

Se me ne fossi reso conto, quel giorno, ne avrei avuto una paura pazzesca; invece, adesso ne sono grato.

Spesso, quando noi adulti parliamo su di voi e non con voi, diciamo che il futuro vi fa paura.

Non so se sia vero del tutto. Secondo me, siete molto più coraggiosi di noi.

Ma la cosa che mi interessa è questa: da lì in poi, il racconto di Mosè rivela il vero nome di Dio, per ciascuno che ingaggia l’avventura della vita con lui. Lui si chiama: IO CI SONO CON TE.

 




Siate voi, i santi!

Nella festa dei Santi ascoltiamo le Beatitudini, come indicazione di chi siano le persone sante: sono coloro che sono “felici” secondo i criteri di Dio, non quelli del mondo.

Non sono, ad esempio, i ricchi, ma i “poveri nello spirito”, cioè chi sa di dovere ricevere o imparare, chi non si sente superiore agli altri ed è semplice, amichevole e gentile con tutti.

Nelle parole di Gesù, però, c’è anche un altro segreto: un significato nascosto che si palesa solo a chi è disponibile a lasciarsi interpellare, a chi – come dice il prologo della Regola di San Benedetto – alla domanda del Signore: “C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene”, risponde prontamente: “Io!”.

In molte delle beatitudini Gesù usa il verbo al passivo, principalmente per indicare che il soggetto di quell’azione è Dio. Nell’esegesi viene chiamato “passivo teologico”. È Dio stesso, dunque, che consola, che concede in eredità e che agisce in tutte le altre beatitudini.

Tuttavia, ricordando l’invito rivolto all’assemblea del Popolo di Dio: “Siate santi, come io il Signore, sono santo” (Lv 19,2), possiamo ascoltare l’invito a… rubare il posto a Dio! Lui lo desidera, ci fa spazio volentieri. Se noi abbiamo risposto: “Io! Io desidero la vita!” lui ci consiglia di seguire una strada non evidente, ma intima e vera.

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Ci dice: “Mettiti tu al mio posto e consola, valorizza la mitezza, concedi giustizia, dona misericordia, costruisci rapporti basati sulla purezza, benedici i pacifici, fai sentire l’amore ai perseguitati.”

Le Beatitudini, dunque, potrebbero essere riscritte anche così, oggi:

“Beati coloro che sono semplici nell’animo, che non si attaccano al potere né lo bramano, ma sanno stare con tutti. Loro vivono costantemente nell’esperienza dell’amore di Dio.

Beato chi consola chi è nel pianto, lenisce le ferite, alleggerisce qualche peso.

Beato chi osa concedere l’autorità e consegnare il mondo alle persone più miti.

Beato chi sazia gli affamati e fa giustizia a chi riceve soprusi.

Beato chi perdona e chi rispetta anche chi ti ha fatto un torto, come fa Dio.

Beato chi tratta le persone con purezza, chi rispetta l’amore, chi non offende il corpo dell’altro e non ne umilia l’anima.

Beato chi custodisce i pacifici e concede loro spazio, togliendolo ai signori della guerra.

Beato chi aiuta i perseguitati e gli oppressi, in qualsiasi modo possa o sappia farlo.

Quando uno si infila così nei panni di Dio o accanto a lui, sperimenta, poi, cosa succede a Dio stesso. Perché, ancora una volta, è Dio stesso che si fa povero come un re che voglia stare alla tavola dei suoi sudditi. È Dio stesso che piange, talvolta, perché ci sono così poche persone disposte a consolare. È Dio stesso che non viene incontro a noi nella sua ira, anche se potrebbe, e si fa mite, perché noi possiamo continuare ad abitare la Terra.

È Dio che ha fame e sete che gli uomini siano giusti, e brama che il peccato non travi la percezione della “giustizia” che abbiamo di lui.

È sempre Dio che ha misericordia, per primo.

Dio ha il cuore talmente puro da guardare l’uomo e da trovarlo bello e da pensare che l’uomo e la donna – l’umanità – siano una cosa “molto buona”.

È lui, che pur essendo il Signore delle Schiere, l’Ammiraglio dell’Esercito Celeste, sceglie la via della pace e ne promulga l’editto.

Infine, Dio stesso, in Gesù, è stato perseguitato e continua ad esserlo, in tutti i Crocifissi della storia per dire che di loro, a quelle croci, a quelle sofferenze appartiene il dono supremo dell’amore di Dio e la sua ricompensa.

Don Davide