Rientrare nel grembo

Realizzare la domanda di Nicodemo

“Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?” (Gv 3,4).

Questa domanda di Nicodemo a Gesù interpreta la conclusione dell’anno liturgico.

L’anno è “vecchio”. Siamo ormai alla fine di un tempo, non solo quello cronologico, ma anche di un percorso spirituale ed esistenziale.

Abbiamo iniziato l’anno solare ancora con il peso drammatico della pandemia; ora ci sembra che il peggio sia passato, di non dovere abbassare la guardia, ma anche di avere le armi e una conoscenza sempre crescente per affrontare il nemico.

All’interno di questo percorso, chi di noi ha voluto, ha potuto sviluppare un itinerario spirituale: cogliere la crisi per crescere, sfruttare bene il proprio tempo, frequentare in modi nuovi la Parola di Dio e interrogarsi sull’autenticità del proprio rapporto con Gesù, la fede e l’esperienza religiosa che viviamo.

È suggestivo questo passaggio da qualcosa che è vecchio a qualcosa che rinasce. Noi rientriamo nel grembo dell’anno liturgico e del cammino della Chiesa, come essere umani che devono essere concepiti di nuovo e generati, e svezzati, e poi nutriti e cresciuti.

Lo faremo al seguito di un’altra storia di gravidanza e di nascita, di svezzamento e di crescita: quella dei racconti dell’infanzia di Gesù.

Non serve arrabattarsi con strani esercizi spirituali: concludere l’anno liturgico e lasciarsi accompagnare dal nuovo, insieme alla Chiesa, significa realizzare profeticamente la domanda di Nicodemo: rinascere quando si è vecchi e entrare di nuovo nel grembo generativo di una Madre.

Don Davide




Che cos’è la felicità? (per gli Under 20)

Il giovane “se ne andò rattristato” dopo la proposta di Gesù.

Mi ha sempre affascinato questo enigma. Quel giovane uomo aveva cercato Gesù di sua spontanea volontà: se decide di andarsene e di non accettare l’invito di Gesù, perché allora è triste?
Perché non accoglie una cosa che lo avrebbe fatto felice?
E viceversa: perché fa una scelta che lo rende triste?

È un mistero a cui è complicato rispondere.
Provo a indagare quando sono felice o lo sono stato in passato.

Sono stato felice la prima volta che, da ragazzo, mi sono innamorato; e poi quando ho sentito una voce amorevole che mi sembrava più forte di tutte, quella di Gesù. Ricordo il luogo, i colori, il profumo e l’ora.
Sono felice quando percepisco lo scorrere della mia vita come importante nell’armonia complessiva del mondo: in una parola, quando quello che faccio ha un senso buono.
Sono felice quando voglio bene; ancora di più insieme a coloro a cui voglio bene.
Sono felice quando riesco a semplificare le cose, anche quelle che possiedo.
Sono felice sulle Dolomiti, molto meglio in compagnia degli amici.

Forse, abituandosi a frequentare la felicità come se fosse un’amica, impareremmo a distinguere i sentimenti che durano da quelli che svaniscono, le emozioni che ci rendono belli o belle da quelle che ci imbruttiscono, e a non lasciarci fregare quando i bivi sono difficili da scegliere.

Don Davide