…quella felicità (per gli Under 20)

Voglio consegnare una piccola riflessione a voi ragazze e ragazzi, diciamo dalle medie ai vent’anni, amichevolmente. Non è detto che siano sempre poche righe, potrebbe essere un video o un post sui canali social della Parrocchia… Stay tuned!

Per questa settimana, mi colpisce che Pietro non voglia rinunciare a Gesù e gli dica: “Gesù, dove vuoi che andiamo? Tu dici qualcosa che ci rende felici!”. (Ok, ho tradotto per attualizzare, ma il senso è questo!). Noi, adulti e credenti, non siamo sempre stati capaci di mostrare questo legame tra Gesù e la felicità. Alcune volte, magari, abbiamo parlato più di impegno, di morale o, peggio, di divieti.

Per quanto mi riguarda, mi propongo di migliorare. Vorrei che ciascuna e ciascuno di voi possa scoprire che cosa c’entra Gesù con la felicità, quella che ti fa cantare le tue canzoni preferite al sole d’estate, o che vuoi immortalare con la storia più bella che tu riesca a creare. È quella felicità semplice che ho in mente, e anche quella dei traguardi più belli.

Mi basta sapervi su quella strada, ma – se avete voglia – fatemi sapere se ci siete o se c’è stato qualche impiccio.

Don Davide




Scegliere tutti i giorni

Ben ritrovate e ben ritrovati,

spero che la vostra estate sia stata in linea con le vostre aspettative e rigenerante. Dopo la pausa estiva riprendiamo questo appuntamento domenicale, che – per chi non lo sapesse – offre uno spunto di riflessione collegato alla liturgia domenicale o alla vita della nostra comunità parrocchiale.

In questa domenica incontriamo un luogo singolare, fondamentale nella storia dei patriarchi, collocato a metà strada tra la Samaria e la Galilea, circa al centro della Terra Promessa: Sichem.

Sichem (Gs 24,1) è il luogo della prima sosta di Abramo nella Terra: il posto dove Dio gli fa contemplare il dono futuro e promesso (Gn 12,6-7).

Sichem è il momento della conferma, dopo il cammino di redenzione di Giacobbe, dove tutta la sua storia viene ricapitolata e lui diviene finalmente il padre di un popolo, come era destinato ad essere (Gn 35,1-4). Per Giacobbe Sichem è il luogo della maturità, quando dopo una crisi lunga e faticosa, ma superata, seppellisce gli idoli per identificarsi completamente con la sua missione e il suo ruolo.

Spesso la Bibbia rimanda ai momenti decisivi e di passaggio, a quegli eventi che segnano radicalmente una svolta; tuttavia, si viene a sapere poi che questi momenti, invece, non risultano mai definitivi. Pur ancorandosi ad essi, le vicende dei personaggi incontrano ancora smarrimento, fatica e disorientamento, quasi fino alla fine della loro vita. Ma proprio nella considerazione di questo lungo cammino, emergono ancora più chiaramente quelle tappe significative che più di ogni altra hanno segnato una svolta e che, perciò, diventano punto di riferimento.

Così è anche l’invito che fa Giosuè a Sichem e oggi a ciascuno di noi: Sceglietevi oggi chi servire! (24,15).

Abbiamo l’occasione di verificare di nuovo che Dio, benedetto Egli sia, è l’unico Dio vivente e il cammino che lui ci ha fatto fare è un cammino di vita, mentre quelle degli idoli sono seduzioni ingannevoli.

Ora questo appuntamento decisivo con Dio, per noi ha i tratti dell’incontro con Gesù. “Noi abbiamo riconosciuto che tu sei il Figlio di Dio”, dice Pietro, dove il passaggio più importante è dato proprio dal riferimento a Gesù: “TU sei il Figlio di Dio”. In sostanza, Pietro riconosce che se di una felicità si può parlare, si tratta di cercarla con lui, con Gesù, e di non lasciarsi disorientare.

Così, come se la nostra ripresa fosse “essere a Sichem”, abbiamo l’occasione di scegliere e confermare Gesù anche oggi, con più amore, convinzione ed entusiasmo, nella continua accoglienza dell’incontro con lui. In fondo, si tratta di scegliere e confermare la nostra ricerca di felicità, le cose per cui la nostra vita ha un senso vero e con dei frutti belli.

Don Davide




Siate voi, i santi!

Nella festa dei Santi ascoltiamo le Beatitudini, come indicazione di chi siano le persone sante: sono coloro che sono “felici” secondo i criteri di Dio, non quelli del mondo.

Non sono, ad esempio, i ricchi, ma i “poveri nello spirito”, cioè chi sa di dovere ricevere o imparare, chi non si sente superiore agli altri ed è semplice, amichevole e gentile con tutti.

Nelle parole di Gesù, però, c’è anche un altro segreto: un significato nascosto che si palesa solo a chi è disponibile a lasciarsi interpellare, a chi – come dice il prologo della Regola di San Benedetto – alla domanda del Signore: “C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene”, risponde prontamente: “Io!”.

In molte delle beatitudini Gesù usa il verbo al passivo, principalmente per indicare che il soggetto di quell’azione è Dio. Nell’esegesi viene chiamato “passivo teologico”. È Dio stesso, dunque, che consola, che concede in eredità e che agisce in tutte le altre beatitudini.

Tuttavia, ricordando l’invito rivolto all’assemblea del Popolo di Dio: “Siate santi, come io il Signore, sono santo” (Lv 19,2), possiamo ascoltare l’invito a… rubare il posto a Dio! Lui lo desidera, ci fa spazio volentieri. Se noi abbiamo risposto: “Io! Io desidero la vita!” lui ci consiglia di seguire una strada non evidente, ma intima e vera.

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Ci dice: “Mettiti tu al mio posto e consola, valorizza la mitezza, concedi giustizia, dona misericordia, costruisci rapporti basati sulla purezza, benedici i pacifici, fai sentire l’amore ai perseguitati.”

Le Beatitudini, dunque, potrebbero essere riscritte anche così, oggi:

“Beati coloro che sono semplici nell’animo, che non si attaccano al potere né lo bramano, ma sanno stare con tutti. Loro vivono costantemente nell’esperienza dell’amore di Dio.

Beato chi consola chi è nel pianto, lenisce le ferite, alleggerisce qualche peso.

Beato chi osa concedere l’autorità e consegnare il mondo alle persone più miti.

Beato chi sazia gli affamati e fa giustizia a chi riceve soprusi.

Beato chi perdona e chi rispetta anche chi ti ha fatto un torto, come fa Dio.

Beato chi tratta le persone con purezza, chi rispetta l’amore, chi non offende il corpo dell’altro e non ne umilia l’anima.

Beato chi custodisce i pacifici e concede loro spazio, togliendolo ai signori della guerra.

Beato chi aiuta i perseguitati e gli oppressi, in qualsiasi modo possa o sappia farlo.

Quando uno si infila così nei panni di Dio o accanto a lui, sperimenta, poi, cosa succede a Dio stesso. Perché, ancora una volta, è Dio stesso che si fa povero come un re che voglia stare alla tavola dei suoi sudditi. È Dio stesso che piange, talvolta, perché ci sono così poche persone disposte a consolare. È Dio stesso che non viene incontro a noi nella sua ira, anche se potrebbe, e si fa mite, perché noi possiamo continuare ad abitare la Terra.

È Dio che ha fame e sete che gli uomini siano giusti, e brama che il peccato non travi la percezione della “giustizia” che abbiamo di lui.

È sempre Dio che ha misericordia, per primo.

Dio ha il cuore talmente puro da guardare l’uomo e da trovarlo bello e da pensare che l’uomo e la donna – l’umanità – siano una cosa “molto buona”.

È lui, che pur essendo il Signore delle Schiere, l’Ammiraglio dell’Esercito Celeste, sceglie la via della pace e ne promulga l’editto.

Infine, Dio stesso, in Gesù, è stato perseguitato e continua ad esserlo, in tutti i Crocifissi della storia per dire che di loro, a quelle croci, a quelle sofferenze appartiene il dono supremo dell’amore di Dio e la sua ricompensa.

Don Davide