Nella luce del Signore

“Camminate nella luce del Signore” (Is 2,5).

Il profeta Isaia, dopo avere concepito la più grande visione di pace e la più grande speranza per l’umanità, lascia questo invito.

Camminare nella luce del Signore, è il modo concreto che abbiamo di trasformare il mondo.

Ne sentiamo talmente tanto l’importanza, che con la ripresa dell’anno liturgico e con l’inizio della preparazione al Natale, accendiamo tante luci diverse: le candele dell’Avvento, le luminarie nelle città, le lucine negli addobbi di casa.

Camminare nella luce del Signore significa lasciarci ispirare nuovamente, e in modo inedito, dalle parole di Gesù. Provare a conoscerlo meglio, cercare di imitarlo, rimetterlo al primo posto tra tante occupazioni e preoccupazioni.

Camminare nella luce del Signore, ci permette, infine, di comprendere meglio le parole di Gesù a Maria (di Betania), che meditiamo nel piccolo ritiro attraverso cui entriamo in questo tempo di luce: “Una sola è la cosa necessaria” (La 10,42).

C’è bisogno di lasciare che la sapienza di Gesù ci plasmi e che la luce che emana da lui illumini, colori e rallegri tutti gli aspetti e gli ambiti della nostra vita.

Sono molto dispiaciuto di non potere festeggiare il compimento del mio ottavo anno in parrocchia. Da parte mia, i motivi per festeggiare sarebbero molti, spero – senza falsa modestia – che ce ne sia qualcuno anche per la nostra comunità.

D’altro canto, c’è comunque una bellissima occasione da festeggiare, ed è il compleanno di don Valeriano che ricade proprio questa domenica. Siamo orgogliosi della sua presenza con noi, anche se un po’ meno visibile, non meno significativa attraverso la preghiera e il suo esempio. Tanti auguri don Valeriano!

Voglio salutare tutti, soprattutto i ragazzi e le ragazze del catechismo e dei gruppi medie, che in questo sabato e domenica vivono la 2gg. in parrocchia. Sono orgoglioso dell’impegno delle catechiste, delle educatrici e degli educatori dell’ACR e anche delle educatrici dei gruppi delle superiori, che continuano a creare occasioni di incontro e di formazione. Ringrazio, infine, tantissimo, chi ha preparato le torte per il banchetto! Mannaggia che non posso. Ho desiderio di vedervi e mi manca di condividere l’Eucaristia con voi!

Voglio anche ringraziare la segreteria, i ministri e chi, in queste settimane, mi ha sostituito in vari modi e ha sopperito alla mia assenza, dimostrando una volta in più la cura per la nostra parrocchia e per la comunità concreta che la vive.

Che questo tempo di Avvento ci aiuti, insieme, a rivestirci del Signore Gesù (Rm 13,14).

Don Davide




I luoghi vivi

Mi è stato chiesto di scrivere l’omelia della Veglia di Pasqua. Ho trascritto gli appunti che avevo, nel modo meno schematico possibile, consapevole che rimane un testo che avrebbe ancora bisogno di molte rifiniture.

Introduzione. Il fuoco.

La Veglia di Pasqua inizia con il fuoco dello Spirito, come simbolo di un nuovo vigore e di una luce calda e piena di energia nella notte e, nella liturgia, non si sa se prepari la resurrezione di Gesù (perché serve per accendere il Cero Pasquale) o ne sia il frutto (perché è il segno che rinnova tutto), ma divampa!

Questo vigore, che Dio immette nella storia e con cui rinnova il mondo, è espresso nella potenza con cui Dio ha liberato il suo popolo dalla schiavitù (I lettura: Es 14), nella tenerezza che Dio esprime al suo popolo (II lettura: Is 54), nella forza con cui trasforma continuamente il nostro cuore indurito, lo intenerisce e ci rende più capaci di amare (III lettura: Ez 36), infine, nella vita nuova che ci fa vivere, anche quando meno ce l’aspettiamo (Epistola).

Sono convinto che se noi pensiamo al punto in cui siamo arrivati adesso nella vita, scopriremmo con meraviglia tanti traguardi, tante cose buone che ci troviamo a vivere, magari continuamente nascosti o offuscati dalle fatiche e dalle cose che non vanno, che però non devono coprire tutta la prospettiva.

Ma, in concreto, che cosa significa tutto questo per noi?

Il Vangelo ci fa ascoltare la domanda dei testimoni della resurrezione alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,5).

Ci chiediamo: che cosa è vivo? Che cosa trasmette vita?

Che cosa, quindi, da vita alla Chiesa? Che cosa dobbiamo praticare, lasciando indietro quello che non dobbiamo più cercare?

Seguendo il racconto del Vangelo possiamo raccogliere tre indicazioni.

Primo. La tenerezza.

Le donne vanno al sepolcro, non perché sono animate dalla fede nella resurrezione, ma perché sono mosse dalla tenerezza: vogliono compiere un gesto buono nei confronti del Maestro. Non possono fare più niente per lui, ma hanno ancora affetto, e lo vogliono esprimere con l’azione di sciogliere le bende e ungere il suo cadavere, come segno di rispetto ai morti. È un gesto e un pensiero che ci riempie il cuore di tenerezza.

Paradossalmente, questa tenerezza è in grado di riscattare anche le dimensioni abitate dalla morte. I testimoni dicono che non bisogna cercare tra i morti, ma loro – andando a compiere un gesto tenero per un defunto – scoprono la via della vita.

Poco prima della Quaresima abbiamo celebrato il funerale di una bimba. In quel momento drammatico possiamo raccogliere tutte le fatiche della vita e gli orrori che si consumano, anche nelle guerre presenti, che si esprimono nella loro forma più acuta, ingiusta, dolorosa e radicale nella morte di una piccolissima bimba. Oggi pomeriggio, nel silenzio del Sabato Santo, i suoi genitori sono venuti a dire una preghiera per lei.

Una delle profezie più intense della resurrezione, nel profeta Isaia, recita così: “Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni; né un uomo che dei suoi anni non giunga alla pienezza” (Is 65,20).

Mi tengo queste attese e queste speranze nel cuore.

Vedo, però, che in qualche modo misterioso, quando tu esprimi tenerezza, una vicinanza sincera, amicizia, lì c’è il Signore risorto che si fa raggiungere e si svela.

Secondo. Alleanza.

Nel Vangelo di Luca, per esprimere la passione, morte e resurrezione di Gesù, si usa di continuo il campo semantico del “dovere”: bisogna, bisognava, doveva… I testimoni richiamano le parole di Gesù quando era ancora in Galilea “e diceva: Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato…” (Lc 24,7).

È uno dei concetti più difficili del Nuovo Testamento e del mistero della vita di Gesù, ma sicuramente esprime il fatto che Dio, attraverso Gesù, si impegna con l’umanità. Non difende la sua libertà assoluta, si prende un impegno per salvarlo, per liberarlo dal peccato e dalla violenza che lo attanaglia, si condiziona, anche a costo di morire in croce.

Questo esempio di Dio, ci dice che l’Alleanza, allearsi, è un luogo della vita

Io mi impegno con te. Mi lego. Tu sei una cosa che mi riguarda. Ci tengo, non cambio alla prima fatica, lavoro sul nostro legame. Se serve, chiedo scusa e lo faccio prontamente.

Ho voglia di lavorare con te, pensare con te, costruire con te.

Per creare un’alleanza vera, secondo la testimonianza del Vangelo, ci vuole sacrificio, questa parola obsoleta e rifiutata, ma che è legata alla consegna che Gesù fa di se stesso. E insieme al sacrificio ci vuole condivisione: le donne che andarono al sepolcro, secondo il racconto di Luca, erano molte e compirono quella piccola spedizione insieme.

Terzo. Mediazione.

È opinione condivisa che la nostra è l’epoca delle non mediazioni, quella che non solo le ha rifiutate, ma abbattute. C’è un fondo di verità, in questo, ma adesso ci si scopre ad andare a cercare altre mediazioni, diverse da quelle precedenti, nuove, ma utili e necessarie.

Possiamo accedere a qualunque notizia, ma se ti vuoi informare decentemente, ti affidi ad un aggregatore, a un giornale o a una rivista di cui ti fidi, che faccia un po’ di mediazione dello scibile, per te. Puoi ascoltare tutta la musica che vuoi, ma utilizzi le playlist per conoscere quella più di tendenza, in mezzo alla vastità di tutto quello che è disponibile. Si potrebbero fare tanti altri esempi.

L’idea di una mediazione è fondamentale perché nel Vangelo di Luca, per comprendere la resurrezione ci vuole sempre una mediazione: dei testimoni al sepolcro (Lc 24,1-7), del pellegrino misterioso (Lc 24,13-35) o del Risorto stesso, che palesato, spiega ai suoi discepoli il mistero della resurrezione (Lc 24,36ss.).

Mi sembra che questo valga soprattutto per la responsabilità degli adulti nei riguardi dei ragazzi e dei giovani.

Per comprendere la vita, ci vuole qualcuno che medi l’esperienza, che sia capace di darne un’interpretazione significativa, che ti restituisca il vissuto e poi che sappia ad un certo punto sparire, farsi da parte, sottrarsi.

I testimoni della resurrezione nel Vangelo di questa notte spariscono dalla scena e dalla narrazione senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Il pellegrino misterioso scompare dalla vista dei discepoli non appena lo hanno riconosciuto. Il Signore risorto ascende al cielo.

Questa è davvero l’opera decisiva: la capacità di offrire una mediazione, per comprendere la vita, e poi lasciare sgombro il campo di gioco.

Conclusione. “Porrò il mio spirito” (Ez 36,27)

Il profeta Ezechiele, nella lettura che porta il percorso dell’Antico Testamento fin sulla soglia del Nuovo, parla di un’effusione dello Spirito nell’intimo di ogni essere umano, come gli inizi di una Creazione Nuova (cf. Gn 1,2).

È solo l’inizio, dunque.

Al sepolcro noi abbiamo gli attrezzi del mestiere di vivere, come si diceva una volta andiamo a imparare a bottega.

Nella celebrazione di questa Pasqua, allora, possiamo tenere una preghiera nel cuore che suona così:

Su di lui, su di lei si posi lo Spirito del Signore.

Su questi miei fratelli e sorelle, su queste mie amiche ed amici si posi lo Spirito del Signore.

Sulla mia famiglia, su mia moglie, mio marito, su questo mio figlio e questa mia figlia si posi lo Spirito del Signore.

Su questa comunità posa, Signore, il tuo Spirito.

 

Don Davide




Godersi un abbraccio (Under 20 testo+video)

“E cominciarono a fare festa” (Lc 15,24) racconta l’incredibile testo di questa domenica, dopo l’abbraccio più famoso di tutto il Vangelo.

La soluzione di molti conflitti, esteriori e interiori, si avvera in un abbraccio, nel bisogno di sentirci circondati di affetto, protetti e anche contenuti, perché talvolta facciamo paura a noi stessi.

Qui c’è anche il bacio affettuoso di un padre a suo figlio.

Un abbraccio e un bacio sono una diffusione di bene, come quando il Sole cade progressivamente su un prato di primavera e tutte le margherite lo salutano.

Sono certo che fa bene anche a voi e che lo desiderate tutti e tutte.

Perciò vi propongo due esperienze.

La prima. Chiudetevi nella vostra stanza, tirate giù le tapparelle e spegnete le luci. Pensate a che cosa vorreste che sia curato dentro di voi: abbiate il coraggio di pensare qualcosa che vi fa male. Se non avete nulla di negativo, pensate a godervi un momento per voi. Lasciate perdere la paura di risultare melensi o la noia per le cose religiose. Siete solo voi, non vi vede nessuno, non deve saperlo nessuno. Mettetevi le cuffie e ascoltate questo canto (LINK).

La seconda è la festa. Non conosco video più bello da proporvi che quello di “Baciami ancora”(LINK). Ma dovete sapere la storia. Jovanotti ha chiesto agli attori e alle attrici del film di girare un video con i rispettivi coniugi o partner, dove semplicemente stanno insieme, fanno festa, si abbracciano e si baciano. Ne è uscita questa meraviglia. Aprite le finestre in un giorno di sole o uscite all’aperto in un prato. Mettetelo a tutto volume. Se non avete gli auricolari, non preoccupatevi di disturbare chi vi sta attorno: gli farete solo bene. Se volete ballate, se potete baciate chi amate.

 




Tre preghiere per Natale

Sentire

Maria, meditando sulla tua Annunciazione ti chiediamo prima di tutto che cosa significhi vedere un angelo.

Ci piacerebbe capire che tipo di visione sia e che emozione si provi.

Ma… mi pare di vederti scuotere la testa con il tuo sorriso dolce. Ti ascolto.

“Non si tratta di una visione” dici. “Arrivarono delle parole. Udii dei suoni, erano celesti e forti e vibrarono con le stesse frequenze del mio cuore, quando pulsa la vita.”

In effetti, Maria, ho letto tanti commentari e ho fatto gli esami di esegesi sui vangeli dell’infanzia di Gesù… ma in nessuno di quelli avevo imparato che in questo testo non c’è mai un verbo di visione. Non si dice che hai visto l’angelo o che quella creatura si mostrò. Tutti i verbi sono di parola e di suono: lui diceva, tu ascoltavi e rispondevi.

Come prima preghiera per questo Natale, ti chiedo allora di aiutarci a sentire cosa Dio vorrà dirci. Intercedi per noi, perché sappiamo sintonizzarci sulla sua frequenza. Abbiamo bisogno di sentire con chiarezza una parola buona da parte di Dio.

Promesse

Poi leggo che anche tu sei stata turbata e che l’angelo, subito, ti ha rassicurata con una promessa.

Vorrei, perciò, che tutte le persone che sono turbate e temono, possano essere rassicurate dalle promesse che tu porti insieme al Natale.

Per compierle, ci hai donato Gesù.

Fa’ che si realizzino con forza, per la gioia del tuo popolo, e che tutte le promesse di bene possano realizzarsi, per chi apre il cuore al tuo Figlio e chiede la tua intercessione.

Spiritualità

Infine ti prego, Maria, perché possiamo vivere in questo Natale un’autentica esperienza spirituale.

Perché sentiamo il calore di una presenza divina e di una fiamma che accenda in noi più amore, più gioia, più determinazione e più serenità. Ciascuno nei propri percorsi di bene. Ciascuno a modo suo.

Forse saremo limitati nei movimenti ed è possibile che non faremo quelle abbuffate in grandi baldorie, che caratterizzano le nostre feste. In fondo sarà sufficiente tagliare un dolce natalizio, scartare un semplice regalo e avere accanto qualcuno che ci vuole bene.

Ma sarebbe importantissimo se potessimo sentire quel tocco di Dio che è in grado di lasciare la sua traccia, come la scia che ha lasciato l’angelo col suo magico suono, quando si è allontanato da te.

Don Davide




La festa “giusta”

C’è qualcosa di profondamente giusto nel celebrare il Natale.  

Giuseppe riconosce che accogliere la gravidanza di Maria era la cosa giusta da fare. I pastori capiscono quanto fosse giusto rispondere all’invito degli angeli e quel segno loro dato. I Magi, infine, imparano senza ombra di dubbio che è Betlemme la città giusta. 

L’unica cosa sbagliata sembra il momento: lontano da casa, in condizioni precarie. Eppure, nel racconto non abbiamo davvero la percezione che sia così… 

A ben vedere, non poteva che essere a Betlemme, secondo i profeti. E anche quella tanto bistrattata mangiatoia – “perché non c’era posto per loro nell’alloggio” (Lc 2,7) – sembra piuttosto un tentativo di dare a tutti i costi un riparo, e un aiuto, a quella coppia. 

Infatti, il racconto descrive la scena senza tensione: “Diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,6). 

Quando il Natale sboccia per noi possiamo abbandonarci fiduciosi alla provvidenza che porta; abbiamo sempre la convinzione di non esserci preparati abbastanza, che sia arrivato troppo in fretta, senza che ce ne rendessimo conto, ma in realtà… non importa. 

Ciò che conta è che possiamo percepire che la festa del Natale è una cosa giusta e buona che il Signore compie per noi: che ci regala un momento di intimità, un sussulto di sensibilità, un attimo di pace con noi stessi, una gioia in famiglia, uno scambio d’amore, un accenno di speranza. 

Non importa se e quanto piccoli siano queste esperienze. Se siano assediate da avversità o da tristezze, se appaiano inopportune. Gesù si rende presente e ritiene che sia giusto che tutta la gioia possibile di questo momento ti sia donata.  

Lo sai che non sei escluso dalla festaMa prova anche a capire cosa significa profondamente: la bontà di Dio ti riguarda. Il Signore ha acceso questa luce per te e non verrà offuscata dal buio. 




Fare festa

È un tratto del mondo di oggi la difficoltà di fare festa. Per lo più accade che quando si “deve” festeggiare, o si organizzano cose che alla fine risultano tutto fuorché gioiose e dinamiche, o si eccede in atteggiamenti smodati. Capiamo invece il senso della “festa” quando nasce una serata fra amici così bella e spontanea, dove si è dialogato, scherzato e condiviso, che torniamo a casa con il cuore pieno di affetto e grati per quel momento.

Le feste dovrebbero essere così.

Il primo motivo per cui vogliamo fare festa oggi – e vorremmo che la festa fosse come ho descritto – è il compleanno di don Valeriano, che ha superato di un balzo gli 80, come si diceva che da giovani “saltavamo i fossi per la lunga”. Vorremmo, quindi, trovarci a fare festa con lui, cogliendo nella quotidianità meravigliosa con la quale lui è sempre al servizio della nostra comunità quella dimensione affabile, spiritosa e spontanea che è il tratto più autentico di ogni festa. Non c’è niente di più bello che festeggiare con qualche attenzione chi in realtà è sempre con te.

La seconda ragione di festa è l’Azione Cattolica (AC): questa associazione così importante per la storia della Chiesa contemporanea e irrispettosamente bistrattata e poco valorizzata, proprio negli anni in cui sarebbe più preziosa. L’AC, infatti, ci ha insegnato la forma stabile, umile e seria di servizio alla comunità cristiana che i laici possono e devono avere in seno alla Chiesa. Tutti i movimenti e le associazioni, di fatto, hanno avuto un esempio e un’apripista nell’AC e le parole della sinodalità e della corresponsabilità, che sono tanto preziose nella pastorale di oggi, sono state il DNA dell’AC fin dall’inizio. A questo proposito, l’AC ricorda a tutti che questo stile di Chiesa non si improvvisa e non è questione di buona volontà o di impegno di conversione pastorale del singolo.

La corresponsabilità e la sinodalità sono uno stile indispensabile e frutto di competenza umana, spirituale e pastorale, che va appreso in una lunga scuola di vita e di formazione. Per questo motivo, tale abito virtuoso del cristiano va riconosciuto e scelto insieme, in maniera pubblica e ufficiale, con un impegno stabile, in relazione, non lasciato alle voglie o alla buona volontà, ma legato e associato ad altri che sostengano e richiamino il senso della nostra responsabilità.

Vorrei che questa consapevolezza fosse compresa più profondamente e accolta con più convinzione, sia dagli adulti, sia dai giovani, a cui spetta la scelta se edificare la Chiesa di oggi e di domani.

Infine, in questa domenica festeggiamo il quinto anniversario del mio arrivo a S. Maria della Carità e S. Valentino della Grada. Se ci siano veri motivi per festeggiare lo lascio decidere a voi, tuttavia, invitarvi a festeggiare significa, da parte mia, riconoscere e testimoniare la bellezza di stare insieme, la gioia di una comunità fraterna e amichevole, e il desiderio di continuare a condividere le dimensioni più umane e lo slancio di testimoniare Gesù che ci fanno abitare la vita allo stesso tempo grati e con la nostalgia del Regno.

Le feste sono anche un’occasione per fare i ringraziamenti. Permettetemi, allora, di ringraziare Pierluigi e Maria Carla Zani per il Mercatino di S. Valentino e le signore del Borghetto per il Mercatino del Borghetto. Con il loro aiuto e la loro disponibilità, la comunità ha ricevuto un prezioso contributo per le attività parrocchiali. Anche questo è un importante gesto di corresponsabilità, tanto più significativo in quanto concreto e animato da vero spirito di servizio.

Don Davide




La Festa dell’Incontro

Se c’è una possibilità buona per il nostro mondo è quella di incontrarci amichevolmente, almeno tra quelle persone che – pur essendo diverse per qualsiasi motivo – hanno i presupposti della fiducia per avvicinarsi, condividere e diventare persone che si appartengono.

Ci saranno tante altre frontiere di vicinanza da attraversare, forse persino più importanti, come ad esempio quando la fiducia e il rispetto sono da costruire quasi da zero, ma sarà impossibile farlo se non incominciamo dal primo passo possibile: quello, cioè, di avvicinarci a coloro con cui c’è già un piccolo rapporto.

Nel suo piccolo, sono le premesse di un mondo nuovo. Il mondo che non erige muri, ma ponti e che dalla divisione di Babele costruisce la comunione della Gerusalemme celeste.

È questo l’intento che si prefigge papa Francesco, invitando tutte le parrocchie a organizzare una giornata di festa con le persone che si aiutano e con cui si entra in relazione nel territorio.

Festa dell'incontro

Noi l’abbiamo chiamata “La Festa dell’Incontro”, una giornata da trascorrere insieme a tutte le persone e le famiglie con cui entriamo in contatto e che aiutiamo come parrocchia, attraverso la San Vincenzo e la Caritas, o che incontriamo nelle nostre strade, davanti ai supermercati, o per rapporti di amicizia personali.

Vogliamo diventare amici, conoscerci meglio, condividere le nostre povertà e scambiarci le nostre ricchezze.

Per questo abbiamo fatto una veglia per meditare sulle povertà che ci caratterizzano tutti: povertà di cultura, povertà di relazioni e povertà di affetti. Per lo stesso motivo invitiamo a una messa particolarmente curata, in questa domenica, le famiglie cristiane e poi trascorriamo qualche ora conviviale insieme.

Oltre la messa e il pranzo offerto agli ospiti, l’appuntamento per tutti è domenica 24 marzo, alle ore 14.30 nel cortile della parrocchia, per mangiare un dolce e prendere il caffè insieme, e poi per intrattenerci con un gioco molto divertente fin verso le 16.00.

Con questa giornata si conclude l’itinerario della nostra comunità pensato per iniziare la Quaresima con il piede giusto, fatto degli Esercizi Spirituali, dell’Assemblea di Zona e di questo giorno di festa.
Come segno esteso di questa amicizia dilatata, essendo oggi anche la Giornata di solidarietà diocesana con la Chiesa di Iringa, tutte le raccolte delle messe saranno devolute per la costruzione della chiesa di Mapanda, in Tanzania, dove c’è la missione fidei donum della Chiesa di Bologna.

Da domenica prossima vorrei invece proporre qualche riflessione e indicazione per orientarci nelle celebrazioni del Triduo Pasquale, per leggere le scelte celebrative che vorremmo fare e così vivere consapevolmente e con grande intensità spirituale il momento più importante della nostra esistenza cristiana.

Don Davide