Fare i conti con il peccato

La prima domenica di Quaresima, con grande schiettezza, ci invita a fare i conti con il peccato, manifestando la serietà di questo scontro e la rovina che porta alla vita degli esseri umani, quando sottovalutiamo questa battaglia.

Uno dei punti critici delle nostre società e del nostro tempo è proprio sminuire il valore morale delle nostre azioni.

Invece, è molto interessante e istruttivo cogliere dapprima la dinamica delle tentazioni e poi la posta in gioco che questo episodio della vita di Gesù mette sul piatto.

L’antagonista di Gesù si manifesta in primo luogo come “tentatore”, non ancora con le sembianze reali del male. Gesù ha digiunato tanto, ha fame, che male c’è se trasformasse una pietra in un pane? Non ruberebbe cibo a nessuno e non fa certo problema una pietra in meno nel sassoso deserto di Giuda!

Gesù svela quello che è nascosto, l’insidia più profonda, ossia quella di sapere relativizzare anche gli istinti primari.

Elie Wiesel, nel suo celebre e terribile romanzo La notte, racconta di una situazione nel campo di concentramento di Auschwitz, in cui un uomo stava morendo di fame, ma era finita la razione di cibo. L’autore descrive con memoria atroce e struggente la sua lotta interiore per cedere la sua porzione di cibo, perché anche lui stava agonizzando dalla fame, e la consapevolezza che in quella difficoltà era in gioco la sua stessa umanità. Alla fine, se ci pensiamo bene, sono molte le situazioni, magari anche meno drammatiche e gravi, dove possiamo e dobbiamo chiederci come fare a restare umani. Basti pensare alla rabbia che ci prende, quando subiamo un torto e subito ci pare che questo legittimi qualunque reazione.

A questo punto, il tentatore che si era presentato con la parvenza di una qualche ragionevolezza, si palesa come il diavolo.

È il nemico, ed è reale, e allo stesso tempo cerca di mascherarsi.

La proposta che fa a Gesù è quella di credere che l’uomo non abbia limiti, che possa fare quello che vuole, che non dovrà mai sperimentare il male, il dolore, la sofferenza e, in definitiva, che sia immortale. Per la seconda volta dice: “Sei il Figlio di Dio, lo puoi fare”, ma Gesù smaschera l’inganno. Persino il Figlio di Dio affronterà i limiti della vita umana, le preoccupazioni, la sofferenza e la morte. Diabolico è pensare che queste cose non entreranno mai nella vita degli uomini e che, quando accadono, siano una negazione di Dio. Invece, sono l’opera dell’avversario.

Infine, lui – il diavolo – gioca il suo asso e sottopone Gesù al miraggio del potere.

Nonostante le altre due siano fortissime, il potere viene descritto come l’apice di tutte le tentazioni, e come quella che cancella l’essere figli di Dio.

Nelle prime due, infatti, il diavolo dice: “Se tu sei il Figlio di Dio”, l’ultima è proprio tutto il contrario. Avere il potere assoluto ed esercitarlo come tale, significa rinunciare ad essere il Figlio di Dio, che non è venuto per essere servito, ma per servire.

Ci fa capire quanto grande sia questa seduzione, se ci viene raccontata come una prova a cui è stato sottoposto persino Gesù, il quale ci insegna che il miglior argine contro questa rovina dell’uomo è non prestare la propria vita al dio degli idoli, ma al Signore che libera.

Un incredibile densità in un piccolo testo, per avvedersi che la Quaresima è un tempo bellissimo e di autentica grazia evangelica… ma molto serio.

Don Davide




Chef della pastorale

“Com’è quella persona?”

“Non sa di niente.”

Possiamo comprendere le parole di Gesù nel vangelo, aggiornandole con questa espressione comune.

Quando viene pronunciato, è un giudizio severissimo e brutto: “Non sa di niente.”

Non ha nessun sapore, non è interessante per nulla.

Abbiamo tutti in mente l’atroce severità tra il serio e lo scherzoso di un Barbieri, di un Canavacciuolo o di un Cracco nella celebre trasmissione Masterchef.

Gesù usa la forza di un paradosso: il sale è un cristallo, non perde il sapore.

L’immagine, probabilmente, è legata alla polvere di sale che rimaneva sul selciato quando la gente andava a prendere il sale da grossi blocchi che venivano lasciati nelle piazze. Quello che si sbriciolava rimaneva inutilizzato e veniva calpestato.

Mentre i concorrenti di Masterchef ce la mettono tutta per non fare brutta figura e per non ricevere una tremenda ramanzina dagli chef, mi sembra che non ci sia altrettanto la preoccupazione di essere persone che hanno una ricchezza interiore, non certo costruendosela in modo artificiale – come degli pseudo intellettuali opinionisti tuttologi – e non certo per ostentarla, ma per dare tutte le dimensioni necessarie alla propria vita: la profondità e la leggerezza, le emozioni, i sentimenti, la saldezza psicologica, l’intelligenza, la conoscenza almeno indispensabile per orientarsi nel mondo, una cura ragionevole del proprio corpo, per non trascurare il dono di questo tempio che ci è stato dato.

Quando i grandi protagonisti delle opere letterarie, teatrali o cinematografiche sono riusciti, si dice che sono personaggi a tutto tondo, che hanno uno spessore.

Gesù ci offre un invito per essere persone così, che hanno sapore,

che hanno acquisito una sapienza del vivere e che per questo possono portare un po’ di luce al mondo laddove si trovano e – proprio facendo così, proprio agendo sul e in questo nostro mondo – essere efficaci testimoni del Padre.

Ci addentriamo in un periodo particolarmente importante per la nostra parrocchia e avremo almeno cinque occasioni, cinque contrassegni di stile, per provare a mettere in pratica l’invito di Gesù.

In ordine, la “Giornata per la Vita” della Chiesa italiana, il rapporto con l’arte, attraverso la mostra presente in S. Valentino (fino al 5 febbraio), la “Giornata mondiale del Malato” della Chiesa universale, l’ordinazione di Francesco Paolo Monaco, che ci ha permesso di riflettere a lungo sul servizio come parola chiave di una comunità cristiana, infine, le celebrazioni di S. Valentino, per dare spessore e bellezza anche a una delle esperienza più belle – e per questo più svilite – dell’esistenza: l’amore.

In tutte queste cose, chiediamo la grazia di Gesù e dei santi nostri patroni, affinché chi si accosterà alla nostra comunità cristiana possa trovare del cibo buono, gustoso, saporito e preparato con cura.

Don Davide




Sulle rive

Gli uni gettano le reti, gli altri le stanno riassettando.

I primi stanno pescando, gli altri hanno finito.

Gesù parla, ti chiama.

Che tu sia nel pieno della tua attività, oppure abbia staccato e ti prepari a riposare, lui vuole avere a che fare con te. Se sei giovane, ha bisogno di te. Se sei adulto, ha bisogno di te. Se sei anziano, ha bisogno di te.

Non importa quello che stai facendo, se sei occupato: ci sono amici da prendere, uomini e donne che devono sentire l’amore, persone che hanno bisogno di molte salvezze.

Non c’è una parte migliore di questa: ascoltare la parola del Maestro, che ti chiama.

Senza, le cose diventano affanni.

Solo che tu ascolti la sua parola come una chiamata per te, ed è un profumo che viene diffuso e conquista tutti.

Per due volte la liturgia di oggi ci propone l’immagine di questo cambiamento radicale: tenebra e luce. L’una non può esistere con l’altra. Quando si accende la luce della presenza di Gesù nella nostra vita, al risuonare della sua parola, come la voce dell’amato che chiama la sua amata nel Cantico dei Cantici, allora le tenebre si diradano. È il Sole da oriente, una lampada nella notte.

Per questo Paolo se la prende tanto con le divisioni nella comunità cristiana. Perché non siamo né di Paolo, né di Apollo, né di Pietro… ma siamo conquistati da Gesù.

Non desideriamo essere sopra gli altri, o essere di qualcuno, ma vivere il Vangelo, realizzare quella parola di bene che ci ha conquistato, per la prima volta, sulle rive del Lago di Galilea.

E servire, come regnare.

Servire gli amati, servire i poveri, avvicinare gli esclusi, consolare gli afflitti, custodire la creazione, guarire le ferite del mondo.

Questo ci affascina.

Meglio se fatto con qualche fratello e sorella, e altri che il Signore vorrà chiamare: una comunità di cui avere cura, e che voglio tenere il più possibile unita e affettuosa.

Don Davide




Immersi nello spirito

“Se la tazzina è piena – dice il famoso proverbio cinese – non puoi versare altro tè, devi prima svuotare la tazzina.”

Giovanni Battista, nel suo rigore morale, non appena vede comparire Gesù al suo battesimo, intuisce che tutta l’umanità, e in essa ciascun uomo e ciascuna donna, ha sempre davanti due opzioni, ossia di essere immersi nel peccato o di essere immersi nello Spirito Santo.

È un’interpretazione drastica e terribile, persino esagerata,

ma anche solo a pensare alle brutture e alle atrocità che conosciamo e che ancora si consumano nel mondo, ci rendiamo ben conto di come il peccato sia una cappa che soffoca gli esseri umani e non li fa respirare come Dio vorrebbe.

Per questo Giovanni indica Gesù come colui che è in grado di sollevare questa cappa, di toglierla, e di immergerci nello Spirito di Dio, che ispirandoci l’amore, ci fa vivere.

Così il nostro cammino spirituale è tutto uno svuotamento e un riempimento, operato dalla grazia.

Svuotamento di ciò che non è bene e non ci fa bene. Riempimento dello Spirito di amore e di servizio.

Valgono le parole del poeta Angelo Silesio:

“Sta l’uccello nell’aria, la pietra sul suolo, vive nell’acqua il pesce, il mio spirito nelle mani di Dio”.

Don Davide




Abitati da Dio

Se leggiamo nei libri di storia o negli annali, troveremo il racconto delle guerre e della modifica dei territori legati al potere di chi governava e le cronache di come le condizioni economiche hanno inciso sulla vita pubblica e sociale, il disagio dei poveri, insieme ai grandi eventi atmosferici o situazioni come le malattie o qualche altra disgrazia; in alcuni casi scopriremo chi ha vinto il premio Nobel, qualche fondamentale scoperta scientifica o, più popolarmente, chi ha vinto i Mondiali di Calcio come riscatto di un popolo o qualche altra impresa sportiva… ed è esattamente quello che è accaduto anche nel 2022 se lo guardiamo macroscopicamente, perché il tempo è così. Percepiamo una saggezza disillusa nel libro del Qoelet che descrive questa situazione: “Non c’è niente di nuovo sotto il sole, gira e rigira il vento coi suoi giri. Tutto è vano” (cf. Qo 1,1-11).

Certamente però, in questo 2022, nascosti agli occhi dei grandi eventi, ci sono stati momenti straordinariamente felice e affettuosi e, per qualcuno, momenti terribilmente tristi e dolorosi; anche queste cose si ripetono con una certa ciclicità, di cui

la sapienza cristiana suggerisce di apprezzare le cose belle,

di goderne il più possibile appieno con la consapevolezza che possono presto lasciare il passo alle cose dell’altro segno.

Però, differentemente da quello che si può osservare con uno sguardo solamente umano, il nostro spirito sa che tutto questo tempo è abitato da Dio e, se lo scrutiamo spiritualmente, leggiamo la fedeltà di Dio che mi ha fatto grazia con la sua visita.

In questo giorno celebriamo Maria, Madre di Dio. Nella sua espressione paradossale questo titolo ci ricorda che

tutte le volte che ci rivolgiamo a Maria, Dio viene generato in noi,

possiamo riconoscerne appunto la sua presenza e ricordare che il nostro tempo e la nostra vita, se vogliamo, possono essere abitati da Dio.

Don Davide




Salvezza

Ci può salvare un bambino?

E abbiamo bisogno di salvezza?

Sicuramente ne abbiamo bisogno quando una persona muore nella notte e nel freddo su una panchina della nostra strada principale, non per cercare colpe da attribuire, ma perché ci rendiamo conto che noi, il mondo, dobbiamo essere strappati da qualcosa di male che ci attanaglia.

Ma non è facile.

Pensiamo ai pastori, che per trent’anni dopo la notte di Betlemme non hanno visto alcun segno. Hanno subito i Romani che esercitavano il potere e che facevano le guerre, come noi prendiamo atto che c’è chi esercita il potere in modo osceno e brutale e che fomenta le guerre, addirittura nucleari, senza pudore, senza la minima vergogna e senza la decenza di pensare che non ha nessun senso ritenersi nemici perché diversi per nazionalità o cultura.

I pastori sono cresciuti senza vedere Dio che interveniva; così anche noi magari abbiamo vissuto la nostra fede per tanti anni senza segni particolari di Dio e ci chiediamo:

ma ci può davvero salvare?

Oltre alla guerra, abbiamo visto e vediamo degli uomini che trattano male le donne in nome del patriarcato; ci chiediamo: quando verrà riconosciuta la dignità di tutte le donne? Ci sarà qualcuno, come Gesù, che salvi anche la più svilita e la onori?

Pensiamo, inoltre, ai discepoli di Emmaus, a quella frase che dicono: “Noi speravamo che fosse lui!”

Quando l’esperienza di essere stati discepoli di quest’uomo – che ci ha conquistato, che ci ha fatto vivere momenti di slancio spirituale, magari quando eravamo giovani – si interrompe per la morte di una persona cara, o per una malattia, in altri casi per una grande delusione o per preoccupazioni serissime e ci viene da dire: “Noi avevamo sperato che fosse lui a salvarci… ma in realtà non ci può salvare”.

Pensiamo ancora, infine, a quelle persone a cui vogliamo bene, la cui vita non si sistema e a tutte quelle suppliche che sono state rivolte a Gesù proprio per queste situazioni, e che riecheggiano quelle del vangelo: sono tutte invocazioni in cui dobbiamo rinnovare la fiducia che questo Dio prima bambino e poi crocifisso ci può salvare.

Possiamo fare qualche piccolo esercizio di fiducia nei confronti degli altri.

Questa fiducia, come di ritorno, si confermerà anche in noi.

Voglio proporvi di prendere l’abitudine, per chi già non lo facesse, di andare a dormire insieme, nello stesso momento, con vostro marito o vostra moglie, con il vostro compagno o con la vostra compagna. È un piccolo gesto, spesso trascurato dopo anni insieme, capace di generare una nuova confidenza.

Voglio proporvi di prendere l’abitudine, se già non lo fate, di recitare una preghiera con i vostri bimbi e di dire loro quanto gli volete bene.

Voglio proporvi di esprimere un ringraziamento ai vostri collaboratori e di dar loro un riconoscimento.

Voglio proporvi di fare un gesto di fiducia per i vostri figli adolescenti e giovani, anche quando è difficile, e verbalizzarlo per allargare la fiducia dentro i loro cuori.

Voglio proporvi di accendere una candela per la pace.

Voglio proporvi di cenare una sera di queste con la tv spenta, a parlare fra di voi.

Voglio proporvi, infine, di guardare questa scena della Sacra Famiglia e di riconoscere che proprio in questa semplice umanità c’è un mistero potente che ci può salvare.

Don Davide




I doni di Gesù bambino

Acaz e Isaia (I lettura), Paolo (II lettura) e Giuseppe (vangelo); nessuno può sottrarsi alla sua vocazione, per ciascuno c’è una chiamata, anche per noi:

– Essere o accogliere un segno di fede

– Una missione

– Un sogno

Ricordo la mia nonna quando mi diceva, da piccolo, che i doni di Natale li portava Gesù bambino. Io facevo fatica a mettere insieme un piccolo bambino (anche se era Gesù) e un anziano signore come Babbo Natale, ma poi ho capito bene.

Babbo Natale porta i doni che troviamo sotto l’albero; Gesù bambino ci porta i doni spirituali, quelli senza i quali anche gli altri regali perderebbero la loro magia.

Quale sarà, dunque, il tuo dono in questo Natale?

Non il dono che tu porti, ma il dono di Dio per te.

Sarà un segno, per confermare la tua fede e che Dio ti è vicino?

Sarà la chiarezza di sentirti al posto giusto nel momento giusto, per adempiere la tua missione? (Quale sensazione esiste, più bella di questa?)

Oppure sarà un angelo che ti sussurra e conferma che il tuo sogno è possibile, soprattutto se un sogno d’amore e giusto?

Preparati a vedere, ascoltare e sentire.

Nella notte che ci attende, notte di profumo di paglia, di cori di angeli e di stelle, tutto è possibile.

Don Davide




Tutto diverso e piccolo

“Ci sarà un sentiero e un strada” (Is 35,8): di solito si scelgono i tracciati sulle mappe o si percorrono dei tragitti per arrivare a una meta, un luogo. Al termine ci può anche attendere un appuntamento, magari desiderato: l’incontro con un amico o una persona amata.

Oggi certamente la liturgia ci parla di questo itinerario: “ci sarà” (al singolare) un sentiero, inizialmente stretto, forse impervio, che diventerà una strada, prima una mulattiera, poi una strada battuta o addirittura pavimentata, che ci porterà all’incontro con Gesù.

Anche Giovanni Battista, che fra tutti era quello che aveva le idee più chiare, esita. All’inizio è difficile riconoscere in Gesù i segni grandiosi della salvezza di Dio, della redenzione del mondo.

“Sei proprio tu?” (Mt 11,3) chiede Giovanni.

Dopo la chiarezza straripante di domenica scorsa, viene assalito da un dubbio.

Sembra tutto così diverso, e piccolo…

Anche noi ci accingiamo a celebrare il Natale nella solennità della liturgia, con acclamazioni, formule e preghiere debordanti: “È nato il Salvatore!”, “Oggi la pace viene nel mondo!”, “Tutto è permeato di gioia!” poi guardiamo fuori e ci sembra che non sia proprio così. Oltre alla guerra, continuano altre cose brutte, e poi ci sono tanti dolori, solitudini e preoccupazioni, spesso nascoste.

Ma Gesù conferma Giovanni e noi, indicandoci proprio la direzione giusta e invitandoci a percorrere il sentiero corretto che diventerà una strada.

“Guarda”, dice, “guardate!” I segni dell’amore di Dio sono grandiosi e nascosti allo stesso tempo.

Bisogna saperli e volerli vedere. Bisogna allenare lo sguardo!

Quante volte è capitato che Gesù facesse un miracolo sotto gli occhi di tutti e solo in pochissimi lo riconoscessero, mentre gli altri ne facevano motivo di disputa, o addirittura di scandalo! Così è ancora oggi. Bisogna allenare i riflessi giusti, per cogliere la velocità con cui il regno di Dio si manifesta davanti al nostro naso, e poi scompare altrettanto velocemente se trova qualcuno non pronto o disposto a riconoscerlo.

Il Natale è una grande storia di libertà, interpellata e rispettata.

Perciò, allenati! Guarda. Per tutte le orribili guerre che sono in corso e per i regimi che uccidono i ragazzi, ci sono giovani uomini e giovani donne che hanno il coraggio di rivendicare la libertà. A proteggerci dalla violenza, quanti gesti di tenerezza ci sono? Di fronte alla malattia e alla sofferenza, che hanno un potere schiacciante e vanno rispettate con il massimo rigore, quanti gesti e risorse di cura vengono messi in campo?

Il regno di Dio, per farsi spazio, è anche una questione di decisione, di scegliere cosa guardare, come educare i nostri pensieri, dove orientare la nostra attenzione, su quali sentieri e strade percorrere i nostri passi.

Dipende cosa decidi di guardare, e i tuoi occhi saranno luminosi od oscuri.

Dipende cosa decidi di pensare e i tuoi pensieri saranno orientati al bene o malvagi.

Dipende quali percorsi intraprendi e ti troverai in una terra fertile e buona o in un deserto arido e ostile.

Il regno dei cieli è piccolissimo, ma se lo vedi, è più grande di ogni cosa.

Don Davide




Piccolo e nascosto

È una storia di incontri intimi quella di questa domenica: lo spirito del Signore che si posa su germoglio… (Is 11,2)

Chi può descrivere che cos’è l’esperienza spirituale e l’efficacia che questa ha su un piccolo germoglio rispetto alla potenza della pianta, al vigore dell’albero cresciuto, o agli effetti che il profeta descrive di un cambiamento del mondo intero e di una conversione del cuore di tutti i popoli?

Pensiamo a che cosa significhi oggi la conversione del cuore di tutti i popoli, in prospettiva di giustizia e di pace.

Porterebbe una rivoluzione planetaria come mai ce ne sono state nella storia del mondo.

Poi c’è una voce che grida in uno spazio silenzioso – il deserto, il silenzio della nostra anima – dove i suoni si amplificano, ma possono anche disperdersi, e questa voce ci invita a “preparare la via del Signore” (Mt 3,3) a lasciarlo venire nel nostro spirito, a raddrizzare i nostri sentieri; se c’è qualcosa che non è andato bene, il Signore lo scruta, ci guarda con sguardo di misericordia, è in grado di perdonarci.

Giovanni fa questa preparazione, e il momento più intimo sembra quello anche più terribile.

Il signore tiene in mano la pala per pulire la sua aia dagli scarti e delle scorie (cf. Mt 3,12). La sua aia siamo noi! È il nostro cuore, il nostro intimo! Lui vuole raccogliere i frutti preziosi che noi sappiamo dargli e purificare, bruciare tutto quello che c’è di sbagliato, di impuro, che corrompe la bontà del frutto.

In questa storia intima ci siamo noi, con i nostri desideri di bene e la nostra speranza che questo Natale ponga questo germoglio, ci faccia fare l’esperienza spirituale e generi un cambiamento radicale che non è nelle nostre mani, ma nelle mani e nella potenza del Signore.

Don Davide




Nella luce del Signore

“Camminate nella luce del Signore” (Is 2,5).

Il profeta Isaia, dopo avere concepito la più grande visione di pace e la più grande speranza per l’umanità, lascia questo invito.

Camminare nella luce del Signore, è il modo concreto che abbiamo di trasformare il mondo.

Ne sentiamo talmente tanto l’importanza, che con la ripresa dell’anno liturgico e con l’inizio della preparazione al Natale, accendiamo tante luci diverse: le candele dell’Avvento, le luminarie nelle città, le lucine negli addobbi di casa.

Camminare nella luce del Signore significa lasciarci ispirare nuovamente, e in modo inedito, dalle parole di Gesù. Provare a conoscerlo meglio, cercare di imitarlo, rimetterlo al primo posto tra tante occupazioni e preoccupazioni.

Camminare nella luce del Signore, ci permette, infine, di comprendere meglio le parole di Gesù a Maria (di Betania), che meditiamo nel piccolo ritiro attraverso cui entriamo in questo tempo di luce: “Una sola è la cosa necessaria” (La 10,42).

C’è bisogno di lasciare che la sapienza di Gesù ci plasmi e che la luce che emana da lui illumini, colori e rallegri tutti gli aspetti e gli ambiti della nostra vita.

Sono molto dispiaciuto di non potere festeggiare il compimento del mio ottavo anno in parrocchia. Da parte mia, i motivi per festeggiare sarebbero molti, spero – senza falsa modestia – che ce ne sia qualcuno anche per la nostra comunità.

D’altro canto, c’è comunque una bellissima occasione da festeggiare, ed è il compleanno di don Valeriano che ricade proprio questa domenica. Siamo orgogliosi della sua presenza con noi, anche se un po’ meno visibile, non meno significativa attraverso la preghiera e il suo esempio. Tanti auguri don Valeriano!

Voglio salutare tutti, soprattutto i ragazzi e le ragazze del catechismo e dei gruppi medie, che in questo sabato e domenica vivono la 2gg. in parrocchia. Sono orgoglioso dell’impegno delle catechiste, delle educatrici e degli educatori dell’ACR e anche delle educatrici dei gruppi delle superiori, che continuano a creare occasioni di incontro e di formazione. Ringrazio, infine, tantissimo, chi ha preparato le torte per il banchetto! Mannaggia che non posso. Ho desiderio di vedervi e mi manca di condividere l’Eucaristia con voi!

Voglio anche ringraziare la segreteria, i ministri e chi, in queste settimane, mi ha sostituito in vari modi e ha sopperito alla mia assenza, dimostrando una volta in più la cura per la nostra parrocchia e per la comunità concreta che la vive.

Che questo tempo di Avvento ci aiuti, insieme, a rivestirci del Signore Gesù (Rm 13,14).

Don Davide