Il bagliore del Paradiso

In quest’ultima domenica dell’anno liturgico, Gesù ci invita a guardare dalla sua prospettiva.

In un salone regale, il re sta di fronte al popolo e tutti lo guardano. Questa è la grande scena che viene descritta: “Dopo che ebbero crocifisso Gesù il popolo stava a guardare…”. Al centro, l’evangelista pone la spiegazione di questa scena: “Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».”

C’è dunque un re sul suo trono e i sudditi al suo cospetto. Stavolta, però, sono spettatori, per lo più. Osservano, probabilmente qualcuno con un certo senso di rivalsa, la caduta che prima o poi tocca tutti i monarchi. Gli altri capi lo deridono: questo è il destino normale tra chi si contende il potere. Anche chi conosce solo la logica del salvare se stesso lo deride: un re che non è nemmeno in grado di usare la sua autorità in proprio favore è un povero zimbello.

Nessuno sembra fare caso al fatto che il trono non è coerente.

I Romani non potevano davvero considerare che Gesù fosse una minaccia per l’Imperatore, mentre i capi di Israele sono davvero convinti che sia la giusta punizione per un re pretenzioso, laddove Erode, il vero re, riduceva il popolo a uno schiavetto dei Romani.

All’unico che si accorge di questo indizio elementare, ma decisivo, Gesù apre gli occhi su una scena completamente diversa. Il ladro penitente riconosce che la croce non è un trono, ma una pena e che il regno di quell’uomo che tutti invitano a mostrarsi “regale” deve essere affatto diverso.

È allora che Gesù, come in un sussurro gli parla.

“Io non ho mai voluto fare «il capo», perché tutti devono essere liberi. Anche quelli che mi amano di più, li ho lasciati liberi persino da me stesso.

“Non bisogna deridere nessuno, né infliggere dolore, né – tantomeno – governare o ingannare con le armi.

“Ci sono tanti, troppi che soffrono. Ho provato a sentire il loro dolore, a condividerlo e a restituire loro fiducia nella vita.

“A me non interessa di salvare me stesso, ma che il nostro ricordo sia presso il cuore del Padre.

E ora sali su questa specie di trono, qui dove sono io e guarda dalla mia prospettiva. Osserva.

Quel regno che dicono loro a me non interessa, ma il Paradiso per me è questo che ti ho descritto: lasciare liberi, non ingannare, dare fiducia, essere insieme presso il cuore di Dio.

Vedi, se guardi da qui, la luce è così grande che anche da questo buio puoi vedere il bagliore del Paradiso.”

Don Davide




Splendida misericordia

“Splendida è la misericordia nel momento della tribolazione,

come le nubi apportatrici di pioggia nel tempo della siccità.”

(Sir 35,26)

C’è bisogno di parole dense e degne di stare di fronte alla complessità dei giorni che stiamo vivendo.

Le parole della fede cristiana vengono accusate di essere friabili, ripetitive, tanto svuotate da lasciare solo il guscio. Talvolta questa accusa è pertinente; più spesso, con una certa superficialità, non se ne coglie la ricchezza e, soprattutto, la portata.

La realtà e l’esperienza della nostra fede, infatti, tendono a dare consistenza alle persone e ai sensi spirituali che sono necessari per abitare il mondo, per vivere bene le relazioni così numerose, mutevoli e complesse, e per conoscere la sfera misteriosa dei sentimenti e delle emozioni.

Nelle esistenze che Dio ama e di cui si prende cura, non c’è spazio per tutti quegli atteggiamenti che vanno di moda in tutte le epoche: la tracotanza dei potenti che umiliano i poveri, l’ipocrisia di chi si sente giusto contro gli altri e la mancanza di qualsiasi sensibilità spirituale di chi ostenta davanti a Dio come se potesse in qualche modo sedurlo o, peggio, ingannarlo.

Il punto è che non sono gli altri che corrono questo pericolo.

La prima lettura è netta nel dire in favore di chi Dio prende parte; invece, Gesù nel Vangelo stereotipizza il fariseo e il pubblicano per ricordarci che in tutti noi alberga l’ombra del fariseo e che dobbiamo sempre fare i conti con le sue seduzioni maligne.

Mentre lottiamo contro il fariseo in noi, sentiamo il bisogno di misericordia del pubblicano.

Come le nubi che si addensano di pioggia, così le parole della nostra fede diventano vere e dense, quando riconosciamo l’obiettivo – quello di essere umili e veri davanti a Dio – e ci sforziamo di non smarrire la direzione.

In questa quotidiana lotta per identificare in noi il fariseo che addita il pubblicano, sentiamo il bisogno di un grande manto di misericordia, come una pioggia diffusa in una stagione di siccità.

Don Davide




La fede

“Troverà ancora la fede?” (Lc 18,8)

Da varie domeniche la liturgia interpella la nostra fede, il nostro vivere e comportarci come uomini e donne credenti.

In molte fiabe, in molti racconti, in tante storie edificanti e di avventura, uno dei protagonisti ad un certo punto, spesso nei momenti più difficili, invita “ad avere fede”, basandosi sul fatto che il bene trionferà, che c’è una sorta di energia cosmica a cui attingere, che dispiega la sua potenza e guida il tutto verso l’armonia e l’eventuale soluzione della vicenda.

L’insegnamento di Gesù sulla necessità di “pregar sempre, senza stancarsi mai” – che sembra impossibile anche solo a sentirlo – si trova tra l’invito alla vigilanza e al discernimento e questa domanda enigmatica sulla fede.

Pregare, quindi, significa esercitarsi tenacemente a essere vigili rispetto alla vibrazione del mondo e accedere a quella sapiente linfa vitale che lo tiene nell’esistenza e lo riporta all’armonia.

Questo dell’allenamento dei sensi spirituali è uno sport per lo più disatteso.

Invece, la possibilità di toccare con mano la potenza di Dio c’è, dice Gesù.

Ma come tutte le cose che contano bisogna scovarne la magia con un autentico desiderio.

Don Davide




Nella misericordia

Non avrei potuto immaginare né desiderare una liturgia migliore per riprendere il nuovo anno pastorale.

Sabato 10 il vescovo ha presentato le linee guida per quest’anno alla diocesi, da lunedì 12 i preti si trovano insieme alcuni giorni per aggiornarsi e condividere il cammino della nostra chiesa, martedì 13 abbiamo l’importante assemblea parrocchiale, giovedì 15 nella nostra Regione ricomincia la scuola; tutto questo avviene nell’ispirazione di parole pervase dalla misericordia.

Mi sembra, in un certo senso, che sia già detto tutto.

Come dobbiamo interpretare e vivere il nostro impegno pastorale? Con misericordia, comprensione, tenerezza, dolcezza, bontà, vicinanza.

A fine agosto, al campo itinerante con i giovani, anch’io ho vissuto una grande esperienza di misericordia. Prima di arrivare ad Assisi sono stato ispirato a riconciliarmi con una persona con cui non ero in pace. L’ho fatto e, dopo, la città serafica e le vite di Francesco e Chiara ai miei occhi splendevano di una luce aurea, diversa.

Tra tutte c’è una parola che mi colpisce più delle altre: “cerca accuratamente finché non la trova” (Lc 15,8).

Il Signore ci cerca con cura, finché non ci trova.

È meticoloso, costante, tenace.

Questo vale per tutti ed è molto consolante.

Ciascuno di noi può affidarsi a lui e “lasciarsi trovare”.

A nostra volta, possiamo farlo per altri.

Cercare, curare, affidare al Signore.

Possiamo essere grati per questa ispirazione iniziale.

Don Davide




Giunga la gratitudine

“Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc 9,54).

Ma Gesù li rimproverò (cf. Lc 9,55).

Quante volte abbiamo avuto la tentazione di entrare in polemica, in nome della giustizia?

Ad esempio, rispetto all’ultima uscita di Fedez, sul tema della castità: è già la seconda volta che Fedez dice una sciocchezza sui social contro la Chiesa/Vaticano, senza sapere ciò di cui parla.

Adesso mi scoccia, perché i tantissimi ragazzi e le tantissime ragazze che conosco e a cui sono affezionato, per me sono delle persone concrete, non dei follower, e io ho condiviso moltissimo delle loro storie. Non mi sono mai permesso di giudicare le loro esperienze, anche sessuali, e con chi ha voluto confidarsi, ho cercato di aiutarli a vivere bene la loro maturazione in questa dimensione della vita.

Non voglio nemmeno entrare nel merito della questione: se a qualcuno interessasse, potrei fare un trattato, ma una cosa la voglio dire: io non mi sognerei mai di incoraggiare qualcuno a cui voglio bene a fare una cosa bella utilizzando un’espressione volgare, che per di più significa: usare sessualmente una persona per il proprio piacere.

Ma Gesù i suoi discepoli addirittura li rimprovera. E io non voglio farmi sgridare da Gesù.

Perciò lascio subito l’agone polemico e volgo lo sguardo altrove.

Mi chiedo come uscire da tale grettezza che ci circonda e genera consenso, e raccolgo dalla liturgia di oggi tre parole:

1)La grandezza

2)La libertà

3)Gesù

C’è la grandezza di chi sa riconoscere i grandi, nel vero senso della parola, come chi fiuta i veri profeti, prima che se ne vadano, e si mette alla loro scuola.

C’è la libertà che ci consegna il Nuovo Testamento, che è la posta in gioco della vita. Noi tendiamo sempre a tornare schiavi di noi stessi, delle nostre paure, delle nostre convenzioni e delle nostre logiche solo mercantili. Mentre la libertà è il grande esercizio per aprirci allo Spirito e giocare su un altro livello.

Infine, c’è Gesù, persona amata e tanto desiderata, che più mi attira a sé, più apre sentieri, sfida la morte e mi fa assaporare il Regno di Dio.

Che cosa sia questo regno di Dio, mi mancano le parole per dirlo. Lo riconosco, però, quando mi sento libero di amare e quando vedo la grandezza dei grandi anche nelle cose piccole, di chi è fedele alla propria responsabilità, di chi è gentile, generoso, buono, altruista.

Quando vedo la grandezza di chi serve; di chi studia per il bene dell’umanità; di chi piega se stesso verso il bene; di chi riconcilia e perdona, di chi educa; di chi fa un passo in più quando potrebbe farne uno in meno.

La riflessione si potrebbe fare lunghissima.

Fiuto che ci sono tantissimi profeti, accanto a me.

Giovani e meno giovani Jedi, che magari non impugnano la spada laser, ma non di meno percorrono le vie della Forza. A tutti costoro, contro ogni grettezza, giunga il grazie della nostra comunità cristiana.

Don Davide

 




Nella responsabilità

Mentre Gesù ascende, c’è sempre un richiamo a rimanere coi piedi per terra e ad essere suoi testimoni.

Così, il salire “al cielo” di Gesù, il fatto che lui non sia più concretamente presente su questa terra, incarica noi suoi discepoli e discepole ad essere ben presenti a questo mondo, a questa nostra storia, come lo è stato lui, che si è spogliato della sua potenza divina per farci conoscere il Vangelo e cosa sia la vicinanza di Dio.

Per qualche motivo assai misterioso, dobbiamo essere noi i testimoni del Risorto.

Questo è meraviglioso e tremendo allo stesso tempo.

Non so cosa darei, per sapere cosa hanno provato i discepoli e le discepole di Gesù dopo la sua ascensione e prima della Pentecoste, in quel tempo intermedio in cui avevano sperimentato la pazza gioia di riscoprirlo vivo, ma ora si ritrovavano a doversi assumere la responsabilità di questo.

C’era tutta la storia della comunità del Risorto da incominciare. C’era tutta la storia della Chiesa da scrivere. Quante pagine luminose e quante che avrebbero dovuto non esserci!

Alla conclusione di questo anno pastorale e in vista di quello che si prepara, sento la medesima sensazione: quella di trovarsi nella gestazione di nuovo inizio e di avere chiara la responsabilità che comporta per tutti noi.

La Beata Vergine di S. Luca, in un certo senso, ascende insieme a Gesù, per essere sempre accanto a lui e vigilarci dall’alto. A lei, che è stata in mezzo a noi, affidiamo questa premura, mentre attendiamo, invocanti, umili e supplici, lo Spirito del Risorto.

Don Davide




Pregare i Salmi a Gerusalemme

Ho avuto in questi giorni l’occasione di pregare i salmi davanti al “Muro del Pianto” – o Muro Occidentale – a Gerusalemme. Opportunità che, tra l’altro, si intona perfettamente con la mostra di ArtCity che ospitiamo in questi giorni nella chiesa di S. Valentino.

Tra i tanti, ho pregato questo versetto: “Si dirà di Sion, l’uno e l’altro è nato in essa, e l’Altissimo la tiene salda.”

Eppure, se c’è una città divisa, è Gerusalemme.

Il vangelo di questa domenica ci dice che uno degli effetti maturi dell’esperienza spirituale della resurrezione è quello di abitare le contraddizioni, anzi di superarle. Dalla liturgia, ci viene riproposto il momento in cui Giuda abbandona il gruppo, per tradire Gesù. Nel momento in cui Giuda esce dal Cenacolo, Gesù parla dell’azione di Dio.

Ma come?!

Gesù è tradito e il Padre glorificato? Gli uomini si dividono e l’amore si fa spazio? L’uomo fallisce e Dio trionfa?

In tutti i salmi composti per avvicinarsi al Tempio si invocava e si augurava la pace su Gerusalemme. E una volta raggiunto il Tempio, si cantava l’Alleluia.

Così, pregare i salmi davanti al Muro Occidentale, dove una volta sorgeva il Tempio e ora due moschee, circondato dai luoghi cristiani, mi ha reso più consapevole che, sicuramente, noi uomini non siamo in grado di governare le nostre contraddizioni, ma il Signore sì.

Non è un’affermazione per non assumere le nostre responsabilità, ma un aprirsi alla fiducia.

Gesù sa trasformare persino un tradimento; e Dio ricompone le frammentazioni e le distonie che generano gli uomini, in una preghiera corale e armonica per la pace.

Così, la Pasqua che penetra nelle nostre vite, spinge anche noi non a guardare al passato, in nessun caso, ma a riconoscere cosa sta nascendo, cosa si sta generando di nuovo.

Don Davide




Dal Santo Sepolcro (Under 20)

Vi scrivo dal Santo Sepolcro, a Gerusalemme, anche per dirvi che vi ho pensato e ho pregato per voi.

Sapete, questo posto è una confusione inimmaginabile. Si pensa che debba essere il luogo più mistico della Terra, ma apparentemente è tutto il contrario.

Nelle pietre si mischiano due millenni di costruzioni, distruzioni e ricostruzioni, ci sono le comunità cristiane divise ed è impossibile mantenere il raccoglimento.

Le prime volte che venivo mi dava fastidio e mi ribellavo.

Poi ho riflettuto che nelle nostre vite, come nella nostra storia, non c’è nulla di stabile, unito, raccolto e ordinato.

Così, il Santo Sepolcro è uno specchio perfetto dell’esistenza e del nostro mondo.

Da qui si è sprigionata un’energia che è la vibrazione della vita, nascosta, spesso offesa, ma presente in mezzo al caos.

Gesù non è più in un luogo fisico, ma la sua resurrezione è la forza che tiene coeso il tutto, nonostante tutto.

Il segreto sta nel riuscire a percepirlo e sentire questa energia di vita che, silenziosa e tanto discreta, tiene acceso il mondo.




Il Serale di “Amici” e Gesù (Under 20 testo+video)

L’articolo è un po’ lungo, se preferisci ascolta il podcast.

 

Sabato scorso ho visto il serale di Amici e sono rimasto colpito dalla sfida tra Albe e Luigi (LINK).

Mi ha impressionato, in negativo, l’atteggiamento degli adulti, che si sono presi la scena quando la scena non era loro: su 6’46” di video, 5’ sono la parte in cui gli insegnanti parlano parlano parlano, mentre 1’46” è il tempo della prova di Albe.

Mi ha fatto riflettere la consegna della canzone: “Io vagabondo” dei Nomadi, anno 1972. Ma davvero?! Da allora è cambiato tutto, persino il linguaggio. Penso all’insidia di una generazione che chiede a quella successiva di confrontarsi con i propri vecchi riferimenti, scaduti.

Per fortuna, almeno, è stato detto che Albe ha fatto una riscrittura magistrale.

L’ha interpretata come un giovane che prende parola, e che ha il coraggio di dare voce a una grande preoccupazione della sua generazione: “senza provare a volare, perché se cadi fa male, quindi vuoi stare al sicuro”.

C’è questa paura, spesso non detta e nascosta, di cadere, perché l’ombra di farsi male è grande e minacciosa.

Eppure, si può cadere imparando a proteggersi dagli urti e dal male.

Come i judoki o i karateki. Come una pallavolista quando fa la rullata, o il portiere in un tuffo spettacolare.

Diversamente dalle cadute fisiche, imparare a cadere, nella vita, significa in realtà imparare a rialzarsi.

Come si fa?

Sapendo che non sei da solo, ma fai parte di uno stormo, come canta Albe.

E ascoltando la parola di Gesù che in questa domenica ci dice:

“Io ti conosco e tu non temere.

Tutti possono avere paura di cadere, non c’è nessun male in questo.

Ma si può vivere senza essere bloccati dalla paura.

Anche se cadessi, ti potresti rialzare.

Io ti custodisco nella mia mano. Nessuno ti strapperà dalla mia mano.

Nessuno ti strapperà dalla mano del Padre mio.”

(cf. Gv 10,27-29).

Cosa fa una persona spirituale? Cade e si rialza




Rinascere dall’alto

Pochi versetti nel vangelo di oggi per esprimere un grande senso di appartenenza.

Gesù vivo è una guida alla quale avremmo tutti bisogno di modellarci: è potente, ma di quel “potere” non violento, che genera vita e aiuta a scoprire il significato misterioso dell’esistenza; non il potere che toglie la vita e distrugge. Gesù è premuroso, consegnando spazi di libertà e riavvicinando continuamente a sé chi è finito in pericolo. Gesù è protettivo contro le insidie e le tentazioni del male.

Sabato scorso abbiamo passato un bellissimo pomeriggio con i bimbi e le bimbe di seconda e terza elementare e le loro famiglie. C’era il sole, camminavo nel campetto che brulicava di attività e ho pensato: di più, di più! Voglio che il campetto torni come quella sera che abbiamo festeggiato il 50° anniversario di ordinazione di don Valeriano, che c’eravamo tutti ed eravamo tantissimi!

Ci vuole ancora più vita.

Abbiamo abbandonato le ultime restrizioni dello stato di emergenza e ci affacciamo a un tentativo di vera normalità.

Speriamo di lasciarci presto alle spalle l’aggressione della Russia all’Ucraina e di maturare, da questa bruttissima esperienza storica, una sensibilità ancora più acuta per la pace.

Sogniamo un’Europa con una consapevolezza storica ispirata all’inclusione, alla comunione e all’integrazione delle diversità, come stile di una vera cultura per il futuro.

In questa domenica abbiamo l’ultimo incontro del cammino spirituale che abbiamo iniziato in Quaresima, guidati dall’Azione Cattolica parrocchiale, e concludiamo la preghiera affettuosa a Maria dell’annuale Ottavario.

Sento crescere e rinnovarsi, da tutto questo, un grandissimo senso della comunità.

Mi auguro (e mi impegno) perché prendiamo lo slancio per riconvocarci davvero tutti e tutte; perché sappiamo ridire il Vangelo anche per i più giovani e perché possiamo offrire una testimonianza profetica e ispirata a questi tempi, in cui abbiamo bisogno di rinascere “dall’alto” (Gv 3,7).

Don Davide