La Parola di Dio sopra di noi

Come accade che la Parola di Dio “viene” sopra un essere umano?

Il Vangelo risponde: nel corso della storia, ma lontano dalle manipolazioni dei potenti, in qualche luogo nascosto, dove si trova una persona in ascolto.

In realtà, nel corso della narrazione evangelica, anche i vari uomini di potere si trovano nella condizione di essere interpellati da un momento decisivo, quando devono decidere se accogliere l’incontro con Gesù come opportunità della vita, oppure rifiutarlo; tutti costoro, citati all’inizio del brano di questa domenica, lo rifiuteranno.

Rimane vero che, prima o poi, viene offerto l’appuntamento con questo Incontro.

Tuttavia, la Parola di Dio viene su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Non dobbiamo pensare che Giovanni fosse semplicemente un predestinato. Accade qualcosa che lo attiva, in una situazione che lo trova in ascolto, accogliente.

Nessuno sa cosa sia questo evento. Alcuni profeti biblici hanno provato a raccontare quell’esperienza, ma nemmeno i migliori ha saputo fare meglio che evocare immagini suggestive.

C’è qualcosa di misterioso e segreto che conquista la vita di una persona.

Sono certo che accade anche fra voi. La Parola di Dio viene, scende, risuona, vibra nella vita di voi che leggete e vi attiva. Normalmente lontano dalla storia dei potenti, in qualche situazione in cui siamo maggiormente in ascolto.

Mi viene in mente, ad esempio, un papà che capta il sorriso più intenso della sua bambina, o i genitori che accolgono in un momento di particolare sintonia le confidenze dei figli e delle figlie adolescenti. Penso al proposito di un lavoratore di svolgere al meglio la sua azione di artefice delle cose; o alla dilatazione di un/a giovane che sceglie di fare volontariato.

Vedo questa Parola nelle sensibilità che vengono suscitate: per l’ambiente, per il rispetto reciproco, per l’uguaglianza effettiva, per i diritti e i doveri di ciascuno e ciascuna di noi.

La stessa Parola risuona, inconfondibile, in chi indica con grazia Gesù e la sua via.

A voi, profeti e profete, che appianate le asperità del mondo e che rendete più vicina la salvezza di Dio… a tutti e tutte voi diciamo grazie!

Don Davide




Rientrare nel grembo

Realizzare la domanda di Nicodemo

“Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?” (Gv 3,4).

Questa domanda di Nicodemo a Gesù interpreta la conclusione dell’anno liturgico.

L’anno è “vecchio”. Siamo ormai alla fine di un tempo, non solo quello cronologico, ma anche di un percorso spirituale ed esistenziale.

Abbiamo iniziato l’anno solare ancora con il peso drammatico della pandemia; ora ci sembra che il peggio sia passato, di non dovere abbassare la guardia, ma anche di avere le armi e una conoscenza sempre crescente per affrontare il nemico.

All’interno di questo percorso, chi di noi ha voluto, ha potuto sviluppare un itinerario spirituale: cogliere la crisi per crescere, sfruttare bene il proprio tempo, frequentare in modi nuovi la Parola di Dio e interrogarsi sull’autenticità del proprio rapporto con Gesù, la fede e l’esperienza religiosa che viviamo.

È suggestivo questo passaggio da qualcosa che è vecchio a qualcosa che rinasce. Noi rientriamo nel grembo dell’anno liturgico e del cammino della Chiesa, come essere umani che devono essere concepiti di nuovo e generati, e svezzati, e poi nutriti e cresciuti.

Lo faremo al seguito di un’altra storia di gravidanza e di nascita, di svezzamento e di crescita: quella dei racconti dell’infanzia di Gesù.

Non serve arrabattarsi con strani esercizi spirituali: concludere l’anno liturgico e lasciarsi accompagnare dal nuovo, insieme alla Chiesa, significa realizzare profeticamente la domanda di Nicodemo: rinascere quando si è vecchi e entrare di nuovo nel grembo generativo di una Madre.

Don Davide




Re di un mondo diverso

“Il mio regno non è di questo mondo;

se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto…” (Gv 18,36).

Ho letto di recente una riflessione di Anita Prati:

http://www.settimananews.it/societa/mysterium-iniquitatis/

che consiglio come meditazione proprio in questa Solennità di Cristo Re.

In relazione al problema dell’economia che ruota attorno alla produzione di armi, e che vede l’Italia “che ripudia la guerra” (Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 11) in un primato assai problematico, l’autrice cita la celeberrima testimonianza dei martiri dei primi secoli cristiani, che rifiutavano di fare i soldati, per non dovere uccidere.

Lo spunto evidenzia la forza profetica dello spirito evangelico e permette di cogliere qualcosa del mistero di questo Messia Re, così diverso da tutto.

È re di un regno che evidentemente non si è ancora insediato, ma i cui fedeli sono presenti fra gli uomini e le donne di tutti i tempi. È un re che “conquista” non il potere, ma il servizio come il trono più bello in cui collocarsi.

I suoi servitori non “combattono” nel senso bellicoso del termine: non vogliono apparire come altri competitori, ma come coloro che aprono nuove strade a una fraternità praticabile.

Quel Regno di Pace (nel senso assoluto della parola) non c’è ancora, ma il suo mondo si fa strada inesorabilmente nei regni mondani.

Questa solennità conclude l’anno liturgico in modo da permetterci di ricordare i tanti segni di questa presenza, nascosta ma efficace, quando si è palesata al nostro spirito, e di continuare il percorso della nostra vita personale e comunitaria con il desiderio di mostrare che c’è tanta energia buona e inedita del Vangelo ancora da sprigionare.

Don Davide




Poveri, Vangelo e Gandalf il Bianco (Under 20 testo+video)

Oggi, per la Chiesa, è la Giornata mondiale dei Poveri.

L’ha voluta papa Francesco, cinque anni fa, perché non ci dimenticassimo di quasi tre miliardi di persone che vivono al limite della dignità umana.

“Povertà” è una parola controversa.

Ci fa pensare a un bisogno di giustizia e al desiderio di un mondo migliore, ma qui nella nostra società, abbiamo sempre la tentazione di pensare che chi è povero abbia delle sue responsabilità.

San Francesco piace a tutti, ma nessuno sceglierebbe di essere povero come lui.

Si tende piuttosto ad ammirare i ricchi, e la parola sobrietà ci mette a disagio, ci inquieta.

Eppure, al fondo delle manifestazioni sul clima, che anche in questi giorni si sono svolte a Glasgow e a Roma, e che trovano grande consenso in tutto il mondo giovanile, c’è il tema della povertà. Saranno i più poveri a subire in proporzione gli effetti più disastrosi dei cambiamenti climatici, ma non solo loro!

Celebrare la Giornata mondiale dei Poveri, imparare essere vicini, amici e fratelli dei poveri, significa risvegliare la nostra coscienza, prendere parte ai cavalieri della luce, in una lotta per la giustizia che sembra impossibile vincere, ma non lo è.

Mi è venuta in mente una scena de Il Signore degli Anelli, quando i pochi sopravvissuti guidati da Aragorn e Re Theoden, decidono di uscire dall’assedio del Fosso di Helm, all’alba. È il gesto estremo di chi si oppone con tutte le sue forze al male, rappresentato dagli orchi. In quel momento disperato, Gandalf il Bianco emerge dal monte. Sembra solo, ma con lui c’è un esercito del bene: pieno di giovani e di coraggio.

Il resto ve lo lascio guardare: QUI

Anche perché sono le immagini che mi evocano meglio la descrizione che fa Gesù nel Vangelo di oggi: un intervento clamoroso di Dio con i suoi angeli per ristabilire il bene e la giustizia.

Immaginatevi la scena vista al cinema davanti a uno schermo più grande della nostra chiesa, con la musica a trascinarti dentro a quella cavalcata dove la Luce arriva ancora prima dei suoi testimoni. Ce n’è abbastanza per pensare e per divertirsi.

Don Davide




Alla porta del cuore

Papa Francesco, cinque anni fa, ha voluto istituire la Giornata Mondiale dei Poveri perché sentiva urgente, per la Chiesa, il bisogno di accogliere una conversione ancora più autentica.

La “povertà” ci mette in crisi tutti.

Sappiamo che bisogna soccorrere “il grido nascosto dei poveri” e che una certa sobrietà di vita è indispensabile, per il nostro equilibrio e per l’equilibrio delle relazioni fra gli uomini e le donne del mondo e del pianeta.

Tuttavia, appena la “questione della povertà” ci tocca da vicino, sentiamo tutte le contraddizioni e le fatiche. Proviamo disagio per i poveri che si incontrano per la strada; parliamo volentieri dei problemi del mondo, ma fatichiamo a modificare i nostri stili di vita; vogliamo una chiesa povera e per i poveri, ma non si riesce a trovare qualche volontario per le pulizie della chiesa.

La Giornata mondiale dei Poveri si celebra verso la fine dell’anno liturgico, tempo nel quale le celebrazioni domenicali ci ricordano che Dio lavora, con i suoi testimoni, per un significativo intervento nella storia a favore della giustizia e del bene, per rifondare la comunione degli uomini e delle donne sulle basi dell’umiltà, dell’abbandono delle logiche di potere e della fraternità.

Gesù entra in scena da grande protagonista in maniera clamorosa: la sua luce sovrasta quella del Sole e oscura la Luna, la sua autorità si fa spazio fra le galassie. Tuttavia, non è lui che agisce nella storia, ma i suoi angeli e i suoi amici. Egli chiede a noi di riconoscere la sua tenerezza per ogni creatura, come quando il ramo della pianta del fico matura; possiamo sentirlo vicino proprio quando si manifesta il bene per chi è più nel bisogno. Allora sappiamo che lui vuole entrare nella storia in maniera efficace, bussando alla porta del nostro cuore.

Don Davide




Tre sapienze

Ho ascoltato di recente una riflessione suggestiva di Alessandro Baricco. Un testo pieno di cose questionabili e ricchissimo di spunti per il pensiero, riguardo a un possibile assetto e all’interpretazione del mondo prossimo venturo.

Nella parte finale di questa meditazione, l’autore afferma: “Commiati, addii, distacchi saranno insegnati come gesti artigianali da compiere bene, li si riterrà obbligatori.”

Mi stupisce che si parli di una cosa di cui la Chiesa potrebbe e dovrebbe essere umile maestra, non per insegnare da una posizione di autorità o presuntuosa, ma per trasmettere un sapere fondamentale per vivere.

Mi sento, perciò, di richiamare tre sapienze che la Chiesa può consegnare per chi vuole accoglierle; sono sapienze che c’entrano con la morte, ma che in realtà riguardano il vivere bene.

Primo. I funerali.
Si celebrano bene, non in fretta, non con il desiderio di finire il prima possibile questa atroce sofferenza, ma con tutte le cure possibili. Questo vale sia per chi crede che per chi non crede. Nella forma religiosa o laica, è fondamentale per il nostro modo di essere “umani” celebrare bene il commiato dalle persone da cui ci separiamo. Se non lo si fa, si lascia una ferita emotiva e psicologica di cui difficilmente si possono misurare le conseguenze. Il fatto che all’inizio della pandemia non sia stato compiuto questo gesto, in alcune circostanze, è stato un vero e proprio infarto dell’umanità, della cultura e del pensiero. Perciò, anche quando si incontra un carro funebre, o un funerale, è sacrosanto avere ogni gesto di attenzione: un piccolo segno di raccoglimento, il rispetto per la bara, la percezione che sta accadendo qualcosa di decisivo.

Secondo. La sepoltura.
Noi essere umani occidentali a cavallo tra il XX e il XXI secolo celebriamo la sepoltura individuale, perché per mille ragioni antropologiche che non è certo possibile esprimere qui, nella nostra parte del mondo si è sempre dato rilievo all’individuo, anche quando c’era molta più consapevolezza che fosse parte di una comunità. Non è un processo che un singolo cambia così alla leggera, pensando che sia una cosa irrilevante. In gioco c’è un mondo di simboli, di percezione dell’esistenza e di senso con cui si sta al mondo e nel mondo.

Nel luogo della sepoltura si ricorda la storia di un essere unico, personale. Quella vita che è nata è un “io” non una coscienza collettiva, e non è più destinato a dissolversi in modo indistinto nella natura o nella Creazione. È certamente possibile la cremazione, ma con un luogo della custodia delle ceneri, cioè della sepoltura. Scimmiottare con la dispersione delle ceneri le nobilissime culture orientali, che hanno (come la nostra) migliaia di anni di assimilazione di una precisa tradizione religiosa, è come fingere di parlare una lingua straniera, senza saperlo fare.

Terzo. La preghiera.
Per noi, che siamo credenti, c’è una preghiera perfetta per ricordare i defunti. È il ricordo di essi nella messa. Fin dalle catacombe, sulle tombe, veniva rappresentata la scena dell’ultima cena. Nella messa si celebra la morte di Gesù e si proclama la sua resurrezione, in attesa della sua venuta: quando incontreremo di nuovo le persone che già partecipano della vita del Risorto, che amiamo e con le quali desideriamo ritrovarci. Per questo è importante non perdere la tradizione di fare memoria dei nostri defunti nella messa, che è la memoria per eccellenza del trionfo pasquale di Gesù sulla morte.

Don Davide




Chiesa missionaria ed Ecologia Integrale

Il vangelo di oggi ci parla di un cieco che vuole insistentemente riavere la vista, nel giorno in cui si celebra la Giornata Missionaria Mondiale.

Nella nostra parrocchia, caratterizziamo questa ricorrenza, con un’attenzione alla questione ecologica, che lega le chiese nel mondo in un’attenzione che ormai è in prima linea, specialmente in zone dove questo problema è acutissimo, come l’immensa regione dell’Amazzonia, le regioni centrali dell’Africa dove le persone e il suolo sono sfruttate per l’accaparramento dei minerali più preziosi.

Papa Francesco nella Laudato si’, in realtà, non parla solo di “ecologia”, ma di “ecologia integrale”: un sistema complesso che articola la spiritualità più squisitamente evangelica della sequela di Gesù, con le questioni sociali, la consapevolezza scientifica e le conseguenze pratiche.

Infatti, a dispetto delle apparenze e fuori da una narrazione che ha pochissimo di vero, soprattutto le piccole comunità di cristiani che sono sparse nel mondo (dalle parrocchie, alle comunità di base fino alle tante famiglie religiose) sono in prima linea su una marea di fronti caldissimi, spesso a costo della loro stessa vita: potremmo citare l’opposizione alla tragedia del narcotraffico in America Latina, la lotta contro lo sfruttamento sessuale in moltissime parti del mondo, il lavoro per l’istruzione, la sanità o addirittura per il semplice approvvigionamento dell’acqua e del cibo nelle zone più povere. Se c’è qualcuno che ha un contatto con le 3 miliardi di persone che non hanno accesso alla dignità di base del vivere, sono queste piccole comunità di cristiani, spesso virtuosamente insieme a tante altre organizzazioni laiche, e tutte insieme costituiscono come una lotta di Davide contro Golia. Ricordiamoci che contro ogni pronostico ha vinto Davide.

Dobbiamo tutti, indipendentemente da ogni latitudine e longitudine, chiedere tenacemente di vedere questi problemi insieme all’aspetto bello della chiesa diffusa nel mondo. Possiamo pregare di riavere la vista, di vedere in senso “assoluto” la realtà delle cose, come nella celeberrima scena del film Matrix, quando davanti a Neo, il protagonista, cadono i veli e vede tutto, il codice della finzione e quale sia la vera realtà.

Questo desiderare di non essere più ciechi, di fronte alla consistenza complessa del mondo, al suo respiro e alle sue ferite, il fatto soprattutto di chiederlo a Gesù è un gesto altamente profetico, ci dice la prima lettura. Ci ricorda che possiamo raddrizzare le strade storte (come, ad esempio, il logoramento del nostro pianeta), trasformare i pianti in consolazione e riscoprire che Dio è il Padre davvero di tutti, di una popolazione immensa di uomini e donne che sono nostri fratelli e sorelle e di cui dobbiamo avere premura e cura.

Come iniziativa concreta, in questo giorno distribuiamo in parrocchia la Piccola guida a nuovi Stili di Vita per la Custodia del Creato, pubblicata dalla Diocesi di Bologna e proposta alle parrocchie e alle comunità, come strumento per cominciare a riflettere su questi temi. La guida sarà disponibile sul tavolo all’ingresso della chiesa, ma chiediamo 1 € di contributo, per permetterne la ristampa quando sarà esaurita.

Don Davide




Che cos’è la felicità? (per gli Under 20)

Il giovane “se ne andò rattristato” dopo la proposta di Gesù.

Mi ha sempre affascinato questo enigma. Quel giovane uomo aveva cercato Gesù di sua spontanea volontà: se decide di andarsene e di non accettare l’invito di Gesù, perché allora è triste?
Perché non accoglie una cosa che lo avrebbe fatto felice?
E viceversa: perché fa una scelta che lo rende triste?

È un mistero a cui è complicato rispondere.
Provo a indagare quando sono felice o lo sono stato in passato.

Sono stato felice la prima volta che, da ragazzo, mi sono innamorato; e poi quando ho sentito una voce amorevole che mi sembrava più forte di tutte, quella di Gesù. Ricordo il luogo, i colori, il profumo e l’ora.
Sono felice quando percepisco lo scorrere della mia vita come importante nell’armonia complessiva del mondo: in una parola, quando quello che faccio ha un senso buono.
Sono felice quando voglio bene; ancora di più insieme a coloro a cui voglio bene.
Sono felice quando riesco a semplificare le cose, anche quelle che possiedo.
Sono felice sulle Dolomiti, molto meglio in compagnia degli amici.

Forse, abituandosi a frequentare la felicità come se fosse un’amica, impareremmo a distinguere i sentimenti che durano da quelli che svaniscono, le emozioni che ci rendono belli o belle da quelle che ci imbruttiscono, e a non lasciarci fregare quando i bivi sono difficili da scegliere.

Don Davide




La sapienza evangelica

“Un tale corse incontro a Gesù”: aveva urgenza quell’uomo!
Vi leggo, simbolicamente, la stessa urgenza di cose buone che hanno gli uomini e le donne di oggi.
Non importa che le analisi ci dicano che nell’Occidente cristiano, semmai, si corra in direzione opposta a Gesù, e il fatto che alcuni, più in generale, non cerchino cose buone e pratichino quelle cattive non ci deve trarre in inganno; in quest’ultimo caso, spesso, si tratta di un’espressione molto disordinata del desiderio di una vita che valga la pena di essere vissuta.

Tuttavia, proprio in quell’incontro tanto desiderato (e probabilmente a lungo atteso) si consuma una crisi. L’uomo si trova disorientato. La sua motivazione inspiegabilmente crolla: rifiuta le possibilità aperte da Gesù, ma rimane tremendamente perplesso. È triste.

C’è una cosa che possiamo imparare, fondamentale e decisiva: la disponibilità di rimanere aperti a prospettive diverse dalle nostre, di imparare qualcosa che non sappiamo ancora, di essere condotti su territori nuovi. Abramo lo fece a novant’anni: non c’è vecchiaia che tenga!

Gesù ci indica la sapienza evangelica. È una via non omogenea al mondo. Si può apprendere solo se disponibili, si può apprezzare solo se la si pratica. Quello che accade nel nostro cuore è un’opera spirituale, non spiegabile con altre esperienze umane. La sapienza evangelica “è viva, efficacie, più tagliente di ogni spada a doppio taglio”: tocca la nostra esistenza, ci aiuta a fare le scelte, se non siamo anestetizzati ci fa sentire spesso un acuto bisogno di conversione.

Penetra in un luogo profondissimo “dentro” di noi, raggiunge nodi complessi che nemmeno siamo capaci di districare, e opera percorsi di guarigione e di consolazione.

Alla fine, o nel cammino, uno sperimenta un dono sovrabbondante (“cento volte tanto”, dice Gesù), non perché tutto vada alla perfezione, ma perché ci si può sentire completi e integri, anche in mezzo alle turbolenze del mondo.

Don Davide




Le possibilità buone

Le letture di oggi ci inducono a riflettere sul modo in cui Dio fa le cose, sulle possibilità belle e positive che sono iscritte nella creazione e nelle relazioni.

Ascoltiamo innanzitutto una dichiarazione positiva: “Non è bene che l’uomo sia solo. Voglio fargli un aiuto che gli corrisponda.” Questa intenzione benevola si traduce nell’offerta di un sostegno adatto alla dimensione relazionale dell’essere umano.

Poi sentiamo un futuro: “lascerà suo padre e sua madre”. Non bisogna confonderlo con un imperativo futuro, come si fa tutte le volte che si trasformano automaticamente e senza le mediazioni necessarie questi testi in legge. “Lascerà” indica prima di tutto una possibilità di vita e di avanzamento; vuole dire: l’essere umano non sarà sempre attaccato al suo passato, potrà andare oltre alle sue radici, sarà capace di fare qualcosa di nuovo.

Pensate a quante storie epiche o tragiche si tramandano sul fatto che i figli o le figlie devono portare avanti le imprese dei padri e delle madri, tante volte con un peso schiacciante, che priva la vita di ogni forma di libertà. La Genesi ci dice: niente di tutto questo!

Infine Gesù ci ricorda, che è per la durezza del cuore (e di conseguenza, per la pietà di Dio) che tante cose accadono nel mondo. Voglio spogliare da questa interpretazione ogni riferimento legislativo o legalista. Non pensiamo alla questione “cos’è lecito e cosa non è lecito fare?”: che era la domanda limitante di quel gruppo di farisei che stavano sfidando Gesù.

Proviamo a cogliere, invece, che Gesù ci orienta a un altro tipo di prospettiva e di modo di stare nel mondo: non che cosa è lecito, ma quali sono le possibilità migliori? Che cos’è buono e ci è dato liberamente? Come conviene vivere?

Se viviamo così, possiamo allargare il cuore e i pensieri.

È vero, ci sono tanti amori che finiscono, anche tra quelli che si sono fatti promesse eterne. È una forma di rispetto per queste storie, capire che c’è quasi sempre molta sofferenza. Raccogliamo la prospettiva di Gesù, allora, e chiediamoci: come si custodisce l’amore? Quali sono i gesti da fare e le parole da imparare? Come si apprendono e si esprimono la fedeltà, la dolcezza, la tenerezza e il rispetto?

È vero: ci sono tante amicizie che deludono. Chiediamoci: come si impara la relazione? Come si cresce fidati e capaci di cura? Come si condivide?

È vero, infine, che ci sono tante persone sole. Perché? Come si diventa non “delle persone che aiutano”, ma “aiuto”. Con quali abilità e sensibilità si generano incontri e si apre futuro?

Tutte queste domande aperte non soffocano con la restrizione della legge, ma aprono piste che è appassionante percorrere, suscitano desideri di vita e di esperienze belle, generano passione.

Don Davide