Come la pioggia e la neve

Siamo in piena estate e la liturgia della Parola, in questa domenica, inizia evocando la pioggia e la neve. Sembrano immagini lontane, ma proprio nei mesi più caldi e secchi dell’anno siamo aiutati a considerare la preziosità dell’acqua che disseta la terra e del ciclo delle stagioni.

La pioggia e la neve – dice il profeta Isaia – scendono dal cielo e irrigano e fecondano la terra, perché germogli, dia il seme e poi il raccolto. È una metafora stupenda e celebre, usata sempre per indicare l’efficacia della Parola di Dio, che non torna al cielo senza avere irrigato la vita di chi raggiunge.

Oggi, però, pensando all’estate, in questo paragone vorrei cogliere la dilazione del tempo. Tra l’autunno e l’inverno che preparano la terra irrigandola e la gioia del raccolto, passa un tempo lungo, di attesa, in cui l’agricoltore può curare un po’ il campo, ma non può operare più di tanto.

Mi sembra che nella pastorale delle nostre comunità, dovremmo riscoprire e coltivare il tempo lungo. La semina della parola – come ben manifesta la parabola evangelica, che pare esprimere un aspetto complementare a quello della prima lettura – è difficile. Nonostante l’abbondanza e la generosità del seminatore, che non è uno sprovveduto, c’è una difficoltà intrinseca in questa seminagione.

Lo dico in modo provocatorio, ma ho l’impressione che nel tempo che viviamo, invece, per evitare il rischio della dispersione dei semi e del periodo lungo per vedere il frutto, preferiamo fare come l’esperimento scientifico per eccellenza di tutti i bimbi, cioé mettere il semino in un bicchiere con un po’ di cotone, per vedere il germoglio e la piantina e dire: “Wow!”. I bimbi, giustamente, ne rimangono meravigliati, ma gli adulti sanno che non si raccoglierà nulla da quella piantina… ma è come se ci rassicurasse vedere qualcosa.

Lo si fa con il catechismo, in cui ci rassicura vedere i bimbi nei quattro anni del catechismo, ma sapendo che poi – sia per loro che per le loro famiglie – rimane ben poco di quella esperienza.

Lo si fa con i ragazzi e i giovani, con i quali usiamo quasi sempre il criterio del “così vengono”, ma alla fine non insegniamo loro a pregare, la vita spirituale, il valore dei sacramenti, di avere una guida. Fare queste cose “spirituali” è difficile: è impopolare, non interessano, ci vuole tempo… mi chiedo, però, se non siano proprio questi percorsi difficili a manifestare l’efficacia di cui parla il profeta Isaia. Quando questi ragazzi saranno diventati uomini e donne, che cosa li aiuterà?

Anche la carità corre lo stesso pericolo. Sembra che sia l’unica cosa che conti nella Chiesa, agli occhi del mondo: della fede cristiana non interessa più niente, anzi, non di rado si manifesta un certo fastidio, però la Chiesa che fa tanta carità piace a tutti: “Così dovrebbe essere!” si dice. Ma cosa sostiene la carità? Tutte le persone che animano in maniera non improvvisata, costante e con sapiente dedizione la carità, sono persone che sanno precisamente il motivo per cui lo fanno: per Gesù. Gli altri ci girano attorno, ma se non ci fossero i primi, l’immenso impianto della carità nella Chiesa semplicemente crollerebbe.

seminaAllora, cosa dobbiamo fare? La semina della Parola di Dio è difficile e, diciamolo senza mezzi termini, è fuori moda. Ma pare che Gesù non abbia escluso questa eventualità, citando il profeta Isaia.

“A chi ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza, ma a colui che non ha sarà tolto anche quello che ha.” È una delle frasi più scandalose e irritanti del Vangelo, a fronte di un certo modo di pensare in termini di aurea mediocritas. Ma quello che vuole dire Gesù, parlando della Parola di Dio, è che la Parola è legata a un desiderio e la ricchezza cristiana a un’adesione. Chi rifiuta questo tesoro, si troverà sprovvisto e non ne rimarrà nulla. Chi invece lo cerca e vi si apre, a prezzo di fatica e pazientando nel tempo lungo, non avrà nemmeno bisogno di scoprirlo, ma sarà ricolmato di ricchezza.

Don Davide




Spirito e Pasqua

“Vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto e vi insegnerà le cose future” (Cf. Gv 14,26 e Gv 16,13).

L’effusione dello Spirito, a Pentecoste, ravviva la memoria di ciò che è accaduto, guardandolo nella nuova luce pasquale: una luce che illumina di vita le cose e ne fa percepire il senso, tante volte nascosto nel momento in cui accadono. In questo processo, lo Spirito insegna anche il futuro, permette il discernimento, orienta verso ciò che deve venire in modo sapiente e fattivo.

Mi sembra, allora, quella di Pentecoste, l’occasione per fare una verifica e per chiederci cosa possa essere importante per il futuro.

Abbiamo iniziato questo anno pastorale confermati nelle fede di Pietro, dalla visita del Papa. È stata una giornata caratterizzata da una gioia frizzante, nonostante il clima uggioso, in cui si è capito che la Chiesa, i cristiani e forse ogni uomo hanno bisogno di persone autentiche, semplici e di grande carisma evangelico come papa Francesco. Questo insegnamento vale anche per il futuro. Non abbiamo bisogno di cose strane o grandi, ma di essere attaccati al Vangelo come un neonato al seno della mamma.

È stato l’anno della Parola e dei giovani. Abbiamo provato ad impegnarci su questi fronti, anche come parrocchia e come singoli, ma la percezione è che siano stati appuntamenti largamente disattesi. Nella luce del Risorto, incoraggiati dallo Spirito a fare verità, interpretiamo anche questa consapevolezza. Godiamo del grande amore di Dio, siamo consapevoli del dono della fede, abbiamo a cuore che la Chiesa viva anche nel futuro, tuttavia ci scontriamo quotidianamente con la nostra infedeltà o tiepidezza di fronte alla Parola di Dio, e con la fatica di fare spazio e di immaginare pratiche e modelli perché la Chiesa sia veramente giovane. All’ultimo consiglio pastorale, una ragazza ha detto un’affermazione tanto laconica quanto vera: “Nella chiesa di oggi, non sono gli anziani che mancano, sono i giovani.” Chiediamo allo Spirito di insegnarci queste vie, consapevoli che lui è come un allenatore tenace e bravo, che non si rassegna alla sconfitta della sua squadra.

Abbiamo vissuto un piccolo rinnovamento della Caritas, con un aggiustamento dell’organizzazione e l’ingresso di qualche figura nuova. Fare memoria nella luce della Pasqua, in questo caso, significa riconoscere la grandezza umana e spirituale delle persone che in tutti questi anni non solo non ci hanno fatto vergognare, ma ci hanno fatto essere orgogliosi del nome della nostra parrocchia: Santa Maria della Carità. Grazie a loro la carità è stata splendente e c’è solo da ringraziarli, infinitamente, per questa qualità che hanno immesso con sobrietà, spirito di servizio e nascondimento a tutta la nostra pastorale. Ci dà speranza e ci fa guardare alle cose future la continuità che hanno saputo generare.

Poi c’è la vita dei gruppi: bimbi, ragazzi, giovani e adulti. Un’ambiente vivace, in cui si può sicuramente fare meglio, ma anche segnato da esperienze genuine e liete. La luce pasquale ci dice che il Signore continua a chiamare alla fede, a generare nello Spirito, ben al di là delle nostre capacità, ma che questa consapevolezza rassicurante non è una scusa per tirare i remi in barca o per dire: “Ci pensa lo Spirito Santo”, bensì uno stimolo per mettersi ancora di più in ascolto della sua guida, docili alle sue intuizioni e strumenti energici della sua potenza di vita.

Infine, vorrei ricordare le celebrazioni di Pasqua. Soprattutto tre gesti, che forse sono passati quasi inosservati. Il fatto di essere due preti a fare la Lavanda dei piedi, segno di una dimensione di comunione al servizio. Il fatto di essere tutti giù dal presbiterio in ascolto della Parola di Dio nella celebrazione del Venerdì Santo, davanti all’altare spoglio, segno del Cristo morto. Una chiesa tutta “sotto” la Parola come discepola e raccolta – ministri e popolo – nella custodia tenera e cara del corpo di Gesù. Da ultimo, il gesto della Veglia Pasquale: quel sentire confessare la fede nella resurrezione e l’augurio per la vita della Chiesa da parte dei giovani, quel vedere accendere dalle loro mani il Cero pasquale. Nel bellissimo Messaggio ai giovani al termine del Concilio Vaticano II è scritto: “È soprattutto per voi, giovani, che la Chiesa – con il Concilio – ha acceso una luce.” Oggi, forse, si potrebbe dire il contrario: “È soprattutto per te, Chiesa, che i giovani hanno acceso una luce.”

Don Davide