Il Corpus Domini e l’Estate Ragazzi

Ho cominciato ad andare a messa molto presto nella mia vita, a 14/15 anni circa. Non parlo della messa festiva, ma di quella feriale. Andavo in parrocchia o, alcune volte, per alcuni incastri di orari, nella chiesa di S. Maria Goretti vicino al Fermi, prima di entrare a scuola.

Non ero un mistico, o un marziano e neppure “bravo”; furono una serie di fortunati eventi a farmi prendere questa buona abitudine, che mi ha completamente cambiato la vita. Non saprei dire perché, ma so precisamente che cosa ha mosso tale cambiamento.

È stato l’incontro con il Corpo e il Sangue del Signore Gesù.

Durante gli studi di teologia lessi una frase di Sant’Ignazio di Antiochia, uno dei primi padri della Chiesa: “Questo calice è la carità di Cristo”.

Questa affermazione mi svelò che cosa avevo nel cuore: il desiderio di volere bene – che ora riconosco come la scelta fondamentale nella vita – e la scoperta che potevo farlo imparando da Gesù.

Ero sicuro di potere prendere ispirazione da lui e allo stesso tempo che non avrebbe condizionato la mia libertà, anzi che mi avrebbe reso più me di me stesso.

Per domenica prossima 11 giugno abbiamo invitato alla messa delle 10 gli animatori dell’Estate Ragazzi.

Sono particolarmente contento che sia la domenica del “Corpus Domini” (anche se detta così ha reminiscenze da compito di Latino, che appena finita la scuola potrebbero essere un deterrente…) perché spero che anche per loro possa essere un nuovo incontro con Gesù e che possano essere aiutati a trovare il sé più vero di loro stessi.

In realtà, non ho proprio idea di quanti animatori e animatrici verranno, perché d’accordo con la coordinatrice e le responsabili di Estate Ragazzi abbiamo deciso di fare un invito veramente libero. Con chi ci sarà, fossero anche due o tre animatori/animatrici, faremo un rito di presentazione, accoglienza e mandato.

Di questa cosa – di chiedere cioè un impegno serio per l’Estate Ragazzi, e allo stesso tempo di fare loro una (piccola) proposta di fede, che sembra anacronistica ed estranea alle loro abitudini, ma che possono educarsi a scegliere liberamente – ne facciamo un punto di onore.

Non è sempre stato così. Se qualche animatore o animatrice ci sta leggendo (sarebbe un primo miracolo!) sappia che don Davide, nelle due parrocchie dove ha fatto il cappellano, chiamava solo gli animatori e le animatrici che venivano al gruppo regolarmente e a messa tutte le domeniche!

Ma la pastorale non è un dogma: è un’arte fatta di discernimento, di condivisione, di sensibilità e di rispetto per i cammini concreti che ci sono in atto.

Perciò questa è la scelta pastorale che abbiamo preso in questo tempo, nella nostra parrocchia, e la cosa che ci fa più contenti è la possibilità di condividere l’Estate Ragazzi con tanti animatori e animatrici e di fare un pezzo del cammino della loro giovinezza insieme.

L’importante è che trovino la loro via personale e speriamo che di questi giorni possano lasciare un ricordo così bello, da portarlo con gratitudine persino davanti a Gesù.

Don Davide




I passi del cammino

Essi lo sanno che lapidare una donna è un atto inconcepibile e sanno che il Maestro non potrebbe mai legittimarlo.

“È giusto?”.

Se dirà di sì: “Vedi, il Maestro legittima una cosa atroce”.

Se dirà di no: “Vedi, il Maestro tradisce Mosè”.

Lo sanno perfettamente anche loro che sarebbe atroce. Ma allora perché lo fanno?

Forse, hanno bisogno di essere liberati.

Sarebbero disposti ad uccidere per le loro prigioni. “Armiamoci di più! Ancora un’altra pietra!”. Non capiscono e non sono in grado di immaginare come fare diversamente.

Ma non c’è nessuna supplica in loro, se non l’ignoranza. “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.” (Lc 23,34)

La mente è piccolina. La pietra che tengono in mano è il loro cuore.

Da una parte la religione, dall’altra le persone. In cielo Dio, in terra una donna. Come se non potessero stare insieme. Come se fossero dai lati opposti.

Gesù vede tutte le catene, colpevoli e incolpevoli, e scrive: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,26-27).

Lentamente, si ode lo schianto secco della pietra su pietra e lo spirare del vento, perché si è sciolto il cerchio.

“Eppure vivo” pensa la donna.

“Sì, vivi tu, e adesso anche loro” dice Gesù.

Questo è ciò che accade nel Tempio, nel luogo santo.

Questo è ciò che deve accadere nella Chiesa.

Questi sono i passi del cammino.

Ora è possibile celebrare la Pasqua.

 




Stare in ciò che è bello

È da alcuni anni, sicuramente dall’inizio della pandemia, che desideriamo più consapevolmente “stare in ciò che è bello”. Prendiamo atto che ci sono dei popoli, tantissime persone, uomini, donne e bambini veri, che vivono in condizioni di stenti, tra un’epidemia e una guerra la maggior parte della loro vita.

Questa considerazione ci spinge alla solidarietà, ad essere compassionevoli e anche più umili e meno lamentosi quando le cose che ci riguardano non vanno come vorremmo.

Ma abbiamo più che mai la possibilità di rispondere a questa domanda: Che cosa significa: “Stare in ciò che è bello”? Intendo starci stabilmente, non solo come un residuo nelle nostre giornate, quando finalmente abbiamo smaltito tutte le incombenze e ci possiamo ritagliare un momento per fare ciò che ci piace, o per stare con chi amiamo.

La vita non può essere un residuo.

Ci sono due movimenti nel Vangelo di questa domenica, che mi fanno pensare a una risposta.

Riguardo a Gesù si parla del suo “esodo” che si stava per compiere a Gerusalemme. Del suo esodo, cioè della sua strada verso la libertà. Forse che Gesù non era un uomo libero? Lo era certamente, ma qui si parla di una libertà più radicale: della libertà di interpretare la propria vita come un atto d’amore.

Riguardo ai discepoli si dice che, pur avendo paura, entrarono nella nube, cioè nel mistero in cui si può udire la voce di Dio.

Dunque, che cosa significa “stare in ciò che è bello” sempre?

Per me significa vivere la propria vita come un unico grande gesto d’amore libero e comunque grato, riconoscendo che il mistero e le nubi in questa vita ci sono e possono farci anche tanta paura, ma può capitare che attraverso di esse o dentro di esse udiamo chiaramente la voce di Dio.

Don Davide




Toccheremo la paglia?

L’ultima tappa dell’Avvento è una grande domanda sulla libertà.

L’arcangelo che raggiunge Maria incontra, in verità, ciascuno di noi.

C’è un appuntamento con un bimbo in una mangiatoia. Non ci sarà nessuna costrizione.

Cosa potremo farcene se la nostra libertà non è allenata all’incontro? Come ci accorgeremo che la notte non è più buia, se non alzeremo lo sguardo per vedere una stella? Come sentiremo il calore della vita, se ci infastidiranno l’asino e il bue? Come scopriremo che la terra è benedetta, se non toccheremo la paglia?

Della scena dell’Annunciazione si potrebbero dire e sono state scritte miliardi di cose, ma oggi dobbiamo apprezzare le pause dell’angelo e le domande di Maria per capire come Dio aveva preparato una libertà per mettersi in moto.

Oggi dobbiamo apprezzare le pause dell’angelo e le domande di Maria.

E noi? E tu?

Vorrai fare parte di un mondo modellato su una redistribuzione del potere?

Accoglierai in uno spazio anche piccolo qualcuno che ha bisogno?

Sei disponibile a riconoscere nell’umanità di Gesù il racconto di Dio?

Potrai valorizzare la semplicità delle cose?

Infine, impareremo ad avere una vicinanza alla vita reale, vera, all’esistenza propria e delle altre persone, tale da potere dire di toccarla, di averla vista e custodita?

Impareremo ad avere una vicinanza alla vita reale, tale da potere dire di averla toccata?

Nel giorno e nella liturgia di Natale ci verrà detto che tutto è soltanto grazia; che ogni meraviglia, in realtà, è un dono. I doni vengono accolti da qualcuno che liberamente li sa accettare e accogliere.

Specchiarci in Maria e ascoltare il suo dialogo con l’angelo ci aiuta a fare entrare quell’energia di bene che è capace di purificare ed attivare la nostra libertà, per fare di questo regalo un tesoro per noi.

Don Davide




Padre Marella e una lettera per i ragazzi

«Perché andare a cercare altri santi, quando ne abbiamo uno qui a Bologna?» diceva sempre mio nonno, quando gli proponevano dei pellegrinaggi da qualche parte.

Parlava di padre Marella, e questa frase in casa nostra è passata da una generazione all’altra: prima l’ha imparata mia mamma, fin da quando era piccolina, di conseguenza anche i miei fratelli e io.

Per mio nonno padre Marella era un tale santo che quasi esauriva tutta la ricerca di modelli da imitare: come se non ci fosse bisogno di altro. E non c’era volta che mia nonna passasse all’angolo di via degli Orefici, senza mettere un’offerta nel famoso cappello. Anche dopo, quando padre Marella non c’era più e c’erano i suoi successori; al punto che persino a me – che sono nato 18 anni dopo la sua morte – sembra di averlo conosciuto, perché ripetevo quel gesto con la mia nonna.

Ma padre Marella non era solo il prete stravagante, fermo per ore a chiedere l’elemosina col suo cappello in quel cantuccio del Quadrilatero bolognese, come lo ritrae la sua foto più celebre. Quell’uomo era anche un esperto di diritto, un pedagogista e un filosofo.

Quando scoprii che padre Marella era stato un filosofo e professore del Liceo Minghetti rimasi esterrefatto. Quel vecchietto barbuto che sembrava un mendicante era, in realtà, una mente sopraffina e un visionario della pedagogia. «Ma allora, perché faceva il mendicante?!». Fu così che imparai che non chiedeva l’elemosina per sé, ma scuoteva la coscienza dei bolognesi, ed era amico dei poveri e un padre per i ragazzi e i giovani di Bologna. Lo ha sempre fatto nel nome di Gesù.

Questa scoperta che ha attraversato le generazioni di famiglia, mi ha spinto a scrivere un pensiero proprio a voi, ragazzi e giovani.

Padre Marella, infatti, ha per così dire iniziato la sua carriera da santo proprio attraverso l’educazione dei ragazzi e dei giovani. Era un antesignano e un profeta. Credeva fermamente nella formazione della coscienza, nel suo primato e – di conseguenza – nella libertà personale, quando ancora prevaleva l’idea che i giovani dovessero solo obbedire. Pensate cosa avrebbe potuto rappresentare questo – se fosse stato preso ancora più sul serio – di fronte ai drammi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale! Per rimanere fedele a questi principi che insegnava e testimoniava ha accettato di pagare di persona, ingiustamente, per sedici anni.

Cosa voglio dirvi, allora, in questo giorno in cui lui viene proclamato esempio di vita cristiana nella piazza della nostra città? Che la beatificazione di padre Marella non è solo una roba per gli anziani che l’hanno conosciuto. Non è una cosa come le tante che non vi riguardano.

La giornata di oggi è come una stele issata in mezzo a Piazza Maggiore che vi ricorda questi tre passaggi fondamentali per la vostra esistenza.

1)La vostra coscienza è la cosa più preziosa che avete. Questa misteriosa sensibilità di sintesi tra le esperienze, quello che capiamo e quello che sentiamo che si chiama appunto “coscienza” va formata: va nutrita ogni giorno come il vostro organismo, va allenata con metodo come i vostri muscoli, bisogna cercare la perfezione come nelle vostre storie Instagram o nei video di Tik Tok che vogliono più follower.

2)La coscienza ben formata – non quella che si fa imbambolare da qualunque imbecille – ha un primato che nessuno le può togliere. È la via per essere padroni della vostra vita. Non è vero che siamo per forza condizionati; è vero, piuttosto, che pochi si curano di avere una coscienza forte e ben formata, capace di decidere e di orientare consapevolmente la propria esistenza.

3)Non c’è cosa più preziosa, per Dio e per ogni persona seria, che uomini e donne liberi. Ma la libertà, quella vera, quella di amare, di servire, di rendere gli altri migliori mentre allo stesso tempo si edifica il proprio cammino, è ancora una volta frutto di un grande lavoro su se stessi, sulla propria coscienza e sui propri comportamenti.

Ricapitolando, il giorno di padre Marella vi riconsegna queste tre cose: la coscienza, la formazione, la libertà. Abbiatene cura. Coltivare la fede cristiana vi aiuterà a farlo.

E se non credete che quel vecchio mendicante col cappello in mano fosse davvero così e avesse la grande cura per i ragazzi di cui vi ho parlato… beh, chiedetelo a uno di loro.

Uno di quelli che padre Marella ha cresciuto, che ha accompagnato nei passi importanti della vita e che è diventato anche suo vero amico lo conoscete: è don Valeriano.

Con amicizia,

d. Davide